Decreto legislativo - 2/07/2010 - n. 104 art. 87 - Udienze pubbliche e procedimenti in camera di consiglio

Roberto Chieppa

Udienze pubbliche e procedimenti in camera di consiglio

 

1. Le udienze sono pubbliche a pena di nullità, salvo quanto previsto dal comma 2, ma il presidente del collegio può disporre che si svolgano a porte chiuse, se ricorrono ragioni di sicurezza dello Stato, di ordine pubblico o di buon costume1.

2. Oltre agli altri casi espressamente previsti, si trattano in camera di consiglio:

a) i giudizi cautelari e quelli relativi all'esecuzione delle misure cautelari collegiali;

b) il giudizio in materia di silenzio;

c) il giudizio in materia di accesso ai documenti amministrativi e di violazione degli obblighi di trasparenza amministrativa2;

d) i giudizi di ottemperanza;

e) i giudizi in opposizione ai decreti che pronunciano l'estinzione o l'improcedibilità del giudizio.

3. Nei giudizi di cui al comma 2, con esclusione dell'ipotesi di cui alla lettera a), e fatto salvo quanto disposto dall'articolo 116, comma 1, tutti i termini processuali sono dimezzati rispetto a quelli del processo ordinario, tranne, nei giudizi di primo grado, quelli per la notificazione del ricorso introduttivo, del ricorso incidentale e dei motivi aggiunti. La camera di consiglio è fissata d'ufficio alla prima udienza utile successiva al trentesimo giorno decorrente dalla scadenza del termine di costituzione delle parti intimate. Nella camera di consiglio sono sentiti i difensori che ne fanno richiesta3.

4. La trattazione in pubblica udienza non costituisce motivo di nullità della decisione.

4-bis. Le udienze straordinarie dedicate allo smaltimento dell'arretrato sono svolte in camera di consiglio da remoto. Non si applica il comma 3, fatta eccezione per l'ultimo periodo4.

[4] Comma aggiunto dall'articolo 17, comma 7, lettera a), punto 6), del D.L. 9 giugno 2021, n. 80, convertito, con modificazioni, dalla Legge 6 agosto 2021, n. 113.

Note operative

Fissazione camera di consiglio prima camera di consiglio utile decorsi sessanta giorni dal perfezionamento della notificazione del ricorso
Nomina relatore 15 giorni Prima della c.c.
Produzione di documenti 20 giorni liberi Prima della c.c.
Produzione di memorie 15 giorni liberi Prima della c.c.
Repliche scritte 10 giorni liberi Prima della c.c.

Inquadramento

Il Titolo VIII si occupa delle udienze pubbliche e dei procedimenti in camera di consiglio, introducendo per questi ultimi un'espressa disciplina modellata su quella ordinaria, ma con riduzione di termini e formalità.

La regola generale è, quindi, quella della pubblicità dell'udienza e, conformemente a quanto stabilito dal codice di procedura civile per l'udienza di discussione della causa ( art. 128 c.p.c.), si prevede che la mancata osservanza della pubblicità costituisce causa di nullità.

Rispetto alla disciplina previgente non è più previsto che in caso di richiesta di una delle parti il presidente ordini la trattazione del ricorso in udienza pubblica.

Al rito camerale, tranne quello per i giudizi cautelari disciplinato in modo autonomo, si applicano i termini del giudizio ordinario ridotti alle metà; non sono ridotti i termini per la notificazione del ricorso introduttivo, del ricorso incidentale e dei motivi aggiunti.

Udienze pubbliche: il principio di pubblicità

Il principio della pubblicità delle udienze giudiziarie si afferma nei tempi moderni con la caduta dell'assolutismo e viene proclamato, con una disposizione di portata generale, per la prima volta, nell'art. 208 della Costituzione francese del 1795, disposizione in cui viene anche costituzionalizzato, sempre con carattere di generalità, l'obbligo di motivazione, ritenuto parimenti necessario al controllo sugli atti giudiziari. Il principio è successivamente accolto altresì in carte costituzionali della Restaurazione e trova larga diffusione, assurgendo presto al ruolo di normale guarentigia d'una retta amministrazione della giustizia, anche in ordinamenti non ispirati ai principi di libertà e di eguaglianza.

In Italia la regola fu recepita nell'art. 72 dello Statuto albertino («Le udienze dei Tribunali in materia civile e i dibattimenti in materia criminale saranno pubblici conformemente alle leggi») e in attuazione di questa disposizione statutaria le varie leggi processuali regolarono la pubblicità delle udienze (artt. 52 e 268 c.p.c.; art. 443 c.p. per l'esercito; art. 490 c.p. militare marittimo; art. 34 della legge sul Consiglio di Stato).

Nell'iter formativo della Costituzione repubblicana, il principio venne esplicitamente enunciato nell'art. 101 del progetto presentato all'Assemblea costituente il 31 gennaio 1947 (secondo comma: «le udienze sono pubbliche, salvo che la legge per ragioni di ordine pubblico o di moralità disponga altrimenti»); ma poi, come risulta dai lavori preparatori, una espressa enunciazione fu ritenuta superflua, in quanto si ritenne che la pubblicità delle udienze fosse implicitamente prescritta dal sistema costituzionale quale conseguenza necessaria del fondamento democratico del potere giurisdizionale, esercitato appunto, come recita l'art. 101, in nome del popolo.

Occorre aggiungere che detta pubblicità, in quanto espressione di civiltà giuridica, viene prescritta non soltanto nell'ordinamento italiano, ma è prevista anche in convenzioni internazionali, quali la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 (art. 6) e ratificata con 1.4 agosto 1955 n. 848, (e così anche il Nuovo ordin. proc. della Corte europea dei diritti dell'uomo, art. 18), il Patto internazionale di New York relativo ai diritti civili e politici, adottato il 16 dicembre 1966 e ratificato con 1.25 ottobre 1977 n. 881 (art. 14), i Protocolli sullo Statuto della Corte di giustizia, annessi ai trattati Ceca, Cee ed Euratom (rispettivamente artt. 28 e 29).

La regola della pubblicità delle udienze è implicitamente prescritta dal sistema costituzionale quale conseguenza necessaria del fondamento democratico del potere giurisdizionale (Corte cost. n. 212/1986).

Per le modalità di svolgimento dell’udienza durante l’emergenza Covid-19 v. la parte dedicata al c.d. processo Covid; per le udienze di smaltimento dell’arretrato v. il commento all’art. 17 del d.l. n. 80/2021.

Segue. La nullità conseguente alla violazione del principio

Pertanto, anche nel processo amministrativo le udienze sono pubbliche a pena di nullità. Questa è la regola generale, mentre la trattazione della causa in pubblica udienza, anziché in camera di consiglio, non può mai costituire motivo di nullità della decisione.

Non è chiaro se la norma si riferisca alla erronea trattazione in udienza pubblica o se in qualche modo consenta che, su richiesta delle parti o di una parte, possa essere fissata l'udienza pubblica in luogo della camera di consiglio.

L' art. 27 della l. n. 1034/1971 (l. Tar) prevedeva che in caso di richiesta di una delle parti il presidente ordinava la trattazione del ricorso in udienza pubblica, ma la disposizione non è stata riprodotta nel Codice con la conseguenza che deve ritenersi che la richiesta di una parte non determini l'automatica trattazione in pubblica udienza.

Resta da stabilire se, in caso di richiesta (anche congiunta), possa il Presidente ordinare la trattazione in pubblica udienza; l'assenza di sanzione consente comunque che ciò avvenga.

Anche se alcuni escludono che sussista la facoltà delle parti di richiedere la trattazione in udienza pubblica (Leone-Maruotti-Saltelli, 717).

La prevalenza delle ragioni di celerità del rito camerale non deve tuttavia sacrificare i principi fondamentali del processo (contraddittorio, diritto di difesa, effettività della tutela) e la assenza di sanzione per la trattazione in udienza pubblica di giudizi per i quali è previsto il rito camerale va inquadrata in questa ottica (Fares, 654).

In senso conforme, è stato ritenuto che, sebbene le cause d'appello avverso le sentenze declinatorie della giurisdizione seguano il rito della camera di consiglio (art. 105, comma 2) l'adozione del rito ordinario comporta un surplus di tutela e non incide in senso invalidante sul rapporto processuale (v. art. 87, comma 4), con conseguente rituale passaggio in decisione della causa alla pubblica udienza (Cons. St. VI, n. 6144/2014). In senso contrario, è stato affermato che la disciplina del procedimento seguita in primo grado non vincola anche quella del grado d'appello e, di conseguenza, nel giudizio d'appello proposto contro la sentenza di primo grado declinatoria della giurisdizione, si applica, ai sensi dell'art. 105 comma 2, il procedimento in camera di consiglio previsto dal precedente art. 87 comma 3, a norma del quale, tra l'altro, tutti i termini (tranne, nei giudizi di primo grado, quelli per la notificazione del ricorso introduttivo, del ricorso incidentale e dei motivi aggiunti), inclusi quelli per proporre appello, sono dimezzati, con conseguente irricevibilità dell'appello depositato oltre i 15 giorni (Cons. St. V, n. 3262/2016; Cons. St. III n. 3379/2015).

Con il primo correttivo al codice ( d.lgs. 15 novembre 2011, n. 195) è stato aggiunto il riferimento implicito all' art. 128 c.p.c. (Udienza pubblica), che consente di tenere le udienze a porte chiuse in casi particolari per ragioni di sicurezza dello Stato (ad es. ricorsi che attengono ai servizi segreti), di ordine pubblico o di buon costume.

Tale modifica allinea il processo amministrativo a quello civile, quanto ai casi nei quali è possibile derogare al principio di pubblicità delle udienze.

La regola della pubblicità delle udienze la cui violazione è sanzionata a pena di nullità è stata in un certo senso attenuata da quella giurisprudenza, secondo cui la nullità colpirebbe soltanto la mancata apertura al pubblico delle udienze e non anche il mancato svolgimento in udienza pubblica di un giudizio trattato con il rito camerale in assenza di deduzione di uno specifico pregiudizio al diritto di difesa derivante dalla omessa conversione del rito (Cons. St. IV, n. 2416/2014).

Segue. Domande soggette a riti diversi

Nel processo amministrativo qualora vengano proposte in giudizio domande soggette a riti diversi (nell'ambito del rito del silenzio ai fini dell'esecuzione, ma anche rivolte a differenti e più complesse questioni di merito), ai sensi dell'art. 32 deve applicarsi il procedimento previsto dal rito ordinario e non può seguirsi il rito speciale in camera di consiglio in quanto l'art. 87, comma 1, impone, a pena di nullità, la trattazione del processo in udienza pubblica. Ciò salvo che una delle domande sia soggetta al rito abbreviato ex art. 119 e 120, che in tale ipotesi deve intendersi prevalente ed estendersi alle altre Cons. St. V, n. 1058/2012; T.A.R. Sicilia (Catania) III, 22 dicembre 2016 n. 3346; T.A.R. Lazio (Roma) II 2 febbraio 2012 n. 1138; T.A.R. Lazio (Roma) II, 16 maggio 2011 n. 4216.

Nell'ipotesi di congiunta devoluzione al medesimo giudice di una impugnazione in ottemperanza e di un ricorso di legittimità, il giudice è tenuto a qualificare le domande prospettate, distinguendo quelle attinenti propriamente all'ottemperanza da quelle che invece hanno a che fare con il prosieguo dell'azione amministrativa (non incidenti sul giudicato), traendone le necessarie conseguenze quanto al rito e ai poteri decisori (Cons. St. IV n. 1236/2014; Cons. St. IV, n. 3259/2013; T.A.R. Lazio (Roma) I, 8 novembre 2013 n. 9528). In caso di proposizione cumulativa e collettiva di domande soggette a riti diversi, si pone per il giudice una questione di conversione del rito, da risolvere ai sensi dell'art. 32.

Al riguardo, l'eventuale violazione della disciplina del rito applicabile potrebbe assurgere a rilievo solo in caso di una conseguente lesione effettiva delle garanzie difensive causalmente incidente sull'esito del giudizio (Cons. St. VI, n. 5014/2013).

Tale orientamento non appare condivisibile perché potenzialmente idoneo ad attenuare il principio della pubblicità delle udienze, che – come detto – trova anche un indiretto riferimento in Costituzione.

In dottrina si rileva che l'erronea trattazione camerale dell'azione assoggettata al rito ordinario determina la nullità degli atti processuali e, in caso di appello, il giudice dovrà annullare con rinvio per carenza di contraddittorio (Caringella, Manuale, 493).

Orientamento confermato dalla giurisprudenza, che ha confermato che in caso di cumulo tra domanda di annullamento e domanda di ottemperanza deve essere seguito il rito della udienza pubblica; qualora ciò non accada la sentenza di primo grado è nulla ed il giudizio deve regredire in primo grado ex art. 105 c.p.a.; per far valere la nullità della sentenza è necessario tuttavia che venga proposto uno specifico mezzo di gravame ed ove ciò non accada il Consiglio di Stato deve giudicare previa conversione del rito (Cons. St. IV, n. 8446/2021).

Nel caso invece in cui, in luogo dell'applicazione del rito camerale, si procede con il rito ordinario, per espressa previsione di legge, non si determina alcuna nullità (art. 87, comma 4).

Procedimenti in camera di consiglio

I principi, anche costituzionali, relativi alle udienze pubbliche, descritti in precedenza, consentono che in alcuni procedimenti si segua il rito in camera di consiglio.

Il giudice delle leggi ha ribadito più volte la piena compatibilità costituzionale della opzione del legislatore processuale, giustificata da comprensibili esigenze di speditezza e semplificazione, per il rito camerale, tenuto conto che la previsione del rito camerale non è di per sé suscettiva di frustrare il diritto di difesa, in quanto l'esercizio di quest'ultimo può essere modulato dalla legge in relazione alle peculiari esigenze dei vari procedimenti purché ne vangano assicurati lo scopo e la funzione» (Corte cost. n. 103/1085; Corte cost. n. 35/2002; Corte cost. n. 170/2009).

Anche ai sensi dell' art. 6Cedu si prevede che, fermo restando il principio di pubblicità dell'udienza sia possibile adottare forme speciali a salvaguardia di interessi meritevoli di protezione («La sentenza deve essere resa pubblicamente, ma l'accesso alla sala d'udienza può essere vietato alla stampa e al pubblico durante tutto o parte del processo nell'interesse della morale, dell'ordine pubblico o della sicurezza nazionale in una società democratica, quando lo esigono gli interessi dei minori o la protezione della vita privata delle parti in causa, o, nella misura giudicata strettamente necessaria dal tribunale, quando in circostanze speciali la pubblicità possa portare pregiudizio agli interessi della giustizia»).

La Corte Edu ha riconosciuto che l'obbligo di tenere un'udienza pubblica non è assoluto e che l'articolo 6 non esige necessariamente lo svolgimento di una udienza in tutte le procedure, soprattutto nelle cause che non sollevano questioni di credibilità o non suscitano controversie su fatti che rendono necessario un confronto orale, e nell'ambito delle quali i giudici possono pronunciarsi in maniera equa e ragionevole sulla base delle conclusioni scritte delle parti e degli altri documenti contenuti nel fascicolo la presente causa (CorteEdudel 4 marzo 2014, Grande Stevense altri c. Italia che, con riferimento al caso di specie, ritiene violato l'articolo 6 § 1 della Convenzione per il fatto che la Corte d'Appello non avesse tenuto una udienza pubblica, orale e accessibile ai ricorrenti, considerata necessaria alla luce della presenza di: — una controversia sui fatti; — sanzioni che, al di là della loro gravità da un punto di vista economico, avevano un carattere infamante, potendo arrecare pregiudizio all'onorabilità professionale e al credito delle persone interessate).Nel processo amministrativo la trattazione in camera di consiglio avviene solo nei casi tassativamente previsti, che sono i giudizi cautelari e quelli relativi all'esecuzione delle misure cautelari collegiali, il giudizio in materia di silenzio (che includono l'eventuale domanda di indennizzo da ritardo ex art. 28, comma 4, d.l. n. 69/2013, attratta anch'essa al rito camerale); il giudizio in materia di accesso ai documenti amministrativi e di violazione degli obblighi di trasparenza amministrativa, i giudizi di ottemperanza; i giudizi in opposizione ai decreti che pronunciano l'estinzione o l'improcedibilità del giudizio. Oltre ai casi appena citati, indicati all'art. 87, comma 2, si aggiungono altri casi previsti da specifiche disposizioni, quali: la correzione di errore materiale (art. 86); gli appelli avverso le ordinanze di sospensione del processo (art. 79), o contro i provvedimenti del giudice che hanno declinato la giurisdizione o competenza (art. 105); il procedimento di ricostituzione o rinnovazione atti mancanti ( art. 5, disp. att. c.p.a.); il giudizio per la pronuncia immediata sulla eccezione di incompetenza (art. 15, comma 3).

Nessuna novità rispetto a quanto in precedenza previsto, se non per l'espressa inclusione di tutti i giudizi di ottemperanza e, quindi, anche quelli aventi ad oggetto l'appello avverso le sentenze del T.A.R. sui ricorsi in ottemperanza; a conferma di ciò, l'art. 114 prevede che le disposizioni del titolo sul giudizio di ottemperanza si applicano anche alle impugnazioni avverso i provvedimenti giurisdizionali adottati dal giudice dell'ottemperanza.

Quindi, anche in appello va seguito il procedimento in camera di consiglio, tranne nel caso di sentenze, che hanno pronunciato anche sulla connessa domanda di risarcimento del danno, essendo in questo caso espressamente prevista la trattazione in pubblica udienza (art. 112, comma 4).

A seguito della soppressione del comma 4 dell'art. 112, secondo cui, in caso di proposizione, in sede di giudizio di ottemperanza, di connessa domanda risarcitoriaex art. 30, comma 5, l'intero giudizio si sarebbe svolto «nelle forme, nei modi e nei termini del processo ordinario», la circostanza che nel giudizio è stata proposta anche una domanda risarcitoria non comporta l'applicazione dell'art. 32 e il conseguente passaggio al rito ordinario (Cons. St. VI, n. 5460/2016).

Nel caso in cui non vi siano disposizioni espresse disciplinanti il rito applicabile ad una determinata questione (è il caso della fase della liquidazione del compenso agli ausiliari del giudice amministrativo), trova applicazione la disciplina generale di cui all'art. 87 e il principio di pubblicità ivi contenuto, ciò anche in ossequio all' art. 6 Cedu, in relazione all' art. 111, comma 1, Cost., in forza della quale per potersi derogare alla garanzia dell'udienza pubblica occorre il consenso delle parti, o la presenza di eccezionali circostanze (ad es., tutela della salute e della sicurezza pubblica, della incolumità e riservatezza delle parti, ovvero questioni caratterizzate da un forte tecnicismo che possono essere definite in modo soddisfacente in base al solo fascicolo). Cons. St.V, n. 401/2014.

Si segnala infine una ipotesi di udienza camerale «senza rito camerale», nella definizione del giudizio in camera di consiglio ai sensi dell'art. 71-bis. Si tratta infatti di una possibilità rimessa al giudice che non incide sui termini processuali (De Nictolis, Proc. amm., 1089)

Alla camera di consiglio sono presenti solo i difensori delle parti (che ne fanno richiesta), a differenza della pubblica udienza in cui sono ammessi anche le parti e i terzi.

Per le udienze di smaltimento dell’arretrato relative al raggiungimento degli obiettivi del PNRR v. anche il commento all’art. 17 del d.l. n. 80/2021.

Procedimento in camera di consiglio e udienze straordinarie per lo smaltimento dell’arretrato

Con il comma 4-bis, dell'art. 87, aggiunto dall'articolo 17, comma 7, lettera a) punto 6) del D.L. 9 giugno 2021, n. 80, convertito con modificazioni dalla Legge 6 agosto 2021, n. 113, è stato previsto che le udienze straordinarie dedicate allo smaltimento dell'arretrato sono svolte in camera di consiglio da remoto.

Si introduce così a regime una modalità dello svolgimento delle udienze, da remoto, prevista in via temporanea ed eccezionale durante l'emergenza COVID-19.

Per l'attuazione dei progetti di smaltimento dell'arretrato, inclusi nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR; v. il d.l. n. 77/2021), l'art. 17, del citato d.l. n. 80/2021 ha previsto che siano programmate udienze straordinarie di smaltimento dell'arretrato in numero necessario e sufficiente per assicurare il raggiungimento degli obiettivi del PNRR.

Con la modifica all'art. 87 (nuovo comma 4-bis) è stato prevista la trattazione di tali cause in camera di consiglio e da remoto. Sul processo da remoto v. i commenti relativi al processo amministrativo durante l' emergenza COVID di seguito riportati e il commento all'art. 13-ter delle norme di attuazione al c.p.a..

Con il comma 4-bis è stato anche prevista l'inapplicabilità a tali controversie inserite nei progetti di smaltimento dell'arretrato delle regole processuali previste dal comma 3 dello stesso art. 87 (dimezzamento dei termini e termine di fissazione della camera di consiglio).

Il dimezzamento dei termini

Con riguardo al rito camerale, la novità di maggiore rilievo è costituita dalla espressa previsione di termini del giudizio, modellati sul rito ordinario con riduzioni.

Va subito detto che tale disciplina riguarda tutti i giudizi trattati in camera di consiglio, tranne quelli cautelari, che sono regolati in modo autonomo con propri termini.

Per tutti gli altri giudizi, trattati in camera di consiglio, si applicano i termini del giudizio ordinario ridotti alla metà e dalla riduzione, analogamente con quanto previsto per il rito abbreviato, sono esclusi i termini per la notificazione del ricorso introduttivo, del ricorso incidentale e dei motivi aggiunti.

Di conseguenza, anche per il rito camerale si applica il nuovo sistema di produzioni di memorie e documenti prima dell'udienza e con possibilità di note di replica; in precedenza il giudizio camerale era stato trattato, in analogia con il rito cautelare, senza termini per le produzioni di parte, consentite fino alla stessa camera di consiglio.

Minoritaria è la tesi della non ammissibilità nei procedimenti in camera di consiglio della produzioni di ulteriori memorie e repliche essendo queste previste solo per le udienze dall'art. 73 (Casetta, Manuale, 891).

I termini (dimezzati) per la produzione di documenti e memorie sono anticipati rispettivamente a 20 giorni liberi e a 15 giorni liberi prima dell'udienza in modo che le memorie tengano conto dei documenti prodotti dalle controparti; il contraddittorio è poi assicurato con l'introduzione di un termine di replica dopo le prime memorie per note che possono essere prodotte fino a 10 giorni liberi prima dell'udienza.

Si ricorda che, quando il termine è fissato in giorni liberi prima dell'udienza, tra il giorno del deposito e il giorno dell'udienza devono esservi il numero di giorni indicato come termine senza contare né il giorno del deposito né il giorno dell'udienza. Se il termine calcolato in giorni liberi a ritroso scade nella giornata del sabato, non vi anticipazione al venerdì, restando la scadenza fissata il sabato e ciò di giustifica con il fatto che per i termini a ritroso il computo del sabato come festivo avrebbe ridotto, e non aumentato, il tempo a disposizione per i difensori delle parti (v. sub art. 73).

Ai sensi dell'art. 87 comma 3, che stabilisce per tutti i giudizi trattati in camera di consiglio, diversi dal cautelare, l'applicazione dei termini del processo ordinario dimezzati e fissa in tal modo per le controversie in materia di accesso i termini di 20, 15 e 10 giorni liberi prima della camera di consiglio, rispettivamente per il deposito di documenti, memorie e repliche deve ritenersi inibito al giudice di prendere in considerazione la memoria depositata da una delle parti in causa dopo la scadenza del termine per essa fissato (Cons. St. V, n. 942/2011).

Anche il termine di costituzione delle parti intimate, stabilito dall'art. 46, è soggetto nel rito dell'ottemperanza alla dimidiazione di cui all'art. 87 comma 3; si tratta di un termine che non ha carattere perentorio, essendo ammissibile la costituzione della parte sino all'udienza di discussione del ricorso.

Il termine di costituzione (dimezzato) è di trenta giorni dal perfezionamento nei propri confronti della notificazione del ricorso e, quindi, la camera di consiglio andrà fissata alla prima data utile decorsi sessanta giorni dalla notificazione del ricorso.

È, infatti, espressamente previsto che la camera di consiglio sia fissata d'ufficio alla prima udienza utile successiva al trentesimo giorno decorrente dalla scadenza del termine di costituzione delle parti intimate.

È inoltre soggetto a dimidiazione, ai sensi dell'art. 87, comma 3, anche il termine per il deposito del ricorso, che deve avvenire entro 15 giorni dalla materiale notifica del ricorso per l'ottemperanza al giudicato, pena l'irricevibilità dello stesso quando, come nella specie, tale termine non è stato rispettato (T.A.R. Lazio (Roma) I, n. 8178/2015, che peraltro non ritiene sussistenti gli estremi per il riconoscimento dell'errore scusabile atteso che la norma sui termini, ormai da tempo entrata in vigore, è chiara, semplice e di univoca).

Ai sensi dell'art. 87 comma 5, che disciplina i ricorsi che si trattano in camera di consiglio, tra i quali è compreso anche il ricorso in materia di accesso agli atti della Pubblica amministrazione, non sussiste alcun obbligo per la segreteria del giudice adito di comunicare alle parti l'avviso contenente l'indicazione della camera di consiglio fissata a norma dell'art. 87, comma 5, per la trattazione della causa, ma spetta al difensore dell'interessato (o alla parte se agisce personalmente) individuare la camera di consiglio fissata per la trattazione della causa, tenendo presente che il calendario delle udienze è fissato con cadenza annuale ai sensi dell'art. 9 all. 2, ed è reso pubblico, per cui tale verifica non risulta difficoltosa (Cons. St. V, n. 3079/2012).

Nel caso di costituzione tardiva, la parte incorre nelle preclusioni e nelle decadenze dalle facoltà processuali di deposito di memorie, documenti e repliche ove siano decorsi i termini di cui al precedente art. 73 comma 1, dimidiato nel rito dell'ottemperanza, sì che la costituzione è in tal caso ammessa nei limiti delle difese orali dovendo, per converso, essere stralciati dagli atti del giudizio le memorie ed i documenti depositati tardivamente, dei quali non si tiene conto ai fini del decidere; al tempo stesso le conseguenze del mancato stralcio dagli atti del giudizio, da parte del giudice di primo grado, di quelli oggetto di deposito tardivo non possono che determinare, una volta che egli li abbia più o meno espressamente utilizzati e posti a base della sua decisione, violazione del diritto di difesa e dell'ineludibile principio del contraddittorio con conseguente annullamento della sentenza e rinvio al giudice di primo grado (Cons. St. III, n. 1038/2016; Cons. St. n. 1340/2015).

Prima del primo correttivo al Codice si era posto il problema di stabilire se l'eccezione alla riduzione dei termini riguardasse anche ricorso principale, ricorso incidentale e motivi aggiunti in appello; a favore del non dimezzamento dei termini vi era la differente formulazione dell'art. 119, comma 2, che, per il rito abbreviato, limitava espressamente l'eccezione al dimezzamento ai termini dei giudizi di primo grado per la notificazione del ricorso introduttivo, del ricorso incidentale e dei motivi aggiunti.

Vi era inoltre la necessità di coordinare l'art. 87 con il rito speciale in materia di accesso.

Infatti, l'art. 87 detta le regole processuali comuni ai riti in camera di consiglio, fissando la regola del dimezzamento di tutti i termini processuali, salvo che per gli atti che propongono domande in primo grado e in appello (ricorso principale, incidentale e motivi aggiunti).

La previsione comportava, quindi, due ordini di problemi.

Quanto al rito dell'accesso, nel quale è previsto un termine di trenta giorni per il ricorso principale (art. 116 comma 1), si creava una disarmonia in virtù del «combinato disposto» degli artt. 116 e 87, perché per il ricorso incidentale e i motivi aggiunti il termine è quello di sessanta giorni in virtù dell'art. 87, non essendo previsto un termine breve nell'art. 116. Ne conseguiva, in maniera contraddittoria, che il ricorso in materia di accesso soggiaceva a termini più brevi rispetto al ricorso incidentale e ai motivi aggiunti.

Inoltre, quanto all'appello in materia di accesso, prima del c.p.a. era previsto il termine di trenta giorni, in analogia al ricorso di primo grado.

I primi interpreti del c.p.a. sembravano dare per scontato che anche in base al c.p.a. il termine per l'appello nel rito dell'accesso fosse trenta giorni (in tal senso vedi il prontuario dei termini pubblicato sul sito della giustizia amministrativa).

Tale conclusione non era affatto sicura, ove si consideri che: a) l'art. 87, comma 3, pacificamente sottrae al dimezzamento dei termini gli atti introduttivi non solo in primo grado ma anche nei giudizi di impugnazione (si confronti la diversa formulazione dell'art. 87, comma 3 e dell'art. 119, comma 2); b) l'art. 116, comma 1, àncora il termine di 30 giorni per il ricorso di primo grado in materia di accesso a puntuali decorrenze non estensibili in appello; c) l'art. 116, comma 5, estende ai giudizi di impugnazione le disposizioni sul rito in primo grado nell'accesso.

Dalla combinazione di tali norme non si evinceva con certezza che il termine breve per l'appello nel rito dell'accesso fosse trenta giorni, e comunque, anche arrivando a tale conclusione, restava il problema che non sarebbe dimezzato il termine lungo per l'appello, né il termine per appello incidentale e eventuali motivi aggiunti in appello.

Il primo correttivo ( d.lgs. 15 novembre 2011, n. 195) ha ricondotto a sistema i termini del rito camerale in appello e del rito in materia di accesso, stabilendo che:

a) si dimezzano i termini dei giudizi di impugnazione in tutti i riti camerali;

b) nel rito accesso si dimezzano anche i termini di ricorso incidentale e motivi aggiunti in primo grado. Gli altri termini sono, come già detto, ridotti alla metà e, di conseguenza, la nomina del relatore deve avvenire quindici giorni prima dell'udienza ed è consentita la produzione di documenti fino a venti giorni liberi prima della camera di consiglio, la produzione di memorie fino a quindici giorni liberi prima d della camera di consiglio e di repliche scritte fino a dieci giorni liberi prima della camera di consiglio.

Prima della modifica legislativa operata dal d.lgs. n. 195/2011 sull'art. 87, comma 3 che ha specificato che il dimezzamento dei termini processuali per i procedimenti in camera di consiglio opera esclusivamente per gli atti relativi ai giudizi di primo grado, deve ritenersi che la notificazione dell'atto di appello, oltre il termine di tre mesi dalla pubblicazione della sentenza che ha declinato la giurisdizione, non può essere considerato tardiva in quanto deve ritenersi che, prima dell'adozione di tale decreto legislativo, si era in presenza di quelle «oggettive ragioni di incertezza su questioni di diritto» che integrano gli estremi dell'errore scusabile ai sensi dell'art. 37 (Cons. St. VI, n. 1574/2012).

Ai sensi dell'art. 87 comma 3, nel testo modificato dall' art. 1 comma 1 lett. s), d.lgs. n. 195/2011, anche nel rito dell'ottemperanza, l'eccezione alla regola generale del dimezzamento dei termini processuali è circoscritta al solo giudizio di primo grado e vale solo per il ricorso introduttivo, quello incidentale, e per i motivi aggiunti. Cons. St. III, n. 5021/2012. Di conseguenza, ai sensi del combinato disposto degli artt. 92 comma 3 e 87 comma 3, la notifica dell'appello di una sentenza resa su un giudizio di ottemperanza, in quanto procedimento che segue il rito della camera di consiglio, è assoggettata ai termini ordinari dimezzati, la cui inosservanza comporta la sua irricevibilità Cons. St. V, n. 1403/2015).

Non è soggetto, invece, a dimezzamento dei termini il ricorso per Cassazione avverso una sentenza emessa dal Consiglio di Stato all'esito di un procedimento in camera di consiglio; infatti, il ricorso per Cassazione è soggetto al termine di impugnazione ordinario ex art. 325 c.p.c., non potendo in tal caso trovare applicazione il dimezzamento dei termini processuali previsto dall'art. 87 dettato per il solo processo amministrativo (Cass.S.U.,n. 15286/2016).

Il rito del silenzio inadempimento, di cui all'art. 117 è un rito in camera di consiglio cui si applica l'art. 87 comma 3, per il quale sono dimezzati tutti i termini processuali, tranne quelli per la notificazione del ricorso principale, di quello incidentale e dei motivi aggiunti. È, pertanto, dimezzato il termine ordinario di deposito del ricorso, di cui all'art. 45 comma 1, da intendersi ridotto da trenta a quindici giorni, e decorrente dal momento in cui l'ultima notificazione dell'atto processuale si è perfezionata anche per il destinatario (Cons. St. VI, n. 919/2011).

L'appello avverso sentenza che declina la giurisdizione va deciso con sentenza in esito a rito camerale, in applicazione degli art. 105 comma 2, e 87 comma 3 (Cons. St. VI, n. 787/2011; Cons. St. V, n. 3262/2016. Ciò comporta che il termine per il ricorso è dimezzato e che il termine del deposito del ricorso in appello è di 15 giorni a pena di irricevibilità (Cons. St. III, n. 3379/2015).

Di conseguenza, la disciplina del procedimento seguita in primo grado non vincola anche quella del grado d'appello, tenuto conto della presenza di discipline differenziate tra il primo e secondo grado.

Nei procedimenti già assoggettati a rito abbreviato non è possibile la doppia dimidiazione (cumulo delle dimidiazioni disposte da disposizioni volte a disciplinare fenomeni processuali distinti), in quanto il dimezzamento dei termini previsto dal comma 3 dell'art. 87 per ciò che riguarda il c.d. “rito camerale” e quello del comma 2 dell'articolo 119 per ciò che riguarda il c.d. “rito appalti” riferiscono, sia pure con formulazioni lievemente diverse, il dimezzamento dei termini a quelli propri del «processo ordinario»; il che rappresenta un ostacolo evidentemente insormontabile rispetto alla possibilità di applicare il dimezzamento (non già al termine ordinario, come espressamente disposto dal legislatore, bensì) a un termine già di per sé dimidiato (Cons. St. V, n. 108/2017, in relazione all'appello di una sentenza che in materia di appalti aveva declinato la giurisdizione).

Bibliografia

Caianiello, Udienza, in Enc. giur., V, Roma, 1988; Fares, Articolo 87, in Quaranta, Lopilato (a cura di), Il processo amministrativo. Commentario al D.lgs. 104/2010, Milano, 2011, 653 ss.; Menchini-Renzi, Udienza, in Morbidelli (a cura di), Codice della giustizia amministrativa, Milano, 2015, 854 ss; Laschena-Pajno, Trasparenza e riservatezza nel processo amministrativo, in Dir. proc. amm., 1990, 5; Scoca, Considerazioni sul nuovo processo amministrativo, in giustamm.it (2/2011).

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