Il TAR Lombardia ha precisato le condizioni che giustificano l’affidamento in house del servizio di igiene urbana

Massimo Nunziata
23 Maggio 2016

È legittimo l'affidamento diretto del servizio di igiene urbana comunale ad una società mista pubblico-privato laddove siano rispettate le condizioni per l'affidamento in house e laddove l'Amministrazione predisponga una motivata relazione tecnica da cui si evincano chiaramente le ragioni di convenienza economica di tale scelta.
Massima

È legittimo l'affidamento diretto del servizio di igiene urbana comunale ad una società mista pubblico-privato laddove siano rispettate le condizioni per l'affidamento in house e laddove l'Amministrazione predisponga una motivata relazione tecnica da cui si evincano chiaramente le ragioni di convenienza economica di tale scelta.

Il caso

La vicenda trae origine da un affidamento diretto per una durata di 10 anni del servizio di igiene urbana che un Comune aveva disposto in favore di una società in house.

Tale affidamento veniva contestato in sede giurisdizionale da una società a capitale misto pubblico-privato, il cui socio privato era stato scelto mediante gara, che gestisce i servizi di igiene ambientale a favore di diversi Comuni nella zona limitrofa e che sosteneva di vantare un interesse giuridicamente rilevante a partecipare a procedure selettive indette dagli Enti locali e a conoscere i presupposti di altrui affidamenti diretti in house.

La questione

La censura sottoposta allo scrutinio del TAR aveva ad oggetto un'asserita violazione della normativa che, per assicurare il rispetto della disciplina europea, la parità degli operatori e l'economicità della gestione, impone agli Enti di elaborare una relazione (comprendente anche un piano economico finanziario asseverato) che dia conto delle ragioni e dei requisiti previsti dall'ordinamento euro-unitario e definisca i contenuti specifici degli obblighi di servizio pubblico e servizio universale. In particolare, il PEF asseverato deve contenere la proiezione, per la durata dell'affidamento, dei costi e dei ricavi, degli investimenti e dei relativi finanziamenti, con la definizione dell'assetto economico-patrimoniale, del capitale proprio investito e dell'ammontare dell'indebitamento; inoltre, gli Enti proprietari devono procedere, contestualmente all'affidamento, ad accantonare in bilancio una somma pari all'impegno finanziario del capitale proprio previsto per il triennio e a redigere il bilancio consolidato con il soggetto affidatario in house.

Nel caso di specie, la ricorrente sosteneva che la relazione del Comune intimato fosse lacunosa, inattendibile e comunque difforme rispetto a quanto previsto dagli indici normativi di riferimento, limitandosi a comparare il costo medio del servizio per abitante presso i Comuni con caratteristiche similari con quello sostenuto dall'Ente locale nel 2014 e con l'offerta della società in house nel cui favore è stato poi disposto l'affidamento.

Veniva contestata, inoltre, la sussistenza del requisito del controllo analogo.

Le soluzioni giuridiche

Il Collegio ha anzitutto ribadito che il modello in house costituisce un modo di gestione ordinario dei servizi pubblici locali, alternativo rispetto all'affidamento mediante selezione pubblica, per cui non costituisce un'eccezione alla regola (cfr., da ultimo, anche

TAR Liguria,

Sez

. II, 8 febbraio

2016, n. 120

). Si ricorda che, come noto, anche il quinto considerando della

direttiva UE n. 24/2014

sugli appalti pubblici, rammenta che «nessuna disposizione della presente direttiva obbliga gli Stati membri ad affidare a terzi o a esternalizzare la prestazione di servizi che desiderano prestare essi stessi o organizzare con strumenti diversi dagli appalti pubblici ai sensi della presente direttiva».

Recentemente, anche il Consiglio di Stato (

Sez. V, 15 marzo 2016, n. 1034

) ha evocato l'orientamento euro-unitario secondo cui un'autorità pubblica può adempiere ai compiti di interesse pubblico ad essa incombenti mediante propri strumenti senza essere obbligata a far ricorso ad entità esterne non appartenenti ai propri servizi e può farlo altresì in collaborazione con altre autorità pubbliche (in tal senso:

C

orte giust.

UE, sentenza 6 aprile 2006

in causa C-410/14 (ANAV) e ha richiamato la propria precedente giurisprudenza in cui parimenti si è «stabilito che, stante l'abrogazione referendaria dell' articolo 23-bis del d.l. n. 112 del 2008 e la declaratoria di incostituzionalità dell' articolo 4 d.l. n. 138 del 2011 e le ragioni del quesito referendario (lasciare maggiore scelta agli enti locali sulle forme di gestione dei servizi pubblici locali, anche mediante internalizzazione e società in house), è venuto meno il principio, con tali disposizioni perseguito, della eccezionalità del modello in house per la gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica (

Cons. Stato, VI, 11 febbraio 2013, n. 762

)».

Inoltre, lo stesso TAR Lombardia, Brescia (cfr. sentenza 9 maggio 2016, n. 639) ha recentemente evidenziato che «la scelta, espressa da un ente locale, nella specie da un Comune, nel senso di rendere un dato servizio alla cittadinanza con una certa modalità organizzativa piuttosto di un'altra, ovvero in questo caso di ricorrere allo in house e non esternalizzare, è ampiamente discrezionale, e quindi, secondo giurisprudenza assolutamente costante e pacifica, è sindacabile nella presente sede giurisdizionale nei soli casi di illogicità manifesta ovvero di altrettanto manifesto travisamento dei fatti: nella materia dei servizi pubblici, affermano ad esempio il principio in generale

Cons. St., Sez. V, 6 maggio 2011 n. 2713

e nel caso specifico della scelta di una gestione in house

TAR Liguria sez. II 8 febbraio 2016 n°120

e

TAR Puglia Bari sez. I 12 aprile 2006 n°1318

».

Quanto alle modalità procedimentali per ricorrere all'affidamento in house, l'art. 34, comma 20,

d.l

. 18

ottobre

2012, n. 179

, conv. in

l

. 17

dicembre

2012, n. 221

, prevede che «per i servizi pubblici locali di rilevanza economica, al fine di assicurare il rispetto della disciplina europea, la parità tra gli operatori, l'economicità della gestione e di garantire adeguata informazione alla collettività di riferimento, l'affidamento del servizio è effettuato sulla base di apposita relazione, pubblicata sul sito internet dell'ente affidante, che dà conto delle ragioni e della sussistenza dei requisiti previsti dall'ordinamento europeo per la forma di affidamento prescelta e che definisce i contenuti specifici degli obblighi di servizio pubblico e servizio universale, indicando le compensazioni economiche se previste».

Sotto altro punto di vista, la relazione che supporta la scelta comunale di operare mediante affidamento in house è finalizzata a rendere trasparenti e conoscibili agli interessati tanto le operazioni di riscontro delle caratteristiche che fanno dell'affidataria una società in house, quanto il processo d'individuazione del modello più efficiente ed economico alla luce di una valutazione comparativa di tutti gli interessi pubblici e privati coinvolti.

Particolarmente interessante è l'iter che ha condotto il Collegio a ritenere esaustiva la relazione de qua.

Già nella citata sentenza n. 639 del 2016, lo stesso TAR aveva affermato che la relazione può considerarsi esaustiva qualora dimostri l'efficienza e la convenienza economica dell'affidamento, sottolineando che un'esposizione che illustri la scelta politica di spingere verso la raccolta differenziata (adottando nel Comune il metodo della cd. raccolta “porta a porta” ovvero la “differenziata spinta”) e raffronti i costi del servizio con quelli di alcuni Comuni ritenuti equivalenti non riveli illogicità, le quali «secondo la giurisprudenza – in generale ad esempio C.d.S. sez. V 11 dicembre 2015 n°5655 e sez. III 23 novembre 2015 n°5306 – devono essere “abnormi” ovvero “macroscopiche”».

Nel caso di specie, il Collegio ha ritenuto idonea la relazione tecnico economica predisposta dal Comune in quanto:

– racchiude una comparazione tra i costi del servizio per abitante, dalla quale affiora la convenienza del prezzo unitario offerto dalla società in house rispetto al valore medio calcolato in altri Comuni di dimensioni e territorio analoghi e alle condizioni praticate all'Ente resistente dal precedente gestore;

– garantisce le prestazioni essenziali del servizio di igiene ambientale, oltre a interventi di carattere accessorio e complementare, tra le quali si possono citare la sensibilizzazione nel progetto di riduzione dei rifiuti da avviare a discarica o inceneritore, mediante laboratori didattici presso le scuole e incontri di aggiornamento della popolazione; la ricerca, progettazione e realizzazione di sistemi alternativi di riutilizzo/recupero dei rifiuti; gli incontri periodici con l'utenza;

– racchiude l'impegno a mantenere attivo l'attuale Sportello front-office per l'intero 2016 (per facilitare i rapporti tra gli utenti e la nuova Società).

A fronte di ciò la scelta dell'amministrazione è stata ritenuta adeguatamente motivata in quanto, a fronte di un'ampia discrezionalità, il Comune ha rispettato le prescrizioni di cui all'

art. 34

,

comma 20

,

d.l

.

n.

179

del

2012

poiché la relazione esplicita in modo sufficientemente esaustivo le ragioni dell'affidamento, definendo gli obblighi di servizio pubblico in capo alla Società affidataria; inoltre, l'economicità della gestione è avvalorata dai dati esibiti in giudizio, anche mediante il confronto con realtà territoriali simili.

Il TAR ha ravvisato la legittimità dell'affidamento anche sotto il profilo della sussistenza del requisito del controllo analogo, rilevando che, dall'esame dello Statuto della società, risultano soddisfatte le condizioni tradizionalmente elaborate dalla giurisprudenza in materia.

In particolare, è noto che, secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell'Unione Europea, nel caso in cui il capitale della società in house sia suddiviso tra una pluralità di soci pubblici, il controllo analogo può essere esercitato congiuntamente da tali autorità, non richiedendosi che lo stesso venga esercitato singolarmente da ciascuna di esse (così Corte di Giustizia U.E., Sez. III – 29 novembre 2012, n. 182/11): ciò che rileva non è infatti la configurabilità di un controllo totale ed assoluto di ciascun ente pubblico sull'intera società, ma che, in forza di idonei strumenti giuridici, ciascun ente sia in grado di assumere il ruolo di dominus nelle decisioni operative rilevanti circa il frammento di gestione relativo al proprio territorio (in tal senso cfr. TAR Brescia, Sez. II – 23 settembre 2013, n. 780). In altri termini, l'ente societario partecipato deve essere soggetto ad un controllo di stampo sostanzialmente organico, tale da rendere irrilevante l'alterità soggettiva con l'autorità pubblica partecipante. In virtù di un simile atteggiarsi dei rapporti, spetta quindi a quest'ultima nominare i vertici direttivi e di controllo, approvare gli indirizzi strategici ed i principali atti di gestione, svuotando conseguentemente l'autonomia decisionale dell'organo amministrativo riconosciuta dal codice civile alle società di capitali (Cons. St., Sez. V, 28 luglio 2015, n. 3716, che richiama le proprie precedenti sentenze 14 ottobre 2014, n. 5080 e 13 marzo 2014, n. 1181).

Del resto, a proposito dell'in house pluripartecipato, il Consiglio di Stato (cfr.

S

ez. III, 27

aprile

2015, n. 2154

) ha affermato che le amministrazioni pubbliche in possesso di partecipazioni di minoranza possono esercitare il controllo analogo in modo congiunto con le altre, a condizione che:

a) gli organi decisionali dell'organismo controllato siano composti da rappresentanti di tutti i soci pubblici partecipanti ovvero siano formati tra soggetti che possono rappresentare più o tutti i soci pubblici partecipanti;

b) i soci pubblici siano in grado di esercitare congiuntamente un'influenza determinante sugli obiettivi strategici e sulle decisioni significative dell'organismo controllato;

c) l'organismo controllato non persegua interessi contrari a quelli di tutti i soci pubblici partecipanti.

Osservazioni

La sentenza merita di essere segnalata perché ha contribuito a fare chiarezza sulle condizioni cui è soggetto l'affidamento in house, con particolare riferimento al controllo analogo nel cd. in house pluripartecipato.

Come affermato dallo stesso TAR, la pronuncia si pone in linea anche con il rinnovato contesto ordinamentale europeo e nazionale, seppur non direttamente applicabile ratione temporis alla fattispecie.

Come noto, la

direttiva appalti n. 24/2014

stabilisce, all'art. 12, comma 3, che «un'amministrazione aggiudicatrice che non eserciti su una persona giuridica di diritto privato o pubblico un controllo ai sensi del paragrafo [ossia un controllo analogo] può nondimeno aggiudicare un appalto pubblico a tale persona giuridica senza applicare la presente direttiva quando sono soddisfatte tutte le seguenti condizioni: a) l'amministrazione aggiudicatrice esercita congiuntamente con altre amministrazioni aggiudicatrici un controllo sulla persona giuridica di cui trattasi analogo a quello da esse esercitato sui propri servizi; b) oltre l'80 % delle attività di tale persona giuridica sono effettuate nello svolgimento dei compiti ad essa affidati dalle amministrazioni aggiudicatrici controllanti o da altre persone giuridiche controllate dalle amministrazioni aggiudicatrici di cui trattasi; c) nella persona giuridica controllata non vi è alcuna partecipazione diretta di capitali privati, ad eccezione di forme di partecipazione di capitali privati che non comportano controllo o potere di veto prescritte dalle disposizioni legislative nazionali, in conformità dei trattati, che non esercitano un'influenza determinante sulla persona giuridica controllata».

Inoltre, il recente d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 statuisce all'art. 192, comma 2, che «ai fini dell'affidamento in house di un contratto avente ad oggetto servizi disponibili sul mercato in regime di concorrenza, le stazioni appaltanti effettuano preventivamente la valutazione sulla congruità economica dell'offerta dei soggetti in house, avuto riguardo all'oggetto e al valore della prestazione, dando conto nella motivazione del provvedimento di affidamento delle ragioni del mancato ricorso al mercato, nonché dei benefici per la collettività della forma di gestione prescelta, anche con riferimento agli obiettivi di universalità e socialità, di efficienza, di economicità e di qualità del servizio, nonché di ottimale impiego delle risorse pubbliche».

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