Decreto legislativo - 2/07/2010 - n. 104 art. 19 - Verificatore e consulente tecnicoVerificatore e consulente tecnico
1. Il giudice può farsi assistere, per il compimento di singoli atti o per tutto il processo, da uno o più verificatori, ovvero, se indispensabile, da uno o più consulenti. 2. L'incarico di consulenza può essere affidato a dipendenti pubblici, professionisti iscritti negli albi di cui all'articolo 13 delle disposizioni per l'attuazione del codice di procedura civile, o altri soggetti aventi particolare competenza tecnica. Non possono essere nominati coloro che prestano attività in favore delle parti del giudizio. La verificazione è affidata a un organismo pubblico, estraneo alle parti del giudizio, munito di specifiche competenze tecniche. 3. Il verificatore e il consulente compiono le indagini che sono loro affidate dal giudice e forniscono anche oralmente i chiarimenti richiesti. InquadramentoLa disposizione, che apre il Capo VI del Libro I del Codice, disciplina i casi in cui il giudice può nominare degli «ausiliari» per farsi assistere nel compimento di singoli atti o per tutto il corso del processo. La previsione si occupa solo di due figure di ausiliari, ossia del consulente tecnico e del verificatore, mentre il successivo art. 21 è dedicato alla terza figura di ausiliario, il commissarioad acta. Quest'ultimo e il verificatore sono ausiliari tipici del processo amministrativo, a differenza del consulente tecnico d'ufficio comune al rito civile. Nel processo civile, peraltro, si incontrano anche altre figure di ausiliari quali, ad esempio, l'interprete o lo stimatore; alla mancanza di tali ulteriori ausiliari nel rito amministrativo può però rimediarsi affidando i relativi compiti, a seconda dei casi, al verificatore o al consulente tecnico. Nei commi 2 e 3 sono, rispettivamente, indicate le categorie di soggetti in grado di ricevere gli incarichi di consulente tecnico o di verificatore e la descrizione sintetica della natura delle attività — essenzialmente consistenti in «indagini» — che il giudice amministrativo può affidare a tali ausiliari. Precisa, in particolare, l'art. 63, comma 4, c.p.a. (al cui commento si rinvia) che il giudice può ordinare l'esecuzione di una verificazione o, se indispensabile, può disporre una consulenza tecnica, qualora reputi necessario l'accertamento di fatti o l'acquisizione di valutazioni che richiedano particolari competenze tecniche. La disposizione in rassegna, che reca norme in parte già vigenti nella precedente disciplina processuale, assume una peculiare rilevanza sistematica, dal momento che essa sancisce definitivamente la possibilità per il giudice amministrativo di avere, qualunque sia la forma di giurisdizione esercitata (e, dunque, non solo nell'ambito della giurisdizione esclusiva), un accesso diretto ai fatti del giudizio, consentendogli così di ripercorrere in maniera più approfondita l'istruttoria compiuta dalla pubblica amministrazione e di sindacare pienamente la corretta valutazione, da parte di quest'ultima, dei presupposti fattuali dell'attività amministrativa, fatto salvo l'alveo del c.d. «merito amministrativo» (ossia l'area delle valutazioni riservate alla pubblica amministrazione). In altri termini, la potestà, ora ampiamente riconosciuta al giudice amministrativo, di nominare verificatori e consulenti tecnici segnala il definitivo superamento della tradizionale concezione del processo amministrativo come giudizio cartolare incentrato sul provvedimento, a favore di una visione del medesimo processo come giudizio sul rapporto e sul complessivo esercizio della funzione. Si è sopra osservato che, pur esistendo significative differenze tra i due istituti, l'elemento comune alla verificazione e alla consulenza tecnica è rappresentato dalla circostanza che, in ogni caso, la nomina degli ausiliari scaturisce dall'esigenza, avvertita dal giudice, di compiere indagini sui «fatti» della causa, qualora determinate controversie lo richiedano. Tali indagini, invero, non hanno né potrebbero avere ad oggetto valutazioni di ordine giuridico, le quali sono unicamente riservate al giudice, ma riguardano, come chiarisce l'art. 63, comma 4, c.p.a., l'accertamento di fatti o l'acquisizione di valutazione che richiedano particolari competenze tecniche. L'esigenza di compiere indagini ricorre nei casi in cui, per decidere sul ricorso, il giudice amministrativo, soprattutto là dove siano contestati i presupposti di fatto assunti dall'amministrazione a fondamento della sua azione, abbia bisogno di integrare le proprie conoscenze tecniche. Un'integrazione del genere è consentita dal rito soltanto attraverso la nomina di ausiliari, dal momento che — quand'anche il giudice fosse in possesso del necessario bagaglio di nozioni tecniche — sarebbe di ostacolo all'uso di tali conoscenze per finalità decisorie il divieto della c.d. «scienza privata» del giudice che trova fondamento nell'art. 115 c.p.c. (con l'eccezione rilevante delle conoscenze che rientrino nell'ambito del notorio). L'oggetto della verificazione e della consulenza può consistere, dunque, sulla base dei quesiti formulati dal giudice, in molteplici attività, non tipizzate né tipizzabili, che, tuttavia, riguardano la valutazione di fatti sulla base di conoscenze non giuridiche. L'estrema versatilità dei due istituti e l'incerto confine esistente, in talune situazioni, tra la valutazione di carattere tecnico e il vero e proprio accertamento di fatti, pongono in tensione le tradizionali acquisizioni circa la natura di mezzi di ricerca della prova, e non già di mezzi di prova, dei due istituti. Va, infine, segnalato che la disciplina della verificazione e della consulenza non è tutta contenuta negli artt. 19, 20 e 21 del Libro I del Codice, ma trova completamento nel Libro II e, in particolare, negli artt. 63, 65, 66 e 67 (ai cui commenti si rinvia), che disciplinano gli aspetti processuali dei relativi incarichi (ossia l'ammissione e l'assunzione di tali mezzi istruttori) e il compenso spettante ai predetti ausiliari. La precedente disciplinaLa verificazione e la consulenza tecnica sono istituti tradizionalmente presenti nel giudizio amministrativo. La disciplina precedente all'entrata in vigore del Codice era essenzialmente contenuta nell'art. 44 del r.d. n. 1054/1924 (Approvazione del testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato) – ritenuta applicabile, in quanto compatibile, anche nel processo di primo grado a norma del rinvio contenuto nell' art. 19 della l. 6 dicembre 1971, n. 1034 — il cui primo comma stabiliva che se la sezione, alla quale fosse stato rimesso un ricorso, avesse ritenuto incompleta l'istruzione dell'affare o avesse ravvisato una contraddizione tra i documenti e i fatti affermati nell'atto o provvedimento impugnato, oltre a richiedere all'amministrazione interessata nuovi schiarimenti o documenti, avrebbe potuto ordinare all'amministrazione medesima di fare nuove verificazioni, autorizzando le parti ad assistervi e anche a produrre determinati documenti, ovvero disporre consulenza tecnica. La disciplina era integrata dall'art. 26 del r.d. n. 642/1907 (Regolamento per la procedura dinanzi alle sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato), il cui secondo comma disponeva che le sezioni giurisdizionali potessero richiedere all'amministrazione di eseguire nuove verificazioni, fissando il termine per il deposito della relazione. In questo caso, le parti, a cura dell'amministrazione, sarebbero state avvisate, almeno cinque giorni prima, del luogo, del giorno e dell'ora dell'esecuzione delle verificazioni. Il successivo art. 27 disponeva poi che le sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato (ancorché fosse letteralmente citata solo la Sezione Quinta, in ragione dell'originaria competenza di quest'ultima) potessero assumere testimoni, eseguire ispezioni, ordinare perizie e fare tutte le altre indagini in grado di condurre alla scoperta della verità, coi poteri attribuiti al magistrato dal codice di procedura civile e con le relative sanzioni. Le riferite disposizioni evidenziavano, da un lato, un favor per la verificazione rispetto alla consulenza tecnica e, dall'altro lato, uno stretto collegamento tra l'istruttoria processuale e quella svolta dall'amministrazione nell'ambito del procedimento conclusosi con il provvedimento impugnato. Sebbene la verificazione fosse difatti ordinata da un giudice (peraltro, nel precedente regime sia la verificazione sia la consulenza tecnica potevano essere disposte anche dal presidente della sezione o da un magistrato da lui delegato), essa comunque si connotava funzionalmente come un completamento dell'istruttoria svolta dall'amministrazione. Tale collegamento era strutturalmente enfatizzato dalla circostanza che la riferita disciplina postulava che l'amministrazione tenuta a svolgere la verificazione fosse la stessa amministrazione evocata nel giudizio come parte. L'oggetto della verificazione e della consulenza era poi indeterminato e, comunque, molto ampio. Sotto questo aspetto la verificazione e la consulenza erano considerati strumenti istruttori coerenti con il principio inquisitorio (seppur temperato dal metodo acquisitivo) che, in passato, si riteneva connotasse il processo amministrativo: in linea, invero, con una visione del giudizio amministrativo come processo di diritto oggettivo (ossia volto ad accertare il diritto e a ripristinare l'ordine legale eventualmente violato anche al di là dell'interesse fatto valere dal ricorrente e degli elementi di prova da questi addotti), si reputava che competesse al giudice amministrativo, seppur con alcune limitazioni, mettersi alla ricerca degli elementi di prova a fondamento delle allegazioni delle parte. Tale impostazione, rafforzata da alcuni indirizzi giurisprudenziali, prestava il fianco a molteplici perplessità. In particolare, due profili risultavano molto critici. Per un verso, infatti, la disciplina della verificazione contrastava frontalmente con il principio della parità delle parti. La circostanza, invero, che fosse la stessa amministrazione resistente, sebbene a seguito di un ordine del giudice, a introdurre nel processo, attraverso l'esecuzione di una verificazione, ulteriori elementi di fatto, tendeva a perpetuare l'asimmetria informativa tipica dei rapporti amministrativi sostanziali (là dove cioè l'autorità amministrativa è munita di poteri unilaterali rispetto al cui esercizio il cittadino si trova in condizione di soggezione). Per altro verso, durante lo svolgimento della verificazione e della consulenza tecnica non era garantito un vero contraddittorio tra le parti in lite. Difatti, almeno con riferimento alla verificazione, le parti (private) potevano unicamente assistere alle operazioni e, quindi, a parte la facoltà di produrre documenti, il loro ruolo era del tutto passivo. Va segnalato, tuttavia, che anche nel precedente regime la giurisprudenza (Cons. St. VI, n. 2001/2006) ebbe ad affermare, sia pure in assenza di un codificato principio di terzietà del verificatore, che la verificazione potesse essere affidata a un'amministrazione diversa da quella resistente. Le spinte rivenienti dal progressivo affermarsi, anche nel processo amministrativo, dei principi del contraddittorio e della parità delle parti, ora enunciati solennemente dall'art. 2, comma 1 hanno inevitabilmente imposto una modifica della precedente disciplina. La disposizione in commento, come il successivo art. 21 e gli artt. 63, comma 4, 65, comma 2, ultimo periodo, e 67, comma 5 rivelano il chiaro intento del Legislatore delegato di dettare una disciplina tendenzialmente uniforme per la verificazione e la consulenza tecnica. Non sono state però completamente superate le criticità sopra ricordate, soprattutto con riguardo alla verificazione. Quest'ultima ha, invero, assunto caratteri di maggiore «terzietà» rispetto al passato, stante l'obbligo per il giudice di affidare il relativo incarico a un organismo pubblico, munito di specifiche competenze tecniche, ma estraneo alle parti del giudizio. Tuttavia, il comma 1 della disposizione in commento conserva la traccia di una manifesta preferenza per la verificazione rispetto alla consulenza tecnica, dal momento che la seconda può essere disposta soltanto «se indispensabile», inciso ripetuto anche nell' art. 63, comma 4, c.p.a. Inoltre, a differenza di quanto disposto dall' art. 67 c.p.a., le garanzie del contraddittorio delle parti durante lo svolgimento della verificazione sono ancora deboli. Va qui segnalato che il nuovo Codice non menziona più tra i mezzi di prova la perizia che, invece, risultava citata dall' art. 27 del r.d. n. 642/1907. Deve, pertanto, ritenersi che le utilità della perizia siano oggi offerte dalla verificazione o dalla consulenza tecnica e, ancora, dalle perizie di parte (sulle quali v. infra). La natura dei due istituti. Il sindacato sulla discrezionalità tecnicaPrevede l'art. 63, comma 4, che il giudice possa ordinare l'esecuzione di una verificazione ovvero, se indispensabile, possa disporre una consulenza tecnica, quando reputi necessario l'accertamento di fatti o l'acquisizione di valutazioni che richiedono particolari competenze tecniche. In tal modo il giudice amministrativo è messo nella condizione di poter accedere al fatto sul quale sia intervenuta l'attività amministrativa, superando il medium rappresentato dagli eventuali provvedimenti impugnati. Occorre qui ricordare che, in dottrina, si usa tradizionalmente (Bachelet) tracciare la distinzione fra accertamenti tecnici e valutazioni tecniche, seppure entrambe le nozioni rimandino a saperi specialistici. In particolare, si è messo in luce (Giusti) come siano considerati accertamenti tecnici quelli in cui il fatto (c.d. «semplice») da accertare sia verificabile sulla base di regole univoche, che conducono a soluzioni tendenzialmente certe. Le valutazioni tecniche riguardano invece l'accertamento di fatti c.d. «complessi» e l'esito di tali valutazioni può essere differenziato (e, sotto questo profilo, opinabile). La sindacabilità della discrezionalità tecnica è stata affermata dal Consiglio di Stato nella celebre decisione della Quarta sezione del 9 aprile 1999, n. 601, nella quale si affermò che la discrezionalità tecnica, diversa dal merito amministrativo, ricorre quando la pubblica amministrazione, per provvedere su un determinato oggetto, debba applicare una norma tecnica alla quale una norma giuridica conferisca rilevanza diretta o indiretta; in particolare, l'Alto Consesso stabilì che tale discrezionalità, qualora si manifesti attraverso apprezzamenti tecnici, è sindacabile in sede giurisdizionale in base non al mero controllo formale ed estrinseco dell'iter logico seguito dall'autorità amministrativa, ma attraverso la verifica diretta dell'attendibilità delle operazioni tecniche, compiute dalla pubblica amministrazione, sotto il profilo della loro correttezza quanto a criterio tecnico seguito e a procedimento applicativo adottato. L'importanza dei due mezzi istruttori ai fini di un più approfondito sindacato giurisdizionale sulla discrezionalità tecnica esercitata dalla pubblica amministrazione è stata ben messa in luce da una copiosa dottrina. In particolare, si è rilevato come i mezzi istruttori offerti dal Codice e, soprattutto, la verificazione e la consulenza tecnica consentano al giudice di compiere un approfondito sindacato sulla correttezza e l'attendibilità delle regole tecniche applicate dall'amministrazione; tale sindacato si articola nei due passaggi del pieno accesso al fatto e del successivo controllo sull'esercizio del potere (Cintioli). Tale sindacato viene inoltre distinto «forte» o «debole» — sebbene tale distinzione tenda a sbiadire nel concetto unitario di sindacato «pieno» (Giliberti) — a seconda che il giudice si sostituisca, o no, all'amministrazione nelle valutazioni tecniche da essa compiute. La previsione in rassegna, oltre a confermare la tendenza normativa alla assimilazione tra i due mezzi istruttori alla quale si è sopra accennato, chiarisce che la scelta di ordinare l'effettuazione di una verificazione o di una consulenza tecnica è oggetto di un potere riservato alla discrezionalità del giudicante (e, segnatamente, del collegio, come precisa l'art. 65, comma 2, ultimo periodo, c.p.a.). Le parti, dunque, possono richiedere al giudice di disporre tali mezzi istruttori, ma una richiesta del genere assumerà il valore di una mera sollecitazione e non sarà mai vincolante per il giudice. Rispetto a tali mezzi istruttori non è pertanto configurabile un diritto alla prova delle parti e, conseguentemente, nemmeno un onere di controprova. Inoltre, sotto il profilo soggettivo, il verificatore e il consulente tecnico sono qualificati dal Codice come ausiliari del giudice e ne condividono lo statuto di terzietà (si rinvia sul punto al commento del successivo art. 20 c.p.a.). Tali caratteri dei due istituti inducono ad escludere che si tratti di mezzi di prova in senso stretto quanto, piuttosto, di strumenti istruttori di valutazione della prova, la cui attivazione è rimessa a un'iniziativa ufficiosa del giudice. I principi dell'onere dell'allegazione dei fatti e del riparto dell'onere della prova conducono, però, ad escludere che i due mezzi istruttori possano essere utilizzati (impropriamente) dal giudice per supplire a una carente attivazione delle parti. In altri termini, l'esercizio della prerogativa giurisdizionale di disporre una verificazione o una consulenza tecnica postula l'assolvimento dell'onere della prova e della controprova spettante alle parti in lite, seppur con i residui temperamenti, anche di carattere inquisitorio, dei quali rimane traccia nel Codice (soprattutto nell'art. 64). La necessità che tali ausiliari dispongano di particolari competenze tecniche illumina la funzione propria dei due istituti, il cui scopo è integrare le conoscenze, non giuridiche, del giudice, consentendogli di compiere valutazioni specialistiche che presuppongano il ricorso a saperi extragiuridici. L'art. 63, comma 4 non sembra distinguere tra consulenza tecnica e verificazione con riferimento all'oggetto delle indagini delegabili alle due figure di ausiliari, posto che la disposizione menziona indistintamente l'accertamento di fatti e l'acquisizione di valutazioni. Sembra, dunque, valere, anche nel giudizio amministrativo, sia per la verificazione sia per la consulenza tecnica, la distinzione tra mezzo istruttorio percipiente o deducente, a seconda che all'ausiliare venga richiesto di accertare o, diversamente, di valutare determinati fatti, sia pure in entrambi i casi attraverso l'uso delle particolari competenze tecniche. Nella giurisprudenza, anche di legittimità, è ormai acquisita la differenza tra consulenza tecnica percipiente o deducente. Ad esempio, in Cass. n. 6155/2009 si trova affermato che la consulenza tecnica di ufficio non è un mezzo di prova in senso proprio, perché volta ad aiutare il giudice nella valutazione degli elementi acquisiti o nella soluzione di questioni necessitanti specifiche conoscenze ed essa è quindi sottratta alla disponibilità delle parti e affidata al prudente apprezzamento del giudice. Il giudice, in particolare, può affidare al consulente o l'incarico di valutare i fatti accertati o dati per esistenti (consulente deducente), ma anche quello di accertare i fatti stessi (consulente percipiente). Secondo la lettera del comma 4 dell'art. 63 potrebbe dunque ritenersi che sia il verificatore sia il consulente possano, indifferentemente, accertare o valutare i fatti già acquisiti al giudizio. L'apparente equivalenza funzionale tra verificazione e consulenza tecnica delineata dall'art. 63, comma 4, non si presenta, però, coerente con i caratteri strutturali dei due istituti. Non sussiste, in realtà, una piena fungibilità tra i due strumenti istruttori. La circostanza che le verificazioni siano comunque affidate a un organismo appartenente alla pubblica amministrazione (e, quindi, più «vicino» a una delle parti in causa) induce, infatti, a ritenere che all'organismo verificatore possano e debbano essere affidate prevalentemente indagini che presentino un minor tasso di opinabilità, ossia in relazione alle quali siano minori i margini della discrezionalità valutativa e maggiore l'oggettività dei possibili esiti (e, quindi, ridotto il rischio di «parzialità» delle risposte offerte al giudicante). In altri termini, la verificazione si presta meglio all'accertamento tecnico di fatti già acquisiti, mentre la consulenza è preordinata all'espressione di un giudizio, ossia alla valutazione (tecnica) degli stessi fatti. Riguardata da questa prospettiva la consulenza tecnica, meglio della verificazione, consente al giudice amministrativo di compiere un sindacato approfondito sulla discrezionalità tecnica esercitata dalla pubblica amministrazione. L'esistenza di differenze funzionali tra la verificazione e la consulenza tecnica è stata riconosciuta dalla giurisprudenza amministrativa. Si è, invero, statuito (Cons. St. VI, n. 11/2015) che la distinzione tra verificazione e consulenza, oltre alla diversità del soggetto incaricato, risiede nella circostanza che la verificazione non è diretta ad esprimere valutazioni e a fornire un giudizio tecnico, ma si limita a rendere un mero accertamento tecnico. Ancora più esplicite in questo senso sono state le Sezioni Unite civili della Corte di Cassazione (Cass. SU, n. 158/2020) le quali hanno chiarito che, nel processo amministrativo, la verificazione è uno strumento processuale cognitivo e non valutativo di fatti; il verificatore, in particolare, oltre alla mera rilevazione del dato storico, accerta fatti e in relazione ad essi esprime valutazioni di carattere tecnico e non di ordine giuridico. Le valutazioni del verificatore si traducono, quindi, in un parere tecnico sui fatti e, pur se tale parere provienga da un organo incardinato in una pubblica amministrazione (v. infra), esso non è mai espressione di discrezionalità amministrativa e tanto meno può invadere l'area del merito amministrativo. Si è altresì osservato (Cass. SU, n. 4331/2024) che la verificazione di cui all'art. 66 c.p.a. è diretta a far emergere la realtà oggettiva delle cose, e si risolve essenzialmente in un accertamento diretto ad individuare la sussistenza di determinati elementi ovvero a conseguire la conoscenza dei fatti, la cui esistenza non sia accertabile o desumibile con certezza dalle risultanze documentali. La verificazione, dunque, è uno strumento istruttorio che mira all'effettuazione di un mero accertamento tecnico di natura non valutativa che, però, ha ad oggetto fatti complessi, rispetto ai quali anche l'attività meramente accertativa richiede uno specifico sapere scientifico, al quale il giudice fa ricorso in funzione consultiva. La consulenza tecnica, invece, consente al giudice di acquisire un giudizio tecnico ed il consulente non si limita ad un'attività meramente ricognitiva e circoscritta ad un elemento o fatto specifico ma, utilizzando le proprie specifiche cognizioni tecniche, prende in carico situazioni ed oggetti complessi al fine di elaborare un proprio giudizio, e di conseguenza a rispondere al quesito ritenuto dal giudice utile ai fini del decidere con una soluzione tecnicamente idonea alla stregua di un “giudizio di valore”. Va segnalato che il comma 1 della disposizione in commento prevede la possibilità di nominare anche più verificatori o più consulenti. La nomina di più ausiliari può rivelarsi necessaria allorquando l'oggetto delle indagini da delegare riguardi differenti ambiti scientifici oppure nei casi in cui le valutazioni richieste dal giudice, seppur relative a un stesso settore dello scibile, siano molto complesse. Quando siano stati nominati più consulenti o più verificatori, il giudice può stabilire che essi operino come collegio e, pertanto, essi redigeranno un'unica relazione finale. Tuttavia, a meno che non sia il giudice a stabilirlo, il collegio dei consulenti o dei verificatori non è tenuto a seguire particolari regole di votazione onde raggiungere una posizione unitaria, ma dovrà semplicemente dare atto, nella relazione conclusiva, delle eventuali posizioni discordanti di singoli ausiliari. Il comma 1 non pone limiti né condizioni al numero dei consulenti o dei verificatori nominabili, sicché la disposizione si discosta da quella contenuta nell' art. 191, secondo comma, c.p.c., che invece prevede che il giudice possa nominare più consulenti soltanto in caso di grave necessità o quando la legge espressamente lo disponga. Le differenze tra la verificazione e la consulenza tecnicaAncorché la disposizione in commento tratti insieme la verificazione e la consulenza tecnica, sono molte le differenze disciplinari tra i due mezzi istruttori. La prima diversità concerne il profilo soggettivo. La verificazione deve essere necessariamente affidata a un «organismo pubblico»; mentre la consulenza tecnica può essere affidata, in alternativa, a dipendenti pubblici, a professionisti iscritti negli albi di cui all' art. 13 disp. att. c.p.c. (ossia negli albi dei consulenti tecnici, divisi in categorie, istituiti presso ogni tribunale civile) o anche ad altri soggetti aventi comunque una particolare competenza tecnica. In ogni caso, nell'ipotesi della consulenza, il giudice sceglie una persona, mentre la verificazione è affidata a un plesso organizzativo. La nozione di organismo pubblico è volutamente molto generica, tenuto conto della varietà delle forme organizzative, anche privatistiche, che possono assumere le pubbliche amministrazioni. Un'utile indicazione per delimitare tale alveo soggettivo può tuttavia essere tratta dall'art. 7, comma 2, là dove è precisato che, per i fini del Codice, si intendono per pubbliche amministrazioni, anche i soggetti ad esse equiparati o comunque tenuti al rispetto dei principi del procedimento amministrativo. In ogni caso il verificatore è sempre un plesso organizzativo, sebbene poi l'art. 66, comma 1, ultimo periodo, chiarisca che la persona fisica incaricata sia ex lege il capo dell'organismo medesimo, a meno che questi non sia autorizzato dal giudice a nominare un delegato. Molte diversità si riscontrano poi con riferimento alle regole di svolgimento dei due mezzi istruttori. Sebbene, difatti, sia la consulenza tecnica sia la verificazione siano disposte dal collegio, con ordinanza, differente è la disciplina del contraddittorio nell'ambito dei relativi subprocedimenti istruttori. Per la verificazione l'art. 66. prevede unicamente che il giudice, una volta individuato l'organismo pubblico incaricato, formuli i quesiti e fissi il termine per il compimento delle indagini e per il deposito della relazione conclusiva. Non è richiesto alcun preventivo giuramento del verificatore, trattandosi comunque di ausiliario appartenente alla pubblica amministrazione e, quindi, come tale soggetto allo statuto giuridico degli impiegati pubblici e alle conseguenti responsabilità nei casi di omessa o infedele collaborazione, colposa o dolosa, con l’autorità giudiziaria. Nel caso della consulenza, invece, è prescritto dall' art. 67 c.p.a. che il consulente renda il giuramento avanti al magistrato delegato; è poi contemplata la possibilità, per le parti, di nominare propri consulenti che possono assistere alle operazioni del consulente del giudice e interloquire, oltre a poter partecipare alle udienze e alle camere di consiglio ogni volta che sia presente il consulente tecnico d'ufficio e svolgere, se autorizzati, le loro osservazioni. Nella consulenza tecnica il contraddittorio è articolato anche nella fase della redazione della relazione da parte dell'ausiliario, posto che uno schema di essa deve essere dapprima sottoposto alle parti e poi tale schema deve essere modificato oppure integrato sulla base delle eventuali osservazioni dei consulenti tecnici di parte (qualora detta osservazioni vengano accolte dal consulente tecnico d'ufficio; il quale, deve comunque esprimersi anche sul mancato accoglimento di talune osservazioni). Infine, diverse, almeno in parte, sono le norme sulla liquidazione del compenso del consulente tecnico d'ufficio e del verificatore. La scelta del verificatore e del consulenteIl comma 2 della disposizione in commento indica le categorie di soggetti che, rispettivamente, possono essere nominati consulenti tecnici o verificatori. La previsione rappresenta una novità dal momento che la disciplina previgente non vincolava sul punto le scelte del giudice amministrativo. Per quanto riguarda i consulenti tecnici, questi possono essere nominati tra i dipendenti pubblici, i professionisti iscritti negli albi tenuti presso ogni tribunale ordinario o altri soggetti aventi particolare competenza tecnica. Per quanto riguarda l'affidamento dell'incarico di consulenza a professionisti iscritti negli albi di cui all'art. 13 disp. att. c.p.c., va segnalato che quest'ultima disposizione è stata modificata dall'art. 4, comma 2, del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 (c.d. “Riforma Cartabia”, dal nome del Ministro della giustizia), in attuazione dell'art. 1, comma 16, lett. a), b) e c), della legge (delega) 26 novembre 2021, n. 206, con cui il Legislatore delegante ha, rispettivamente, declinato i seguenti principi e criteri direttivi: «a) rivedere il percorso di iscrizione dei consulenti presso i tribunali, favorendo l'accesso alla professione anche ai più giovani; b) distinguere le varie figure professionali, caratterizzate da percorsi formativi differenti anche per il tramite dell'unificazione o aggiornamento degli elenchi, favorendo la formazione di associazioni nazionali di riferimento; c) creazione di un albo nazionale unico, al quale magistrati e avvocati possano accedere per ricercare le figure professionali più adeguate al singolo caso;». In attuazione della riferita previsione, il Legislatore delegato ha, quindi, modificato l'art. 13 disp. att. c.p.c., sopra richiamato (ma l'art. 13 non è stata l'unica disposizione di attuazione modificata, posto che il d.lgs. n. 149/2022 è intervenuto, per quanto riguarda la Sezione I del Capo II del Titolo II delle citate Disposizioni di attuazione, anche sugli artt. 15, 16, 18, 22, 23, 24, nonché con l'introduzione dell'art. 24-bis), integrando l'originaria versione («Presso ogni tribunale è istituito un albo dei consulenti tecnici. L'albo è diviso in categorie. Debbono essere sempre comprese nell'albo le categorie: 1. medico-chirurgica; 2. industriale; 3. commerciale; 4. agricola; 5. bancaria; 6. assicurativa; 7. della neuropsichiatria infantile, della psicologia dell'età evolutiva e della psicologia giuridica o forense.»), con l'aggiunta di un comma 4 dal seguente tenore: «Con decreto del Ministro della giustizia, adottato di concerto con i Ministri dell'economia e delle finanze e dello sviluppo economico, sono stabilite le ulteriori categorie dell'albo e i settori di specializzazione di ciascuna categoria. Con lo stesso decreto sono indicati i requisiti per l'iscrizione all'albo nonché i contenuti e le modalità della comunicazione ai fini della formazione, della tenuta e dell'aggiornamento dell'elenco nazionale di cui all'articolo 24-bis.». Lo scopo della disposizione è, all'evidenza, quello di precisare meglio quali siano, all'interno di ciascuna categoria, le professionalità in possesso degli iscritti. Di rilievo è anche l'introduzione di un nuovo art. 24-bis, con il quale è stato istituito, presso il Ministero della giustizia, un elenco nazionale dei consulenti tecnici, suddiviso per categorie, contenente l'indicazione dei settori di specializzazione di ciascuna categoria, tenuto con modalità informatiche e accessibile al pubblico attraverso il portale dei servizi telematici del Ministero. Tale elenco dovrebbe riprodurre i contenuti dei vari albi presenti presso ogni circondario di tribunale. Le riferite previsioni – che saranno applicabili a decorrere dal 28 febbraio 2023 e soltanto ai processi instaurati dopo tale data (in forza della modifica dell'art. 35 del d.lgs. n. 149/2022 operata dall'art. 1, comma 380, della l. 29 dicembre 2022, n. 197) – rivestono un'importanza marginale per il processo amministrativo, pur dovendosene apprezzare l'utilità, soprattutto sotto il profilo della significativa valorizzazione delle specializzazioni degli iscritti agli albi. Non vi è dubbio, del resto, che il giudice amministrativo godesse e, a maggior ragione, oggi continui a godere (considerata pure l'istituzione dell'elenco nazionale dei consulenti tecnici) di una ampia discrezionalità nella scelta dei consulenti, anche tra i professioni iscritti agli albi, non trovando, ad esempio, il giudice amministrativo alcun vincolo, nemmeno di carattere procedimentale, nell'indicare un professionista iscritto in un albo di un circondario esterno alla regione sede dell'ufficio giudiziario amministrativo (ferma restando che una scelta del genere, più onerosa per le parti, dovrebbe esser giustificata dalla necessità, per il giudice, di avvalersi di una particolare specializzazione del consulente, non rinvenibile tra gli iscritti agli albi dei circondari della regione sede dell'ufficio giudiziario amministrativo). Concorda sulla non diretta applicabilità al processo amministrativo delle richiamate modifiche delle disposizioni di attuazione del processo amministrativo anche l'Ufficio Studi e formazione della Giustizia amministrativa (DURANTE), non trattandosi di previsioni integranti principi generali. Tali norme, aggiunge l'Ufficio Studi, non interessano particolarmente il processo amministrativo «se non per il fatto che il riordino e la razionalizzazione dell'albo e l'effettiva corretta tenuta dello stesso consentiranno al giudice amministrativo una più agevole e utile fruizione dell'albo …, in relazione al quale, d'altronde, l'art. 19, comma 2, c.p.c. non ne impone l'utilizzo, ma solo lo consente, lasciando al giudice amministrativo la possibilità di nominare anche soggetti non compresi nell'albo purché “aventi particolare competenza tecnica”».
La verificazione è invece sempre affidata a un organismo pubblico, estraneo alle parti, munito di specifiche competenze tecniche. Dal contenuto della previsione si evince, quanto ai consulenti tecnici, che i dipendenti pubblici e gli altri soggetti possono anche non essere iscritti negli albi tenuti presso i tribunali ordinari. In ogni caso, però, tutti gli ausiliari nominabili quali consulenti tecnici devono possedere una comprovata competenza tecnica specifica, ossia attinente all'oggetto delle indagini che il giudice amministrativo intenda loro delegare in relazione alla singola controversia. Analogamente, una competenza tecnica specifica deve possedere istituzionalmente l'organismo pubblico scelto come verificatore. Come si è sopra accennato, la nozione di organismo pubblico è volutamente molto generica. Sia i consulenti tecnici sia i verificatori debbono essere estranei alle parti del giudizio, così come si desume dal secondo periodo del comma 2, secondo cui non possono essere nominati coloro che prestano attività in favore delle parti del giudizio. La previsione, a ben vedere, è superflua, atteso che gli istituti della astensione e della ricusazione presidiano efficacemente la terzietà di detti ausiliari, contrastando i rischi di qualunque potenziale conflitto di interessi; inoltre la previsione è anche generica non risultando chiaro che cosa significhi esattamente «prestare attività in favore delle parti del giudizio»; nemmeno è chiaro inoltre se, ai fini della disposizione, rilevi unicamente l'attività che sia ancora in corso al momento della nomina o anche quella prestata in precedenza. Con riguardo alle parti pubbliche, va poi segnalato che i Ministeri (e anche gli Assessorati della Regione Siciliana, per quanto riguarda le controversie sottoposte al Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana) sono provvisti di un'autonoma legittimazione processuale, sicché la circostanza che, in giudizio, sia stato evocato come parte resistente un determinato Ministero non impedisce al giudice di nominare come consulente tecnico un dipendente di un differente Dicastero o come verificatore un organismo riconducibile a un diverso Ministero. In questo senso è la consolidata giurisprudenza del Consiglio di Stato (Cons. St. IV, n. 5632/2013), secondo cui la personalità unitaria dello Stato si suddivide nei suoi Ministeri, ciascuno dei quali ha una competenza settoriale ed è portatore di interessi pubblici diversi da quelli degli altri, per cui ciascuno di essi è dotato di legittimazione processuale autonoma. Tale posizione è condivisa anche dal Supremo Collegio (Cass. III, n. 12117/2006). Per quanto riguarda l'altrettanto autonoma legittimazione processuale degli Assessorati regionali siciliani si richiama la pronuncia delle Sezioni unite dalla Corte di cassazione ( Cass. S.U., n. 2080/1995), le quali hanno statuito il principio per cui la Regione Siciliana non ha una propria soggettività unitaria, facendo essa capo ai singoli assessori, cui nell'ambito delle rispettive funzioni, è attribuita una propria competenza con rilevanza esterna, talché ciascun assessore è legittimato a stare in giudizio per il ramo di attività amministrativa che a lui fa capo. I chiarimentiL'ultimo comma della disposizione in esame stabilisce che il verificatore e il consulente compiono le indagini loro affidate e forniscono anche oralmente i chiarimenti richiesti. La previsione è rilevante sotto un duplice profilo. Innanzitutto, essa segnala la doverosità dell'incarico. Esso costituisce cioè un munus publicum che deve essere necessariamente svolto dalla persona nominata, a meno che il giudice non riconosca l'esistenza di un giustificato motivo di astensione (art. 20, comma 1). L'obbligatorietà dell'ufficio comporta, in caso di suo omesso o infedele svolgimento, specifiche responsabilità, anche di carattere penale (v. infra). Sotto altro aspetto la disposizione rileva perché prevede la possibilità per il giudice di richiedere, in ogni tempo, chiarimenti agli ausiliari, una volta nominati. L'incarico di costoro, pertanto, non si esaurisce con il deposito della relazione, ma si estende anche all'obbligo di fornire chiarimenti per iscritto oppure di comparire avanti al giudice, in presenza delle parti, per fornire i medesimi chiarimenti oralmente, sia durante il compimento delle operazioni delegate sia dopo l'avvenuto deposito della relazione. Del resto, il comma 1 della disposizione in esame stabilisce che il giudice può avvalersi degli ausiliari «per il compimento di singoli atti o per tutto il processo». La previsione, riguardata sotto questo profilo, è probabilmente ridondante per il consulente d'ufficio, atteso che l'art. 67, comma 3contempla l'ipotesi della comparizione di questi avanti al giudice; essa si presenta, invece, assai utile per la corretta interpretazione dell'art. 66, in relazione alla disciplina della verificazione, giacché quest'ultima previsione non accenna alla possibilità di una comparizione personale del verificatore allo scopo di fornire detti chiarimenti. I chiarimenti possono anche assumere la forma di una richiesta di un supplemento di verificazione o di consulenza, qualora il giudice ritenga non sufficienti o non soddisfacenti le operazioni di accertamento e le valutazioni già svolte. In ogni caso la richiesta di chiarimenti scritti o la convocazione personale del verificatore o del consulente tecnico (al pari del supplemento di verificazione o di consulenza) va disposta dal collegio con ordinanza. I compensi del verificatore e del consulenteL'attività dei verificatori e dei consulenti non è prestata a titolo gratuito, ma oneroso. Tanto si ricava dal comma 4 dell'art. 66 e dal comma 5 dell'art. 67 (quest'ultimo comma rinvia, per la determinazione e la liquidazione del compenso del consulente a quanto previsto dall'art. 66, comma 4, primo e terzo periodo). Va osservato, tuttavia, che prima del Codice, la giurisprudenza amministrativa era divisa sul punto della riconoscibilità di un compenso al verificatore (contro, Cons. St. IV, n. 6447/2005; a favore, Cons. St. VI, n. 4610/2006). La disciplina di carattere generale che ne risulta è la seguente: il collegio può (per il verificatore) e deve (per il consulente tecnico) disporre con ordinanza che venga riconosciuto un anticipo sul compenso (v. l'art. 66, comma 3, e l'art. 67, comma 3, lett. a); una volta che gli ausiliari abbiano terminato il loro incarico, il presidente del collegio, su istanza del consulente, dell'organismo verificatore (o del delegato di quest'ultimo), liquida con decreto il compenso complessivamente spettante all'ausiliare, ponendolo provvisoriamente a carico di una delle parti; poi, con la sentenza che definisce il giudizio il collegio regola definitivamente il relativo onere (qualora nulla disponga la sentenza, deve ritenersi che l'onere del pagamento degli ausiliari segua la soccombenza, al pari del regolamento delle spese processuali, e che esso sia sopportato da tutte le parti nell'ipotesi di compensazione totale o parziale, nella misura stabilita dal giudice). Tale disciplina deroga in parte all' art. 168 del d.P.R. n. 115/2002 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia; testo A), secondo cui la liquidazione delle spettanze agli ausiliari del magistrato e dell'indennità di custodia è effettuata con decreto di pagamento, motivato, del magistrato che procede. Seppur nei limiti della compatibilità con la struttura del processo amministrativo, deve invece reputarsi applicabile l'art. 170 del citato d.P.R. n. 115/2002 che prevede un particolare rito per l'eventuale opposizione al provvedimento (decreto presidenziale) di pagamento dell'ausiliario emesso a favore dell'ausiliario del magistrato. Soltanto per il calcolo del compenso del verificatore si applicano le tariffe stabilite dalle disposizioni in materia di spese di giustizia, ovvero, se inferiori, quelle eventualmente stabilite per i servizi resi dall'organismo verificatore. Per il consulente tecnico, per contro, si applicano sempre le tariffe stabilire in materia di spese di giustizia. Rinviando ai commenti degli artt. 66 e 67 per quanto riguarda le regole di determinazione di tali compensi, va qui osservato che la disciplina generale di essi si rinviene negli artt. 49,50,51,52,53,54,55,56 e 57 del già citato d.P.R. n. 115/2002 (ossia nel Titolo VII del citato provvedimento normativo, dedicato agli «Ausiliari del magistrato nel processo penale, civile, amministrativo, contabile e tributario»), recante il testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia. Siffatte previsioni dispongono, in sintesi, che: - agli ausiliari del magistrato spettano l'onorario, l'indennità di viaggio e di soggiorno, le spese di viaggio e il rimborso delle spese sostenute per l'adempimento dell'incarico; gli onorari sono fissi, variabili e a tempo (art. 49); - la misura degli onorari fissi, variabili e a tempo, è stabilita mediante tabelle, approvate con decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze (ossia, dal d.m. 30 maggio 2002, ma sul punto v. infra), ai sensi dell' art. 17, commi 3 e 4, della l. n. 400/1988; le tabelle sono redatte con riferimento alle tariffe professionali esistenti, eventualmente concernenti materie analoghe, contemperate con la natura pubblicistica dell'incarico; le tabelle relative agli onorari a tempo individuano il compenso orario, eventualmente distinguendo tra la prima e le ore successive, la percentuale di aumento per l'urgenza, il numero massimo di ore giornaliere e l'eventuale superamento di tale limite per attività alla presenza dell'autorità giudiziaria (art. 50); - nel determinare gli onorari variabili il magistrato deve tener conto delle difficoltà, della completezza e del pregio della prestazione fornita; gli onorari fissi e variabili possono essere aumentati, sino al venti per cento, se il magistrato dichiara l'urgenza dell'adempimento con decreto motivato (art. 51); - per le prestazioni di eccezionale importanza, complessità e difficoltà gli onorari possono essere aumentati sino al doppio; se la prestazione non è completata nel termine originariamente stabilito o entro quello prorogato per fatti sopravvenuti e non imputabili all'ausiliario del magistrato, per gli onorari a tempo non si tiene conto del periodo successivo alla scadenza del termine e gli altri onorari sono ridotti di un terzo (art. 52); - quando l'incarico sia stato conferito ad un collegio di ausiliari il compenso globale è determinato sulla base di quello spettante al singolo, aumentato del quaranta per cento per ciascuno degli altri componenti del collegio, a meno che il magistrato disponga che ognuno degli incaricati debba svolgere personalmente e per intero l'incarico affidatogli (art. 53); - la misura degli onorari fissi, variabili e a tempo è adeguata ogni tre anni in relazione alla variazione, accertata dall'Istat, dell'indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati, verificatasi nel triennio precedente, con decreto dirigenziale del Ministero della giustizia, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze (art. 54); - per l'indennità di viaggio e di soggiorno, si applica il trattamento previsto per i dipendenti statali. L'incaricato è equiparato al dirigente di seconda fascia del ruolo unico, di cui all' articolo 15 del d.lgs. n. 165/2001; viene fatta salva l'eventuale maggiore indennità spettante all'incaricato dipendente pubblico; le spese di viaggio, anche in mancanza di relativa documentazione, sono liquidate in base alle tariffe di prima classe sui servizi di linea, esclusi quelli aerei; le spese di viaggio con mezzi aerei o con mezzi straordinari sono rimborsate se preventivamente autorizzate dal magistrato (art. 55); - gli ausiliari del magistrato devono presentare una nota specifica delle spese sostenute per l'adempimento dell'incarico e allegare la corrispondente documentazione; il magistrato accerta le spese sostenute ed esclude dal rimborso quelle non necessarie; se gli ausiliari del magistrato sono stati autorizzati ad avvalersi di altri prestatori d'opera per attività strumentale rispetto ai quesiti posti con l'incarico, la relativa spesa è determinata sulla base delle tabelle di cui sopra; quando le prestazioni di carattere intellettuale o tecnico di detti prestatori abbiano una propria autonomia rispetto all'incarico affidato, il magistrato conferisce incarico autonomo (art. 56). In merito alla questione della perdurante applicabilità del sopra citato d.m. 30 maggio 2002, il Consiglio di Stato (Cons. St. V, n. 2015/2015) ha osservato che, sebbene il Codice stabilisca che per il compenso dovuto agli ausiliari del giudice si applichino le tariffe stabilite dalle disposizioni in materia di spese di giustizia, nondimeno, attualmente, la liquidazione del compenso in favore di detti ausiliari deve avvenire mediante l'utilizzo del sistema dei parametri introdotto dal d.m. 20 luglio 2012 n. 140, e non più in base al sistema tariffario di cui al d.m. 30 maggio 2002, a seguito dell'adozione del d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito in legge, con modificazioni, dall' art. 1, comma 1, della l. 24 marzo 2012, n. 27, che ha abrogato ( ex art. 9 del d.l. n. 1/2012, fino alla data di entrata in vigore dei decreti ministeriali e, comunque, non oltre il centoventesimo giorno dalla data di entrata in vigore della legge di conversione) il sistema delle tariffe professionali e tutte le disposizioni che ad esse rinviavano. In questo senso anche T.A.R.Campania (Napoli) II, n. 4225/2013, secondo cui, tra l'altro, il compenso spettante al consulente tecnico di ufficio va liquidato in base ai parametri per la liquidazione giudiziale dei compensi per le professioni regolamentate, di cui al d.m. 20 luglio 2012 n. 140, e, in particolare, in base all'art. 38 di detto decreto, a mente del quale il compenso per le prestazioni di consulenza, analisi ed accertamento, se non determinabile analogicamente, è liquidato tenendo particolare conto dell'impegno del professionista e dell'importanza della prestazione. Tuttavia la giurisprudenza è prevalentemente orientata nel senso che il sistema dei parametri non sia vincolante per il giudice e che esso assuma solo un valore orientativo, essendo imperniato su criteri soggettivi, oggettivi e funzionali. Occorre, peraltro, tener conto anche del d.m. 21 febbraio 2013, n. 46, per gli iscritti all'albo dei consulenti del lavoro, e, per le professioni dei medici veterinari, farmacisti, psicologi, infermieri, ostetriche e tecnici sanitari di radiologia medica, del d.m. 19 luglio 2016, n. 165. Va inoltre segnalato, al riguardo, che l'art. 1 del d.m. n. 140/2012 detta le seguenti regole generali: - l'organo giurisdizionale che deve liquidare il compenso dei professionisti, in difetto di accordo tra le parti in ordine allo stesso compenso, applica le disposizioni del decreto e può applicare analogicamente tali disposizioni anche ai casi non espressamente regolati; - nei compensi non sono comprese le spese da rimborsare secondo qualsiasi modalità, compresa quella concordata in modo forfettario. Non sono altresì compresi oneri e contributi dovuti a qualsiasi titolo. I costi degli ausiliari incaricati dal professionista sono ricompresi tra le spese dello stesso; - i compensi liquidati comprendono l'intero corrispettivo per la prestazione professionale, incluse le attività accessorie alla stessa; - nel caso di incarico collegiale il compenso è unico, ma l'organo giurisdizionale può aumentarlo fino al doppio. Quando l'incarico professionale è conferito a una società tra professionisti, si applica il compenso spettante a uno solo di essi anche per la stessa prestazione eseguita da più soci; - per gli incarichi non conclusi, o prosecuzioni di precedenti incarichi, si tiene conto dell'opera effettivamente svolta; - l'assenza di prova del preventivo di massima costituisce elemento di valutazione negativa da parte dell'organo giurisdizionale per la liquidazione del compenso; - in nessun caso le soglie numeriche indicate nel decreto, anche a mezzo di percentuale, sia nei minimi che nei massimi, per la liquidazione del compenso, sono però vincolanti per la liquidazione stessa. Di recente il TAR Campania (Salerno) I, ord. n. 468/2020 si è pronunciato sul problema dell’individuazione della normativa applicabile alla fattispecie della determinazione del compenso degli ausiliari del giudice amministrativo (se quella di cui al d.m. 30 maggio 2002, ovvero quella di cui al d.m. n. 140 del 2012, fermo restando l'applicazione del d.P.R. n. 115 del 2002), in taluni casi propendendo la giurisprudenza per la prima soluzione (Cons. St. IV, n. 5043/2018), in altri per la seconda (Cons. St. V, n. 401/2014). Il Tar ha ritenuto corretta la prima soluzione in quanto la sopravvenuta normativa di cui al d.m. n. 140 del 2012, nel prevedere (all'art. 1) che l’organo giurisdizionale che deve liquidare il compenso dei professionisti applica, in difetto di accordo tra le parti in ordine allo stesso compenso, le disposizioni del presente decreto, farebbe chiaramente riferimento allo svolgimento della ordinaria attività libero-professionale (di evidente aspetto privatistico) svolta dal professionista su incarico di terzi soggetti, pubblici o privati, ma non anche all'attività svolta dal medesimo professionista su incarico del giudice quale commissario ad acta o, comunque, quale suo ausiliario (attività, questa, caratterizzata invece da chiara connotazione pubblicistica); in questo senso si sarebbe espressa anche la relazione illustrativa di accompagnamento al d.m. n. 140 del 2012, laddove si afferma apertis verbis che il d.m. lascia intatta la specialità della disciplina dei compensi spettanti agli ausiliari del giudice di cui al testo unico delle spese di giustizia di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115. Conseguentemente, il d.m. n. 140 del 2012 potrebbe essere un utile parametro di riferimento per la liquidazione del compenso dell'ausiliario qualora questi abbia svolto un'attività inquadrabile tra quelle proprie delle professioni indicate dal medesimo decreto, quindi delle professioni "ordinistiche", ma non potrebbe trovare applicazione nel caso di svolgimento, da parte di un professionista, di prestazioni di diversa natura, come sono quelle svolte quale ausiliario del giudice; per le attività non disciplinate dal d.m. n. 140 del 2012 dovrebbe, quindi, continuare a trovare applicazione il d.m. 30 maggio 2002, che consente di determinare gli emolumenti dell'ausiliario per attività di supporto per l'esecuzione della pronuncia giurisdizionale, non rientranti tra quelle proprie delle professioni regolamentate; sicché, l'attività esecutiva del giudicato espletata dal commissario ad acta in sostituzione dell'amministrazione inadempiente non rientra tra quelle oggetto della disciplina regolamentare del d.m. 20 luglio 2012, n. 140 e può essere di conseguenza regolata sulla base del d.m. 30 maggio 2002 che all'art. 2 dell'allegato stabilisce i compensi per "la perizia o la consulenza tecnica in materia amministrativa". Va, infine, segnalato che sul giudice, anche amministrativo, grava l’obbligo di verificare, a pena di responsabilità erariale, la correttezza della determinazione del compenso richiesto dagli ausiliari (in tal senso, Corte conti (Lombardia) 2006, n. 553/2006, secondo cui costituisce colpa grave l’omesso controllo sulla liquidazione dei compensi ai consulenti tecnici). Le responsabilità del verificatore e del consulenteGli ausiliari del giudice amministrativo, in relazione all'incarico loro affidato, possono incorrere in vari tipi di responsabilità: penale, civile, disciplinare e anche contabile (così Corte conti, I App., n. 79/2011, secondo cui il consulente tecnico d'ufficio, nell’assolvimento dell’incarico, svolge una pubblica funzione in rapporto di servizio con l'amministrazione della giustizia). Con riferimento alla responsabilità penale, bisogna innanzitutto considerare che, in virtù della nomina giurisdizionale, sia il consulente tecnico sia il verificatore assumono la qualità di pubblici ufficiali e, quindi, ad essi possono essere contestati, in generale, i reati (propri) previsti per questo genere di soggetti. Con specifico riferimento alla responsabilità penale dei consulenti tecnici, occorre ricordare poi il reato proprio previsto e punito dall’art. 366 c.p. i cui primi due commi, sanzionano con la reclusione fino a sei mesi o con la multa da euro 30 a euro 516 la condotta dolosa dell’ausiliario, nominato dal giudice, che ottenga con mezzi fraudolenti l'esenzione dall'obbligo di comparire o di prestare il suo ufficio oppure che rifiuti di dare le proprie generalità, ovvero di prestare il giuramento richiesto, ovvero di assumere o di adempiere le funzioni medesime. Vale sicuramente anche per il giudizio amministrativo l' art. 64 c.p.c., in base al quale si applicano al consulente tecnico le disposizioni del codice penale relative ai periti; nel secondo comma, in aggiunta a tale rinvio alle disposizioni del codice penale, la medesima previsione introduce una particolare ipotesi contravvenzionale, per il consulente tecnico (non applicabile analogicamente al verificatore) che incorra in colpa grave nell'esecuzione degli atti che gli siano stati richiesti e richiama altresì la pena accessoria della sospensione dall'esercizio di una professione o di un'arte (di cui all' art. 35 c.p.). Con riferimento all' art. 64 c.p.c. la giurisprudenza penale ha chiarito (Cass. pen. VI, n. 29506/2014) che, per l'integrazione del reato previsto dal secondo comma della disposizione, è necessario che la colpa grave del consulente conduca ad un risultato erroneo degli accertamenti richiestigli, rimanendo invece prive di rilievo le eventuali erronee scelte metodologiche od operative che non influiscono sull'esito degli stessi. Il codice penale contempla altri reati che possono riguardare sia i consulenti sia i verificatori quali l'art. 366 c.p., in tema di rifiuto di uffici legalmente dovuti, l' art. 373 c.p., sulla falsa perizia o interpretazione, e l' art. 377 c.p., sull'intralcio alla giustizia. In ordine alla responsabilità civile del consulente, l'ultimo periodo del secondo comma del citato art. 64 c.p.c. dispone che, in ogni caso, è dovuto il risarcimento dei danni causati alle parti, ossia che il consulente tecnico che abbia agito con colpa grave, per negligenza o imprudenza (ma non anche per imperizia), nell'esecuzione del proprio incarico, è tenuto al risarcimento dell'eventuale pregiudizio procurato alle parti. Si deve ritenere che analoga responsabilità civile incomba sul verificatore, sebbene in tal caso si debba distinguere la responsabilità dell'organismo verificatore (che è un plesso organizzativo) da quella della persona fisica che abbia svolto le indagini delegate dal giudice. Infine gli artt. 19,20 e 21 disp. att. c.p.c. prevedono uno speciale procedimento inteso far valere la responsabilità disciplinare del consulente tecnico, affidato al presidente del tribunale presso il cui albo il consulente sono iscritto. La vigilanza sui consulenti tecnici è, difatti, esercitata dal presidente del tribunale ordinario, il quale, d'ufficio o su istanza del procuratore della Repubblica o del presidente dell'associazione professionale, può promuovere procedimento disciplinare contro i consulenti che non abbiano tenuto una condotta morale. Detta disciplina riguarda unicamente i consulenti tecnici iscritti all'albo, non i dipendenti pubblici e non gli esperti non iscritti all'albo. Nondimeno anche tali soggetti possono incorrere in responsabilità disciplinari connesse allo svolgimento dell'incarico assunto. I dipendenti pubblici, difatti, possono rispondere disciplinarmente, avanti alle amministrazioni di appartenenza, per condotte tenute durante la prestazione di un incarico di consulente o di verificatore (qualora, ad esempio, abbiano leso il prestigio dell'amministrazione di appartenenza). Gli esperti non iscritti all'albo dei consulenti tecnici, a loro volta, potranno essere iscritti ad altri albi e, allora, le loro condotte potranno rilevare ai fini della responsabilità disciplinare dei loro rispettivi ordinamenti professionali. Le perizie di partePotendo il giudice amministrativo ammettere e assumere anche prove atipiche, deve ritenersi consentita la produzione in giudizio di perizie di parte o «stragiudiziali». Tali perizie consistono in allegazioni difensive di carattere tecnico, prive di autonomo valore probatorio, ma che possono acquisire il valore di elementi di valutazione delle prove e da esse il giudice può anche trarre argomenti di prova. Le perizie in questione non vanno confuse con le osservazioni e le conclusioni dei consulenti tecnici di parte previste dall'art. 67, comma 3, lett. d). Tali osservazioni e conclusioni possono essere trasmesse dai consulenti di parte al consulente tecnico d'ufficio, una volta ricevuto lo schema della relazione predisposta da quest'ultimo. Le perizie di parte, invece, non presuppongono che il giudice abbia disposto una consulenza tecnica o una verificazione. Riguardo alle perizie di parte la giurisprudenza (Cons. St. IV, n. 2484/2012) ha affermato il principio secondo cui, nel giudizio amministrativo, in linea generale, le produzioni, da parte dei ricorrenti, di perizie di parte, referti e studi specialistici, e pareri, e materiali probatori vari, devono essere valutata dal giudice alla stregua dell'art. 64, comma 4, c.p.a., vale a dire secondo il suo prudente apprezzamento. Il divieto legale di disporre verificazioni e consulenze tecniche d’ufficioIl legislatore ha previsto un'ipotesi al ricorrere della quale è fatto divieto al giudice amministrativo di disporre verificazioni e consulenze tecniche d'ufficio. La norma è contenuta nel comma 4 dell'art. 22 del d.lgs. 6 dicembre 2023, n. 224, recante «Adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) 2021/23 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2020, relativo a un quadro di risanamento e risoluzione delle controparti centrali e recante modifica dei regolamenti (UE) n. 1095/2010, (UE) n. 648/2012, (UE) n. 600/2014, (UE) n. 806/2014 e (UE) 2015/2365 e delle direttive 2002/47/CE, 2004/25/CE, 2007/36/CE, 2014/59/UE e (UE) 2017/1132». In base al surrichiamato comma 4, nei giudizi amministrativi avverso le cd. “misure di gestione della crisi” non si applicano gli artt. 19 e 63, comma 4, c.p.a.: in altri termini, in tali controversie il giudice amministrativo non potrà mai farsi assistere, per il compimento di singoli atti o per tutto il processo, da uno o più verificatori e nemmeno da uno o più consulenti tecnici d'ufficio, nemmeno qualora il giudice reputi indispensabile avvalersi di tali ausiliari per l'accertamento di fatti o per l'acquisizione di valutazioni che richiedano particolari competenze tecniche. Per meglio comprendere il senso di detto divieto, occorre soffermarsi, sia pur brevemente, sul contesto di riferimento e sulle finalità del decreto legislativo succitato. A tal fine occorre premettere che esso è stato adottato in attuazione della delega contenuta negli artt. 1 e 7 della l. 4 agosto 2022, n. 127 (legge di delegazione europea 2021), onde adeguare la normativa nazionale alle disposizioni del Reg. (UE) 16 dicembre 2020, n. 2021/23, relativo a un quadro di risanamento e risoluzione delle “controparti centrali”. In prima battuta, può affermarsi che una "controparte centrale" (central counterpart, “CCP”) è un soggetto che, in una transazione, si interpone tra due contraenti, evitando che questi siano esposti al rischio di inadempienza della controparte contrattuale e garantendo il buon fine dell'operazione. Per entrare più nel dettaglio, ancorché nei limiti ristretti del presente commento, bisogna considerare che il Reg. (UE) n. 2021/23, il quale a sua volta novella in più punti altri regolamenti adottati in precedenza, è, a ben vedere, uno dei molti provvedimenti normativi sovranazionali adottati dal legislatore unionale in conseguenza e in risposta alla gravissima crisi finanziaria globale risalente al 2008. Tanto si intuisce agevolmente dalla lettura dei “Considerando”. La crisi del 2008, invero, rese evidente come la stretta integrazione realizzata, a livello mondiale, tra i mercati finanziari, oltre a svolgere un ruolo fondamentale nel funzionamento delle economie moderne, comportasse anche un elevato rischio sistemico, accresciuto dalla velocissima propagazione, per “contagio”, di un'eventuale crisi di uno qualunque dei vari mercati finanziari interconnessi. Di fronte all'evento drammatico del 2008 il sistema finanziario mondiale si rivelò impreparato e mostrò tutta la fragilità del quadro giuridico, allora vigente, predisposto per fronteggiare le turbolenze finanziarie, allo scopo di sterilizzarne l'effetto di destabilizzazione dei mercati e, in via consequenziale, delle economie dei rispettivi Paesi. In particolare, emerse l'importanza del ruolo delle controparti centrali quali componenti essenziali dei mercati finanziari globali, giacché esse, come sopra accennato, si interpongono tra le parti di un'operazione commerciale, fungendo da acquirente per ciascun venditore e da venditore per ciascun acquirente, così svolgendo un'attività critica e fondamentale nel trattamento delle operazioni finanziarie e nella gestione dell'esposizione ai vari rischi insiti in tali operazioni. La rilevanza di siffatta interposizione si spiega anche in ragione della connaturata transnazionalità delle operazioni medesime e della complessità dei prodotti finanziari utilizzati, tra i quali, i derivati finanziari e su merci, sia quotati sia fuori borsa (OTC), i titoli azionari, le obbligazioni e i prodotti quali le operazioni di pronti contro termine. Risulta, pertanto, determinate, al fine di scongiurare qualunque propagazione di rischi sistemici, approntare un set di regole giuridiche organico e rigoroso mirante a gestire, con rapidità ed efficacia, le eventuali crisi delle CCP, aumentando in tal modo la resilienza e la stabilità dei mercati finanziari. In questo contesto le misure di gestione delle crisi delle CCP puntano all'obiettivo di creare un quadro, credibile, di risanamento e risoluzione, allo scopo di consentire, ove possibile, che le CCP possano uscire dalle difficoltà finanziarie, continuare ad esercitare le loro funzioni essenziali, seppure in dissesto o a rischio di dissesto, e liquidare le altre attività, così riducendo, al contempo, sia i rischi sistemici sopra ricordati sia il costo del dissesto per le CCP e per il sistema economico nel suo complesso. Per questi motivi l'Unione europea ha adottato, nel corso degli anni, plurimi regolamenti, essendosi condivisibilmente ritenuto che soltanto la fonte regolamentare fosse idonea a introdurre norme e strumenti comuni ai vari Stati membri, in modo da eliminare le diversità esistenti fra i regimi di risanamento e risoluzione delle crisi delle CCP, differenze potenzialmente in grado di falsare la concorrenza nel mercato interno. Ai fini dell'efficacia ed efficienza delle azioni di risoluzione l'Unione europea, con il Reg. (UE) n. 2021/23, ha previsto che gli Stati membri designino delle autorità nazionali di risoluzione (delle crisi), provviste di amplissimi e disparati poteri di adozione di provvedimenti amministrativi (tra cui le predette “misure di gestione”, ossia le azioni di risoluzione o la nomina di commissari speciali), quali le banche centrali nazionali, i ministeri competenti, le autorità amministrative o le autorità investite di poteri amministrativi pubblici. Infine, per quanto qui interessa, il regolamento introduce molte norme improntate a una accentuata celerità nell'attuazione delle misure di gestione delle crisi, all'evidente finalità di bloccare sul nascere il rischio di contagi. Tale rapidità riguarda anche le procedure giudiziarie e di esse si occupano i Considerando da 71 a 76 (e gli artt. 75 e 76 del Reg. (UE) n. 2021/23), non senza precisare che «(72) Ai sensi dell'articolo 47 della Carta le parti interessate hanno diritto a un giudice imparziale e a un ricorso effettivo nei confronti delle misure che le riguardano. Di conseguenza è opportuno prevedere il diritto di impugnare le decisioni prese dalle autorità di risoluzione. (73) L'azione di risoluzione avviata dalle autorità di risoluzione nazionali potrebbe comportare valutazioni economiche e un ampio margine di discrezionalità. Dette autorità sono specificamente dotate delle competenze necessarie per effettuare tali valutazioni e determinare il corretto uso del margine di discrezionalità. È quindi importante assicurare che le valutazioni economiche effettuate dalle autorità di risoluzione nazionali in tale contesto servano di base ai giudici nazionali che riesaminano le misure di gestione della crisi in questione. Tuttavia, la complessa natura di tali valutazioni non dovrebbe impedire ai giudici nazionali di esaminare se le prove sulle quali l'autorità di risoluzione si è basata sono accurate, affidabili e coerenti, se contengono tutte le informazioni pertinenti di cui occorre tenere conto per valutare una situazione complessa e se possono confermare le conclusioni che ne sono state tratte». In linea con tali considerazioni, l'art. 74 del regolamento dispone quanto segue: «1. La decisione di adottare la misura di prevenzione della crisi o l'azione di risoluzione può essere sottoposta ad omologazione preliminare da parte dell'organo giurisdizionale qualora previsto dal diritto nazionale, se la relativa procedura e l'esame in sede giurisdizionale sono svolti con celerità. 2. Chiunque risenta degli effetti della decisione di adottare una misura di prevenzione della crisi o della decisione di esercitare uno dei poteri, azione di risoluzione esclusa, ha diritto di impugnarla. 3. Ha diritto d'impugnare la decisione di adottare un'azione di risoluzione chiunque ne risenta. 4. Il diritto di impugnazione di cui al paragrafo 3 è subordinato alle condizioni seguenti: a) la presentazione del ricorso non comporta la sospensione automatica degli effetti della decisione contestata; e b) la decisione dell'autorità di risoluzione è immediatamente esecutiva e determina la presunzione relativa che la sospensione dell'esecuzione sarebbe contraria all'interesse pubblico; e c) la procedura di impugnazione è celere. 5. L'organo giurisdizionale fonda il giudizio sulle valutazioni economiche dei fatti effettuate dall'autorità di risoluzione. 6. Se necessario per tutelare gli interessi del terzo in buona fede che ha acquisito partecipazioni, attività, diritti, obblighi o passività della CCP in risoluzione in virtù dell'azione di risoluzione, l'annullamento della decisione dell'autorità di risoluzione lascia impregiudicati i successivi atti amministrativi o le successive operazioni che l'autorità di risoluzione ha concluso in base alla decisione annullata. Ai fini del primo comma, se la decisione dell'autorità di risoluzione è annullata, i rimedi a disposizione del ricorrente si limitano al risarcimento della perdita subita a causa della decisione.». Tanto premesso, con il d.lgs. n. 224/2023 il Legislatore nazionale, nell'adeguare l'ordinamento interno alle richiamate previsioni del Reg. (UE) n. 2021/23, oltre ad individuare nella Banca d'Italia l'unica autorità nazionale di risoluzione nei confronti delle CCP aventi sede legale in Italia (investita, dunque, anche dei poteri di adottare provvedimenti amministrativi quali misure di gestione delle crisi), ha effettuato, con l'art. 22, un articolato intervento sulle norme del processo amministrativo, consistite: a) nell'inserimento delle controversie relative alle procedure di risanamento e risoluzione delle controparti centrali di cui al Reg. (UE) n. 2021/23, in quelle soggette al rito abbreviato di cui all'art. 119 c.p.a. (comma 1, lett. m-novies), rientranti, peraltro, nell'ambito della giurisdizione esclusiva (art. 133, comma 1, lett. z-octies) e nella cognizione riservata alla competenza funzionale del T.a.r. per il Lazio, sede di Roma (art. 135, comma 1, lett, q-septies); b) nel precludere la possibilità di proporre le medesime controversie tramite il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica; c) nell'introduzione di una innovativa legittimazione processuale esclusiva della Banca d'Italia a richiedere, al giudice amministrativo, di sospendere, discrezionalmente («può»), il processo, del quale sia parte una CCP sottoposta a risoluzione, «per un periodo congruo al perseguimento degli obiettivi della risoluzione» (art. 22, comma 5) e d), per quanto qui specificatamente interessa e come sopra accennato, nel vietare al giudice amministrativo di disporre verificazioni o consulenze tecniche d'ufficio nel corso di giudizi avverso le predette misure di gestione della crisi. Alla luce di quanto sopra considerato, si comprende, dunque, la ratio che sorregge il comma 4 del succitato art. 22: il legislatore nazionale ha inteso adeguare la disciplina processuale interna al disposto del par. 5 dell'art. 74 del Reg. (UE) n. 2021/23, laddove la previsione sovranazionale stabilisce che l'organo giurisdizionale del singolo Stato membro fondi il giudizio unicamente sulle valutazioni economiche dei fatti effettuate dall'autorità di risoluzione. A sua volta, la ragione giustificatrice della norma unionale (id est, il citato par. 5 dell'art. 74) poggia sull'esigenza di imprimere ai processi una particolare rapidità, onde accrescere la stabilità e, quindi, l'efficacia delle misure di gestione della crisi adottate dall'autorità nazionale di risoluzione. Se quello appena indicato è il razionale sottostante la previsione, possono nondimeno svolgersi alcune considerazioni, anche critiche. Innanzi tutto, va stigmatizzata la scarsa qualità redazionale dell'art. 22 che, pur intervenendo su norme del codice del processo amministrativo, mantiene alcune di esse, ossia quelle recate dai commi 3, 4 e 5, come disposizioni extra vagantes, così minando l'unità contenutistica e precettiva del codice medesimo e, soprattutto, rendendo più difficile per gli operatori l'individuazione della normativa applicabile. Sarebbe stato preferibile compiere lo sforzo di inserire organicamente i predetti commi nel corpo del codice. In secondo luogo, il comma 4 dell'art. 22 contiene una previsione di natura chiaramente eccezionale e, pertanto, di stretta interpretazione, in quanto derogatoria alla regola generale, secondo la quale, al fine di assicurare ai cittadini e alle imprese un “giusto processo” amministrativo, nonché la pienezza della cognizione giurisdizionale, le verificazioni e le consulenze tecniche d'ufficio costituiscono indispensabili strumenti di conoscenza per il giudice amministrativo, allorquando sia necessario, rispettivamente, accertare fatti o acquisire valutazioni di natura tecnica, per il cui apprezzamento occorra un patrimonio conoscitivo proprio di saperi non giuridici. In terzo luogo, sebbene la norma miri, come si è poco sopra accennato, ad adeguare la disciplina processuale amministrativa al disposto dell'art. 74, par. 5, del Reg. (UE) n. 2021/23, e, quindi, sia “imposta” dall'ordinamento sovranazionale, tuttavia essa sembra scontare un difetto di proporzionalità, giacché il legislatore europeo ha unicamente stabilito che il giudice debba fondare il giudizio «sulle valutazioni economiche dei fatti effettuate dall'autorità di risoluzione». In altre parole, l'Unione europea non ha affatto inteso vietare tout court il ricorso a verificazioni e a consulenze tecniche d'ufficio, ma ha unicamente preteso che i giudici degli Stati membri, per quanto concerne le sole “valutazioni economiche” poste alla base dei provvedimenti recanti misure di gestione, si attengano a quelle svolte dall'autorità nazionale di risoluzione. In astratto, dunque, residuerebbero margini, per il giudice amministrativo, di ordinare verificazioni o consulenze tecniche d'ufficio, anche nell'ambito delle controversie relative alle procedure di risanamento e di risoluzione delle CCP di cui al Reg. (UE) n. 2021/23, sia pure con riferimento ad aspetti differenti dalle suddette valutazioni economiche. In quarto luogo, la norma sembra incompleta, nella parte in cui non vieta anche le consulenze di parte (ovviamente, secondo l'esegesi sopra proposta, con riferimento alla sola valutazione economica dei fatti), ancorché a tale approdo possa agevolmente giungersi in via di interpretazione teleologica. In quinto, e ultimo, luogo, il comma 4 dell'art. 22 presta anche il fianco a non peregrini dubbi di costituzionalità per violazione dei parametri di cui agli artt. 3,24 e 111 Cost., non soltanto perché, nell'estendere in misura eccessiva il divieto stabilito a livello sovranazionale, finisce per vulnerare i principi della ragionevolezza, del diritto di difesa e del giusto processo, inteso in termini di pienezza della cognizione giudiziaria e della effettività della giurisdizione, ma anche perché la stessa previsione unionale, seppur sorretta da esigenze primarie di tutela di fondamentali interessi economici e finanziari, sembra nondimeno collidere con quei “controlimiti” – e, tra questi, in particolare, la garanzia del rispetto del diritto inviolabile alla difesa, di cui al citato art. 24 Cost. - che presidiano il nostro ordinamento costituzionale. BibliografiaBachelet, L'attività tecnica della pubblica amministrazione, Milano, 1967, 134 ss.; Cintioli, Giudice amministrativo, tecnica e mercato. Poteri tecnici e «giurisdizionalizzazione», Milano, 2005, 284; Giliberti, Sulla pienezza del sindacato giurisdizionale sugli atti amministrativi. Annotazioni a corte di cassazione, sezioni unite, 20 gennaio 2014, n. 1013, in Dir. proc. amm. 2014, 1057; Giusti, Discrezionalità tecnica dell'amministrazione e sindacato del giudice amministrativo, in Giur. it. 2015, 5, 1211; Durante, Relazione sugli effetti diretti e sulle implicazioni sistematiche che la riforma del processo civile, apprestata dal D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, reca al processo amministrativo – Ufficio Studi e formazione della Giustizia Amministrativa, in www.giustizia-amministrativa.it, 2022, 30. |