Decreto legislativo - 2/07/2010 - n. 104 art. 84 - Rinuncia

Roberto Chieppa

Rinuncia

 

1. La parte può rinunciare al ricorso in ogni stato e grado della controversia, mediante dichiarazione sottoscritta da essa stessa o dall'avvocato munito di mandato speciale e depositata presso la segreteria, o mediante dichiarazione resa in udienza e documentata nel relativo verbale.

2. Il rinunciante deve pagare le spese degli atti di procedura compiuti, salvo che il collegio, avuto riguardo a ogni circostanza, ritenga di compensarle.

3. La rinuncia deve essere notificata alle altre parti almeno dieci giorni prima dell'udienza. Se le parti che hanno interesse alla prosecuzione non si oppongono, il processo si estingue.

4. Anche in assenza delle formalità di cui ai commi precedenti il giudice può desumere dall'intervento di fatti o atti univoci dopo la proposizione del ricorso ed altresì dal comportamento delle parti argomenti di prova della sopravvenuta carenza d'interesse alla decisione della causa.

Note operative

Termini
Rinuncia (notificazione) 10 giorni Prima dell'udienza

Inquadramento

Il Codice ha disciplinato la rinuncia, prevedendo che la rinuncia possa avvenire con dichiarazione, sottoscritta dalla parte o dall'avvocato munito di mandato speciale, resa anche in udienza e aggiungendo che l'atto di rinuncia debba essere notificato alle parti almeno dieci giorni prima dell'udienza.

È introdotto un termine per la notificazione della rinuncia, che deve avvenire almeno dieci giorni prima dell'udienza, anche se si può rinunciare anche con dichiarazione verbalizzata in udienza.

L'estinzione del giudizio non opera automaticamente in base alla rinuncia, ma è necessario che le parti che hanno interesse alla prosecuzione non si oppongano; tuttavia, in ogni caso, anche in assenza di ogni formalità, il giudice può desumere dall'intervento di fatti o atti univoci dopo la proposizione del ricorso ed altresì dal comportamento delle parti argomenti di prova della sopravvenuta carenza d'interesse alla decisione della causa e dichiarare improcedibile il ricorso, anziché dare atto della rinuncia.

La rinuncia

Ai sensi dell'art. 84 la parte può rinunciare al ricorso in ogni stato e grado della controversia, mediante dichiarazione sottoscritta da essa stessa o dall'avvocato munito di mandato speciale e depositata presso la segreteria, o mediante dichiarazione resa in udienza e documentata nel relativo verbale.

Per le ipotesi di rinuncia, è stata introdotta la possibilità di disporre la compensazione delle spese, in alternativa al loro accollo al rinunziante in precedenza previsto. Il principio è comunque quello che il rinunciante è tenuto a pagare le spese relative agli atti di procedura compiuti, salvo che il Collegio, avuto riguardo a ogni circostanza, ritenga di compensarle.

È previsto un termine di dieci giorni prima dell'udienza per la notifica dell'atto di rinuncia alle parti, ma il termine di dieci giorni attiene, quindi, al solo atto formale di rinuncia (rinuncia scritta), ma non preclude che la rinuncia avvenga con dichiarazione resa in udienza (rinuncia orale).

In caso di dichiarazione resa in udienza, non è necessaria la previa notifica dell'atto di rinunzia, richiesta dalla norma nel caso di atto depositato fuori udienza (Caringella-Protto,Manuale, 757; De Nictolis,Proc. amm., 1438).

La rinuncia è ritualmente presentata laddove sia formalizzata dal difensore del ricorrente munito di procura ad hoc (distinta dalla generica procura alla liti), ai sensi dell'art. 84, comma 3 (T.A.R. Trentino-Alto Adige (Trento) I, 12 febbraio 2014, n. 33).

La rinuncia al ricorso è integralmente rimessa a colui che agisce ed è sottoposta alle sole condizioni della provenienza dalla parte o dal suo procuratore all'uopo espressamente autorizzato, e dell'intervenuta sua conoscenza della controparte da conseguirsi in modo formale ed anche, con innovazione codicistica, mediante forme ulteriori, quali il deposito in udienza dell'atto di rinuncia sottoscritto dalla parte personalmente o tramite difensore all'uopo autorizzato; segue da ciò che, una volta intervenute le dette formalità, spetta al giudice pronunciare, espressamente ed a seguito di un accertamento che coinvolga la presenza dei detti requisiti, l'estinzione del giudizio, permanendo, fino a quel momento, il potere del rinunciante di revocare il proprio atto ( Cons. St. IV, n. 8500/2010).

A seguito del deposito da parte del ricorrente dell'atto di rinuncia al ricorso, il giudice dichiara l'estinzione del giudizio (ai sensi degli artt. 35 comma 2, lett. c) e 84 comma 1) T.A.R. Lombardia(Brescia) II 22 febbraio 2017, n. 264.

Sulla questione riguardante la possibile revoca della rinuncia che sia stata fatta prima della pronuncia del giudice che dichiara la intervenuta estinzione del giudizio vi sono stati orientamenti non sempre univoci. Se con riguardo alla efficacia estintiva della rinuncia, l'Adunanza Plenaria ha sostenuto che, al fine di assicurare la certezza delle posizioni processuali, la lite deve ritenersi comunque ancora pendente fino a quando sulla rinuncia non si sia avuta la presa d'atto da parte del giudice, potendo lo stesso giudice ritenere, per varie ragioni, la rinuncia presentata non idonea ad estinguere il giudizio pendente (Cons. St.Ad. plen., n. 8/2004), rimane aperta la questione di quale rilievo possa avere, prima di tale pronuncia, una eventuale dichiarazione di revoca. Sul punto, la sez. VI ha ritenuto che la rinuncia ritualmente sottoscritta, notificata alle controparti e depositata in giudizio non possa essere revocata. Tale soluzione è apparsa più aderente alla lettera delle disposizioni del codice, che prevedono, proprio per la rilevanza (e la definitività) dell'atto, rigorose formalità, ed anche più coerente con la ratio di tale istituto, perché consente di contemperare l'interesse del ricorrente a disporre della sorte del giudizio da lui attivato e l'interesse pubblico ad una rapida conclusione del giudizio. A ciò si aggiunge l'interesse delle altre parti del giudizio che hanno fatto affidamento sulla dichiarazione loro notificata di rinuncia all'azione giudiziaria in corso (e che nei confronti della stessa non hanno formulato opposizioni di sorta). In conseguenza le eventuali sopravvenute manifestazioni di volontà del ricorrente devono ritenersi del tutto irrilevanti (anche se prodotte in giudizio) ai fini della valutazione relativa all'esistenza del dovere del giudice di dare atto della rinuncia ( Cons. St. VI, n. 2323/2016; Cons. giust. amm. Sicilia 5 febbraio 2014, n. 47).

La rituale rinunzia al ricorso di primo grado avvenuta quando il processo è nella fase di appello determina l'annullamento senza rinvio della sentenza appellata e la presa d'atto della rinuncia al ricorso di primo grado.

Il giudice di appello dichiara estinto il giudizio di I grado ed annulla, senza rinvio, la sentenza impugnata, preso atto della rinuncia sia al ricorso di primo grado, sia agli effetti della sentenza di accoglimento del medesimo, Invero, la dichiarazione di rinuncia da parte dell'appellato all'azione intrapresa ed agli effetti in suo favore derivanti dalla sentenza di primo grado dimostra il venir meno dell'interesse al ricorso in ordine al quale è intervenuta una pronuncia, con la conseguenza che occorre disporre l'annullamento senza rinvio della sentenza di primo grado, e non l'estinzione del solo giudizio di appello (che invece avrebbe l'effetto di far passare in giudicato la sentenza impugnata) (Cons. St. IV, n. 824/2017).

Accettazione della rinuncia

Il Codice sembra aver introdotto il principio della necessaria accettazione della rinuncia, avendo previsto che se le parti che potrebbero avere interesse alla prosecuzione non si oppongono, il processo si estingue; al contrario, sembrerebbe desumersi che, in caso di opposizione, il processo non si estingua.

Il testo proposto dalla Commissione speciale istituita presso il Consiglio di Stato prevedeva che il processo si estingueva anche se l'opposizione era considerata manifestamente ingiustificata dal giudice (disposizione poi espunta). L'eliminazione di tale ultima parte rimette sostanzialmente l'effetto estintivo della rinuncia all'accettazione (o meglio, non opposizione) delle parti

Va ricordato che, secondo il consolidato orientamento del Consiglio di Stato, la rinuncia al ricorso non necessitava di atto di accettazione delle controparti.

Tale tesi venne affermata dall'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato nella decisione n. 20 del 18 luglio 1983, in un caso in cui la rinuncia al ricorso in appello proveniva non da un vincitore in primo grado, ma da un soccombente. Era stato in quell'occasione evidenziato che il rinunciante non era il titolare della situazione soggettiva fatta valere in primo grado, ma colui che in quella sede resisteva alla domanda giudiziale. Si trattava di una rinunzia non alla domanda ma all'impugnazione; ipotesi, questa, non regolata dalla l. 6 dicembre 1971 n. 1034 né dal r.d. 17 agosto 1907 n. 642 (cui pur fa richiamo l' art. 29 della legge n. 1034 del 1971) concepito in relazione ad un giudizio che si svolgeva in un unico grado ( Cons. St.Ad. plen., n. 20/1983).

L'Adunanza Plenaria aveva tuttavia ritenuto ricavabile dal sistema (artt. 390 e 391 c.p.c.) che la rinuncia all'impugnazione è atto esclusivo dell'impugnante che non necessita di accettazione (quest'ultima rilevando semmai ai soli fini del regolamento delle spese di lite, argomentando ex art. 391 ultimo comma, c.p.c.) e tale da determinare il passaggio in giudicato della pronuncia impugnata.

L'irrilevanza dell'accettazione di chi resiste all'impugnazione ben si spiega con il fatto che la sua vittoria nella lite, sancita dal giudice di primo grado e messa in forse dalla impugnazione poi rinunciata, diviene incontestabile. In senso conforme, vedi, fra tutte, Cons. St. IV, n. 3844/2001; Cons. St. V, n. 3287/2000.

Il Consiglio di Stato ha evidenziato che, anche nel processo civile, vi è una profonda distinzione tra la rinuncia agli atti del giudizio, ammissibile anche in appello, e la rinuncia all'azione (o rinuncia all'impugnazione se interviene dopo il giudizio di primo grado), che è rinuncia di merito ed è immediatamente efficace anche senza l'accettazione della controparte a differenza della rinuncia agli atti, per la quale è invece necessaria l'accettazione della parte nei confronti la rinuncia è fatta quando essa abbia interesse alla prosecuzione del processo ( Cons. St. VI, n. 164/2003, che richiama cfr. Cass. II, n. 8387/1999).

Infatti, solo nel caso di rinuncia agli atti del giudizio si può parlare di estinzione del processo, cui consegue una pronuncia meramente processuale, potendo essere la domanda riproposta nel caso in cui siano ancora aperti i termini per far valere in giudizio la pretesa sostanziale (di qui la necessità dell'accettazione nel processo civile).

La rinuncia all'azione, invece, comporta una pronuncia con cui si prende atto di una volontà del ricorrente di rinunciare alla pretesa sostanziale dedotta in giudizio, con la conseguente inammissibilità di una riproposizione della domanda (questo è il motivo per cui non si richiede l'accettazione né nel processo civile, né in quello amministrativo). In tal caso, la sentenza con cui il giudice di appello annulla la sentenza di primo grado per intervenuta rinuncia all'azione del ricorrente, determina la reviviscenza dell'originario provvedimento annullato ( Cons. St. IV, n. 602/2016).

Si è ritenuto integrare una rinuncia al ricorso (e non all'azione), la dichiarazione del ricorrente con cui si rinuncia alla formulata domanda risarcitoria che espressamente si riserva, al positivo esito del giudizio, di riproporre in altro giudizio, permanendo l'interesse alla decisione del giudizio per quanto attiene alla denunciata illegittimità del provvedimento, al fine di consentirle di far valere le proprie ragioni risarcitorie ( Cons. St. IV, n. 5152/2015).

In dottrina non pare risolta la questione interpretativa relativa a se la rinuncia al ricorso costituisce una rinuncia all'azione o piuttosto una rinuncia agli atti. Se da un lato vi è chi propende per tale ultima qualificazione (Forlenza, 634; Casetta,Manuale, 889; Garofoli-Ferrari,Codice, 1241), altri invece ritengono che la rinuncia al ricorso comporti necessariamente una rinuncia all'azione, tenuto conto dei termini di impugnazione decadenziali propri del rito impugnatorio (Saitta, Sistema, 359; Picozza,Codice, 140).

Pertanto, anche nel processo civile, la rinuncia all'impugnazione, che si pone in perfetto parallelismo con la rinuncia all'azione, fa venire meno il potere — dovere del giudice di pronunciare, con efficacia immediata e senza bisogno di accettazione ( Cass. I, n. 5556/1995).

La rinuncia in appello al ricorso di primo grado e, conseguenzialmente, agli effetti della sentenza che lo ha concluso, configura una causa estintiva del giudizio che comporta l'annullamento senza rinvio della sentenza appellata, configurandosi come un'ipotesi di sopravvenuto difetto d'interesse alla decisione, essendo irrilevante che eventualmente l'atto di rinuncia non sia stato notificato alla controparte e reso nelle forme previste dall'art. 84 comma 3, ove quest'ultima abbia preso atto della rinuncia e aderito alle richieste con essa formulate; in ogni caso la rinuncia al ricorso ed agli effetti della sentenza di primo grado da parte dell'appellato vittorioso non si configura come rinuncia in senso tecnico, ma va qualificata nell'ambito delle fattispecie d'improcedibilità dell'appello, in ragione della perdita di interesse al ricorso originario, ex art. 84 comma 4, e della conseguente statuizione di annullamento senza rinvio della sentenza appellata ( Cons. St. V, n. 5971/2011).

In giurisprudenza è stata ritenuta integrare la fattispecie di rinuncia alla impugnazione, il deposito di un atto di transazione nel quale le parti appellanti e appellate, oltre a rinunciare alle pretese economiche originariamente fatte valere, hanno dichiarato reciprocamente di rinunciare anche ai ricorsi proposti in primo grado. In tal caso, si è dichiarato estinto il ricorso di primo grado, con conseguente annullamento senza rinvio della sentenza appellata (Cons. giust. amm. Sicilia, 2 marzo 2015, n. 167; Cons. St. V, n. 625672013).

La rinuncia, anche ove contenuta in atto transattivo, non può essere riferita a qualunque evento futuro: Una simile clausola è da ritenersi nulla, perché non è configurabile una rinuncia preventiva alla tutela giurisdizionale dell'interesse legittimo, effettuata prima della lesione di quest'ultimo, ossia nel momento in cui, non essendo ancora attuale la lesione stessa, lo strumento di tutela non è ancora azionabile, né si può ipotizzare alcuna acquiescenza nei riguardi di un provvedimento amministrativo non ancora emanato ( Cons. St. IV, n. 1337/2016; Cons. St. IV, n. 5557/2013).

Fino ad oggi, almeno per quanto concerne la rinuncia all'appello, alcuna differenza vi è tra processo amministrativo e processo civile, non essendo richiesta in entrambi i casi l'accettazione della controparte.

In favore della tese della rinuncia ex art. 84 come rinuncia agli atti (Casetta, Manuale, 889), mentre altri, valorizzando il termine di decadenza previsto per i giudizi di impugnazione, ritengono che la rinuncia costituisca una ipotesi di rinuncia all'azione (Picozza, Codice, 141).

Ora il Codice richiede quanto meno una non opposizione delle parti alla rinuncia, anche se in concreto la questione è attenuata dalla previsione del quarto comma, secondo cui, anche in assenza di una rinuncia formale, il giudice può desumere dall'intervento di fatti o atti univoci dopo la proposizione del ricorso ed altresì dal comportamento delle parti argomenti di prova della sopravvenuta carenza d'interesse alla decisione della causa.

Al fine di documentare l'accettazione della controparte, il difensore di parte ricorrente può depositare atto di rinuncia al ricorso, sottoscritto per accettazione dal difensore dell'amministrazione resistente. Successivamente, qualora all'udienza pubblica nessuno si oppone, il giudice dichiara estinto il ricorso (T.A.R. Friuli-Venezia Giulia I, 22 marzo 2016, n. 96).

Infine, si ricorda che in base all'art. 101, comma 2, c.p.a., “si intendono rinunciate le domande e le eccezioni dichiarate assorbite o non esaminate nella sentenza di primo grado, che non siano state espressamente riproposte nell'atto di appello”; al riguardo, è stato chiarito che una volontà rinunciativa ex lege, quale quella derivante dall'applicazione dell'art. 101, comma 2, c.p.a., non può assumere di per sé valenza di volontà di rinunciare alla pretesa sostanziale, con la conseguente limitazione dei relativi effetti al processo nell'ambito del quale si sia perfezionata e senza preclusioni di sorta in ordine alla riproposizione della relativa domanda in un altro contesto processuale (Cons. St. III, n. 5014/2018, che, nell'ammettere la riproposizione in separato giudizio di una domanda di risarcimento non esaminata in primo grado e non riproposta in appello, ha anche richiamato la distinzione tra rinuncia agli atti del giudizio, cui consegue una pronuncia meramente processuale, potendo essere la domanda riproposta nel caso in cui siano ancora aperti i termini per far valere in giudizio la pretesa sostanziale e la rinuncia all'azione, che comporta, invece, una pronuncia con cui si prende atto di una volontà del ricorrente di rinunciare alla pretesa sostanziale dedotta in giudizio, con la conseguente inammissibilità di una riproposizione della domanda; in quest'ultimo caso non vi può essere estinzione del processo, in quanto la decisione implica una pronuncia di merito, cui consegue l'estinzione del diritto di azione, atteso che il giudice prende atto della volontà del ricorrente di rinunciare alla pretesa sostanziale dedotta nel processo).

Improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse

La opposizione delle parti alla rinuncia non preclude, comunque, il potere del giudice di trarre dalla rinuncia argomenti per dichiarare l'improcedibilità del ricorso, statuendo poi sulle spese (cosa che farebbe anche in caso di accettazione della rinuncia).

Allo stesso modo, la dichiarazione di rinuncia al ricorso che non abbia i requisiti propri dell'atto di rinuncia, ai sensi dell'art. 84 — trattandosi di una dichiarazione depositata in segreteria ma non previamente notificata ad entrambe le altre parti nel termine di cui al terzo comma del citato art. 84 — esprime in modo univoco che le ricorrenti non hanno più interesse alla decisione della causa, con la conseguenza, che il ricorso può essere dichiarata improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse.

Così anche nel caso di rinuncia al ricorso non sottoscritta personalmente dalla parte interessata, priva di rilascio di procura speciale al difensore e non notificata alla controparte, che nondimeno può essere valutata quale dichiarazione di sopravvenuta carenza d'interesse con conseguente improcedibilità della impugnazione. In altri termini, dalla rinuncia irrituale si possono ricavare argomenti di prova circa la sopravvenuta carenza di interesse alla decisione — Cons. St. VI, n. 648/2011; Cons. St. V, n. 2940/2015; Cons. St. IV, n. 1846/2017; cfr. anche T.A.R. Trentino-Alto Adige (Trento) I, 28 febbraio 2017 n. 69, in caso di atto di rinuncia al giudizio che non risulti previamente notificato all'Amministrazione costituita.

Ai sensi dell'art. 84 comma 4, la rinuncia al ricorso condizionata alla compensazione delle spese processuali, pur non prevista dal codice processuale, costituisce elemento di prova da cui desumere la sopravvenuta carenza di interesse alla decisione del ricorso — T.A.R. Campania Napoli I, 24 giugno 2015, n. 3352.

Nella sostanza, la rinuncia non notificata a controparte costituisce comunque manifestazione del venire meno dell'interesse del ricorrente alla prosecuzione del giudizio. Ai sensi dell' art. 84 comma 4, c.p.a., anche in assenza delle formalità di cui ai commi precedenti (legale munito di mandato speciale, notifica alle altre parti almeno dieci giorni prima dell'udienza), il giudice amministrativo può desumere dall'intervento di fatti ed atti univoci dopo la proposizione del ricorso ed altresì dal comportamento delle parti argomenti di prova della sopravvenuta carenza di interesse alla decisione della causa.

Sulla base dell'elaborazione giurisprudenziale, ai sensi dell'art. 84, comma 4, il giudice può desumere dall'intervento di atti o fatti univoci dopo la proposizione del ricorso, nonché dal comportamento delle parti, argomenti di prova della sopravvenuta carenza di interesse alla decisione e, conseguentemente, può pronunciare sentenza di rito ex art. 35, comma 1, lett. c).

Si è osservato che ricorre la sopravvenuta carenza di interesse a ricorrere, oltre che nei casi in cui una dichiarazione di rinuncia al ricorso risulti irregolare a causa dell'inosservanza di alcune formalità, si anche quando si realizza una situazione di fatto incompatibile con la permanenza dell'interesse al ricorso, ovvero nell'ipotesi in cui, pur restando il provvedimento impugnato giuridicamente intatto per non essere intervenuto alcun altro atto teso ad incidere formalmente e specificatamente su di esso in funzione eliminatoria, il ricorrente non ha più motivo di dolersi dell'atto in quanto questo non produce più alcuna lesione (avendo egli realizzato l'obiettivo perseguito), ovvero anche qualora, al contrario, vi sia stata la sopravvenienza di un evento che renda sicuramente irrealizzabile la pretesa fatta valere (Menchini-Renzi, 832; Scoca,Giust. amm., 481; Saitta,Sistema, 362).

La rinuncia ai motivi di ricorso

Si distingue dalla rinuncia al ricorso, la rinuncia a singoli motivi del medesimo, atto ritenuto di pertinenza del difensore, che non necessità delle formalità della rinuncia (De Nictolis,Proc. amm., 1439).

In questa ottica, si ritiene che la rinuncia ai singoli motivi di ricorso debba essere rivolta esclusivamente al giudice, senza necessità di notifica alle altre parti (e può essere effettuata sia tramite deposito sia tramite dichiarazione a verbale) ( Cons. St. VI, n. 2941/2010).

La rinuncia da parte del difensore ad un motivo del ricorso è valida ed ammissibile anche senza una specifica e rituale dichiarazione della parte interessata, essendo tale forma richiesta solo per la rinuncia al ricorso, mentre spetta al prudente apprezzamento del difensore, e al suo potere dispositivo, la scelta dell'uno o dell'altro motivo di impugnazione ( Cons. St. IV, n. 714/1999). In senso contrario, è stato evidenziato che, considerato che il ricorso giurisdizionale amministrativo non è altro che la somma dei mezzi d'impugnativa (e cioè dei motivi) e questi altro non sono che le singole parti del ricorso, l'interessato, con le forme prescritte dalla legge per la rinuncia al ricorso (e non con una semplice dichiarazione, anche orale, del suo difensore) può — in qualunque stadio del giudizio — limitare ilthema decidendum (o gli effetti della decisione), in relazione alla specificità degli interessi fatti valere ed in coerenza con il carattere di processo di parti proprio del giudizio amministrativo ( Cons. St. V, n. 602/1996).

Bibliografia

Forlenza, Articoli 81, 82, 83, 84, 85, in Quaranta, Lopilato (a cura di), Il processo amministrativo. Commentario al D.lgs. 104/2010, Milano, 2011, 627 ss.; Menchini-Renzi, Rinuncia, in Morbidelli (a cura di), Codice della giustizia amministrativa, Milano, 2015, 821 ss.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario