Decreto legislativo - 2/07/2010 - n. 104 art. 3 - Dovere di motivazione e sinteticita' degli atti

Roberto Chieppa

Dovere di motivazione e sinteticità degli atti

 

1. Ogni provvedimento decisorio del giudice è motivato.

2. Il giudice e le parti redigono gli atti in maniera chiara e sintetica, secondo quanto disposto dalle norme di attuazione 1.

[1] Comma modificato dall'articolo 7 bis, comma 1, lettera a), del D.L. 31 agosto 2016, n. 168, convertito con modificazioni dalla Legge 25 ottobre 2016, n. 197.

Inquadramento

L'art. 3, nel prevedere la necessaria motivazione di ogni provvedimento decisorio del giudice, costituisce diretta applicazione dell' art. 111, comma, 6, Cost.

La novità principale è costituita dal secondo comma con cui è affermato — per il giudice e per le parti — il principio di chiarezza e sinteticità degli atti.

In origine, tale principio era privo di sanzione, ma l'attuale art. 26 prevede che in sede di statuizione sulle spese il giudice provvede, tenendo anche conto del rispetto dei principi di chiarezza e sinteticità di cui all'articolo 3, comma 2.

Motivazione

L'ultimo principio del Capo I del Codice riguarda la necessaria motivazione di ogni provvedimento decisorio del giudice e la sinteticità, oltre che chiarezza, degli atti del giudice e delle parti.

La disposizione attua l' art. 111, comma 6, Cost., in base al quale tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati.

Nel processo amministrativo tale principio assume una particolare valenza nella fase cautelare, dove è stata ormai superata la prassi che vedeva in passato non motivate le ordinanze cautelari, anche si registrano ancora alcun casi di ordinanze cautelari non motivate o motivate con clausole di stile.

La motivazione dei provvedimenti del giudice non deve essere, infatti, solo apparente mediante l'utilizzo di clausole di stile, ma deve contenere, benché in forma sintetica, il percorso logico giuridico che ha condotto alla decisione.

La motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo, quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all'interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass.S.U., n. 22232/2016 ha ritenuto tale una motivazione caratterizzata da considerazioni affatto incongrue rispetto alle questioni prospettate, utilizzabili, al più, come materiale di base per altre successive argomentazioni, invece mancate, idonee a sorreggere la decisione).

Il principio di sinteticità

Il principio di sinteticità può essere considerato un ulteriore corollario della ragionevole durata: in ossequio al principio dell'economia dei mezzi processuali, è introdotta l'espressa previsione della redazione degli atti di parte e del giudice in modo sintetico.

Nel disegno elaborato dalla Commissione speciale istituita presso il Consiglio di Stato, l'economia dei mezzi processuali — funzionale all'effettività ed alla ragionevole durata — si traduceva nell'affermazione del principio di sinteticità degli atti, la cui violazione poteva avere conseguenze sulla regolamentazione delle spese processuali, anche se tale possibile effetto sulle spese era stato poi eliminato dal Codice e, di conseguenza, il mancato rispetto del dovere di sinteticità restava privo di sanzione.

Anche nella proposta di correttivo elaborata dal Consiglio di Stato erano state inserite disposizioni più efficaci al fine di garantire il rispetto del principio di sinteticità degli atti.

La Commissione istituita presso il Consiglio di Stato aveva proposto di inserire un ulteriore periodo al comma 2 dell'art. 3, che prevedeva che “Gli scritti difensivi non possono superare, di norma, il limite di venti pagine”.

Il correttivo proposto aveva lo scopo di limitare la lunghezza degli scritti difensivi di parte e, conseguentemente, di consentire anche ai magistrati di rispettate il comma 2 dell'articolo 3 e dunque di scrivere sentenze sintetiche.

Nel disegno elaborato dalla Commissione speciale istituita presso il Consiglio di Stato, il giudice avrebbe dovuto tenere conto del mancato rispetto, senza giustificato motivo, del disposto del comma 3 in sede di condanna alle spese, anche disponendo la compensazione delle stesse se fosse stato il ricorrente vittorioso a non rispettare il comma 3. In questo senso era stata proposta anche la modifica del comma 1 dell' art. 26 c.p.a., nel senso che la statuizione del giudice sulle spese avrebbe dovuto tenere conto anche del rispetto dell'articolo 3, comma 2.

In sede di approvazione preliminare, il Governo ha però eliminato tali modifiche con la conseguenza che il mancato rispetto del principio di sinteticità degli atti difensivi continuava a restare privo di sanzione.

Va aggiunto che la questione della sinteticità dei ricorsi era stata oggetto di due comunicati del Presidente del Consiglio di Stato.

In un primo comunicato, emesso il 20 dicembre 2010 nella forma di una nota indirizzata alla Società italiana degli avvocati amministrativisti, il Presidente del Consiglio di Stato, nel valorizzare il principio di sinteticità degli atti processuali, ha evidenziato la necessità che “anche il Foro contribuisca a tale obiettivo, depositando ricorsi e, in genere, scritti difensivi in un numero contenuto di pagine, che potrebbero essere quantificate, al massimo, in 20-25”, aggiungendo che “ove la complessità del gravame renda necessario utilizzare un numero maggiore di pagine superando i limiti approssimativamente indicati, sarebbe opportuno formulare all'inizio di ogni atto processuale una distinta ed evidenziata sintesi del contenuto dell'atto stesso, di non più di una cinquantina di righe (un paio di pagine)”.

Successivamente a tale comunicato, lo stesso Presidente del Consiglio di Stato ha precisato — con comunicato stampa del 27 dicembre 2010 — che “a seguito della nota con la quale si invitava il Foro al rispetto del principio, introdotto dal Codice del processo amministrativo, di chiarezza e sinteticità degli atti processuali, ha inviato analoga nota ai Presidenti di Sezione del Consiglio di Stato e ai Presidenti dei Tribunali amministrativi regionali perché esortino i magistrati ad attenersi a tale dovere di chiarezza e di sinteticità, evitando di scrivere sentenze inutilmente lunghe”.

Con il secondo correttivo al Codice (d.lgs. n. 160/2012) il comma 1 dell'art. 26 è stato modificato con il riferimento alla possibilità per il giudice che statuisce sulle spese di tenere anche conto del rispetto dei principi di chiarezza e sinteticità di cui all'articolo 3, comma 2 (viene in questo modo introdotta una previsione che era stata proposta dalla Commissione speciale istituita presso il Consiglio di Stato e che era stata espunta dal Governo).

Ai sensi dell'art. 26, le spese seguono la regola della soccombenza e sono liquidate anche in considerazione del principio di sinteticità degli atti processuali di cui agli artt. 3 comma 2 e 26 comma 1, cit., strumentalmente connesso al principio della ragionevole durata del processo a sua volta corollario del giusto processo, che assume una valenza peculiare nel giudizio amministrativo caratterizzato dal rilievo dell'interesse pubblico in occasione del controllo sull'esercizio della funzione pubblica, atteso anche che la sinteticità degli atti costituisce uno dei modi, e forse tra i più importanti, per arrivare ad una giustizia rapida ed efficace (Cons. St. IV, n. 3296/2014).

Con l'art. 7- bis, d.l. 31 agosto 2016, n. 168, recante Misure urgenti per la definizione del contenzioso presso la Corte di cassazione, per l'efficienza degli uffici giudiziari, nonché per la giustizia amministrativa, aggiunto dalla legge di conversione 25 ottobre 2016, n. 197 il comma 2 dell'art. 3 è stato modificato con l'aggiunta secondo cui il giudice e le parti redigono gli atti in maniera chiara e sintetica, “secondo quanto disposto dalle norme di attuazione”.

Con lo stesso art. 7-bis è stato aggiunto l' art. 13-ter delle disp. att. c.p.a. (Criteri per la sinteticità e la chiarezza degli atti di parte), che prevede che le parti redigono il ricorso e gli altri atti difensivi secondo i criteri e nei limiti dimensionali stabiliti con decreto del presidente del Consiglio di Stato, da adottare entro il 31 dicembre 2016, sentiti il Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa, il Consiglio nazionale forense e l'Avvocato generale dello Stato, nonché le associazioni di categoria degli avvocati amministrativisti.

Nella fissazione dei limiti dimensionali del ricorso e degli atti difensivi si tiene conto del valore effettivo della controversia, della sua natura tecnica e del valore dei diversi interessi sostanzialmente perseguiti dalle parti. Dai suddetti limiti sono escluse le intestazioni e le altre indicazioni formali dell'atto.

Con il decreto di cui al comma 1 sono stabiliti i casi per i quali, per specifiche ragioni, può essere consentito superare i relativi limiti.

 

 

Era anche specificato che il giudice fosse tenuto a esaminare tutte le questioni trattate nelle pagine rientranti nei suddetti limiti. L'omesso esame delle questioni contenute nelle pagine successive al limite massimo non era motivo di impugnazione.

In questo modo si era introdotta una ulteriore sanzione per la violazione del principio di sinteticità costituita dalla possibilità per il giudice di omettere l'esame delle questione contenute nelle pagine che superano i suddetti limiti; il superamento dei limiti dimensionali di sinteticità entro cui va contenuto l'atto processuale costituisce un precetto giuridico la cui violazione non generava la conseguenza, a carico della parte che lo abbia superato, dell'inammissibilità dell'intero atto, ma solo il degradare della parte eccedentaria a contenuto che il giudice aveva la mera facoltà di esaminare (Cons. St. V, n. 2190/2018).

Sull'originaria versione dell'art. 13-ter si era formata la seguente giurisprudenza.

La parte dell'appello eccedente i limiti dimensionali prescritti dal decreto del Presidente del Consiglio di Stato non può (poteva) essere esaminata dal giudice in assenza di autorizzazione preventiva al superamento di detti limiti (nel caso di specie, il limite era di 30 pagine, escluse intestazioni e riassunto dei motivi, a fronte di 124 pagine di ricorso in appello) Cons. St.V, n. 2852/2017.

Il mancato esame dei motivi assorbiti può (poteva) anche derivare dal superamento dei limiti dimensionali dell'atto in assenza di specifica istanza di autorizzazione (Cons. St., IV, n. 1686/2020).

Lo sforamento dei limiti dimensionali deve essere correlato prevalentemente al numero dei caratteri, il solo che abbia carattere vincolante, anziché al numero delle pagine (che ha natura orientativa), e deve essere comunque sempre valutato, secondo un canone di ragionevolezza che contemperi in modo equilibrato, e non esasperato, l'obbligo di sinteticità con la garanzia della tutela giurisdizionale, alla luce delle esigenze difensive che abbiano indotto la parte a superare il limite massimo delle pagine (Cons. St., III, n. 6043/2020, che ha anche evidenziato che non può essere penalizzato un esiguo sforamento non dipende da prolissità grafica del difensore, ma dall'esigenza, ragionevole e meritevole di tutela, di offrire una rappresentazione il più possibile chiara, e intellegibile, delle medesime censure tecniche non solo per verba, ma anche per imagines et signa in un contenzioso, come quello degli appalti, contraddistinto da un'elevata complessità tecnica e in un processo, come il presente, che richiede peculiari competenze specialistiche.; in questi casi la strategia difensiva non può ritenersi in sé, e comunque in modo automatico, irrispettosa del principio di sinteticità e dei ridetti limiti dimensionali perché, va qui ricordato, il dovere di sinteticità non è un valore in sé, un fine ultimo, ma è funzionale alla intelligibilità dell'atto, sul presupposto che ciò che è complesso, ridondante, superfluo nuoce alla comprensione delle censure e, di fatto, rende il processo amministrativo meno efficace).

Il quadro giuridico è mutato a seguito dell'entrata in vigore dell'art. 1, comma 813, della legge n. 207 del 2024 che ha sostituito il comma 5 dell'art. 13-ter , disponendo che: “Indipendentemente dall'esito del giudizio, la parte che in qualsiasi atto del processo superi, senza avere ottenuto una preventiva autorizzazione, i limiti dimensionali stabiliti ai sensi del presente articolo può essere tenuta al pagamento di una somma complessiva per l'intero grado del giudizio fino al doppio del contributo unificato previsto in relazione all'oggetto del giudizio medesimo e, ove occorra, in aggiunta al contributo già versato”.

La legge n. 207 del 2024, inoltre, ha aggiunto all'art. 13-ter i commi 5-bis e 5-ter, i quali, rispettivamente, dispongono: i) “Il giudice, con la decisione che definisce il giudizio, determina l'importo di cui al comma 5 tenendo conto dell'entità del superamento dei limiti dimensionali stabiliti ai sensi del presente articolo nonché della complessità ovvero della dimensione degli atti impugnati o della sentenza impugnata” (comma 5-bis). ii) “Si applica l'articolo 15” (comma 5-ter).

E' stato subito chiarito che la disposizione contenuta nell'articolo 13-ter, comma 5, delle norme di attuazione del codice del processo amministrativo, sostituita dalla legge 30 dicembre 2024, n. 207, entrata in vigore il 1° gennaio 2025, nel prevedere che nel caso di superamento dei limiti dimensionali per gli atti processuali, in assenza di preventiva autorizzazione, la parte può essere tenuta al pagamento di una somma commisurata al contributo unificato, ha natura processuale e, pertanto, in assenza di un'apposita disciplina transitoria, si applica anche ai ricorsi depositati antecedentemente al primo gennaio 2025 (Cons. Stato, Ad. Plen. 13 marzo 2025 n. 3).

Di conseguenza, a partire dal 1 gennaio 2025 il giudice amministrativo non può più non esaminare la parte del ricorso eccedenti i limiti senza autorizzazione, ma può imporre il pagamento di una somma fino al doppio del contributo unificato.

Resta ferma l'esigenza di rispettare i limiti dimensionali degli atti e in ogni caso di chiedere preventivamente l'autorizzazione al superamento dei limiti in quanto il superamento non autorizzato dei limiti può comportare comunque effetti negativi sulla regolazione delle spese o sulla nuova condanna a una somma commisurata al contributo unificato.

Al riguardo si rinvia al commento all' art. 13-ter disp. att. c.p.a.

Si ricorda che analoga previsione sui limiti dimensionali dei ricorsi era stata introdotta nel processo in materia di appalti dall'art. 40 del d.l. n. 90/2014, che aveva modificato l'art. 120, comma 6 (sulla base di tale disposizione era stato adottato il Decreto del Presidente del Consiglio di Stato 25 maggio 2015, recante Disciplina della dimensione dei ricorsi e degli altri atti difensivi nel rito appalti).

Tuttavia, si trattava di una disciplina adottata in via sperimentale per soli due anni.

Il citato art. 7- bis del d.l. n. 168/2016 ha reso stabile la previsione e la ha generalizzata a tutto il processo amministrativo e, di conseguenza, ha disposto che dalla data di entrata in vigore del decreto del presidente del Consiglio di Stato, previsto al comma 1 dell' art. 13-ter, è abrogato il comma 2-bis dell'art. 40, d.l. 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla l. 11 agosto 2014, n. 114, secondo cui “Le disposizioni relative al contenimento del numero delle pagine, stabilite dal decreto del Presidente del Consiglio di Stato di cui alla lettera a) del comma 1 sono applicate in via sperimentale per due anni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. Al termine di un anno decorrente dalla medesima data, il Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa effettua il monitoraggio degli esiti di tale sperimentazione

Sulla sinteticità degli atti di parte v. il decreto del Presidente del Consiglio di Stato n. 167 del 23 dicembre 2016 e successive modifiche, adottato in attuazione di quanto previsto dall'art. 13-ter, aggiunto dal citato art. 7-bis, d.l. n. 168/2016 (v. il commento all' art. 13-ter disp. att. c.p.a.).

Sulla sinteticità delle decisioni dei giudici di primo e secondo grado v. la nota del Presidente del Consiglio di Stato del 22 dicembre 2016, rivolta ai magistrati.

  Il dovere di sinteticità sancito dall'art. 3, comma 2, strumentalmente connesso al principio della ragionevole durata del processo (art. 2, comma 2), è a sua volta corollario del giusto processo, ed assume una valenza peculiare nel giudizio amministrativo caratterizzato dal rilievo dell'interesse pubblico in occasione del controllo sull'esercizio della funzione pubblica; tale impostazione è conforme alla considerazione della giurisdizione come risorsa a disposizione della collettività, che proprio per tale ragione deve essere impiegata in maniera razionale, sì da preservare la possibilità di consentirne l'utilizzo anche alle parti nelle altre cause pendenti e agli utenti che in futuro indirizzeranno le loro controversie alla cognizione del giudice statale (Cons. St. IV, n. 4636/2016). Il dovere di sinteticità sancito dall'art. 3, comma 2, strumentalmente connesso al principio della ragionevole durata del processo (art. 2, comma 2), è a sua volta corollario del giusto processo, che assume una valenza peculiare nel giudizio amministrativo caratterizzato dal rilievo dell'interesse pubblico in occasione del controllo sull'esercizio della funzione pubblica (Cons. St. V, n. 5400/2015).

Nel processo amministrativo il principio di sinteticità è imposto non solo in relazione agli atti di parte, ma anche a quelli del giudice, ai sensi dell'art. 3, comma 2, applicativo del principio di ragionevole durata del processo ex art. 111 Cost. (Cons. St. V, n. 503/2015).

In presenza di un atto d'appello di centoventisette pagine (con circa ventotto/trenta righi per pagina), palesemente non proporzionato al livello di complessità della causa e con evidente abuso della funzione c.d. «copia e incolla», alla luce del principio di chiarezza e sinteticità degli atti sancito dagli artt. 3 e 26, l'appellante dovrà depositare, almeno quaranta giorni prima dell'udienza fissata per la decisione del merito della causa, una memoria riepilogativa orientativamente di non oltre venti pagine per un massimo di venticinque righi per pagina, su formato A4, facilmente leggibile e redatta solo su una faccia della pagina (recto e non recto verso), con testo scritto in caratteri di tipo corrente con interlinee e margini adeguati (Cons. giust. amm. Sicilia, sez. giurisd., 15 settembre 2014, n. 536).

In tema di ricorso per cassazione, il mancato rispetto del dovere di chiarezza e sinteticità espositiva degli atti processuali che, fissato dall' art. 3, comma 2, del c.p.a., esprime tuttavia un principio generale del diritto processuale, destinato ad operare anche nel processo civile, espone il ricorrente al rischio di una declaratoria di inammissibilità dell'impugnazione, non già per l'irragionevole estensione del ricorso (la quale non è normativa sanzionata), ma in quanto rischia di pregiudicare l'intelligibilità delle questioni, rendendo oscura l'esposizione dei fatti di causa e confuse le censure mosse alla sentenza gravata, ridondando nella violazione delle prescrizioni di cui ai nn. 3 e 4 dell' art. 366 c.p.c., assistite — queste sì — da una sanzione testuale di inammissibilità (Cass. II, n. 21297/2016 ha dichiarato inammissibile un ricorso di 251 pagine i cui motivi erano redatti mediante una riproposizione di stralci di atti processuali e documenti, con la quale in sostanza il ricorrente ha riversato in sede di legittimità il contenuto dei gradi di merito). La violazione del dovere di sinteticità e chiarezza degli atti processuali, da ultimo sancito nell' art. 3 del c.p.a., nonché del dovere delle parti di circoscrivere puntualmente la materia del contendere, astenendosi da comportamenti defatiganti od ostruzionistici, in ossequio al principio di lealtà e probità delle parti e dei loro difensori in giudizio sancito dall' art. 88 c.p.c., ove si traduca nell'assoluta difficoltà di comprensione del contenuto del ricorso, delle censure nello stesso svolte e delle richieste del ricorrente, comporta l'inammissibilità del ricorso proposto (Cons. St. I, n. 346/2014). 

Inoltre, il mancato rispetto del precetto di cui all'art. 3, comma 2, c.p.a., espone l'appellante alla declaratoria di inammissibilità dell'impugnazione, non già per l'irragionevole estensione del ricorso (la quale non è normativamente sanzionata), ma in quanto rischia di pregiudicare l'intellegibilità delle questioni, rendendo oscura l'esposizione dei fatti di causa e confuse le censure mosse alla sentenza gravata [Cons. St., IV, n. 7622/2020 ; Cons. St., VI, ord. n. 3006/2021 evidenzia che l'art. 13-ter delle norme di attuazione del c.p.a. sanziona in termini - non di nullità, bensì - di “inutilizzabilità” le difese sovrabbondanti, in quanto il giudice è autorizzato a presumere che la violazione dei limiti dimensionali (ove ingiustificata) sia tale da compromettere l'esame tempestivo e l'intellegibilità della domanda].

Coerentemente con tale indirizzo è stato escluso che possa configurare un diniego di giurisdizione, sindacabile dalla Cassazione, in relazione ad una sentenza del Consiglio di Stato che dichiara inammissibile l'appello per violazione del principio di specificità dei motivi di ricorso nonché dei doveri di sinteticità e chiarezza (Cass.S.U., n. 964/2017).

Con la riforma del processo civile attuata con il d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 (entrata in vigore il 28 febbraio 2023) è stato modificato l'art. 121 c.p.c., rubricato «Libertà delle forme. Chiarezza e sinteticità degli atti» e che ora prevede anche che “Tutti gli atti del processo sono redatti in modo chiaro e sintetico”.

Inoltre, il principio di sinteticità è richiamato anche nel novellato l'art. 342 c.p.c., che ora prevede che “L'appello deve essere motivato, e per ciascuno dei motivi deve indicare a pena di inammissibilità, in modo chiaro, sintetico e specifico ….” (si rinvia all'art. 101 c.p.a.)

Le modifiche pongono in linea il processo civile con il principio già inserito nel processo amministrativo con l'art. 3 c.p.a.

Bibliografia

Cerrina Ferroni, Principi generali, in Morbidelli (a cura di), Codice della giustizia amministrativa, Milano, 2015, 74; Merusi, Il Codice del giusto processo amministrativo, in Dir. proc. amm. 2011, n. 1, 1; Pajno, Il Codice del processo amministrativo ed il superamento del sistema della giustizia amministrativa. Una introduzione al Libro I, in Dir. proc. amm. 2011, n, 1, 100.

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