Decreto legislativo - 2/07/2010 - n. 104 art. 37 - Errore scusabile

Roberto Chieppa

Errore scusabile

 

1. Il giudice può disporre, anche d'ufficio, la rimessione in termini per errore scusabile in presenza di oggettive ragioni di incertezza su questioni di diritto o di gravi impedimenti di fatto.

Inquadramento

Con l'art. 37 è generalizzata la rimessione in termini per errore scusabile, che è subordinata alla presenza di oggettive ragioni di incertezza su questioni di diritto o di gravi impedimenti di fatto.

L'errore scusabile può essere concesso anche d'ufficio.

La normativa previgente prevedeva ipotesi particolari di rimessione in termini(artt. 34 e 36 T.U. Consiglio di Stato; art. 34 legge T.A.R., riferiti al ricorso proposto contro atto non definitivo, vizi della notifica all'amministrazione e ricorso proposto innanzi a giudice incompetente), anche se la giurisprudenza aveva applicato l'istituto della rimessione in termini come rimedio di carattere generale, con riferimento non solo a vizi della notifica, ma anche ad altri adempimenti processuali (come il deposito del ricorso).

I presupposti per la rimessioni in termini vengono ora fissati nella presenza di oggettive ragioni di incertezza su questioni di diritto o di gravi impedimenti di fatto.

I presupposti per la concessione dell'errore scusabile

L'istituto dell'errore scusabile, prima della entrata in vigore del codice del processo amministrativo, era disciplinato, con riferimento a particolari fattispecie, dalle seguenti disposizioni:

a) l'art. 34 del testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato disponeva che se veniva impugnato innanzi a quest'ultimo, «per errore ritenuto scusabile», un provvedimento non definitivo, il Consiglio poteva assegnare un breve termine per la riproposizione del ricorso all'autorità gerarchica;

b) l'art. 36 dello stesso testo unico stabiliva che, in presenza di un errore «ritenuto scusabile», il Consiglio di Stato poteva concedere alla parte la possibilità di rinnovare o integrare la notificazione all'autorità amministrativa e ai controinteressati;

c) l'art. 34 della legge T.A.R prevedeva che il Consiglio di Stato, «in caso di errore scusabile», avrebbe potuto rimettere in termini il ricorrente per proporre l'impugnativa al giudice competente o per rinnovare la notificazione del ricorso.

L'art. 37 del Codice ha trasposto in una disposizione normativa tale principio stabilendo che «il giudice può disporre, anche d'ufficio, la rimessione in termini per errore scusabile in presenza di oggettive ragioni di incertezza su questioni di diritto o di gravi impedimenti di fatto».

L'art. 11, comma 5, di disciplina della translatio iudicii, contiene uno specifico riferimento all'istituto della rimessione in termine, ritenendolo applicabile, «ove ne ricorrano i presupposti», nei «giudizi riproposti» a seguito di una decisione sulla giurisdizione.

Nel processo civile l' art. 153, comma 2, c.p.c., prevede — con norma, anch'essa generale, introdotta dalla legge n. 69 del 2009 — che «la parte che dimostra di essere incorsa in decadenze per causa non imputabile può chiedere al giudice di essere rimessa in termini».

La giurisprudenza formatasi nella costanza del «vecchio» regime processuale era nel senso di considerare la rimessione in termini per errore scusabile un istituto di carattere eccezionale ( Cons. St. IV, n. 6599/2008), posto che esso delinea una deroga al principio cardine della perentorietà dei termini di impugnativa; l'attuale art. 37 non offre elementi per giungere a una differente conclusione. L'art. 37, al pari della previgente disciplina processuale dell'istituto dell'errore scusabile, è stato considerato dalla plenaria una norma di stretta interpretazione, dal momento che un uso eccessivamente ampio della discrezionalità giudiziaria che essa presuppone, lungi dal rafforzare l'effettività della tutela giurisdizionale, potrebbe alla fine risolversi in un grave vulnus del pariordinato principio di parità delle parti (art. 2, comma 1), sul versante del rispetto dei termini perentori stabiliti dalla legge processuale ( Cons. St.Ad. plen., n. 3/2010).

Il codice reca, quindi, un'espressa e generale disciplina dell'istituto della rimessione in termini per errore scusabile, per la cui applicazione richiede la presenza di oggettive ragioni di incertezza su questioni di diritto o gravi impedimenti di fatto.

Come già detto, l'art. 11, comma 5, prevede che nei giudizi riproposti a seguito di pronuncia sulla giurisdizione, il giudice, con riguardo alle preclusioni e decadenze intervenute, può concedere la rimessione in termini per errore scusabile ove ne ricorrano i presupposti.

Altra speciale attuazione della rimessione in termini è costituita dalla previsione di cui all'art. 44, comma 4, secondo cui, nei casi in cui sia nulla la notificazione e il destinatario non si costituisca in giudizio, il giudice, se ritiene che l'esito negativo della notificazione dipenda da causa non imputabile al notificante, fissa al ricorrente un termine perentorio per rinnovarla. La rinnovazione impedisce ogni decadenza. Il Codice ha in tal modo abrogato l' art. 49, comma 24, della l. n. 69 del 2009 («Il primo comma dell' articolo 291 del codice di procedura civile si applica anche nei giudizi davanti ai giudici amministrativi e contabili»), eliminando così la appena introdotta regola della rinnovazione della notificazione nulla, che invece va ora disposta solo se l'esito negativo della notificazione dipenda da causa non imputabile al notificante, che equivale a ritenere l'errore scusabile (v. il commento all'art. 44)

L'art. 37, nella parte in cui stabilisce che la rimessione in termini per errore scusabile può essere disposta solo in presenza di oggettive ragioni di incertezza su questioni di diritto o di gravi impedimenti di fatto, è norma di stretta interpretazione, dal momento che un uso eccessivamente ampio della discrezionalità giudiziaria che essa presuppone, lungi dal rafforzare l'effettività della tutela giurisdizionale, potrebbe alla fine risolversi in un grave vulnus del pariordinato principio di parità delle parti richiamato dall'art. 2, comma 1, dello stesso Codice, sul versante del rispetto dei termini perentori stabiliti dalla legge processuale (Cons. St.Ad. plen., n. 3/2010).

Anche l'errore determinato dall'incertezza derivante dall'entrata in vigore di una nuova disciplina è stata a volte ritenuta causa di errore scusabile.

Infatti, è stato, ad esempio rilevato che sussistono i presupposti per ammettere l'appellante al beneficio della rimessione in termini per errore scusabile ove il ricorso in appello sia stato notificato e depositato poche settimane dopo l'entrata in vigore del codice del processo amministrativo, atteso che la nuova regola del dimezzamento dei termini endoprocessuali, fissata dall'art. 87 comma 2, di detto codice per i giudizi in camera di consiglio, rappresenta una radicale innovazione rispetto al sistema previgente. Cons. St. III, n. 1578/2011. Deve tuttavia trattarsi di un quadro normativo solo da poco assestatosi e di un orientamento giurisprudenziale ancora in via di consolidazione ( Cons. St. V, n. 1381/2009; Cons. St. VI, n. 1574/2012).

La concessione del beneficio della rimessione in termini per errore scusabile risulta (in astratto) autorizzata dalla ricorrenza di una situazione, di fatto o di diritto, di oggettiva incertezza che induca palesemente in errore l'interessato.

L'istituto ha però carattere eccezionale quale deroga al principio fondamentale di perentorietà dei termini di impugnazione: l'art. 37 deve, pertanto, essere considerato norma di stretta interpretazione, dal momento che un uso eccessivamente ampio della discrezionalità giudiziaria che essa presuppone, lungi dal rafforzare l'effettività della tutela giurisdizionale, potrebbe alla fine risolversi in un grave vulnus del pariordinato principio di parità delle parti (art. 2, comma 1), sul versante del rispetto dei termini perentori stabiliti dalla legge processuale ( Cons. St.Ad. plen., n. 32/2012).

Così precisato il rigore che deve circondare la verifica delle condizioni che autorizzano la concessione del beneficio dell'errore scusabile, si rileva che le ragioni di incertezza su questioni di diritto o i gravi impedimenti di fatto devono riferirsi all'esercizio della potestà processuale che è stata persa per effetto dell'inutile scadenza del termine perentorio entro il quale avrebbe dovuto essere esercitata, e non anche a profili diversi. Posto, infatti, che l'errore rispetto al quale dev'essere accertata la scusabilità è quello relativo all'omessa, tempestiva attivazione di un potere processuale, non v'è dubbio che le ragioni che l'hanno impedita devono riferirsi a difficoltà interpretative della normativa di riferimento circa i presupposti, le modalità, i termini o gli effetti dell'esercizio della potestà in questione ovvero a cause di forza maggiore che hanno materialmente impedito l'adempimento processuale scaduto ( Cons. St.Ad. plen., ord. n. 33/2014). Deve nella sostanza trattarsi di ostacoli assoluti; altrimenti tutti i termini processuali, ancorché formalmente perentori, sarebbero resi elastici ed opinabili, a danno di quelle esigenze di celerità, certezza, etc., che ispirano le disposizioni che li dettano (Cons. St. III, n. 3911/2013); ; cfr. anche Cons. St., III, n. 529/2018, che ribadendo il principio della eccezionalità di tale causa di rimessione in termini, non la ritiene  applicabile al caso di omessa traduzione del provvedimento nella lingua del ricorrente).

Deve essere concesso il beneficio della rimessione in termini per errore scusabile, ai sensi dell'art. 37 in favore dell'impresa ricorrente che ha notificato il ricorso avverso l'affidamento di una concessione dopo la scadenza del termine di decadenza di trenta giorni previsto dall'art. 120, comma 5, ma nel rispetto di quello, ordinario, di sessanta giorni ( Cons. St.Ad. plen., n. 22/2016).

L'art. 37 subordina la rimessione in termini per errore scusabile alla presenza di gravi impedimenti di fatto, fra i quali non rientra il disguido postale nel quale è incorso il difensore nel comunicare con il suo assistito, atteso che la scelta del mezzo di comunicazione è libera; di conseguenza, non essendo imposto l'utilizzo del servizio postale, la comunicazione in questione poteva essere veicolata anche con forme diverse, essendo rimessa alla diligenza delle parti l'uso anche di mezzi ulteriori, per assicurarsi, precauzionalmente, circa il corretto transito delle informazioni ( Cons. St. V, n. 2243/2014).

In caso di sussistenza di una situazione di oggettiva incertezza in ordine all'individuazione del giudice fornito di giurisdizione, che abbia indotto il ricorrente in un errato giudizio circa l'esistenza e l'attualità dell'onere dell'impugnazione in sede giurisdizionale amministrativa, sono da ritenersi integrati i presupposti per la rimessione in termini dei ricorrenti per errore scusabile. Tar Lazio (Roma) I, 4 novembre 2004, n. 12370.

Il rimedio della rimessione in termini, ora disciplinato dall'art. 37, ma già previsto dall' art. 36 comma 2, r.d. 24 giugno 1924, n. 1054 — cui rinviava in via generale e residuale, come per tutte le altre norme di procedura, l' art. 19, l. 6 dicembre 1971, n. 1034 — presuppone il riconoscimento di un errore scusabile, cui è equiparabile l'esistenza di gravi impedimenti di fatto, da considerare applicazione settoriale processuale del generale principio giuridico ad impossibilia nemo tenetur.

Qualora l'errore di notifica dell'impugnazione sia derivato da erronea indicazione contenuta nella sentenza appellata e dalla mancata attivazione della parte interessata a richiedere la correzione dell'errore materiale, va riconosciuto l'errore scusabile, che può essere dichiarato anche a prescindere da una domanda di parte e comporta di conseguenza la rimessione in termini per la rinnovazione della notifica dell'appello. Cons. giust.. amm. Sicilia, sez. giurisd., 22 aprile 2005, n. 278.

Nel caso in cui nelle more del termine per la proposizione del ricorso in appello il difensore domiciliatario della parte appellata muti il proprio indirizzo, il ritardo nell'esecuzione della notificazione del ricorso, giustificato dalla circostanza predetta, non comporta l'irricevibilità del ricorso stesso, escludendosi che debba applicarsi il beneficio della rimessione in termini per errore scusabile. Cons. St. VI, 4 luglio, n. 3666/2000. Al contrario, è stata riconosciuta la sussistenza dei presupposti - rilevabili anche d'ufficio - per la rimessione in termini per errore scusabile in presenza di oggettive ragioni di incertezza sulla residenza dei destinatari della notifica del ricorso, per come indicata erroneamente negli atti oggetto di impugnazione (Cons. St., VI, n. 2498/2018).

Nel caso in cui l'amministrazione non abbia inserito un indirizzo PEC nell'elenco tenuto dal Ministero della giustizia, di cui all'art. 16, comma 12, d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, deve essere riconosciuto l'errore scusabile ex art. 37 c.p.a. se la notifica per via telematica del ricorso è stata effettuata all'indirizzo PEC tratto dall'elenco pubblico IPA (Tar Napoli, sez. VIII, ord., 15 marzo 2018, n. 1653 ; in senso analogo, pur riferito al deposito del ricorso in appello presso la segreteria del consiglio di stato nel contenzioso elettorale, Cons. St., III,  n. 744/2018 , secondo cui dall'eventuale assenza nell'elenco ufficiale dell'indirizzo PEC di una pubblica amministrazione non possono derivare preclusioni processuali per la parte privata; Cons. giust. amm. reg. Sicilia, n. 216/2018 , secondo cui nel caso in cui una p.a. non abbia inserito un indirizzo PEC nell'elenco tenuto dal Ministero della giustizia, deve essere riconosciuto l'errore scusabile ex art. 37 c.p.a. se la notifica del ricorso - proposto dopo l'entrata in vigore del processo amministrativo telematico (1 gennaio 2017) – è stata effettuata ad un'Amministrazione all'indirizzo PEC tratto dall'elenco pubblico IPA e non con le tradizionali modalità cartacee).E' stato riconosciuto l'errore scusabile anche quando l'omesso deposito dell'atto di ricorso per motivi aggiunti sia stato dovuto alla allegazione ad una PEC di un modulo di deposito relativo ad altro ricorso verificatosi pochi mesi dopo l'avvio del processo amministrativo telematico e, quindi, in una fase nella quale gli avvocati non avevano ancora acquisito piena dimestichezza con le nuove modalità di gestione degli adempimenti processuali (Tar Lazio, II, ord. 30 aprile 2018 n. 4727 ).

L'omessa indicazione, in calce al provvedimento amministrativo, del termine e dell'autorità cui ricorrere, rappresenta una mera irregolarità, la quale può costituire presupposto per il riconoscimento dell'errore scusabile, solo previo accertamento, caso per caso, dei rigorosi presupposti e, quindi, in presenza di oggettive ragioni di incertezza su questioni di diritto o di gravi impedimenti di fatto (Cons. St. VI, n. 422/2104; T.A.R. Sicilia (Catania), IV n. 2345/2016).

Le condizioni che regolano l'ammissibilità del ricorso giurisdizionale (le quali richiedono che sia l'interesse sostanziale riferito al bene della vita che l'interesse ad agire siano caratterizzati dai requisiti della personalità e della attualità e che, conseguentemente, anche la lesione subita dall'interesse sostanziale del ricorrente sia contrassegnata dai caratteri della immediatezza, della concretezza e dell'attualità) debbono verificarsi alla stregua dell'oggettiva portata effettuale dell'atto contestato e non alla luce della percepibilità soggettiva della loro sussistenza. Tale conclusione si giustifica in relazione sia al dato positivo che ai connotati sistemici del processo amministrativo. Il posticipare l'impugnazione dell'atto generale alla data dell'atto ricognitivo dell'effetto lesivo già prodottosi, per ragioni legate all'apprezzabilità soggettiva della sua lesività, si porrebbe in contrasto con il principio per cui l'azione di annullamento si propone entro un termine (espressamente definito) di decadenza (art. 29). Quest'ultima si distingue dalla prescrizione proprio perché, tramite essa, il legislatore intende ricollegare all'oggettivo trascorrere del tempo l'effetto di precludere l'esercizio di un potere, senza che alcuna rilevanza possano assumere circostanze soggettive a giustificarne la sospensione o l'interruzione del decorso. Tale opzione ermeneutica, del resto, è coerente con il dato positivo secondo il quale gli impedimenti di mero fatto (tra i quali va annoverato il difetto di rappresentazione soggettiva) vengono espressamente in rilievo, nel sistema processuale amministrativo, soltanto ai diversi fini dell'istituto della rimessione in termini (cfr. art. 37, il quale consente al giudice di disporre, anche d'ufficio, la rimessione in termini per errore scusabile in presenza di oggettive ragioni di incertezza su questioni di diritto o di gravi impedimenti di fatto), ipotesi non a caso rigidamente condizionata al duplice presupposto della gravità dell'impedimento e alla sua scusabilità T.A.R. Lombardia (Milano) III, 3 gennaio 2011, n. 1.

Riti speciali ed errore scusabile

In diversi casi si è posta la questione relativa all'applicabilità dell'istituto dell'errore scusabile in presenza di una proposizione tardiva dell'appello e del mancato rispetto delle regole che presiedono alla disciplina del rito speciale in primo grado da parte del giudice.

Un primo orientamento sostiene che — nel caso in cui il giudice di primo grado, «consapevolmente o meno», non abbia seguito il rito di cui all' art. 23-bis della l. n. 1034/1971 (legge Tar) e, in particolare, risulta che non abbia depositato il dispositivo della sentenza entro il termine di sette giorni dalla camera di consiglio — l'appellante è «tratto in errore sull'applicabilità del termine breve per la proposizione dell'appello», con la conseguenza che «deve essere concesso l'errore scusabile» ( Cons. St. VI, n. 1175/2011). Questa interpretazione è stata seguita anche dall'ordinanza della Sesta sezione del 24 gennaio 2012, n. 299 che, accogliendo uno specifico motivo di revocazione, ha ribadito — con riguardo alla medesima fattispecie — la concedibilità dell'errore scusabile qualora il giudice di primo grado non abbia seguito l'iter procedimentale prefigurato dall'art. 23-bis e, in particolare, non abbia pubblicato il dispositivo.

Un secondo orientamento — seguito, in particolare, dalla decisione dell'adunanza plenaria, ( Cons. St. Ad. Plen., n. 10/2011) — ritiene che sia «irrilevante» la condotta processuale «tenuta dal giudice nel corso del giudizio di primo grado, trattandosi di evenienza che non esclude ex se la doverosa applicazione del rito (ordinario o speciale), effettivamente stabilito dalla legge» (in questo senso anche Cons. St. IV, n. 9376/2010).

La questione è stata nuovamente rimessa alla Adunanza plenaria del Consiglio di Stato sulla base delle seguenti considerazioni: a fondamento dell'errore scusabile vi deve essere una situazione di assenza di colpa processuale, ossia di violazione incolpevole dei termini processuali, come il comportamento di chi sia stato tratto in errore dall'oscurità e ambiguità della normativa applicabile, dal cambiamento del quadro legislativo, da contrasti giurisprudenziali, da attività equivoche poste in essere da parte della stessa pubblica amministrazione, mentre non possono venire in rilievo aspetti di mera rilevanza soggettiva.

In questo contesto l'attività del giudice consiste nello stabilire se la condotta concreta sia o meno conforme alla regola di condotta predefinita. Se sussiste, anche alla luce delle specificità della fattispecie, uno «scarto» tra di esse deve ritenersi colpevole la violazione della norma processuale con conseguente impossibilità di riconoscere l'errore scusabile ai fini della rimessione in termini.

In relazione alla questione inerenti i riti speciali si tratta di stabilire se possa costituire una condotta predefinita quella posta in essere in presenza di un errore determinato dal comportamento del giudice che non ha osservato le regole processuali che scandiscono i momenti della sua attività.

L'ordinanza di rimessione ritiene che tale condotta standard debba essere inclusa tra quelle sino ad ora tipizzate dalla giurisprudenza. Non si ravvisano, infatti, valide ragioni per escludere che la parte, nello stabilire quali siano le regole processuali applicabili nella specie, possa essere tratta in «inganno» dal comportamento processuale del giudice ( Cons. St. VI, ord. n. 3256/2012).

Nel caso sottoposto nuovamente alla Plenaria non vi era sicuramente margine per la concessione dell'errore scusabile sotto il profilo della incolpevole ignoranza della soggezione della controversia al rito abbreviato.

Si trattava, quindi, di risolvere l'ulteriore questione — se l'errore del giudice di primo grado, consistente nell'applicare il rito ordinario in luogo di quello speciale, possa far considerare consequenziale e scusabile l'errore della parte che propone appello rispettando i termini del rito ordinario anziché quelli del rito speciale.

La Plenaria ricorda che i riti speciali e il loro ambito applicativo sono stabiliti dalla legge, per ragioni che rientrano nelle scelte discrezionali del legislatore (nel caso del rito dell' art. 23-bis l. n. 1034/1971, ora artt. 119 e 120, per la esigenza di interesse generale di una celere definizione di determinate tipologie di controversie), e pertanto l'applicazione del rito è doverosa ed oggettiva, e non vi è spazio per una scelta del rito, o sua disapplicazione, ad opera delle parti o del giudice. Le parti sono tenute a seguire il rito speciale, e il giudice a sua volta è tenuto alla sua osservanza. Se la parte non rispetta i termini del rito speciale incorre in un errore processuale che determina decadenza, salva la ricorrenza dell'errore scusabile. Parimenti, se il giudice di primo grado non rispetta il rito speciale, incorre in un errore che, se del caso, può dar luogo a vizio della sentenza contestabile con i rimedi impugnatori che l'ordinamento appresta ( Cons. St. Ad. plen ., n. 32/2012).

Nel processo amministrativo non possono trovare applicazione pedissequa i principi enunciati dalla Cassazione in tema di erronea scelta del rito da parte del giudice. Ritiene la Cassazione che se il giudice di primo grado tratti la causa secondo il rito erroneamente adottato e, non formulando alcun rilievo al riguardo, ritenga implicitamente che il rito in concreto seguito sia quello prescritto, il principio di ultrattività del rito e dell'apparenza comporta che il giudizio deve proseguire nelle stesse forme (Cass. II, n. 12524/2010). Secondo la Cassazione rileva il rito adottato dal giudice che, a prescindere dalla sua esattezza, costituisce per la parte il criterio di riferimento, anche ai fini del computo dei termini previsti per le attività processuali; ne consegue che, ove una controversia in materia di lavoro sia erroneamente trattata fino alla conclusione con il rito ordinario, trova applicazione il principio dell'apparenza o dell'affidamento, per il quale la scelta fra i mezzi, i termini ed il regime di impugnazione astrattamente esperibili va compiuta in base al tipo di procedimento effettivamente svoltosi, a prescindere dalla congruenza delle relative forme rispetto alla materia controversa ( Cass. sez. lav., n. 9694/2010).

Tali principi non possono essere pedissequamente seguiti nel processo amministrativo nel quale i riti non rientrano nella disponibilità delle parti o del giudice, essendo imposti dalla legge per ragioni di interesse pubblico. Sicché, i termini di decadenza di un rito speciale, non possono essere superati dall'erronea scelta del rito.

L'Adunanza plenaria ha risolto la questione, affermando il seguente principio: i riti speciali, e segnatamente quello di cui all' art. 23-bis l. n. 1034/1971 (ora art. 119), sono stabiliti dal legislatore per ragioni di interesse generale e hanno applicazione oggettiva, sicché al fine della verifica se una determinata controversia rientri nell'ambito di applicazione di un rito speciale o del rito ordinario, sono irrilevanti il comportamento processuale delle parti o del giudice trattandosi di evenienze che non escludono ex se la doverosa applicazione del rito (ordinario o speciale), effettivamente stabilito dalla legge; tuttavia se l'errore del giudice circa il rito da applicare e i conseguenti termini si inquadra in un complessivo comportamento fuorviante dello stesso giudice e delle controparti (che in primo grado hanno anche tratto vantaggio dell'errore stesso), si determina una situazione che oggettivamente giustifica la concessione dell'errore scusabile ( Cons. St. Ad. plen ., n. 32/2012).

In sostanza è stato chiarito che l'errore del giudice di primo grado non può di per sé solo determinare un mutamento del rito in appello e che, nonostante l'errore del giudice di primo grado, le parti che ne impugnano la decisione restano tenute, in appello, al rispetto del rito stabilito dalla legge. Si tratta tuttavia di stabilire se, avuto riguardo a tutte le circostanze del caso concreto, l'errore in cui è incorso il giudice di primo grado possa essere considerato come causa dell'errore della parte e quindi possa giustificare la concessione dell'errore scusabile. Ove ricorra un quadro normativo oscuro, o vi siano oscillazioni della giurisprudenza o della pubblica amministrazione, l'errore del giudice di primo grado può a sua volta essere giustificato da tali presupposti fattuali e pertanto essere considerato una concausa dell'errore della parte. Esiste poi un'ulteriore ipotesi in cui l'errore del giudice può essere considerato causa dell'errore della parte e rendere scusabile l'errore di quest'ultima, ed è quando il giudice ordina alla parte il compimento di un adempimento processuale prescrivendo modalità erronee. In tal senso, la plenaria ha già in passato statuito che costituisce errore scusabile la notificazione del ricorso in appello all'amministrazione statale nel domicilio reale, quando la stessa sia effettuata in ottemperanza ad un ordine del giudice ai fini dell'integrazione del contraddittorio e tale ordine faccia riferimento all'amministrazione e non all'Avvocatura dello Stato ( Cons. St. Ad. plen ., n. 1/1993). Al di fuori di questi casi, l'errore del giudice può divenire rilevante ai nostri fini solo se si inquadra in un complessivo comportamento fuorviante dello stesso giudice e delle controparti. Così, se in primo grado viene seguito il rito ordinario senza che nessuna delle parti, che anzi ne traggono vantaggio, né il giudice rilevino la necessità di seguire il rito speciale, e senza che vi siano altri indizi della necessità di seguire il rito speciale (qualificazione del ricorso nel registro dei ricorsi, misura del contributo unificato) si determina una situazione complessiva, oggettivamente e concretamente idonea a trarre in errore la parte. Sicché, la parte che, nel proporre appello, segue i termini del rito ordinario anziché quelli del rito speciale, incorre in un errore che può essere ritenuto scusabile.

Questa situazione si era verificata nel caso deciso dalla Plenaria, in cui:

a) lo stesso ricorso di primo grado sembrava essere stato depositato oltre il termine abbreviato di 15 giorni e dunque con il rispetto dei termini ordinari anziché di quelli abbreviati (questione, questa, che, come si dirà, dovrà essere accertata dalla sezione remittente);

b) il ricorso di primo grado non risultava qualificato, nel registro ricorsi del Tar, come ricorso soggetto al rito abbreviato, né tale qualificazione emergeva dagli avvisi di segreteria alle parti;

c) il giudizio di primo grado si era svolto con le forme del rito ordinario, in quanto non vi era stata trattazione celere, né era stato pubblicato il dispositivo prima della motivazione (si ricordi che nel vigore dell' art. 23-bis l. n. 1034/1971, la pubblicazione anticipata del dispositivo avveniva d'ufficio, e non a istanza di parte come accade nel vigore dell'art. 119);

d) la misura del contributo unificato, versato in epoca anteriore alla differenziazione delle misure per il rito abbreviato, non forniva indizi a favore dell'utilizzo del rito abbreviato.

Sempre con riferimento ai riti speciali, nel ritenere assoggettato al rito abbreviato un giudizio in cui almeno una domanda rientri nell'ambito di applicazione dell'art. 119, la giurisprudenza ha anche escluso l'applicabilità dell'errore scusabile, in quanto l'istituto della rimessione in termini riveste carattere eccezionale, risolvendosi in una deroga al principio fondamentale di perentorietà dei termini processuali, ed è soggetto a regole di stretta interpretazione. Infatti, i termini in generale, e quelli dei riti speciali abbreviati in particolare, sono stabiliti dal legislatore per ragioni di interesse generale e hanno applicazione oggettiva. I presupposti per la concessione dell'errore scusabile sono, quindi, individuabili esclusivamente nella oscurità del quadro normativo, nelle oscillazioni della giurisprudenza, in comportamenti ambigui dell'amministrazione, nell'ordine del giudice di compiere un determinato adempimento processuale in violazione dei termini effettivamente previsti dalla legge, nel caso fortuito e nella forza maggiore (Cons. St. IV, n. 5066/2018).

Rilevabilità d'ufficio dell'errore scusabile

Viene infine confermato quanto già affermato dalla giurisprudenza circa la possibilità di concedere l'errore scusabile anche d'ufficio, in assenza di una istanza di parte.

Principio già affermato da Cons. St.Ad. plen., n. 2/1996; L'errore scusabile disciplinato dall'art. 34 r.d. n. 1054/1942, e dall' art. 34 l. n. 1034/1971 — che pure ha carattere generale — è applicabile anche d'ufficio nel corso del giudizio di appello ed è suscettibile di utilizzazione in tutti i casi in cui siano ravvisabili situazioni di obiettiva incertezza normativa, connesse a difficoltà interpretative ovvero ad oscillazioni giurisprudenziali o di comportamenti fuorvianti dell'amministrazione dai quali possa conseguire difficoltà nella domanda di giustizia ed un'effettiva diminuzione della tutela giurisdizionale ( Cons. St. VI, n. 3323/2006). Nel sistema processuale la rilevabilità d'ufficio di una questione non significa che tale questione possa essere decisa d'ufficio senza essere sottoposta al contraddittorio delle parti e, di conseguenza, a fronte di una eccezione di irricevibilità del ricorso e dell'assenza di una istanza di concessione dell'errore scusabile, qualora il giudice intenda disporre d'ufficio la rimessione in termine, lo stesso deve ai sensi dell'art. 73, comma 3, indicare la questione in udienza dandone atto a verbale o assegnando alle parti un termine per il deposito di memorie se la questione emerge dopo il passaggio in decisione.

Bibliografia

Paolantonio, Pronunce giurisdizionali, in Morbidelli (a cura di), Codice della giustizia amministrativa, Milano, 2015, 534.

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