Sulla incidenza dell’attività dissociativa della società concorrente in caso di condanne penali dei suoi amministratori

Claudio Fanasca
23 Giugno 2017

La valutazione sull'incidenza dell'attività di dissociazione posta in essere dalla società in caso di condanne penali, come si ricava dall'art. 38, comma 1, lett. c), d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, assume valore esimente soltanto con riguardo agli amministratori cessati da ogni incarico nell'anno antecedente alla pubblicazione del bando di gara, e non anche con riferimento a quelli in carica al momento di presentazione della domanda di partecipazione, in relazione ai quali opera la diversa regola che impone la presenza del requisito dell'onorabilità sin dalla proposizione dell'offerta e per tutta la durata della gara nonché, a seguito dell'aggiudicazione, dell'eventuale rapporto negoziale.
Massima

La valutazione sull'incidenza dell'attività di dissociazione posta in essere dalla società in caso di condanne penali, come si ricava dall'art. 38, comma 1, lett. c), d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, assume valore esimente soltanto con riguardo agli amministratori cessati da ogni incarico nell'anno antecedente alla pubblicazione del bando di gara, e non anche con riferimento a quelli in carica al momento di presentazione della domanda di partecipazione, in relazione ai quali opera la diversa regola che impone la presenza del requisito dell'onorabilità sin dalla proposizione dell'offerta e per tutta la durata della gara nonché, a seguito dell'aggiudicazione, dell'eventuale rapporto negoziale.

Non è valutabile positivamente il comportamento dell'impresa che non comunichi spontaneamente alla stazione appaltante l'esistenza della condanna penale nel frattempo intervenuta in capo ad uno dei soggetti che ne hanno la legale rappresentanza, bensì solo dopo che sia intervenuta la richiesta di chiarimenti, in violazione dei principi di correttezza e buona fede a cui deve essere improntato il rapporto tra amministrazione e concorrente, ovvero che assuma misure dissociative solo dopo il formale provvedimento di esclusione. In ogni caso, per evitare che la condanna inflitta al soggetto che ha ricoperto cariche sociali si ripercuota sulla società precludendole la partecipazione a gare pubbliche, non è sufficiente la cessazione dalla carica sociale, per dimissioni o per allontanamento, potendosi trattare di mera sostituzione di facciata, ma occorre la dimostrazione che l'impresa abbia adottato atti concreti e tangibili di dissociazione dalla condotta penalmente sanzionata.

Il caso

All'esito dell'aggiudicazione di una gara per l'affidamento di servizi di “contact center” e assistenza tecnica informatica, la stazione appaltante ha richiesto al RTI aggiudicatario di fornire chiarimenti in relazione alla sopravvenuta condanna definitiva da parte della Corte di Cassazione dell'amministratore delegato della mandataria alla pena di tre anni di reclusione per il reato di bancarotta fraudolenta, con inabilitazione all'esercizio dell'attività di impresa e incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa per la durata di dieci anni.

Nonostante i chiarimenti forniti dall'aggiudicatario, con particolare riguardo all'attività posta in essere per dissociarsi dall'operato dell'amministratore nel frattempo cessato dalla carica, la stazione appaltante ha disposto l'esclusione del raggruppamento e, conseguentemente, la revoca dell'aggiudicazione disposta in suo favore.

L'originario aggiudicatario ha proposto ricorso avverso tali determinazioni dinanzi al TAR Lazio, Roma, che tuttavia ha respinto il ricorso.

Avverso tale pronuncia il raggruppamento ha proposto appello dinanzi al Consiglio di Stato, deducendo in particolare che il giudice di prime cure avrebbe errato nel non considerare e, comunque, nel non ritenere idonee le diverse iniziative dissociative dalla condotta penalmente sanzionata che sarebbero state tempestivamente poste in essere dall'impresa mandataria.

La questione

La questione giuridica sottesa alla decisione in commento riguarda la valutazione, con valore esimente, dell'incidenza dell'attività dissociativa della società in caso di condanne penali che riguardino un amministratore ancora in carica al momento della presentazione della domanda di partecipazione alla gara, nonché la tempestività e l'idoneità delle iniziative assunte in concreto.

La soluzione giuridica

Il Consiglio di Stato ha respinto il ricorso in appello, osservando in via preliminare che la stazione appaltante avrebbe potuto disporre l'esclusione dalla gara del raggruppamento ricorrente per effetto della mera condanna inflitta all'amministratore delegato della mandataria, senza necessità di valutare l'incidenza dell'attività di dissociazione posta in essere da tale società. Ciò in quanto, come si ricava dall'art. 38, comma 1, lett. c), d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 (vigente all'epoca dei fatti contestati), tale attività può assumere valore esimente soltanto con riguardo agli amministratori cessati da ogni incarico nell'anno antecedente alla pubblicazione del bando di gara, ma non anche con riferimento a quelli che, come nella specie, sono in carica al momento della presentazione della domanda di partecipazione e che addirittura l'hanno sottoscritta.

In relazione agli amministratori in carica trova, infatti, applicazione la diversa regola che impone la presenza del requisito dell'onorabilità, senza soluzione di continuità, sin dalla proposizione dell'offerta e per tutta la durata della gara e del successivo rapporto negoziale (su tutte, Cons. St., Ad. plen., 20 luglio 2015, n. 8; in termini, Cons. St., Sez. IV, 3 maggio 2016, n. 1717; Id., Sez. III, 1 luglio 2015, n. 3274), con tutto quel ne consegue in termini di irrilevanza delle eventuali iniziative di dissociazione poste in essere dagli amministratori succeduti nella carica a quelli condannati.

Ciò preliminarmente chiarito, il Consiglio di Stato ha ritenuto in ogni caso infondate le doglianze articolate nel ricorso in appello, sul presupposto che le iniziative dissociative in concreto assunte dalla mandataria rispetto alla condotta penalmente sanzionata del suo amministratore si sono rivelate intempestive e inidonee al perseguimento della loro tipica funzione esimente.

In proposito, il Collegio ha rammentato il noto principio giurisprudenziale secondo cui, per evitare che la condanna inflitta al soggetto che ha ricoperto cariche sociali in una società si ripercuota su di essa precludendole la partecipazione a gare pubbliche, non è sufficiente la sola cessazione dalla carica sociale, per dimissioni o per allontanamento, potendosi trattare di mera sostituzione di facciata (ipotesi peraltro non del tutto implausibile allorquando, come nella fattispecie esaminata, i poteri rappresentativi risultano trasferiti a soggetti legati da vincoli familiari col soggetto cessato), ma occorre la dimostrazione che la società abbia adottato atti concreti e tangibili di dissociazione dalla condotta delittuosa (si veda, tra le altre, Cons. St., Sez. V, 30 aprile 2014, n. 2271).

Tali concrete iniziative dissociative non sono state rinvenute dal Consiglio di Stato nel caso in esame, dal momento che: i) l'impresa ha comunicato alla stazione appaltante l'esistenza della condanna solo dopo aver ricevuto la richiesta di chiarimenti, così violando i principi di correttezza e buona fede a cui dev'essere improntato il rapporto tra amministrazione e concorrente nell'ambito del procedimento ad evidenza pubblica; ii) le misure dissociative intraprese dall'impresa sono intervenute solo tardivamente dopo l'adozione del provvedimento di esclusione e, comunque, si sono rivelate del tutto inadeguate; iii) nella specie, la prima iniziativa a cui può essere riconosciuta una efficacia ai fini dissociativi è costituita dall'azione civile intrapresa dalla mandataria contro l'amministratore condannato con atto di citazione notificato dopo la comunicazione dell'esclusione e, peraltro, mai depositato in cancelleria; iv) alcun valore di completa ed effettiva dissociazione della condotta penalmente sanzionata è rinvenibile nelle misure adottate dal Consiglio di Amministrazione della mandataria (deliberazione di incarico a un legale per intraprendere eventuali iniziative giudiziali e deliberazione di redigere un modello organizzativo di cui al d.lgs. n. 231 del 2001 e un codice etico), risolvendosi le stesse in mere dichiarazioni di intenti.

Al riguardo, il Consiglio di Stato ha altresì precisato che, come emerge dal citato art. 38, comma 1, lett. c), gli atti di dissociazione devono esser posti in essere dall'impresa presso la quale il soggetto condannato era in carica, attraverso i propri organi, senza che possa assumere alcun rilievo la circostanza che la stessa impresa sia soggetta a poteri di direzione e coordinamento di altra società che detiene tutto o parte del capitale sociale.

Da ultimo, il Collegio ha disatteso anche le ulteriori doglianze proposte dal raggruppamento appellante sia in relazione al preteso difetto di motivazione della valutazione compiuta dalla stazione appaltante in ordine alla gravità del reato ascritto sia in relazione all'omesso rilievo attribuito alla pendenza del ricorso proposto dinanzi alla Corte europea dei diritti dell'uomo contro la sentenza della Corte di Cassazione di condanna definitiva dell'amministratore della mandataria.

Sotto il primo profilo, il Consiglio di Stato ha rammentato che nelle gare pubbliche la valutazione della gravità delle condanne riportate dai concorrenti e della loro incidenza sulla moralità professionale è rimessa alla più ampia discrezionalità tecnico amministrativa della stazione appaltante, non richiedendosi un particolare onere motivazionale, essendo sufficiente che la stessa abbia acquisito tutti i dati utili seguendo lo schema tracciato dalla legge per la verifica del requisito della idoneità morale (Cons. St., Sez. V, 25 febbraio 2015, n. 927); ciò a maggior ragione nelle ipotesi, come quella di specie, in cui la condanna si riferisca ad un reato di obiettiva gravità come la bancarotta fraudolenta (Cons. St., Sez. V, 25 novembre 2002, n. 6482).

Con riferimento al secondo aspetto, il Collegio ha evidenziato che nessun rilievo può essere ascritto all'azione promossa davanti alla Corte EDU, dal momento che la stessa non esclude, ma anzi presuppone, l'efficacia di giudicato della condanna.

Osservazioni

La pronuncia in commento si segnala, innanzitutto, per aver opportunamente chiarito che l'istituto della dissociazione, come si ricava dall'art. 38, comma 1, lett. c), d.lgs. n. 163 del 2006, può assumere rilievo e valore esimente soltanto con riguardo agli amministratori cessati dalla carica nell'anno antecedente alla pubblicazione del bando di gara; diversamente, per gli amministratori ancora in carica al momento della presentazione della domanda di partecipazione deve farsi applicazione del diverso e noto principio secondo cui i requisiti di moralità devono essere posseduti per tutta la durata della gara e dell'eventuale successiva fase esecutiva del rapporto negoziale.

Il Consiglio di Stato ha, poi, svolto una serie di precisazioni sulla effettiva portata che devono assumere le iniziative dissociative dell'impresa, rispetto alla condotta penale sanzionata del proprio amministratore cessato dalla carica, al fine di poter essere ritenute adeguate.

Tra di esse, merita particolare attenzione la precisazione riferita alla necessità che la comunicazione alla stazione appaltante dell'esistenza della condanna definitiva dell'amministratore sopravvenuta nel corso della gara avvenga tempestivamente, così da non violare i principi di correttezza e buona fede a cui dev'essere improntato il rapporto tra amministrazione e concorrente. Al riguardo, deve osservarsi che il Consiglio di Stato sembra teorizzare la sussistenza in capo all'impresa concorrente di oneri dichiarativi, informativi e di leale collaborazione rispetto ai soggetti cessati dalla carica che, tuttavia, non sono predeterminati dalla legge (invero nemmeno per quelli ancora in carica) né tantomeno sono adeguatamente definiti nei propri contorni quanto alla tipologia delle condotte scriminanti, al relativo riferimento temporale e alla fase della procedura in cui devono essere assolti. Sul punto, vale la pena citare l'ordinanza della Sezione Quinta del Consiglio di Stato 21 marzo 2016, n. 1160, con cui si è ritenuto di investire la Corte di Giustizia dell'Unione Europea della questione pregiudiziale sulla compatibilità con il diritto eurounitario di una normativa nazionale, quale quella di cui al citato art. 38, comma 1, lett. c), nella parte in cui estende il contenuto dell'ivi previsto obbligo dichiarativo sull'assenza di sentenze definitive di condanna, comprese le sentenze di applicazione della pena su richiesta, ai soggetti titolari di cariche sociali cessati nell'anno antecedente la pubblicazione del bando e configura una correlativa causa di esclusione dalla gara, qualora l'impresa non dimostri che vi sia stata completa ed effettiva dissociazione dalla condotta di rilievo penale, rimettendo alla discrezionalità della stazione appaltante una valutazione sull'integrazione della condotta dissociativa che le consenta di introdurre a carico dell'impresa, su un piano effettuale, a pena di esclusione dalla gara, i) oneri informativi e dichiarativi relativi a vicende penali non ancora definite con sentenza irrevocabile, ii) oneri di dissociazione spontanea indeterminati quanto alla tipologia delle condotte scriminanti, al relativo riferimento temporale (anche anticipato rispetto al momento di irrevocabilità della sentenza penale) e alla fase della procedura in cui devono essere assolti e iii) oneri di leale collaborazione dal contorno indefinito, genericamente fondati sulla clausola di buona fede.

Un discorso analogo, del resto, può essere svolto più in generale con riferimento agli atti dissociativi che dovrebbero essere posti in essere dall'impresa, sol considerando che la previgente formulazione dell'art. 38, comma 1, lett. c), d.lgs. n. 163 del 2006 (oggi, di fatto, riprodotta nell'art. 80, comma 3, d.lgs. n. 50 del 2016) si limita genericamente a prevedere, quanto ai soggetti cessati dalla carica, che l'operatore economico può evitare l'esclusione dimostrando la “completa ed effettiva dissociazione” dalla condotta penalmente sanzionata. Si tratta di una enunciazione piuttosto vaga che sembra dover essere intesa, in un'ottica sostanzialista, nel senso che ricade sulla concorrente l'onere di provare l'intervenuta, effettiva e completa, dissociazione, e non già soltanto la formale adozione di atti e misure a ciò destinati (sul punto, si veda pure determinazione dell'ANAC, già Autorità di Vigilanza sui Contratti Pubblici, n. 1 del 16 maggio 2012).

Ora, il suddetto onere della prova non è univocamente definito e, proprio secondo la richiamata visione sostanzialista, in relazione allo specifico caso concreto, non è possibile definire con certezza se le condotte poste in essere dalla concorrente siano di per sé idonee a dimostrare l'effettiva dissociazione ovvero, al contrario, finiscano per assumere un carattere meramente formale, come rilevato nella fattispecie in esame dal Consiglio di Stato sulla base di analitica motivazione.

In tale contesto, peraltro, si inserisce l'orientamento giurisprudenziale, implicitamente richiamato nella pronuncia in commento, secondo cui perdono di efficacia sostanziale tutte quelle attività costituenti indice della dissociazione, laddove l'impresa ometta una spontanea dichiarazione del passaggio in giudicato della sentenza di condanna a carico di un proprio amministratore che sia intervenuta successivamente alla dichiarazione sulla sussistenza dei requisiti di moralità, ma prima dell'aggiudicazione, fondandosi tale obbligo dichiarativo sul dovere di leale collaborazione e correttezza nei confronti della stazione appaltante (Cons. St., Sez. IV, 22 dicembre 2014).

Sennonché, in definitiva, mentre può ritenersi certamente necessario un accertamento in concreto della intervenuta effettiva dissociazione, che non si limiti all'adozione di iniziative di mera facciata, più dubbia appare la configurabilità in capo all'impresa di adempimenti connessi, sostanzialmente a pena di esclusione, ad oneri dichiarativi non legalmente previsti.

Guida all'approfondimento

In dottrina, sul requisito di ordine generale dell'assenza di condanne penali, si vedano S. BACCARINI-G. CHINÈ-R. PROIETTI, Codice dell'appalto pubblico, Milano, 2015, 491; G. GRECO, I requisiti di ordine generale, in M.A. SANDULLI-R. DE NICTOLIS-R. GAROFOLI (a cura di), Trattato sui contratti pubblici, Milano, 2008, 1267.

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