Il contributo fornisce un inquadramento sistematico, aggiornato alla luce dei principali indirizzi giurisprudenziali, delle cause automatiche ostative derivanti dalla condanna definitiva dell'esponente per un delitto punito con la sanzione accessoria dell’incapacità di contrattare con la P.A. (comb. disp. art. 94, commi 1, lett. h e 3 d.lgs. n. 36/2023) e da qualsiasi sanzione, anche non definitiva, di cui sia destinatario l’operatore economico e comportante il divieto di contrarre con la P.A. (art. 94, comma 5, lett. a d.lgs. n. 36/2023).
Inquadramento
L'art. 94 del d.lgs. n. 36/2023 individua quattro tipologie di sanzioni/misure interdittive, tutte qualificate come causa di esclusione automatica. In particolare, sono riconducibili a questa matrice comune: i) la condanna definitiva per un delitto punito con la sanzione accessoria dell'incapacità di contrattare con la P.A., salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio, ai sensi degli artt. 32-ter e 32-quater c.p. (o di altre previsioni di legge), nei confronti di un soggetto (persona fisica) che ricopre una posizione tale da poter inficiare l'affidabilità dell'operatore economico agli occhi della stazione appaltante (comb. disp. art. 94, commi 1, lett. h e 3 d.lgs. n. 36/2023, ma v. già art. 80, commi 1, lett. g e 3 d.lgs. n. 50/2016); ii) l'interdittiva (recte: informativa) antimafia di cui all'art. 84 d.lgs. n. 159/2011, salvo ammissione dell'impresa, entro la data dell'aggiudicazione, al controllo giudiziario ai sensi dell'art. 34-bis d.lgs. n. 159 del 2011 (art. 94, comma 2 d.lgs. n. 36 del 2023, ma v. già art. 80, comma 2 d.lgs. n. 50 del 2016); iii) qualsiasi sanzione di cui sia destinatario l'operatore economico comportante il divieto di contrarre con la P.A., quali, a titolo esemplificativo, le sanzioni previste dall'art. 9, comma 2, lett. c) d.lgs. n. 231 del 2001 e i provvedimenti di cui all'art. 14 d.lgs. n. 81 del 2008 (art. 94, comma 5, lett. a d.lgs. n. 36 del 2023, ma v. già art. 80, comma 5, lett. f d.lgs. n. 50 del 2016); iv) la c.d. annotazione-interdittiva dell'operatore economico nel casellario informatico dell'ANAC a seguito della presentazione, con dolo o colpa, di false dichiarazioni o falsa documentazione nelle procedure di gara e negli affidamenti di subappalti (comb. disp. artt. 94, comma 5, lettera e e 96, comma 15 d.lgs. n. 36 del 2023, ma v. già art. 80, commi 5, lett. f-ter e 12 d.lgs. n. 50 del 2016).
Nel fare rinvio, per quanto concerne la seconda e la quarta fattispecie, alle relative bussole di inquadramento (rispettivamente: Informative interdittive antimafia; Requisiti: Falsa dichiarazione e falsa documentazione), il presente contributo intende concentrarsi sulle ipotesi di incapacità di contrarre dell'esponente aziendale titolare di una carica qualificata (supra i) e di assoggettamento dell'operatore economico a una misura interdittiva comportante il divieto di contrarre con la p.a. (supra iii).
Si tratta di forme di razionalizzazione del sistema attraverso le quali il legislatore ha inteso assoggettare a un trattamento uniforme un mosaico di fattispecie illecite estremamente eterogeneo.
È da ritenere che il reale quid novi delle richiamate previsioni codicistiche non stia tanto nel giudizio di (dis)valore involgente i fatti presupposti. Il suddetto giudizio, invero, è già stato formulato a monte e in sede extra-concorsuale (dal legislatore, prima, e dalle competenti autorità giudiziarie/amministrative, dopo), con accertamenti che rilevano come mero “fatto” in sede di gara.
Parimenti, si potrebbe dubitare dell'innovatività delle riferite norme anche sul piano degli effetti giuridici prodotti dalla sanzione interdittiva. Potrebbe cioè ritenersi che, in forza del principio di non contraddizione dell'ordinamento giuridico, l'incapacità/interdizione a contrarre con la p.a. imposta aliunde debba necessariamente riflettersi nell'impossibilità di stipulare contratti pubblici e, prim'ancora, di partecipare alle procedure di gara. Nondimeno, una simile conclusione non è del tutto automatica. Infatti, nella dottrina penalistica si fronteggiano due orientamenti in tema di effetti dell'incapacità/interdizione a contrarre. Secondo un primo orientamento, restrittivo, l'incapacità/interdizione colpisce solo il momento formale della stipula del contratto, ma non impedisce al soggetto di intavolare una trattativa con la p.a.; secondo un secondo orientamento, estensivo, l'incapacità/interdizione dovrebbe precludere, invece, anche le trattative. Il codice dei contratti pubblici risolve la questione e, in piena sintonia con il principio di economicità e, più in generale, di buon andamento dell'azione amministrativa, impone alla stazione appaltante di escludere l'operatore economico dalla competizione, onde non doversi poi ritrovare nella posizione di non poter stipulare un contratto con il medesimo soggetto, ove risultato aggiudicatario.
Un ulteriore aspetto innovativo delle previsioni in commento sembra stare nell'aver sancito la natura automatica delle cause di esclusione in parola, in modo tale da escludere qualsiasi profilo di discrezionalità delle stazioni appaltanti sul punto. Il che contribuisce ad assicurare il rispetto dei princìpi di tassatività delle cause di esclusione e certezza del diritto.
Infine, l'individuazione di un requisito di ordine generale ad hoc è funzionale anche alla creazione di un sistema di controlli accentrato, che trova il proprio baricentro nelle iscrizioni e annotazioni nel casellario informatico tenuto dall'ANAC (art. 220, comma 10 d.lgs. n. 36 del 2023 e art. 8, comma 2, lett. b, c, d ed f Del. ANAC n. 272 del 20 giugno 2023; in precedenza, v. già art. 213, comma 10 d.lgs. n. 50 del 2016 e art. 8, comma 2, lett. d, e, f e h Del. ANAC n. 721 del 29 luglio 2020).
L'ampiezza della formulazione dell'art. 94, comma 1, lett. h e comma 5, lett. a) d.lgs. n. 36 del 2023 ha peraltro sollevato il problema se la fattispecie ostativa debba scattare in presenza di comportamenti illeciti al cui ricorrere la legge riconnette, in astratto, sanzioni incapacitanti/interdittive, anche nell'ipotesi in cui la comminatoria non abbia luogo in concreto, o se viceversa debba prediligersi un approccio di segno opposto, richiedendo l'effettiva imposizione della sanzione incapacitante/interdittiva. La giurisprudenza amministrativa sembrerebbe essersi orientata nel secondo senso, anche se con statuizioni che, sul punto, non appaiono del tutto univoche (TAR Lazio, Roma, sez. II, 6 luglio 2020, n. 7742, non appellata, §§ 29 e ss. in diritto).
Natura e finalità della causa di esclusione di cui all'art. 94, comma 1, lett. h) d.lgs. n. 36/2023
Il d.lgs. n. 163 del 2006 non prevedeva in via espressa l'esclusione dell'operatore economico in caso di condanna definitiva dell'esponente per uno dei delitti importanti l'incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione. Tuttavia, l'art. 38, comma 1, lett. c) disponeva l'esclusione dei soggetti “nei cui confronti è stata pronunciata sentenza di condanna passata in giudicato, o emesso decreto penale di condanna divenuto irrevocabile, oppure sentenza di applicazione della pena su richiesta, ai sensi dell'articolo 444 c.p.p., per reati gravi in danno dello Stato o della Comunità che incidono sulla moralità professionale”. Ciò consentiva di escludere dalle gare, in via interpretativa, i soggetti puniti con la pena accessoria dell'incapacità di contrarre con la p.a. Infatti, i connotati della gravità sono in questo caso individuati dal legislatore stesso, attraverso la comminatoria, come noto eccezionale, della sanzione interdittiva accessoria. Significativamente, già la giurisprudenza più risalente faceva nella sostanza coincidere le fattispecie punibili ai sensi dell'art. 32-ter c.p. con i reati suscettibili di pregiudicare la moralità professionale dell'operatore economico (cfr., ad esempio, TAR Lazio, sez. I, 25 ottobre 1996, n. 2073, secondo cui dal reato contravvenzionale di mancato assoggettamento a controllo di recipienti per combustibile, ex art. 46 r.d. n. 824 del 1927, non può desumersi un'incidenza negativa sulla moralità dell'amministratore della società che partecipa all'appalto pubblico, stante la non riconducibilità di detta contravvenzione alle ipotesi previste dall'art. 32-quater c.p.).
Lo schema di decreto legislativo che ha portato all'adozione del Codice del 2016 non replicava la regola posta dall'art. 38, comma 1, lett. c) d.lgs. n. 163 del 2006. Tale aspetto è stato prontamente evidenziato, in sede consultiva, dal Consiglio di Stato (parere n. 855/2016). In quella sede il Consiglio di Stato ha dunque invitato l'Esecutivo a ripristinare una previsione di contenuto analogo o, in subordine, a sancire «quanto meno … l'esclusione nel caso di ogni altra condanna penale da cui derivi quale pena accessoria l'incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione, atteso che l'elenco dei reati contenuto nel comma 1 dell'art. 80 non è esaustivo di tutti i reati dai quali, secondo il vigente ordinamento penale, consegue l'incapacità di contrarre con la pubblica amministrazione».
Il d.lgs. n. 50 del 2016 ha optato per questa seconda via, prevedendo che «costituisce motivo di esclusione di un operatore economico dalla partecipazione a una procedura d'appalto o concessione, la condanna con sentenza definitiva o decreto penale di condanna divenuto irrevocabile o sentenza di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale per … ogni altro delitto da cui derivi, quale pena accessoria, l'incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione» (art. 80, comma 1, lett. g).
La previsione è replicata dall'art. 94, comma 1, lett. h) d.lgs. n. 36 del 2023, con l'unica differenza che l'incipit della norma, nella formulazione vigente, ha espunto dal novero dei provvedimenti giurisdizionali rilevanti ai fini dell'esclusione la «sentenza di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale». Si tratta di una novità di non poco momento, atteso che, per come si evince dal comma 1-ter dell'art. 444 c.p.p., il patteggiamento è configurabile anche per i delitti dai quali derivi la pena accessoria dell'incapacità di contrarre con la p.a.
La natura personale della responsabilità penale (art. 27 Cost.) fa sì che l'incapacità di contrarre possa riverberare in ambito concorsuale solo se e in quanto la persona fisica destinataria della pena accessoria vanti un ruolo esponenziale e/o gestorio sufficientemente marcato da poter pregiudicare, indirettamente, l'onorabilità dell'operatore economico (c.d. contagio). Tale fenomeno di interposizione consente di riallineare i fini dell'istituto penalistico e della causa di esclusione prevista dal Codice dei contratti pubblici. Infatti, mentre nel primo caso, pur richiedendosi che il soggetto abbia agito nel quadro di un'attività di impresa, l'organizzazione imprenditoriale di riferimento - reale beneficiaria, nella normalità dei casi, dell'illecito presupposto - viene esonerata da qualsiasi conseguenza negativa (a meno che il fatto non rilevi anche ex d.lgs. n. 231 del 2001), nel secondo caso, attraverso la figura del contagio, le conseguenze negative della pena accessoria sono interamente addossate sull'operatore economico, atteso che proprio con quest'ultimo la p.a. instaurerebbe l'eventuale rapporto contrattuale. In linea con il principio di fiducia che ispira l'intero Codice dei contratti pubblici del 2023, le ipotesi di contagio sono declinate in via tassativa. In particolare, l'art. 94, comma 3 (speculare al previgente art. 80, comma 3) chiarisce che, per quanto qui di interesse, «l'esclusione … è disposta se la sentenza o il decreto oppure la misura interdittiva ivi indicati sono stati emessi nei confronti: … b) del titolare o del direttore tecnico, se si tratta di impresa individuale; c) di un socio amministratore o del direttore tecnico, se si tratta di società in nome collettivo; d) dei soci accomandatari o del direttore tecnico, se si tratta di società in accomandita semplice; e) dei membri del consiglio di amministrazione cui sia stata conferita la legale rappresentanza, ivi compresi gli institori e i procuratori generali; f) dei componenti degli organi con poteri di direzione o di vigilanza o dei soggetti muniti di poteri di rappresentanza, di direzione o di controllo; g) del direttore tecnico o del socio unico; h) dell'amministratore di fatto nelle ipotesi di cui alle lettere precedenti». Il successivo comma 4 aggiunge poi che, nel caso in cui il socio sia una persona giuridica, «l'esclusione va disposta se la sentenza o il decreto ovvero la misura interdittiva sono stati emessi nei confronti degli amministratori di quest'ultima».
Ancorché il perimetro applicativo delle due previsioni non sia perfettamente coincidente, è verosimile che in molti dei casi in cui, in forza del c.d. contagio, si materializzi la causa ostativa di cui all'art. 94, comma 1, lett. h) d.lgs. n. 36 del 2023, la stazione appaltante si trovi al cospetto di una fattispecie espulsiva rilevante anche ex art. 94, comma 5, lett. a) d.lgs. n. 36 del 2023 (su cui v. infra). Ciò in quanto l'art. 13, comma 1, lett. a) d.lgs. n. 231 del 2001 prevede che «le sanzioni interdittive [avverso gli enti] si applicano in relazione ai reati per i quali sono espressamente previste, quando … l'ente ha tratto dal reato un profitto di rilevante entità e il reato è stato commesso da soggetti in posizione apicale ovvero da soggetti sottoposti all'altrui direzione quando, in questo caso, la commissione del reato è stata determinata o agevolata da gravi carenze organizzative».
L'art. 94, comma 7 d.lgs. n. 36 del 2023, ricalcando l'ultima parte dell'art. 80, comma 3 d.lgs. n. 50 del 2016, ha cura di precisare che «l'esclusione non è disposta e il divieto di aggiudicare non si applica quando il reato è stato depenalizzato oppure quando è intervenuta la riabilitazione oppure, nei casi di condanna ad una pena accessoria perpetua, quando questa è stata dichiarata estinta ai sensi dell'articolo 179, settimo comma, del codice penale, oppure quando il reato è stato dichiarato estinto dopo la condanna oppure in caso di revoca della condanna medesima».
Infine, l'art. 96, comma 8 d.lgs. n. 36 del 2023 (al pari dell'art. 80, comma 10 d.lgs. n. 50 del 2016) fissa il periodo di efficacia della causa di esclusione per l'ipotesi in cui «la sentenza penale di condanna definitiva non fiss[i] la durata della pena accessoria della incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione».
Per quanto concerne le figure criminose punibili con la pena accessoria dell'incapacità di contrarre con la p.a., va subito detto che esse sono tra loro molto diverse e sono dunque insuscettibili di inquadramento unitario.
L'unico elemento unificante che accomuna i numerosi delitti enumerati dall'art. 32-quater c.p. - come, tra gli altri, i delitti di cui agli artt. 314 (Peculato), 452-quaterdecies (Attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti) e 640, comma 2, n. 1 c.p. (Truffa) - risiede nella percepita gravità dell'offesa e nel fatto che, per cagionare l'incapacità di contrarre con la p.a., i suddetti reati devono essere stati «commessi in danno o a vantaggio di un'attività imprenditoriale o comunque in relazione ad essa».
Rientrano a pieno titolo nel campo di applicazione dell'art. 94, comma 1, lett. h) d.lgs. n. 36 del 2023 anche le ulteriori ipotesi di incapacità che si collocano al di fuori dell'art. 32-quater c.p. (segnatamente, nella parte speciale del Codice penale o nelle leggi speciali). Il Codice dei contratti pubblici, infatti, fa generico riferimento a delitti «da cui derivi, quale pena accessoria, l'incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione», senza richiamare la base giuridica della sanzione incapacitante.
In questi casi, a differenza di quanto avviene per i delitti di cui all'art. 32-quater c.p., non è richiesto che la condotta dell'agente si inserisca nel quadro di un'attività di impresa.
Possono portarsi, in proposito, due gruppi di esempi.
Per quanto concerne la parte speciale del c.p., viene in rilievo l'art. 448, comma 2 c.p., che prevede l'interdizione dalla professione, arte, industria, commercio o mestiere, nonché l'interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese alla condanna, per i delitti di cui agli artt. 439 c.p., (Avvelenamento di acque o sostanze alimentari), 440 (Adulterazione e contraffazione di sostanze alimentari), 441 (Adulterazione e contraffazione di altre cose in danno della salute pubblica), 442 (Commercio di sostanze alimentari contraffatte o adulterate). La latitudine delle forme di interdizione contemplate dall'art. 448, comma 2 c.p. sembra essere tale da cagionare, all'atto pratico, anche l'incapacità di contrarre con la p.a.
Tra gli esempi di incapacità sancite in leggi speciali possono invece menzionarsi le pene accessorie previste per determinati delitti in materia imposte sui redditi e sul valore aggiunto (art. 12, comma 1, lett. b d.lgs. n. 74 del 2000, con la precisazione che, in questo caso, l'esclusione dovrebbe essere disposta anche ai sensi dell'art. 94, comma 6 d.lgs. n. 36 del 2023) o nei delitti di abuso di informazioni privilegiate e di aggiotaggio su strumenti finanziari quotati (art. 186 d.lgs. n. 58 del 1998).
Natura e finalità della causa di esclusione di cui all'art. 94, comma 5, lett. a) d.lgs. n. 36 del 2023
Come si è detto, mentre la fattispecie ostativa di cui all'art. 94, comma 1, lett. h) d.lgs. n. 36 del 2023 tocca l'operatore economico in via mediata, attraverso il meccanismo del c.d. contagio, quella contemplata dall'art. 94, comma 5, lett. a) ha per oggetto sanzioni e misure interdittive che sono comminate direttamente nei suoi confronti.
Nel far riferimento a ogni «altra sanzione che comporta il divieto di contrarre con la pubblica amministrazione», la previsione in commento pone una clausola generale idonea a catturare sanzioni e misure interdittive diverse e ulteriori da quelle citate in via esemplificativa, anche di futura introduzione.
A tal proposito, si segnala che l'art. 63, § 3, lett. c) del Regolamento (UE) n. 2024/1157 relativo alle spedizioni di rifiuti impone agli Stati membri di punire le infrazioni, se pertinente, anche con “l'esclusione temporanea dalle procedure di appalto pubblico”. Un'analoga indicazione si rinviene anche all'art. 74, § 3 del Regolamento (UE) n. 2024/1781, che stabilisce il quadro per la definizione dei requisiti di progettazione ecocompatibile per prodotti sostenibili.
La prima misura sanzionatoria espressamente richiamata dall'art. 94 comma 5, lett. a) d.lgs. n. 36 del 2023, dalla cui applicazione consegue l'esclusione dalla partecipazione alle procedure di gara, è quella prevista dall'art. 9, comma 2, lett. c) d.lgs. n. 231 del 2001, consistente nel divieto di contrattare con la p.a., salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio.
La previsione va coordinata con l'art. 94, comma 3, lett. a) d.lgs. n. 36 del 2023, in cui si prevede l'esclusione, per le cause individuate nei commi 1 e 2 del medesimo articolo, anche «se la sentenza o il decreto oppure la misura interdittiva ivi indicati sono stati emessi nei confronti … dell'operatore economico ai sensi e nei termini di cui al decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231». Pertanto, l'ipotesi ostativa di cui all'art. 94, comma 5, lett. a) d.lgs. n. 36 del 2023 assume un significato e un effetto utile solo se la si intenda come fattispecie operante in presenza di condanne dell'ente per un delitto diverso da quelli enumerati dai citati commi 1 e 2.
È importante rimarcare che la sanzione interdittiva disciplinata dall'art. 9, comma 2, lett. c) d.lgs. n. 231 del 2001 ha natura principale (Cass. pen., sez. III, 8 giugno 2016, n. 45472), a differenza dell'incapacità di contrarre con la p.a. considerata dall'art. 94, comma 1, lett. h)d.lgs. n. 36 del 2023, il cui presupposto applicativo consiste, invece, nell'imposizione di una pena accessoria.
La giurisprudenza di legittimità ha sottoposto le sanzioni interdittive in parola a un test di proporzionalità stretto. Posto che l'art. 14, comma 2 d.lgs. n. 231 del 2001 stabilisce che «il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione può anche essere limitato a determinati tipi di contratto o a determinate amministrazioni», si è affermato il dovere del Giudice penale di attenersi al principio della c.d. frazionabilità delle sanzioni interdittive. Ove possibile, cioè, tali sanzioni devono adattarsi alla specifica attività dell'ente che è stata causa dell'illecito. Ciò consente di bonificare il luogo in cui è originato l'illecito senza tradire i princìpi di adeguatezza e proporzionalità della sanzione, in ossequio al criterio dell'extrema ratio (Cass. pen., sez. VI, 28 settembre 2011, n. 43108).
L'ulteriore fattispecie interdittiva cui fa riferimento, a titolo esemplificativo, l'art. 94, comma 5, lett. a) d.lgs. n. 36 del 2023 (già art. 80, comma 5, lett. f d.lgs. n. 50 del 2016 e, prima ancora, art. 38, comma 1, lett. m d.lgs. n. 163 del 2006, ove si faceva rinvio all'omologa misura prevista nel d.l. n. 223 del 2006, in seguito abrogata) è quella dei «provvedimenti interdittivi di cui all'articolo 14 del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81».
La norma stabilisce che, «al fine di far cessare il pericolo per la salute e la sicurezza dei lavoratori, nonché di contrastare il lavoro irregolare, l'Ispettorato nazionale del lavoro adotta un provvedimento di sospensione, quando riscontra che almeno il 10 per cento dei lavoratori presenti sul luogo di lavoro risulti occupato, al momento dell'accesso ispettivo, senza preventiva comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro ovvero inquadrato come lavoratori autonomi occasionali in assenza delle condizioni richieste dalla normativa, nonché, a prescindere dal settore di intervento, in caso di gravi violazioni in materia di tutela della salute e della sicurezza del lavoro …». Il comma 2 del citato art. 14 aggiunge che “per tutto il periodo di sospensione è fatto divieto all'impresa di contrattare con la pubblica amministrazione e con le stazioni appaltanti”. A tal fine, l'Ispettorato comunica il provvedimento di sospensione all'ANAC e al MIMIT, per gli aspetti di competenza. In particolare, spetta a quest'ultimo adottare il provvedimento interdittivo.
Atteso che il provvedimento interdittivo del MIMIT trova nel provvedimento di sospensione dell'Ispettorato il proprio presupposto unico ed esclusivo, la relativa cognizione deve ritenersi attratta a quella del giudice abilitato a conoscere di quest'ultimo, giacché è con la sospensione che si produce la lesione. A tale riguardo, merita ricordare che fino alle modifiche apportate dall'art. 13, comma 1, lett. d) d.l. n. 146 del 2021, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 215 del 2021, l'indirizzo maggioritario riteneva che la giurisdizione sui provvedimenti di sospensione spettasse al G.a. (Cons. Stato, sez. III, 15 giugno 2020, n. 3832; TAR Puglia, Bari, sez. III, 22 aprile 2021, n. 712, non appellata). Tanto sulla base della duplice constatazione della natura discrezionale del potere di sospensione (“possono adottare”) e della finalità cautelare dell'intervento, che mira a compulsare il datore di lavoro a porre rimedio alle irregolarità, come dimostra il potere di revoca del provvedimento di sospensione (e, correlativamente, di quello interdittivo) previsto al comma 9 dell'art. 14, legato a una serie di iniziative sananti poste in essere dal datore di lavoro. Ci si è chiesti in dottrina se queste conclusioni debbano considerarsi tuttora valide all'indomani della novella del 2020, che parrebbe aver trasformato in vincolato il provvedimento di sospensione (“adottano”). È da ritenere che il criterio di riparto debba essere confermato per almeno quattro ragioni: i) l'esistenza di un margine di discrezionalità dell'Ispettorato (se non nell'an, quantomeno) nella gradazione della misura, ai sensi del II periodo del comma 4 dell'art. 14 («In ogni caso di sospensione, gli effetti della stessa possono essere fatti decorrere dalle ore dodici del giorno lavorativo successivo ovvero dalla cessazione dell'attività lavorativa in corso che non può essere interrotta, salvo che non si riscontrino situazioni di pericolo imminente o di grave rischio per la salute dei lavoratori o dei terzi o per la pubblica incolumità»), cui si accompagna la tendenza dell'Ispettorato a rivendicare, in via di prassi, spazi non indifferenti di discrezionalità, tecnica e non (v. ad es. Nota INL n. 1159 del 7 giugno 2022, avente ad oggetto: “Art. 14 d.lgs. n. 81/2008 – provvedimenti di sospensione – attività non differibili”); ii) la perdurante finalità (non solo latamente sanzionatoria, ma anche) cautelare dell'intervento sospensivo, come dimostra il potere di revoca della misura, legato, come detto, ad azioni correttive poste in essere da parte del responsabile, con la previsione espressa della destinazione delle ammende imposte al finanziamento dell'“attività di prevenzione nei luoghi di lavoro svolta dall'Ispettorato nazionale del lavoro o dai dipartimenti di prevenzione delle AA.SS.LL.” (art. 14, comma 13); iii) più in generale, il superato automatismo, in dottrina e in giurisprudenza, tra potere vincolato e posizione di diritto soggettivo; iv) l'individuazione, salva contraria previsione legislativa, del G.a. quale “giudice naturale ad offrire tutela contro gli atti degli Ispettori del Lavoro” (Cons. Stato, sez. III, 21 marzo 2024, n. 2778, in tema di provvedimenti di disposizione ex art. 14 d.lgs. n. 124 del 2004 ma con statuizioni estensibili al caso di specie).
La giurisprudenza ha chiarito che l'art. 14 d.lgs. n. 81 del 2008 è diretto «alla tutela non solo della sicurezza dei luoghi di lavoro bensì del contrasto al lavoro irregolare in senso ampio, intendendosi per lavoratore irregolare qualsiasi lavoratore “sconosciuto alla p.a.” (si veda anche circolare del Ministero del lavoro n.33 del 10 novembre 2009). Il riferimento omissivo va correlato a qualsivoglia documento o comunicazione che attesti ad una pubblica amministrazione l'occupazione del lavoratore presso l'imprenditore ispezionato e consente di adottare il provvedimento di sospensione per l'effettivo “impiego” di lavoratori a qualunque tipologia e forma contrattuale sia riconducibile il rapporto di lavoro. Il lavoratore “in nero” è dunque quel lavoratore impiegato senza preventiva comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro al Centro per l'impiego ovvero previa comunicazioni ad altri Enti come richiesto dalla specifica tipologia contrattuale. Nella declinazione operativa avallata dal Ministero del Lavoro il requisito della subordinazione del rapporto non costituisce un elemento essenziale, in coerenza con il complessivo assetto del d.lgs. n. 81 del 2008 che ha voluto dettare regole uniformi in materia prevenzionistica prescindendo dalla tipologia di impiego dei lavoratori nell'impresa» (Cons. Stato, sez. III, 27 dicembre 2019, n. 8832 e 27 luglio 2023, n. 7383).
L'originaria formulazione dell'art. 14 d.lgs. n. 81 del 2008 escludeva, all'ultimo periodo del comma 1, l'applicabilità della legge n. 241 del 1990 ai procedimenti di sospensione. La Corte costituzionale, con sentenza n. 310 del 2010, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della norma, per contrasto con i princìpi di imparzialità e buon andamento (art. 97 Cost.) nonché di giustiziabilità dei provvedimenti amministrativi lesivi (art. 113 Cost.). Invero, «l'obbligo di motivare i provvedimenti amministrativi è diretto a realizzare la conoscibilità, e quindi la trasparenza, dell'azione amministrativa. Esso è radicato negli artt. 97 e 113 Cost., in quanto, da un lato, costituisce corollario dei principi di buon andamento e d'imparzialità dell'amministrazione e, dall'altro, consente al destinatario del provvedimento, che ritenga lesa una propria situazione giuridica, di far valere la relativa tutela giurisdizionale». A seguito delle modifiche introdotte dal d.l. n. 146 del 2021, l'attuale comma 5 dell'art. 14 prevede che «ai provvedimenti di cui al presente articolo si applicano le disposizioni di cui all'articolo 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241». L'addizione ha il merito di recepire il dictum della Corte costituzionale, ma il demerito di farlo con una previsione che per un verso nulla aggiunge agli effetti ex tunc ed erga omnes della citata pronuncia, e per altro verso finisce per limitare l'applicabilità della l. 241 del 1990, attraverso il richiamo del solo obbligo di motivazione. Appaiono condivisibili, in questo senso, le pronunce del G.a. volte a sancire l'assoggettamento di simili procedimenti anche ad altri istituti della l. 241, come la comunicazione di avvio del procedimento di cui all'art. 7 (TAR Liguria, Genova, sez. I, 11 aprile 2017, n. 318, non appellata).
In ultimo, va osservato che la causa di esclusione di cui all'art. 94, comma 5, lett. a) d.lgs. n. 36 del 2023, ove attivata dai provvedimenti interdittivi di cui al riferito art. 14, si sovrappone solo in parte con la differente causa ostativa disciplinata dall'art. 95, comma 1, lett. a). Quest'ultima, a differenza della prima: i) presuppone un'infrazione definitivamente accertata; ii) prescinde dall'imposizione di un provvedimento interdittivo; iii) tipizza una causa di esclusione non automatica, rimettendo alla stazione appaltante la valutazione di “gravità” dell'infrazione «alle norme in materia di salute e di sicurezza sul lavoro nonché agli obblighi in materia ambientale, sociale e del lavoro stabiliti dalla normativa europea e nazionale, dai contratti collettivi o dalle disposizioni internazionali elencate nell'allegato X alla direttiva 2014/24/UE».
Sanzioni interdittive e self-cleaning
L'operatività dell'istituto del self-cleaning in riferimento alle sanzioni incapacitanti/interdittive è limitata.
In linea di principio, il Codice del 2023 (art. 96, comma 2), al pari di quello del 2016 (art. 80, comma 7), riconosce, pur con alcune eccezioni e temperamenti, il diritto dell'operatore economico di proporre misure di self-cleaning anche a fronte di cause ostative automatiche. Nello specifico, il previgente art. 80, comma 7 confinava l'operatività dello strumento alle sentenze di condanna a pene detentive non superiori a 18 mesi o che riconoscevano l'attenuante della collaborazione, mentre il vigente art. 96, comma 2 pone il limite dell'esclusione per violazioni gravi, definitivamente accertate, degli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse o dei contributi previdenziali, ex art. 94, comma 6.
Tale generalizzata facoltà di attivare il sub-procedimento deve tuttavia esser coordinata, per quanto qui di interesse, con l'ulteriore limite secondo cui «un operatore economico escluso con sentenza definitiva dalla partecipazione alle procedure di appalto o di concessione non può avvalersi della possibilità [di self-cleaning] nel corso del periodo di esclusione derivante da tale sentenza» (art. 96, comma 7 d.lgs. n. 36 del 2023 e art. 80, comma 9 d.lgs. n. 50 del 2016, attuativi dell'art. 57, § 6 Dir. 2014/24/UE). In altri termini, quando si versa al di fuori delle eccezioni sopra menzionate, «l'unica fattispecie in cui l'esclusione è intangibile è quella sancita da una sentenza penale di condanna divenuta definitiva» (TAR Emilia-Romagna, Bologna, sez. II, 5 maggio 2021, n. 452).
Ne deriva che, in relazione alla fattispecie ostativa di cui all'art. 94, comma 1, lett. h) d.lgs. n. 36 del 2023 (e art. 80, comma 1, lett. g d.lgs. n. 50 de 2016), l'istituto del self-cleaning non può mai trovare spazio. Tale ipotesi di esclusione, infatti, richiede che la condanna alla pena accessoria dell'incapacità di contrarre con la p.a. derivi da un provvedimento giurisdizionale definitivo.
Diverso discorso deve esser fatto per le sanzioni interdittive contemplate dall'art. 94, comma 5 lett. a) d.lgs. n. 36 del 2023 (e 80, comma 5, lett. f d.lgs. n. 50 del 2016). In questi casi, infatti, non si richiede necessariamente il carattere definitivo della sentenza di condanna (o, mutatis mutandis, l'inoppugnabilità provvedimenti di cui all'art. 14 d.lgs. n. 81 del 2008 o la loro conferma con sentenza definitiva). La precisazione è rilevante soprattutto per le sanzioni interdittive di cui all'art. 9, comma 2, lett. c) d.lgs. n. 231 del 2001, che possono essere imposte non solo con la sentenza di condanna (art. 69), suscettibile di appello, ma anche con misura cautelare (art. 45), suscettibile sia di appello cautelare (art. 52) che di riesame (art. 50).
Così, ad esempio, attenendosi al dato letterale della fattispecie ostativa il G.a. ha affermato, in modo del tutto condivisibile, la rilevanza escludente della sanzione interdittiva imposta in via cautelare ai sensi dell'art. 45 d.lgs. n. 231 del 2001 (Cons. Stato, sez. V, 18 ottobre 2022, n. 8864; Cons. Stato, sez. III, 7 giugno 2024, n. 4111).
Del resto, si è osservato nella pronuncia da ultimo richiamata, una diversa valutazione (ad opera della stazione appaltante o del G.a.) «si tradurrebbe in un'indebita violazione del comando reso in sede penale e in una sostanziale abrogazione della disposizione che assegna all'autorità giudiziaria penale il potere interdittivo anche a titolo cautelare».
Se queste premesse sono corrette – e lo sono – potrebbe essere allora opportuno circoscrivere il portato della successiva statuizione, laddove la sentenza afferma che la severità dell'automatismo espulsivo è temperata da una «valvola correttiva, attuativa dei principi generali di ragionevolezza e proporzionalità», identificata nelle «misure di self-cleaning che dovessero essere adottate dall'operatore per dimostrare il recupero dei requisiti soggettivi …, applicabili, salvo limitate eccezioni, anche alle fattispecie ostative obbligatorie».
La necessità di individuare un siffatto correttivo è derivata, con ogni probabilità, dalla peculiarità del caso concreto. Il Supremo Consesso Amministrativo, infatti, ha posto a sistema il principio di continuità del possesso dei requisiti (Ad. plen. n. 7 del 2024); l'efficacia solo ex nunc della revoca della misura cautelare interdittiva disposta in sede di riesame (a differenza dell'annullamento in sede di appello cautelare, che avrebbe operato ex tunc); e la natura automatica della causa di esclusione. Così facendo, esso è giunto, in riforma della pronuncia di primo grado, a confermare il provvedimento di esclusione disposto dalla stazione appaltante nei confronti del concorrente che si era visto interdire, ex artt. 9, comma 2, lett. c) e 45 d.lgs. n. 231 del 2001, con una misura cautelare protrattasi per appena 6 giorni e in seguito revocata ex art. 50 d.lgs. n. 231 del 2001.
Tuttavia, un rigore così marcato nella valutazione dei presupposti applicativi della causa ostativa non dovrebbe condurre all'eccesso opposto di aprire le porte al self-cleaning ogni volta che ci si trovi al cospetto di una sanzione interdittiva a carattere non definitivo. Il caso preso in esame dal Consiglio di Stato concerneva una misura cautelare revocata dopo appena 6 giorni, ma ve ne potrebbero essere altri riguardanti una sentenza di condanna resa a definizione del primo grado di giudizio o una misura cautelare tuttora efficace. Si ritiene che – proprio in nome dell'esigenza, opportunamente richiamata nella sentenza di cui sopra, di rispettare il “comando reso in sede penale” – in simili circostanze l'ammissione del concorrente a seguito di self-cleaning dovrebbe essere valutato con particolare prudenza dalla stazione appaltante (e dal G.a.). Sembra sussistere, invero, una sorta di pregiudiziale di fatto (a seconda dei casi: penale o amministrativa) in tal senso. Invero, tanto il d.lgs. n. 231 del 2001 quanto il d.lgs. n. 81 del 2008 contengono, a seconda dei casi, strumenti di vero e proprio self-cleaning (art. 17 e comb. disp. artt. 12, comma 1 e 13, comma 3 del primo decreto) o meccanismi comunque atti a perseguire, nella sostanza, finalità largamente analoghe (si pensi ai presupposti, marcatamente risarcitori, per la revoca del provvedimento di sospensione/interdizione ex art. 14, comma 9 del secondo decreto). Ragioni di coerenza ordinamentale imporrebbero dunque di riservare anzitutto al “giudice/amministratore dell'interdizione” la valutazione di affidabilità dell'operatore.
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Sommario
Natura e finalità della causa di esclusione di cui all'art. 94, comma 1, lett. h) d.lgs. n. 36/2023
Natura e finalità della causa di esclusione di cui all'art. 94, comma 5, lett. a) d.lgs. n. 36 del 2023