Improcedibilità delle censure sulla commissione di gara: profili di (r)esistenza della giurisdizione soggettiva nel prisma dell’interesse a ricorrere
29 Marzo 2017
All'esito di una procedura per l'affidamento di un appalto misto indetto nel 2014 dal Consorzio Venezia Nuova, una società impugnava dinanzi al TAR del Veneto l'aggiudicazione dell'appalto, deducendo diversi vizi dell'offerta della prima classificata, domandando, “in via subordinata” la caducazione dell'intera gara per l'illegittimità della composizione della Commissione. Con sentenza del 19 gennaio 2016, n. 27, il TAR rigettava tutti i motivi di ricorso. La ricorrente propone appello al Consiglio di Stato che, dopo aver confermato l'infondatezza di tutte le censure proposte contro l'aggiudicazione, esclude di poter esaminare la censura rivolta contro la composizione della commissione di gara nonostante la stessa, “per come rappresentata”, presenti "basi considerevoli e deduca “valutazioni ragionevoli”. Il Collegio ha infatti precisato che “visto l'avanzato svolgimento dei lavori”, l'infondatezza riscontrata “per tutte le restanti censure proposte” avverso l'aggiudicazione, rende, di fatto, “irrilevante ai fini della decisione del presente appello” la legittimità o meno della composizione della Commissione. La sentenza evidenzia che, nel caso di specie, «ci si trova di fronte alla peculiare situazione per cui tutte le censure sollevate dalla ricorrente e appellante […] circa il merito della valutazione delle offerte risultano non fondate, mentre un fondamento potrebbe in ipotesi essere rinvenibile solo a proposito della censura riguardante la concreta composizione della commissione di gara. Al tempo stesso, l'appalto per cui era gara ha ormai avuto ampia esecuzione, sicché comunque non è possibile dar corso giudiziale ad una tutela di tipo ripristinatorio o restitutorio, vale a dire orientata alla piena e specifica soddisfazione dell'interesse [dell'appellante] a risultare la parte contraente [della stazione appaltante] per la realizzazione delle opere in questione; e nemmeno è nei fatti ormai ripetibile la procedura di gara, che alla formazione di quel contratto era prodromica e strumentale». Dalla suddetta statuizione consegue – prosegue il Collegio – che la ricorrente «potrebbe tutt'al più – secondo il generale principio di responsabilità – beneficiare di una tutela risarcitoria per equivalente, cioè essere destinataria attiva di un risarcimento di danni per perdita di sue chances nonché ottenere il ristoro dell'interesse negativo nella forma del rimborso delle spese di partecipazione». I giudici hanno tuttavia escluso anche tale ultima forma di tutela in quanto «l'acclarata infondatezza, comunque, delle censure di merito […] dà la dimostrazione che non sussistevano […] concrete chances [della ricorrente] di ottenere l'aggiudicazione» valutazione rafforzata dalla circostanza che «nessuna delle censure, inoltre, appare causalmente collegata alla illegittima composizione della commissione». Il motivo di ricorso subordinato viene dunque dichiarato “ormai improcedibile” ai sensi dell'art. 35, comma 1, c.p.a. (ai sensi del quale «Il giudice dichiara, anche d'ufficio, il ricorso […] c) improcedibile quando nel corso del giudizio sopravviene il difetto di interesse delle parti alla decisione») proprio perché non sussiste un interesse processuale, attuale e concreto, della ricorrente al suo accoglimento. Sul punto viene diffusamente sottolineato dalla sentenza che, ai fini del riscontro circa l'esistenza dell'interesse a ricorrere, la situazione effettiva fatta valere dal ricorrente va rapportata “ai possibili esiti satisfattori” (ripristinatorio, restitutorio o risarcitorio, oltre la rinnovazione della gara), che l'ordinamento processuale amministrativo “oggi – coerentemente al principio di pienezza ed effettività della tutela giurisdizionale” – appronta con lo speciale “rito appalti” a chi si assume illegittimamente leso nella sua aspettativa a divenire, mediante l'aggiudicazione, parte effettiva del contratto d'appalto. Il Collegio precisa che «il bene della vita disputato in lite consiste, in un processo che è a connotazione soggettiva, appunto nell'essere parte effettiva del contratto d'appalto ma che, per effetto degli atti amministrativi contestati, è invece attribuito ad altri: non già nel veder rispettate inter alios le forme di una contesa il cui esito resta comunque ad altrui vantaggio. Gli strumenti che l'ordinamento processuale predispone sono del resto – conformemente alla direttiva “ricorsi” 2007/66/CE – orientati ad assicurare realmente gli effetti oggettivi di una piena concorrenza nell'affidamento delle commesse pubbliche». In quest'ottica, nel rito speciale «l'annullamento giudiziale non costituisce più un bene in sé, ma un tramite per produrre immediatamente un'utilità effettiva e non meramente virtuale. Sicché – ai fini della valutazione di concretezza e attualità dell'interesse a ricorrere, che deve essere serio e reale, non virtuale né emulativo – l'annullamento deve risultare prodromico ad utilità ulteriori: o alla rinnovazione del procedimento quanto a protagonisti, per modo di restituire al ricorrente l'opportunità di ottenere il bene della vita conteso; o alla reintegrazione del ricorrente nella posizione procedimentale o al subentro nella posizione contrattuale da cui è stato indebitamente pretermesso (ovvero all'esclusione o alla soccombenza di chi gli è stato preferito) per attribuirgli la stessa opportunità o senz'altro il bene; o a un ristoro monetario stimato equivalente alle opportunità concretamente perdute (chances) e a quanto egli dimostri aver speso per partecipare alla selezione (c.d. interesse negativo)». Viene così sottolineato dai giudici che «la connotazione soggettiva dello speciale processo amministrativo in tema di contratti pubblici dà azione in giustizia solo a chi può addurre, in ragione dei detti profili, un interesse effettivo dall'annullamento dell'atto amministrativo. Perciò preclude un'azione di accertamento di illegittimità dell'azione amministrativa che prescinda da un interesse soggettivo». Se, dunque, l'accertamento dell'effettivo interesse a ricorrere è “immanente e doveroso per tutto il processo”, nell'ipotesi in cui “la natura delle cose esclud(a) la possibilità effettiva di riedizione della gara, visto che il contratto risulta ormai in più che avanzato stato di esecuzione e la rinnovazione del procedimento sarebbe ormai priva di funzione” una dichiarazione circa l'illegittimità della composizione della commissione sarebbe esclusivamente “simbolica” qualora non ne “possa derivare una conseguenza davvero utile ai fini del raggiungimento del bene della vita, o diretto o per equivalente”. La suddetta circostanza – precisa il Collegio – dal punto di vista processuale, “costituisce in realtà un non-interesse, perché si estrinsecherebbe in una pronuncia di mero accertamento di illegittimità di atto amministrativo, non utile al conseguimento effettivo di una tutela, specifica o per equivalente”.
Il Collegio per le stesse argomentazioni esclude, infine, di poter accertare la legittimità o meno della composizione della Commissione ai soli fini risarcitori, in quanto, stante la constatata infondatezza delle censure contro l'aggiudicazione, “una nuova e diversa commissione non potrebbe giungere a diverse conclusioni”, cosicché dalla fondatezza della sola censura sulla composizione della Commissione non potrebbe comunque derivare l'accertamento di “un'indebita mancata aggiudicazione all'appellante” utile ai fini risarcitori provocando – l'inammissibile – effetto che l'accoglimento della stessa domanda “si risolverebbe non già in un ristoro patrimoniale di quanto ingiustamente patito per lesione sostanziale, ma nel mero riconoscimento di (inammissibili nel nostro ordinamento) “danni punitivi” per cattiva composizione della commissione stessa”. Nella specie, infine, il Collegio sottolinea che la ricorrente non aveva domandato il ristoro dei c.d. “interessi negativi” per la partecipazione alla gara, sicché – conclude – “nulla può essere statuito a questo riguardo”. |