Il risarcimento del danno da responsabilità precontrattuale in caso di mancata impugnazione degli atti lesivi

15 Marzo 2016

L'omessa o tardiva impugnazione del provvedimento con cui la stazione appaltante ha revocato l'aggiudicazione della gara, non preclude in rito la possibilità di domandare il risarcimento dei danni derivanti dalla revoca stessa.

L'omessa o tardiva impugnazione del provvedimento con cui la stazione appaltante ha revocato l'aggiudicazione della gara, non preclude in rito la possibilità di domandare il risarcimento dei danni derivanti dalla revoca stessa. All'impresa spetta, anzi, il diritto al risarcimento dei danni derivanti dal provvedimento di revoca, legittimo, perché adottato nel rispetto delle regole di validità, ma frutto di un contegno della pubblica amministrazione lesivo dei principi di correttezza e buona fede (c.d. regole di condotta); il risarcimento del danno da responsabilità precontrattuale è limitato al c.d. interesse negativo e comprende le spese inutilmente sostenute per partecipare alla gara (danno emergente) e la perdita dell'occasione di aggiudicarsi ulteriori commesse (lucro cessante).

La fattispecie. - Una società, aggiudicataria di una gara per l'affidamento del servizio di trasporto disabili, a seguito della declaratoria di inammissibilità (per tardività della notifica) del ricorso proposto avverso le determinazioni con le quali la stazione appaltante aveva disposto la revoca dell'affidamento dell'appalto, proponeva un'autonoma domanda risarcitoria avente ad oggetto i danni subiti in conseguenza della revoca dell'aggiudicazione.

È ammissibile l'azione autonoma per il risarcimento del danno da responsabilità precontrattuale? - Ai sensi dell'art. 30, commi 1 e 3, cod. proc. amm. l'azione di condanna al risarcimento del danno può essere proposta in via autonoma entro il termine di decadenza di centoventi giorni decorrente dal giorno in cui il fatto si è verificato ovvero dalla conoscenza del provvedimento se il danno deriva direttamente da questo.

La norma appena menzionata, da leggere in combinato disposto con l'art. 7, comma 4, e art. 34, comma 2, cod. proc. amm., sancisce il principio dell'autonomia del rimedio risarcitorio rispetto alla domanda di annullamento, superando, per l'effetto, la c.d. pregiudiziale amministrativa che postulava l'inammissibilità della tutela risarcitoria in caso di mancata impugnazione del provvedimento (in questo senso cfr. per tutte, Cons. St., Ad. plen., 22 ottobre 2007, n.12; contra v. Cass. civ., Sez. un., 13 giugno 2006, nn. 13659 e 13660; Cass. civ., Sez. un., 23 dicembre 2008, n. 30254; Cass. civ., Sez. un., 6 settembre 2010, n. 19048; Cass. civ., Sez. un., 16 dicembre 2010, n. 23595; Cass. civ., Sez. un., 11 gennaio 2011, n. 405).

Sotto il profilo processuale, l'affrancazione della tutela risarcitoria dalla logica della sussidiarietà rispetto al rimedio caducatorio, si inserisce nel processo evolutivo di ampliamento delle tecniche di tutela dell'interesse legittimo, in attuazione dei principi costituzionali ed eurounitari di pienezza ed effettività della tutela.

Sotto il profilo sostanziale, l'introduzione del principio di pluralità delle azioni ha specifici riflessi sulla configurazione dell'interesse legittimo come posizione giuridica (sostanziale) correlata ad un bene della vita (e non quindi mero interesse alla legittimità dell'azione amministrativa) che, in quanto tale, esige una piena protezione che non si esaurisce nella domanda di annullamento dell'atto illegittimo.

Chiarito che l'opzione accolta dal legislatore nel 2010 è stata quella di escludere la c.d. “pregiudizialità di rito” nel senso che l'impugnazione del provvedimento amministrativo non è condizione di ammissibilità della domanda risarcitoria, è necessario evidenziare che ai sensi del comma 3 dell'art. 30, cod. proc. amm., l'omessa impugnazione dell'atto costituisce un fatto valutabile dal giudice al fine di escludere i danni evitabili mediante una tempestiva reazione processuale; si tratta dell'affermazione del principio del duty to mitigate, di cui all'art. 1227 c.c.

Con riferimento a tale profilo, parte della giurisprudenza ritiene che se è pur vero che l'omessa o tardiva impugnazione del provvedimento amministrativo fonte di danno non preclude in rito l'azione risarcitoria, è anche vero che l'omessa attivazione dello strumento caducatorio determina automaticamente l'esito negativo nel merito della domanda risarcitoria (Cons. St., Sez. V, 1° dicembre 2014, n. 5917).

Tale orientamento viene avversato dalla sentenza del TAR Bari che, muovendo da una ricognizione dei principi civilistici in tema di causalità giuridica, rappresenta che l'omessa o tardiva impugnazione del provvedimento lesivo non preclude la risarcibilità di tutti i danni (se così fosse, la mancata attivazione del rimedio caducatorio finirebbe per costituire, in spregio alla scelta codicistica dell'autonomia dell'azione risarcitoria rispetto a quella di annullamento, una surrettizia condizione di inammissibilità della domanda risarcitoria), ma solo di quelli che sarebbero stati evitati mediante la proposizione rituale della domanda di annullamento.

In particolare, la pronuncia afferma che il giudice amministrativo è chiamato a valutare se il presumibile esito di merito del ricorso di annullamento e dell'utilizzazione degli altri strumenti di tutela, avrebbe, secondo un giudizio di causalità ipotetica, evitato in tutto o in parte il danno.

Con riferimento specifico ai danni derivanti da un provvedimento di revoca dell'aggiudicazione i cui effetti si sono consolidati per effetto della tardiva (o omessa) impugnazione, il giudice ricorda che nell'ambito di una procedura ad evidenza pubblica può configurarsi una responsabilità di tipo precontrattuale per violazione delle “regole di condotta” e che la inosservanza di queste ultime può non determinare l'invalidità della procedura di affidamento (sulla differenza tra regole di condotta e regole di validità, cfr. Cons. St., Sez. IV, 15 settembre 2014, n. 4676).

Muovendo da tali premesse, il Tar afferma che in presenza di un legittimo provvedimento di revoca, sussiste il diritto al risarcimento del danno derivante dal contengo tenuto dall'amministrazione nella fase prodromica alla conclusione del contratto, quando siffatto contegno non sia ispirato ai principi di correttezza e buona fede e sia stato idoneo ad ingenerare nell'operatore economico una legittima aspettativa in ordine all'aggiudicazione della gara e alla consequenziale stipulazione ed esecuzione del contratto (Cons. St., Sez. IV, 20 febbraio 2014, n. 790; Cons. St., Sez. V, 15 luglio 2013, n. 3831; Cons. St., Sez. VI, 1° febbraio 2013, n. 633).

Per quanto concerne la quantificazione del danno da responsabilità precontrattuale, la pronuncia ha ribadito il consolidato orientamento giurisprudenziale (Cons. St., Ad. plen., 5 settembre 2005, n. 6) secondo cui lo stesso deve ritenersi limitato all'interesse negativo e comprende, il danno emergente (ovvero le spese sostenute per la partecipazione alla gara) e il lucro cessante (ovvero la perdita di ulteriori occasioni di aggiudicazione di commesse), con esclusione dell'interesse positivo, costituito dal mancato guadagno che sarebbe derivato dalla stipulazione ed esecuzione del contratto non concluso.

In ordine, invece, al danno da perdita di chance, il giudice oltre ad aderire all'orientamento giurisprudenziale secondo cui esso non si identifica con la perdita di un risultato utile ma con quella della possibilità di conseguirlo, precisa che ai fini del risarcimento è necessario fornire la prova del nesso causale tra la condotta lesiva (ad esempio la revoca dell'aggiudicazione) e la ragionevole probabilità di conseguire la posizione di vantaggio perduta (ad esempio l'aggiudicazione di altri appalti).

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