Decreto legislativo - 2/07/2010 - n. 104 art. 41 - Notificazione del ricorso e suoi destinatariNotificazione del ricorso e suoi destinatari
1. Le domande si introducono con ricorso al tribunale amministrativo regionale competente. 2. Qualora sia proposta azione di annullamento il ricorso deve essere notificato, a pena di decadenza, alla pubblica amministrazione che ha emesso l'atto impugnato e ad almeno uno dei controinteressati che sia individuato nell'atto stesso entro il termine previsto dalla legge, decorrente dalla notificazione, comunicazione o piena conoscenza, ovvero, per gli atti di cui non sia richiesta la notificazione individuale, dal giorno in cui sia scaduto il termine della pubblicazione se questa sia prevista dalla legge o in base alla legge. Qualora sia proposta azione di condanna, anche in via autonoma, il ricorso è notificato altresì agli eventuali beneficiari dell'atto illegittimo, ai sensi dell'articolo 102 del codice di procedura civile; altrimenti il giudice provvede ai sensi dell'articolo 49. 3. La notificazione dei ricorsi nei confronti delle amministrazioni dello Stato è effettuata secondo le norme vigenti per la difesa in giudizio delle stesse. 4. Quando la notificazione del ricorso nei modi ordinari sia particolarmente difficile per il numero delle persone da chiamare in giudizio il presidente del tribunale o della sezione cui è assegnato il ricorso può disporre, su richiesta di parte, che la notificazione sia effettuata per pubblici proclami prescrivendone le modalità. 5. Il termine per la notificazione del ricorso è aumentato di trenta giorni, se le parti o alcune di esse risiedono in altro Stato d'Europa, o di novanta giorni se risiedono fuori d'Europa. Note operative
N.B. Il termine per la notificazione del ricorso è aumentato di trenta giorni, se alcune delle parti risiedono in altro Stato d'Europa e di sessanta giorni, in caso risiedono fuori d'Europa. Con riferimento ai termini del deposito, v. note operative sub art. 45 Con riferimento al ricorso nel rito elettorale, v. sub artt. 129-130; nel rito dell'accesso agli atti, v. sub art. 116. InquadramentoIl ricorso è la forma con cui si introducono le domande nel processo amministrativo. La norma in commento stabilisce, in caso di azione di annullamento e di azione di condanna, chi sono i destinatari della notificazione, introducendo una sostanziale unificazione del regime per la notificazione di tali atti. I termini per il ricorso di primo grado sono quelli stabiliti per le azioni che con tale ricorso si introducono (v. note operative al presente articolo). . L'art. 41, secondo comma, introduce inoltre la regola in base alla quale è litisconsorte necessario dell'azione risarcitoria autonoma il beneficiario dell'atto illegittimo (v. oltre). È anche previsto che in caso di notificazione per pubblici proclami, le modalità di effettuazione sono indicate dal giudice che la dispone. Notificazione del ricorso principaleL'art. 41 prevede che il ricorso sia il veicolo attraverso cui introdurre ogni domanda nel processo amministrativo (v. art. 40) e contiene la disciplina della notificazione del ricorso, ma non anche la fissazione dei termini per la notificazione in quanto si applicano i termini stabiliti dallo stesso Codice per le varie azioni. In estrema sintesi (e rinviando al commento delle disposizioni citate), il termine per ricorrere è pari a: a) sessanta giorni per l'azione di annullamentoex art. 29 (ridotti a trenta in materia di appalti ex art. 120); b) centoventi giorni per l'azione di risarcimento di danni causati a posizioni di interesse legittimo ex art. 30 (vale il termine di prescrizione per il risarcimento dei danni causati a posizioni di diritto soggettivo); c) centottanta giorni per la domanda volta all'accertamento delle nullità previste dalla legge, ex art. 31, comma 4; d) un anno dal termine di conclusione del procedimento per l'azione avverso il silenzioex art. 31; e) trenta giorni in materia di accesso ex art. 116. Esistono termini diversi per particolari tipologie di controversie, come previsto, ad esempio, per il giudizio elettorale (v. commento sub artt. 126-132). In caso di residenza fuori dall'Italia di una delle parti scatta una proroga legale del termine di trenta giorni se le parti, o alcune di esse, risiedono in altro Stato dell'Europa, o di novanta giorni se risiedono fuori d'Europa (art. 41, comma 5). L'aumento di trenta giorni del termine per impugnare non è applicabile alle controversie soggette ad un termine legale accelerato per l'impugnazione degli atti di gara (come nel caso di affidamento di pubblici appalti) che non tollera deroghe ed è destinato a prevalere sulla disciplina generale dei termini processuali (Cons. St. IV, n. 1896/2015, che afferma ciò argomentando in base al rapporto di specialità tra l'art. 120 comma 5, nonché al fatto che la normativa sulla contrattualistica pubblica assicura, anche nei confronti dei concorrenti che hanno sede all'estero, l'immediata ed esaustiva conoscenza delle decisioni assunte dalla stazione appaltante) Ovviamente il dies a quo di decorrenza del termine cambia a seconda del tipo di azione esercitata (v. note operative al presente articolo). Decorrenza del termine per l'azione di annullamentoPer l'azione di annullamento, il termine per ricorrere decorre dal giorno in cui l'interessato abbia ricevuto la notifica o la comunicazione del provvedimento, o ne abbia comunque avuta piena conoscenza, o, per gli atti di cui non sia richiesta la notifica individuale, dal giorno in cui sia scaduto il termine della pubblicazione, se questa sia prevista dalla legge o in base alla legge. Il termine per impugnare un provvedimento amministrativo decorre, quindi, o dalla notifica dell'atto o dalla scadenza del termine di pubblicazione o dalla piena conoscenza comunque acquisita. In particolare: — per i soggetti direttamente interessati dagli effetti dell'atto, il termine decorre dal giorno in cui ha avuto luogo la notifica del provvedimento; — per i soggetti non direttamente contemplati (e non individuabili come diretti destinatari degli effetti dell'atto), il termine decorre dal giorno di scadenza del periodo di pubblicazione se questa sia prevista dalla legge o in base alla legge; — in ogni caso, anche se non vi è ancora stata pubblicazione o notificazione, la piena conoscenza dell'atto fa decorrere i termini per impugnare. La pubblicazione dell'atto, come criterio di individuazione del termine di proposizione del ricorso, non è sostitutivo degli altri criteri previsti dalla legge (notificazione e piena conoscenza), ma, laddove non sia richiesta diretta notifica, non essendo il destinatario contemplato nel provvedimento, vale ad individuare un termine e viene incontro ad esigenze di certezza e stabilità dell'azione amministrativa. La nozione di “atti per i quali non sia prevista la notificazione individuale” si ricava, infatti, attraverso un procedimento di “sottrazione”, dall'art. 21-bis della legge della legge 7 agosto 1990, n. 241, ai sensi del quale la comunicazione o notificazione individuale è prevista, come condizione di efficacia dell'atto, solo per i provvedimento limitativi della sfera giuridica dei privati. Tutti gli altri provvedimenti, in particolare, come nel caso di specie, quelli individuali con effetti ampliativi della sfera giuridica del privato, acquistano efficacia anche a prescindere dalla comunicazione o notificazione individuale, che per essi non è prevista. Ne consegue che, per i terzi controinteressati il termine per impugnare inizia a decorrere, anche se non c'è stata la piena conoscenza, dalla fine del periodo di pubblicazione stabilita dalla legge o sulla base della legge, così come prescrive in generale l' art. 41, comma 2, c.p.a. (Cons. St., V., n. 1978/2017). L'art. 41 ha ribadito la regola, già contenuta nell' art. 21 l. n. 1034/1971, che stabiliva che l'ultimo giorno della pubblicazione costituisce il dies a quo del termine per impugnare nei soli casi in cui non sia richiesta la notifica individuale. Tale pubblicazione all'albo degli uffici della p.a. o all'albo pretorio, tuttavia, è valida — come presupposto di conoscenza ai fini dell'impugnazione in sede giurisdizionale — solo quando sia espressamente stabilita da una norma e venga inoltre effettuata nei modi da questa prescritti; pertanto, quando tali modalità non vengano rispettate, il termine per impugnare prende avvio dalla data di notifica individuale del provvedimento o dall'effettiva conoscenza. Con riferimento alla pubblicazione telematica di un atto quale modalità idonea a integrare il requisito della piena conoscenza – opponibile erga omnes e idoneo a far decorrere il termine decadenziale di impugnazione –, si è di recente chiarito come tale effetto debba necessariamente poggiare su una specifica disciplina di legge. Conseguentemente, la pubblicazione sul sito istituzionale on line dell’ente che adotta l’atto, in mancanza di una disposizione normativa che attribuisca valore ufficiale a tale forma di ostensione, non può fondare alcuna presunzione legale di conoscenza (Cons. St., III, n. 5570/2018). Il termine per l'impugnazione di un atto amministrativo comincia a decorrere dalla scadenza del periodo previsto per la sua pubblicazione a condizione che quest'ultima «sia prevista dalla legge o in base alla legge» ( art. 41, comma 2, c.p.a.) (Cons. St. V, n. 1978/2017). È evidente, quindi, che la pubblicazione dell'atto fa scattare il termine d'impugnazione solo ove effettuata conformemente alla disciplina applicabile al procedimento nel quale l'atto da impugnare si inserisce ( T.A.R.Sardegna, I 27 maggio 2016 n. 461). Nei casi di impugnazione di provvedimenti per i quali è richiesta la pubblicazione in albi, o altri strumenti idonei a integrare forme di conoscenza legale del contenuto dell'atto, è consolidato l'indirizzo per cui il decorso del termine di pubblicazione costituisce il momento iniziale per la proposizione del ricorso giurisdizionale esclusivamente per i soggetti che non siano contemplati dal provvedimento e quindi non destinatari degli effetti dell'atto in questione. Mentre, per i soggetti direttamente indicati dall'atto, vale il principio che subordina la conoscenza del provvedimento alla prova della intervenuta piena conoscenza ( T.A.R.Sardegna I, 27 maggio 2015, n. 817). Nel caso di ricorso proposto avverso una delibera comunale pubblicata all'Albo pretorio, si ritiene che il termine per proporre ricorso decorre dalla scadenza, e non già dall'inizio del termine di pubblicazione stessa ( T.A.R.Piemonte I, n. 1069/2014) Il Codice non ha preso posizione sulla questione di quando possa ritenersi acquisita la piena conoscenza del provvedimento, nell'ipotesi in cui la motivazione dell'atto venga resa nota al destinatario in un momento successivo rispetto al contenuto della decisione. Secondo l'orientamento tradizionale si ha piena conoscenza dell'atto amministrativo, ai fini della decorrenza del termine per la sua impugnazione, quando il destinatario sia consapevole dell'esistenza dell'atto stesso, del suo contenuto essenziale e del suo effetto lesivo (e quindi degli aspetti che ne rendono evidente la immediata e concreta lesività per la sfera giuridica dell'interessato), fatta sempre salva la possibilità di proporre motivi aggiunti ove emergano successivi ulteriori profili d'illegittimità a seguito della cognizione integrale e materiale del contenuto del provvedimento. Cons. St. V, n. 2436/2000; Cons. St. VI, n. 5116/2007; Cons. St. VI, n. 2543/2007; T.A.R. Roma (Lazio) II 9 marzo 2017 n. 3332). A seguito dell'introduzione dell'obbligo dell'amministrazione di comunicare integralmente la motivazione dei provvedimenti amministrativi, disposto dall' art. 3, l. n. 241/1990, è stato sostenuto che il termine per l'impugnazione non può più decorrere dalla semplice conoscenza della lesività dell'atto, occorrendo anche la consapevolezza, attraverso la valutazione della motivazione, dei vizi da cui eventualmente l'atto è affetto. La decorrenza del termine di cui all' art. 21 della l. 1034/1971, ai fini della proposizione del ricorso giurisdizionale, non può identificarsi con il momento in cui l'interessato ha avuto la mera conoscenza di taluni elementi esteriori del provvedimento, esigendo tale norma piuttosto una conoscenza qualificata, che deve risultare accompagnata dall'ulteriore requisito della pienezza, dovendo estendersi la conoscenza stessa a tutti gli elementi dell'atto qualificabili come essenziali ed individuabili in relazione alla sua motivazione ( Cons.St. VI, n. 6029 /2007; Cons. St. IV, n. 258/1999; Cons. St. VI, n. 522/2007). Tuttavia, la prevalente giurisprudenza ha continuato ad affermare che la piena conoscenza dell'atto censurato si concretizza con la cognizione degli elementi essenziali quali l'autorità emanante, l'oggetto, il contenuto dispositivo ed il suo effetto lesivo, essendo tali elementi sufficienti a rendere il legittimato all'impugnativa consapevole dell'incidenza dell'atto nella sua sfera giuridica, avendo egli la concreta possibilità di rendersi conto della lesività del provvedimento, senza che sia necessaria la compiuta conoscenza della motivazione e degli atti del procedimento, che può rilevare solo ai fini della proposizione dei motivi aggiunti. È sufficiente ad integrare il concetto di piena conoscenza, la percezione dell'esistenza di un provvedimento amministrativo e degli aspetti che ne rendono evidente la lesività della sfera giuridica del potenziale ricorrente, in modo da rendere percepibile l'attualità dell'interesse ad agire contro di esso. Si distingue infatti, da un lato, la consapevolezza dell'esistenza del provvedimento e della sua lesività, che integrano la sussistenza di una condizione dell'azione, rimuovendo in tal modo ogni ostacolo all'impugnazione dell'atto; dall'altro, la conoscenza integrale del provvedimento o di altri atti del procedimento che, influisce invece sul contenuto del ricorso e sulla concreta definizione delle ragioni di impugnazione, e quindi sulla causa petendi. Tale ultima conoscenza integrale rileva ai fini della proposizione dei motivi aggiunti che, altrimenti, non avrebbero ragion d'essere. (Cons. St. IV, n. 65/2017; Cons. St. IV, n. 2974/2012; Cons. St. n. 925/2013; Cons.St. IV, n. 292/2010; T.A.R.Lazio (Roma) I, 16 luglio 2020, n. 8218 e 19 gennaio 2015 n. 774). In applicazione di tali principi, nel caso di titoli edificatori, si è ritenuto che ai fini del rispetto del termine decadenziale per la proposizione del ricorso di cui all'art. 40, non si dovesse far riferimento al momento della piena conoscenza della destinazione abitativa dell'immobile, ma alla sufficiente conoscenza della lesività degli atti impugnati da parte del ricorrente, circostanza che i giudici hanno ritenuto ampiamente desumibile dall'inizio dei lavori e comunque dall'ultimazione delle opere poi oggetto di sanatoria. In caso di impugnativa proposta avvero alcuni permessi di costruire, non è necessaria, ai fini del computo del termine iniziale per l'impugnazione, la conoscenza integrale del provvedimento, ma deve ritenersi sufficiente quella degli elementi essenziali dello stesso e comunque del suo effetto lesivo. Se infatti il termine per impugnare il permesso di costruzione deve ritenersi decorrente dalla piena conoscenza del provvedimento, il completamento dei lavori ben può essere considerato indizio idoneo a far presumere la data della piena conoscenza del titolo edilizio (Cons. St. IV, n. 5336/2016). In tale prospettiva, l'onere di tempestiva impugnativa deve rapportarsi alla conoscenza reale o presunta dell'esistenza e dell'entità delle violazioni urbanistiche, la quale può essere ricondotta alla realizzazione del manufatto, cioè al momento in cui sia materialmente apprezzabile la reale portata dell'intervento in precedenza assentito (cfr. Cons. St. II, n. 5999/2019; Cons. St., IV, n. 8705/2010). Nel corso dei lavori della Commissione speciale istituita presso il Consiglio di Stato era stato ipotizzato di codificare tale principio, inserendo un comma così formulato: «La piena conoscenza di cui al comma 1 si intende acquisita quando l'interessato ha notizia certa dell'esistenza dell'atto e della sua lesività nei propri confronti. La successiva conoscenza di elementi ulteriori e della motivazione dell'atto consente la proposizione di motivi aggiunti.» La scelta è stata poi quella di non prendere posizione sul punto lasciando la questione all'evoluzione della giurisprudenza (Chieppa, Il processo amministrativo, 342). Proprio per le conseguenze che comporta, in termini di decorrenza del termine di impugnazione, la verifica del requisito della piena conoscenza deve essere condotta in maniera «estremamente cauta e rigorosa» (Cons. St., III, n. 5151/2020). Si è pertanto escluso che la verifica dell'avvenuta piena conoscenza possa fondarsi su mere supposizioni o deduzioni, dovendo piuttosto essere condotta sulla base di incontrovertibili elementi oggettivi (ciò sia nel caso d'ufficio il giudice verifiche eventuali situazioni di irricevibilità, sia se a ciò è indotta da una eccezione di parte) (Cons. St. IV, n. 2974/2012). Nei casi in cui sia la parte che eccepisce la tardività dell'impugnazione rispetto alla conoscenza, questa sarà tenuta a fornire la prova in modo rigoroso della conoscenza dell'atto (trattandosi di un fatto impeditivo ex art. 2697, comma 2, c.c.), in ragione della esigenza di non vanificare in modo irragionevole il diritto di azione nei confronti dei provvedimenti dell'Amministrazione riconosciuto dal combinato disposto degli artt. 24 e 113 Cost. (Cons. St. V, n. 424/2016; T.A.R.Campania (Napoli) IV, 1 settembre 2016, n. 4142). La perentorietà del termine decadenziale e la irrilevanza della conoscenza – intervenuta successivamente al suo spirare - circa l'illegittimità dell'atto è stata da ultimo ribadita daCons. St., Ad. plen., n. 11/2017, che ha escluso che il sopravvenuto annullamento giurisdizionale di un atto amministrativo possa giovare ai cointeressati che non abbiano tempestivamente proposto il gravame. Per tali soggetti si è infatti verificata una situazione di inoppugnabilità, con conseguente “esaurimento” del relativo rapporto giuridico, a nulla valendo , per far decorrere il termine per impugnare l'atto amministrativo, il riconoscimento in sede giurisdizionale della fondatezza della pretesa vantata da soggetti in posizione analoga (ad eccezione dell'ipotesi di atti plurimi con effetti inscindibili). Segue. Il termine di impugnazione degli atti di garaNel caso di procedure di affidamento di contratti pubblici, valgono, come sopra detto, termini specifici, disciplinati dagli artt. 119 e 120 (al cui commento si rinvia). Per quel che qui interessa, nel caso di impugnazione di bandi di gara e di concorso — trattandosi di atti amministrativi (sia pure generali) e non di atti normativi – si ritiene che valgano le regole del provvedimento amministrativo, che impongono al partecipante che si ritiene leso da una prescrizione del bando di gara, di impugnarla entro il termine di decadenza. In tali casi, occorre tuttavia individuare il termine di decorrenza del dies a quo, stabilendo se l'atto generale possa essere immediatamente impugnato, ovvero se occorra attendere l'atto applicativo (v., sul punto, anche il par. “Interesse a ricorrere”, sub art. 40). Infatti, è dubbio se gli atti amministrativi a carattere generale, destinati alla cura concreta di interessi pubblici, con effetti nei confronti di una pluralità di destinatari, non determinati, ma chiaramente determinabili, possano essere dotati di una lesività immediata anteriormente all'adozione degli atti applicativi — ossia prima che gli atti puntuali, che delle clausole degli atti generali fanno applicazione, identifichino in concreto i destinatari da essi effettivamente lesi nella loro situazione soggettiva. La regola invalsa in giurisprudenza è che i bandi di gara e di concorso vanno normalmente impugnati unitamente agli atti che di essi fanno applicazione, dal momento che sono questi ultimi ad identificare in concreto il soggetto leso dal provvedimento, ed a rendere attuale e concreta la lesione della situazione soggettiva dell'interessato (Cons. St., Ad. Plen. , n. 1/2003). Il partecipante alla procedura concorsuale non è ancora titolare di un interesse attuale all'impugnazione della clausola illegittima del bando di gara o del concorso. Manca infatti la conoscenza dell'effetto che l'astratta e potenziale illegittimità della predetta clausola potrà avere sulla sua partecipazione alla procedura concorsuale, e quindi se la stessa è idonea a determinare una effettiva lesione della situazione soggettiva. Si è d'altra parte osservato che, ove l'esito negativo della procedura concorsuale dovesse effettivamente verificarsi, l'atto che chiude tale procedura facendo applicazione della clausola o della disposizione del bando di gara o di concorso, non opererà nel senso di rinnovare (con l'atto applicativo) una lesione già effettivamente prodottasi, ma renderà concreta ed attuale (ed in questo senso, la provocherà per la prima volta) una lesione che solo astrattamente e potenzialmente si era manifestata, ma che non aveva ancora attitudine (per mancanza del provvedimento conclusivo del procedimento) a trasformarsi in una lesione concreta ed effettiva (Chieppa-Giovagnoli, Manuale, 98). Il termine per impugnare gli atti di concorso pubblico decorre dalla data in cui l'interessato ha notizia del risultato del concorso stesso, mediante la deliberazione con cui gli atti concorsuali vengono approvati, poiché tale deliberazione rende l'atto perfetto ed efficace e, quindi, idoneo a produrre una concreta lesione della sfera giuridica del candidato (Cons. St. IV., n. 65/2017). Con riguardo al provvedimento di aggiudicazione, in difetto di una sua comunicazione formale da parte della stazione appaltante, il concorrente/ricorrente deve aver acquisito piena contezza almeno del nominativo dell'aggiudicatario e del carattere definitivo dell'aggiudicazione, non essendo sufficienti a tal fine elementi indiziari come elemento indiziario, quale l'interruzione del rapporto di lavoro con gli autisti o la dismissione dei beni oggetto della precedente fornitura (Cons. St., III, n. 2079/ 2019; Cons. St.,V, n. 6251/2019). Se tale regola conserva validità generale, devono in ogni caso ritenersi immediatamente lesive, le clausole ad effetto escludente, ossia le clausole impeditive dell'ammissione dell'interessato alla selezione, nei cui riguardi sussiste, quindi, un onere di immediata impugnazione. In tale ipotesi la clausola del bando preclude infatti la stessa partecipazione dell'interessato alla procedura concorsuale, ed è pertanto idonea a generare una lesione immediata, diretta ed attuale, nella situazione soggettiva dell'interessato, ed a suscitare di conseguenza un interesse immediato all'impugnazione (Cons. St., Ad. Plen. , n. 1/2003). Alcuni esempi di clausole del bando che debbono essere oggetto di immediata impugnativa includono le clausole che prescrivono requisiti di ammissione o di partecipazione alle gare, dal momento che la loro asserita lesività non si manifesta e non opera per la prima volta con l'aggiudicazione, bensì nel momento anteriore nel quale tali requisiti sono stati assunti come regole per l'amministrazione. Anche per le clausole escludenti si può, tuttavia, escludere un onere di immediata impugnazione quando siano ambigue o polisense, suscettibili, cioè, di una pluralità di interpretazioni fra le quali vi è quella corrispondente all'interesse del partecipante. In questo caso, ciascun partecipante può ragionevolmente fare affidamento sul fatto che tra le varie interpretazioni possibili la P.A.. scelga quella non lesiva e, può, quindi, non impugnare immediatamente (Chieppa-Giovagnoli, Manuale, 100). L'orientamento tradizionale (che, come visto, ritiene che vi sia onere di immediata impugnazione solo nei confronti delle clausole c.d. escludenti) appare essere stato rimesso in discussione da un recente sviluppo giurisprudenziale. In particolare, con ordinanza della VI Sezione del Consiglio di Stato (Cons. St., VI, ord. n. 351/2011) è stata rimessa all'Adunanza Plenaria, tra le altre, anche la questione dell'onere di immediata impugnazione del bando di gara. A tal fine, l'ordinanza citata ha proposto un'interpretazione in base alla quale l'impresa che partecipa alla gara ha l'onere di impugnare immediatamente tutte le clausole del bando che reputa illegittime, siano o non siano escludenti. Secondo i giudici remittenti, tale soluzione si fonderebbe sul rispetto del principio di buona fede, di ovvia applicazione nelle trattative contrattuali fra privati e stranamente disatteso in rapporti che più degli altri lo esigerebbero e non sarebbe invece espressione di una logica sanzionatoria e formalistica. I giudici si richiamano in particolare alle trattative precontrattuali, e ai principi desumibili dall' art. 1337 c.c., e a quello contenuto nell' art. 1338 c.c. che rileverebbe in tale ambito, richiamando la responsabilità di chi, “conoscendo o dovendo conoscere l'esistenza di una causa di invalidità del contratto, non ne ha dato notizia all'altra parte”. Muovendo da tali canoni, il giudice ritiene che, “anche a non voler ricorrere a presunzioni di acquiescenza, sembra ovvio ritenere che quell'“affidamento”, così spesso invocato a danno della p.a., debba valere anche a favore di quest'ultima, nel momento in cui un soggetto chiede e sia ammesso a partecipare ad un procedimento sulla cui onerosità e complessità non è necessario ricordare”. La conseguente pronuncia della Adunanza Plenaria (sentenza n. 4 del 2011), non si è espressa su tale questione, ritenendola nel caso di specie assorbita dalla fondatezza del ricorso incidentale (e dalla conseguente improcedibilità del ricorso principale). La posizione appena richiamata appare essere stata, di fatto, ridimensionata da successive sentenze del giudice amministrativo in cui si è ribadito che l'onere d'immediata impugnazione del bando di gara pubblica è circoscritto al caso della contestazione di clausole escludenti, riguardanti requisiti di partecipazione, che siano ex se ostative all'ammissione dell'interessato o, al più, impositive, ai fini della partecipazione, di oneri manifestamente incomprensibili o del tutto sproporzionati per eccesso rispetto ai contenuti della procedura concorsuale, dovendo invece le rimanenti clausole essere ritenute lesive ed impugnate insieme con l'atto di approvazione della graduatoria definitiva, che definisce la procedura concorsuale ed identifica in concreto il soggetto leso dal provvedimento, rendendo attuale e concreta la lesione della situazione soggettiva; invero, a fronte di una clausola illegittima della lex specialis di gara, ma non impeditiva della partecipazione, il concorrente non è ancora titolare di un interesse attuale all'impugnazione, poiché non sa se l'astratta e potenziale illegittimità della predetta clausola si risolverà in un esito negativo della sua partecipazione alla procedura concorsuale, e quindi in una effettiva lesione della situazione soggettiva che solo da tale esito può derivare (Cons. St. IV, n. 4180/2016). L’Adunanza Plenaria, con decisione del 26 aprile 2018 (Cons. St. Ad. plen., n. 4/2018) ha ribadito il principio per cui, in mancanza di partecipazione alla gara, l’operatore non è legittimato a contestare le clausole di un bando di gara che non rivestano nei suoi confronti portata escludente, da intendersi come quelle che «quelle che con assoluta certezza gli precludano l’utile partecipazione». Queste dovranno essere necessariamente impugnate unitamente al provvedimento lesivo e possono essere impugnate unicamente dall’operatore economico che abbia partecipato alla gara o manifestato formalmente il proprio interesse alla procedura. Tale conclusione si poggia in particolare sulla considerazione che, avuto riguardo alla clausola del bando relativa al criterio di aggiudicazione (ma il ragionamento è riferibile a tutte quelle clausole priva di una immediata portata escludente, l’impresa difetti di un interesse ad agire, inteso nel senso di una lesione concreta ed attuale della propria sfera giuridica. Infatti, l’operatore del settore che non ha partecipato alla gara sarebbe portatore di un interesse di mero fatto alla caducazione dell’intera selezione (ciò al fine di poter presentare la propria offerta in ipotesi di una nuova gara), ma tale preteso interesse «strumentale» avrebbe consistenza meramente affermata, ed ipotetica e non sostanzierebbe quell’«interesse» differenziato necessario a sostenerne la legittimazione. Al fine di stabilire la ricorrenza della portata escludente della clausola, rileva la distinzione tra una mera non convenienza economica e la “oggettiva insostenibilità economica” delle condizioni del bando di gara, che non consentono all’oepratore di partecipare (Cons. St. V, n. 284/2021). Si è osservato che l'onere di immediata impugnazione delle clausole escludenti e il connesso divieto di disapplicare il bando è stato, peraltro, attenuato dall' art. 4, comma d.l. n. 70/2011 (convertito in legge n. 106/2011) che ha inserito nel corpo dell' art. 46 del previgente Codice dei contratti pubblici il nuovo comma 1-bis. Quest'ultimo ha, da un lato, sancito il principio di tassatività delle cause di esclusione (che possono essere solo quelle previste dalla legge o dal regolamento) e, dall'altro, previsto la “nullità” delle clausole del bando che, in violazione di tale principio, introducano cause di esclusione non previste da specifica norma. La disposizione precisa che in tal caso l'eventuale clausola escludente è nulla. Analoga previsione è stata inserita anche nel nuovo Codice dei contratti pubblici ( art. 83, comma 8, d.lgs. n. 50 del 2016) La previsione della sanzione di nullità dell'atto amministrativo applicata ai casi di clausole presenti nei bandi di gara e lettere invito che prevedano cause di esclusione non consentite, induce a ritenere tali clausole automaticamente inefficaci e vanno disapplicate, eventualmente anche dal seggio di gara, senza necessità di annullamento giurisdizionale (Chieppa-Giovagnoli, Manuale, 100). L'impostazione appena illustrata pone la questione circa il regime e i termini di impugnazione avverso tali clausole, atteso che in base all'art. 31, comma 4, la domanda volta all'accertamento delle nullità previste dalla legge si propone entro il termine di decadenza di centottanta giorni. Inoltre la nullità dell'atto può sempre essere opposta dalla parte resistente o essere rilevata d'ufficio dal giudice (v. commento sub art. 31). Segue. L'impugnazione avverso i provvedimenti di esclusione e di aggiudicazioneCon riguardo al dies a quo di decorrenza del termine per impugnare, rilevano talune previsioni introdotte nel rito in materia di appalti con riguardo alla impugnazione dell'aggiudicazione nonché degli atti di esclusione e ammissione ( v. amplius, il commento sub art. 120). Con riferimento a questi ultimi, i commi 2-bis e 6-bis dell' art. 120, aggiunti dal d.lgs. 8 aprile 2016, n. 50, hanno previsto un termine di 30 giorni, per l'impugnazione dei provvedimenti che determinano le esclusioni dalla procedura e le ammissioni alla stessa, decorrente dalla pubblicazione del provvedimento sul profilo del committente della stazione appaltante, e la rapida definizione del giudizio in camera di consiglio (che va celebrata entro 60 giorni dalla notifica). Successivamente, tali commi sono stati abrogati dall'art. 1, comma 22, lett. a), d.l. 18 aprile 2019, n. 32 (cd. “Decreto Sblocca cantieri”), convertito, con modificazioni, dalla legge 14 giugno 2019, n. 55 (in G.U. n. 140 del 17-06-2019). Ai sensi del successivo comma 23, le disposizioni introdotte dal comma 22 si applicano ai processi iniziati dopo la data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto. La prima giurisprudenza applicativa dei citati commi riteneva che l'omessa impugnazione nei termini indicati precludeva la facoltà di far valere l'illegittimità derivata dei successivi atti delle procedure di affidamento (anche con ricorso incidentale) (T.A.R. Napoli, (Campania), VIII, 2 febbraio 2017, n. 696). Con riguardo alla decorrenza del termine ridotto di trenta giorni, la giurisprudenza di merito sottolineato la specialità del rito in questione, evidenziando come la norma preveda espressamente il suo decorso dal momento della pubblicazione sul sito della stazione appaltante del provvedimento che formalizza la decisione di ammissione o esclusione dalla procedura, non rilevando l'eventuale conoscenza anteriore avuta dall'impresa di tale decisione, acquisita, ad esempio, dalla partecipazione del suo legale rappresentante alla seduta della Commissione di gara con cui si deliberava sulle istanze di partecipazione (T.A.R. Lazio (Roma) III-quater, 22 agosto 2017, n. 9379). La decisione appena richiamata si segnala anche per respingere l'istanza di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia delle Comunità Europee, ai sensi dell'art. 267 del Trattato, per contrasto delle disposizioni di cui all' art. 120, commi 2-bis e 6-bis c.p.a. con i principi di effettività della tutela di cui alla Direttiva 89/665/CE, nella parte in cui si prevede un rito c.d. “superaccelerato” per i giudizi di esclusione/ammissione che, nella sostanza, comporterebbe diverse ipotesi di aggravio processuale a carico delle parti, in pieno contrasto con il principio di miglioramento dell'efficacia delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di cui alla normativa europea. Respingendo la difesa di parte ricorrente che sottolineava come l'onere di proporre due distinti ricorso, il primo avverso le ammissioni ed il secondo avverso l'aggiudicazione, costituirebbe un evidente aggravio di natura processuale ed economica, il collegio richiama al riguardo l'orientamento giurisprudenziale secondo cui, anche in tali casi, sarebbe ben possibile ricorrere all'istituto dei motivi aggiunti, al fine di impugnare il successivo provvedimento di aggiudicazione (cfr. T.A.R. Campania (Napoli) VIII, 19 gennaio 2017, n. 434;T.A.R. Puglia (Bari) I, 7 dicembre 2016, n. 1367). (v. sul punto il commento sub art. 43). In difetto della formale comunicazione dell'atto di esclusione, e in mancanza di pubblicazione di un autonomo atto di esclusione sulla piattaforma telematica della stazione appaltante il termine decorre, comunque, dal momento dell'intervenuta piena conoscenza del provvedimento in questione. La piena conoscenza dell'atto di ammissione di un'impresa controinteressata, acquisita prima o in assenza della sua pubblicazione sul profilo telematico della stazione appaltante, può provenire da qualsiasi fonte ed è idonea a determinare la decorrenza del termine decadenziale per la proposizione del ricorso (T.A.R. Puglia (Bari), III, 15 ottobre 2018, n. 1297, che rileva come la disciplina di cui al comma 2-bis dell'art. 120 non implica l'inapplicabilità del generale principio sancito dall'art. 41, comma 2, e riaffermato nel comma 5, ultima parte, dello stesso art. 120). Le prime applicazioni di tale norma avevano permesso al g.a. di circoscrivere altresì l'ambito applicativo di tale onere di immediata impugnativa. Si era ad esempio precisato come il rito “superspeciale” per l'impugnativa degli atti di esclusione non fosse applicabile nel caso di provvedimenti di esclusione assunti nell'ultimo segmento procedimentale della gara di appalto — quello relativo alla verifica dei requisiti in capo all'impresa concorrente, individuata aggiudicataria in via provvisoria (T.A.R. Lazio (Roma,) I, 27 aprile 2017, n. 4946; T.A.R. Campania I, 20 febbraio 2017 n. 1020; Cons. St., Ad. Comm. Speciale, parere n. 855/2016). Analogamente, si era chiarito come il rito «superspeciale» fosse applicabile esclusivamente ai casi di censura dei provvedimenti di ammissione ed esclusione dalla gara in ragione del possesso (o mancato) dei requisiti soggettivi di ordine generale e di qualificazione per essa previsti (T.A.R. Campania (Napoli), IV, 30 marzo 2017, n. 1742). L’introduzione del rito “superspeciale” - e la prima prassi applicativa che ne è seguita - ha generato forti perplessità da parte della dottrina (che la riteneva incompatibile con il principio dell’interesse ad agire di cui all’art. 100 c.p.c.) e delle imprese, nei confronti delle quali la norma si traduceva in un onere ulteriore ed un aumento del contenzioso. L’assenza di reali benefici in termini di accelerazione delle procedure di affidamento dei contratti pubblici – come anche emerso nell’ambito della consultazione pubblica condotta dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti sulla disciplina degli appalti pubblici – ha condotto alla sua successiva abrogazione per effetto del d.l. 18 aprile 2019, n. 32 (cd. “Decreto Sblocca cantieri”), L’abrogazione si applica ai processi iniziati dopo il 18 giugno 2019 (dovendosi intendere al riguardo quelli in cui l’atto introduttivo sia notificato – e non notificato – successivamente a tale data (v. T.A.R. Calabria (Reggio Calabria), 13 maggio 2019, n. 324; più in generale, sui problemi di diritto transitorio, v. Lipari, 2019). A seguito della abrogazione, i vizi propri della fase della ammissione potranno farsi valere eventualmente nell’ambito del provvedimento di aggiudicazione, sul quale riverberano i relativi effettivi (come nel caso di ammissione illegittima di imprese concorrenti). Con riferimento al provvedimento di aggiudicazione, ai sensi del comma 5, dell'art. 120, il termine per proporre ricorso (anche incidentale e motivi aggiunti) di trenta giorni decorre dalla ricezione della comunicazione dell'aggiudicazione. Tale comunicazione deve essere accompagnata dal provvedimento e dalla relativa motivazione contenente almeno gli elementi essenziali della scelta compiuta, che sono le caratteristiche e i vantaggi dell'offerta selezionata e il nome dell'offerente cui è stato aggiudicato il contratto o delle parti dell'accordo quadro (cfr. art. 79 d.lgs. n. 163/2006, abrogato, e art. 76 d.lgs. n. 50/2016, oggi in vigore). La giurisprudenza comunitaria ha affermato che un candidato o un offerente, che sia venuto a conoscenza del rigetto della sua candidatura o della sua offerta, non è posto in condizione di proporre ricorso in modo efficace, quando le informazioni ricevute sono insufficienti per permettere al candidato o all'offerente di scoprire l'eventuale esistenza di un'illegittimità impugnabile con ricorso (Corte giustizia UE, 28 gennaio 2010, C-406/08, Uniplex). A livello nazionale, si è ritenuto che ai sensi dell' art. 79 commi 5 e 5-bis, d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, il termine per l'impugnativa avverso l'aggiudicazione non decorre prima che la comunicazione di questa sia fatta secondo le inderogabili forme del comma 5-bis, e cioè con il corredo della relativa motivazione, a sua volta espressa attraverso gli elementi di cui al comma 2 lett. c) (Cons. St. V, n. 1953/2017 e Cons. St. n. 3679/2017). Dunque, la piena conoscenza delle motivazioni dell'atto di esclusione da una gara di appalto comporta la decorrenza del termine decadenziale per la proposizione del ricorso, a prescindere dall'invio di una formale comunicazione ex art. 79 comma 5, del codice dei contratti pubblici, in quanto l' art. 120 comma 5, c.p.a. non prevede forme di comunicazione esclusive e tassative, sicché non incide sulle regole generali del processo amministrativo relative al caso di piena conoscenza avvenuta aliunde o in forme diverse da quelle di cui al cit. art. 79. Le comunicazioni effettuate al domicilio o all'indirizzo di posta elettronica indicato negli atti di gara danno vita a una ragionevole presunzione dell'avvenuta conoscenza da parte del destinatario di quegli atti e del loro contenuto, nonché del fatto che tale conoscenza si sia verificata direttamente in capo alla parte (e non al suo difensore), così che dal momento del loro ricevimento decorre senz'altro il termine per l'eventuale impugnazione (Cons. St. V, n. 2570/2015) Tale principio non opera per quanto attiene alla pubblicazione della delibera di aggiudicazione mediante affissione all'albo pretorio della stazione appaltante giacché, nel sistema previsto dal suddetto art. 79 comma 5, tale pubblicità, di per sé sola non è idonea a determinare la decorrenza del termine d'impugnazione ma, se ad essa non s'accompagna la comunicazione dell'aggiudicazione definitiva a tutti gli interessati secondo la regola di cui al successivo comma 5-bis, non opera il termine d'impugnazione di trenta giorni ex art. 120 comma 5, c.p.a. e si deve far riferimento al precedente comma 2, secondo il quale il termine decorre dal giorno successivo alla data di pubblicazione dell'avviso exartt. 65 e 225, d.lgs. 12 aprile 2006 n. 163 o è pari a sei mesi dalla stipulazione del contratto. (Cons. St. III, n. 5070/2013). È stato poi chiarito che il termine di trenta giorni decorre se la comunicazione dell'atto lesivo contiene tutti gli elementi richiesti dalla legge e che, in caso contrario, il termine non decorre ma l'interessato ha l'onere di esercitare il proprio diritto di accesso, in relazione al quale l' art. 76, comma 2, del d.lgs. n. 50/2016 prevede che, su richiesta scritta dell'offerente interessato, l'amministrazione aggiudicatrice comunica immediatamente e comunque entro quindici giorni dalla ricezione della richiesta: i motivi del rigetto della offerta; ad ogni offerente che abbia presentato un'offerta ammessa in gara e valutata, le caratteristiche e i vantaggi dell'offerta selezionata e il nome dell'offerente cui è stato aggiudicato l'appalto. Di conseguenza, in presenza di una comunicazione non completa, il termine di trenta giorni si allunga degli ulteriori quindici giorni (in precedenza, dieci) previsti per l'accesso (Cons. St. V, n. 684/2015; Cons. St. III, n. 1143/2016). Si dovrà ora verificare se la necessità della conoscenza della motivazione dell'atto per far decorrere il termine di impugnazione resterà un principio eccezionale limitato al settore degli appalti o se la novità potrà dare nuova linfa all'orientamento giurisprudenziale, secondo cui in generale senza la conoscenza della motivazione del provvedimento lesivo il termine per ricorrere non decorre, non essendo ragionevole pretendere che la parte proponga un ricorso al buio, da integrare con motivi aggiunti successivi, che comportano ulteriori costi. Se l'impugnazione e i relativi motivi riguardano l'esclusione dalla gara e non l'aggiudicazione (e l'impugnazione di quest'ultima è svolta ai soli fini della procedibilità del ricorso) non può trovare applicazione il principio per cui la proposizione dell'istanza di accesso agli atti di gara comporta la "dilazione temporale" per il ricorso avverso l'aggiudicazione, onde evitare la proposizione di "ricorsi al buio", principio che trova applicazione solo quando i motivi conseguano alla conoscenza dei documenti che completano l'offerta dell'aggiudicatario, ovvero delle giustificazioni rese nell'ambito del procedimento di verifica dell'anomalia dell'offerta, e vi sia pertanto un legame tra motivi di ricorso e conoscenza dei documenti oggetto di accesso (Cons. St. Ad. .plen., n. 12/2020; Cons. St. III, n. 2501/2021) In merito al termine di 30 giorni previsto dall’art. 120, comma 5, e alla sua decorrenza dalla comunicazione ivi prevista (a prescindere, quindi, dalla conoscenza o meno dei vizi che potrebbero inficare l’atto), la Corte costituzionale ne ha chiarito la compatibilità con il principio di cui all’art. 24 Cost., avuto riguardo al contesto logico-giuridico in cui si inserisce. In particolare, il rinvio all'articolo 79 del d. lgs. 12 aprile 2006, n. 163 (primo codice dei contratti pubblici) deve essere inteso nel senso di ammettere la dilazione temporale prevista dall’attuale articolo 76 del codice dei contratti pubblici, laddove la comunicazione di aggiudicazione non contenga gli elementi previsti dalla legge (Corte cost., n. 204/2021). Su tale questione, vedi anche il tema del ricorso c.d. «al buio», sub art. 40. La decorrenza dei termini di proposizione del ricorso non è sospesa o interrotta per effetto dell'attivazione del procedimento di autotutela (T.A.R. Campania (Napoli) VI, 7 marzo 2013, n. 1321). Deposito di documenti nel corso del giudizio ed effetto sui termini per ricorrereUlteriore profilo incidente sul termine per ricorrere riguarda gli effetti derivanti dalla acquisita conoscenza, in pendenza di giudizio, di nuovi documenti e atti. Al riguardo, si è richiamato il fatto che tra le norme non inserite nel Codice, pur oggetto di discussione duranti i lavori della Commissione speciale istituita presso il Consiglio di Stato, era quella relativa agli effetti sul termine per ricorrere del deposito di documenti e atti nel corso di un giudizio. Durante i predetti lavori era stato ipotizzato di inserire una norma così formulata: «I documenti depositati in giudizio si intendono conosciuti dalla parte quando il loro deposito è comunicato, alla stessa parte o al suo difensore, da qualunque altra parte o dalla segreteria. La conoscenza degli atti depositati nei termini previsti dalla legge o assegnati dal giudice si intende in ogni caso acquisita dalla parte il giorno successivo alla scadenza del termine per il loro deposito se tale termine scade almeno 30 giorni liberi prima della successiva udienza o camera di consiglio; altrimenti, la conoscenza si ha per acquisita alla data di tale udienza o camera di consiglio.» Anche in questo caso la scelta è stata poi quella di non inserire tale disposizione, lasciando alla giurisprudenza la soluzione del problema (Chieppa, Il processo amministrativo, 343). Allo stato, la giurisprudenza prevalente sembra orientata nel senso che la conoscenza degli atti prodotti da altra parte del giudizio è riferibile al solo difensore con la conseguenza che dall'avvenuto deposito della relazione da parte dell'Amministrazione non può farsi derivare, ex se, una presunzione di conoscenza in capo alla parte ricorrente. Tale conoscenza per essere rispondente al principio costituzionale della effettività del diritto di difesa, deve essere della parte e non del suo difensore. Il mero deposito in giudizio della determinazione pregiudizievole non può essere in alcun modo qualificato come evento idoneo, di per sé, ad integrare la conoscenza dell'atto (a meno che non sia ricollegabile alla scadenza di un adempimento processuale, nella specie non configurabile, che implica l'accesso agli atti del fascicolo), ai fini della decorrenza del termine per la sua impugnazione. Non appare, infatti, configurabile, ai fini che qui interessano, un onere di consultazione quotidiana degli atti del fascicolo d'ufficio da parte del difensore, che consenta, in quanto tale, di presumere la conoscenza (peraltro da parte del solo procuratore costituito e non della parte personalmente) di ogni documento depositato in giudizio, sicché il dies a quo del termine di decadenza per l'impugnazione dev'essere identificato in quello in cui risulti provato che la parte abbia, effettivamente e concretamente, acquisito la sua conoscenza ( Cons.St. III, n. 3709/2016; Cons. St. IV, n. 5295/2008; Cons. St. n. 4725/2000; T.A.R. Napoli, (Campania) VII, 11 maggio 2021, n. 3127; T.A.R. Catania (Sicilia) III, 22 marzo 2017 n. 603). Tuttavia, qualora sia dimostrabile che la parte, anche a mezzo dei propri difensori o consulenti, ha acceduto al fascicolo di causa in cui era presente l'atto lesivo, la giurisprudenza tende a ricollegare la conoscenza acquisita da soggetti diversi dalla parte ricorrente alla sfera giuridica di questa (e per l'effetto, da tale momento decorre il termine di 60 giorni per l'impugnativa). Non può essere preclusa al giudice (non ostandovi l'art. 64), in presenza di una intervenuta conoscenza dell'atto impugnato, la valutazione della riconducibilità di questa alla sfera giuridica del soggetto ricorrente, se coloro che tale conoscenza hanno acquisito sono legati al ricorrente da rapporti di opera professionale (Cons. St. IV, n. 4642/2015). Nello stesso senso possono richiamarsi le diffuse posizioni dei tribunali amministrativi regionali che assumono come dies a quo di decorrenza del termine per proporre i motivi aggiunti, il deposito della documentazione in giudizio Secondo tale indirizzo, rileva ai fini dell'individuazione della decorrenza del termine iniziale per la proposizione di motivi aggiunti, il deposito in giudizio di documenti — mai prima comunicati o comunque conosciuti. Muovendo dai criteri dell'ordinaria diligenza, si ritiene che il ricorrente sia comunque tenuto a verificare l'eventuale deposito di atti processuali. Tale evenienza costituisce dunque il momento iniziale idoneo a determinare l'avvio del termine decadenziale per la relativa impugnazione, di cui all'art. 43, comma 1 (T.A.R. Abruzzo (Pescara) I, 17 novembre 2016 n. 358). Analogamente, si è affermato che la produzione in giudizio di un atto, effettuata entro il termine per la costituzione in giudizio, oppure entro il termine fissato con decisione istruttoria, determina la presunzione di conoscenza dell'atto stesso dalla controparte sostanziale a far data dal giorno in cui il deposito è intervenuto: la scadenza di tali termini rende, invero, certi e facilmente conoscibili gli atti ed i documenti depositati e fa così decorrere per le altre parti il termine per l'impugnazione o la proposizione di motivi aggiunti. L'onere di vigilanza sull'attività processuale delle altre parti, in particolare, è proprio del difensore, soggetto al quale è attribuito il potere di compiere e ricevere, nell'interesse della parte, tutti gli atti del processo che dalla legge non sono ad essa espressamente riservati ( art. 84 c.p.c.) e che è designato dalla parte per il tramite di un'apposita procura. Nell'autonomia di cui il difensore dispone nel compimento e nella ricezione degli atti del processo, risiede la ragione per la quale si ritiene debba trovare applicazione, anche per la rappresentanza tecnica, la disciplina dettata, in tema di stati soggettivi rilevanti, dall' art. 1391 c.c., con riferimento alla rappresentanza vera e propria, e pertanto la conoscenza del difensore, in forza della procura conferita, diviene conoscenza della parte, tenuto conto della normale presunzione di diligenza per l'esercizio dell'attività professionale da parte dei difensori, la quale contempla l'adempimento dell'onere di tempestiva informazione agli assistiti delle vicende processuali dei giudizi in corso (T.A.R. Sicilia (Catania) II, 12 marzo 2015, n. 765). Con riguardo al dies a quo relativo all'impugnazione con atto di motivi aggiunti, nel caso di ricorso per motivi aggiunti avverso atti adottati successivamente a quelli impugnati con il ricorso principale, in giurisprudenza si è rilevato che in caso di deposito di documenti in giudizio con il rispetto dei termini relativi, poiché è configurabile un onere del ricorrente di accertare in segreteria l'eventuale deposito, il termine per la proposizione di motivi aggiunti generalmente decorre dalla data del deposito stesso, mentre quando i termini di deposito, peraltro ordinatori, siano rimasti inosservati, non avendo il ricorrente un siffatto onere, la decorrenza del termine è legata all'effettiva conoscenza del deposito stesso, con dimostrazione di questa a carico della controparte che eccepisce la tardività (T.A.R. Veneto III, 4 aprile 2014, n. 467). La notificazione all'amministrazione e ai controinteressatiPer ciò che attiene, in generale, alle modalità della notificazione, avuto riguardo al rinvio esterno di cui all'art. 39, si dovrà avere come riferimento le norme del c.p.c. e delle leggi speciali che disciplinano tali atti. Pertanto la notifica può essere effettuata tramite ufficiale giudiziario (sia direttamente sia a mezzo servizio postale, ex art. 149 c.p.c.), oppure «in proprio» dal procuratore che a tal fine ha ottenuto, ai sensi della l. 21 gennaio 1994, n. 53, l'autorizzazione dal Consiglio dell'Ordine. Il perfezionamento della notifica per il ricorrente si ha, nel caso di notifica a mezzo posta, al momento della presentazione dell'atto da notificare all'Ufficiale giudiziario (tale momento è diverso da quello della esistenza della notifica – intesa come prova della sua esistenza —, che si realizza solo mediante il deposito in giudizio della cartolina di ricevimento) (v. il commento sub art. 45, per il termine di decorrenza del termine per il deposito). Il mancato deposito dell'avviso di ricevimento del ricorso da parte del ricorrente e la conseguente impossibilità, in mancanza di costituzione della parte intimata, di stabilire la reale ed effettiva instaurazione del contraddittorio, conduce inevitabilmente ad una declaratoria di inammissibilità. Più nel dettaglio, in tali casi la notifica è ritenuta inesistente e ne è preclusa la rinnovazione ai sensi dell'art. 291, comma 1, c.p.c. (T.A.R. , Salerno , II, 8 luglio 2021, n. 1681; T.A.R. Basilicata I, 13 settembre 2016, n. 881). Qualora tuttavia il mancato perfezionamento della notifica sia dipeso da fatto (non del ricorrente ma) del vettore postale, si ritengono sussistenti i presupposti per concedere la rimessione in termini per la notifica del gravame al controinteressato (T.A.R. Lombardia (Milano) III, 3 febbraio 2015, n. 383). Analogamente, nel caso di furto o smarrimento del plico postale contenente il ricorso, debitamente attestato con dichiarazione del vettore (T.A.R. Lombardia (Milano) II, 17 febbraio 2017, n. 406). Per le notifiche a mezzo Pec si prevede che il perfezionamento della notifica avviene nel momento in cui si genera il messaggio contenente la ricevuta di avvenuta consegna (art. 149-bis c.p.c.). Le stesse devono eseguirsi non prima delle ore sette e non dopo le ore ventuno ( art. 147 c.p.c., valevole anche per le notificazioni telematiche). La recente riforma del processo civile (approvata con il con il d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 ed entrata in vigore il 28 febbraio 2023) modifica anche l'art. 147 c.p.c. in termini di orari delle notificazioni, stabilendo che le notificazioni a mezzo posta elettronica certificata o servizio elettronico di recapito certificato qualificato possono essere eseguite senza limiti orari. Le notificazioni così eseguite si intendono perfezionate, per il notificante, nel momento in cui è generata la ricevuta di accettazione e, per il destinatario, nel momento in cui è generata la ricevuta di avvenuta consegna. Qualora la ricevuta di avvenuta consegna sia generata tra le ore 21 e le ore 7 del giorno successivo, la notificazione si intenderà perfezionata per il destinatario alle ore 7. Tale modifica recepisce l'evoluzione giurisprudenziale che aveva visto la Corte costituzionale dichiarare l'illegittimità dell'art. 147 c.p.c., che – nel precedente testo - prevedeva che la notifica eseguita con modalità telematiche la cui ricevuta di accettazione è generata dopo le ore 21 ed entro le ore 24 si perfeziona per il notificante alle ore 7 del giorno successivo, anziché al momento di generazione della predetta ricevuta. Nel caso in cui la notifica via PEC non si sia perfezionata per causa imputabile al destinatario (ad esempio perché la consegna non è stata possibile in ragione della “casella piena” del destinatario), si è ritenuta che la stessa si perfezionati regolarmente con il deposito in cancelleria, ai sensi del dell'art. 16, comma 6, d.l. n. 179 del 2012 (per cui “Le notificazioni e comunicazioni ai soggetti per i quali la legge prevede l'obbligo di munirsi di un indirizzo di posta elettronica certificata, che non hanno provveduto ad istituire o comunicare il predetto indirizzo, sono eseguite esclusivamente mediante deposito in cancelleria. Le stesse modalità si adottano nelle ipotesi di mancata consegna del messaggio di posta elettronica certificata per cause imputabili al destinatario”) (Cass. pen. III, n. 54141/2017). Anteriormente all'entrata in vigore del processo telematico, un indirizzo giurisprudenziale riteneva che la notifica a mezzo PEC dovesse essere considerata una forma speciale di notificazione che, in assenza di apposita autorizzazione presidenziale ai sensi dell'art. 52, comma 2, non può che risultare inesistente, e dunque insanabile (Cons. St. III, n. 189/2016). Secondo tuttavia una differente – e prevalente – posizione, si riteneva comunque possibile procedere alla notifica del ricorso a mezzo posta elettronica certificata in virtù di quanto previsto dalla l. n. 53 del 1994 (nella specie gli artt. 1 e 3 bis della legge 21 gennaio 1994, n. 53, secondo cui “la notificazione degli atti in materia civile, amministrativa e stragiudiziale può essere eseguita a mezzo di posta elettronica certificata”). Il ricevimento della notifica da parte del destinatario vale ad escludere la nullità qualora la notifica venga effettuata con modalità irrituali, consentendone la sanatoria con efficacia “ex tunc” (Cons. St. III, n. 3565/2016). Così si è dichiarata la nullità della notifica del ricorso al TAR effettuata a mezzo pec, senza aver ottenuto la preventiva autorizzazione di cui all'art. 52 comma 2, ribadendo tuttavia che la medesima nullità viene sanata dalla costituzione in giudizio delle controparti che hanno potuto esplicare i propri diritti difensivi sulla base dell'atto che, ancorché notificato in modo anomalo, è stato comunque tempestivamente conosciuto ( T.A.R. Roma (Lazio) I, 16 dicembre 2016 n. 12555). Con riguardo alla notifica a mezzo PEC, con l'entrata in vigore del processo amministrativo telematico questa è divenuta la modalità ordinaria di notifica (v., amplius, sul PAT, il commento sub art. 136 e disp. att.). Con riguardo al ricorso notificato all'amministrazione resistente via PEC, si è sancita l'inammissibilità dello stesso qualora sia notificato ad un indirizzo non contenuto negli specifici registri appositamente individuati dalla legge. In particolare, non si è ritenuto configurabile l'errore scusabile al fine di rimettere in termini il ricorrente, in base al principio per cui incombe sul ricorrente l'onere di verificare l'indirizzo da utilizzare ai fini della notificazione dei ricorsi in vigenza del PAT, consultando i registri all'uopo predisposti. Non è sufficiente, a tal fine, ricorrere all'indirizzo indicato dall'Amministrazione sul proprio sito, indicato in termini generali per l'accettazione della corrispondenza proveniente dall'utenza (T.A.R. Catania II, 4 dicembre 2017, n. 2806; cfr, negli stessi termini,T.A.R. Catania, III, 13 ottobre 2017, n. 2401; T.A.R. Basilicata 21 settembre 2017, n. 607, mentre ammette l'errore scusabile in simile fattispecie,T.A.R. Molise, ord. coll., 13 novembre 2017, n. 420). Nel caso in cui l'amministrazione non abbia inserito un indirizzo PEC nell'elenco tenuto dal Ministero della giustizia, di cui all'art. 16, comma 12, d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, deve essere riconosciuto l'errore scusabile ex art. 37 c.p.a. se la notifica per via telematica del ricorso è stata effettuata all'indirizzo PEC tratto dall'elenco pubblico IPA (T.A.R. Napoli VIII, ord., 15 marzo 2018, n. 1653; in senso analogo, pur riferito al deposito del ricorso in appello presso la segreteria del consiglio di stato nel contenzioso elettorale, Cons. St. III, 5 febbraio 2018, n. 744, secondo cui dall'eventuale assenza nell'elenco ufficiale dell'indirizzo PEC di una pubblica amministrazione non possono derivare preclusioni processuali per la parte privata). Il d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 (che reca la riforma del processo civile) modifica sul punto l'art. 3-bis della legge n. 53 del 1994 (in tema di notificazioni da parte dell'avvocato munito di procura), introducendo un comma 1-bis, ai sensi del quale, ferme restando le regole di rappresentanza necessaria delle amministrazioni dello Stato da parte dell'Avvocatura dello Stato, la notificazione alle pubbliche amministrazioni è validamente effettuata presso l'indirizzo individuato ai sensi dell'art. 16 ter, comma 1 ter, d.l. n. 179 del 2012, ossia il domicilio digitale presente nel registro IPA. Per contro, con riferimento alle notifiche a soggetti privati, data la non applicabilità del nuovo art. 3-ter della legge n. 53 del 1994 al processo amministrativo, la notifica nei loro riguardi rimane possibile, ma non obbligatoria, anche nell'ipotesi in cui hanno indirizzi PEC risultanti da pubblici registri. In tema di processo amministrativo telematico, ai sensi dell' art. 14, comma 3, d.P.C.M. 16 febbraio 2016, n. 40, ai fini della prova in giudizio della notificazione del ricorso a mezzo p.e.c., la ricevuta di avvenuta consegna deve contenere la copia completa del messaggio di posta elettronica certificata consegnato; pertanto, ai fini della dimostrazione della regolare instaurazione del contraddittorio, non è sufficiente l'inserimento nel fascicolo informatico della mera “scansione per immagini” della ricevuta di avvenuta consegna che non contenga i documenti notificati via p.e.c. in formato “cliccabile” poiché tale modalità non consente al Collegio di verificare quale atto sia stato concretamente notificato alla controparte (T.A.R. Campania (Napoli), VII, 6 luglio 2020, n.2896 e 19 aprile 2017 n. 581). Tale regola è oggi contenuta nell'All. 1, art. 14, comma 3, del d.P.C.S. 28 luglio 2021, che ha sostituito il d.P.C.M. 16 febbraio 2016. Anche dopo l'entrata in vigore del Processo amministrativo telematico è consentito il ricorso alle formalità tradizionali di notificazione del ricorso, quale la notifica cartacea dell'atto introduttivo del giudizio non firmato digitalmente (T.A.R. Lazio II, 1 marzo 2017, n. 2993). Si è ritenuta sussistente una irregolarità sanabile (v. Cons. St., ord. 4 gennaio 2018 n. 56), nel caso il ricorso in appello fosse stato redatto in formato cartaceo, sottoscritto con firma autografa del difensore e parimenti notificato alla parte appellata. Invero, pur non essendo conforme alle regole di redazione dell'art. 136, comma 2-bis, c.p.a. e dall'art. 9, comma 1, d.P.C.S. 28 luglio 2021, non incorre in espressa comminatoria legale di nullità (art. 156, primo comma 1, c.p.c.) avendo in ogni caso raggiunto il suo scopo e sussistendo la certezza della paternità, nonché la chiarezza circa lo scopo dell'atto (ossia strumento finalizzato alla chiamata in giudizio (v. anche Cons. St., V, ord. 24 novembre 2017, n. 5490). Il giudice potrà disporre, ex art. 44, comma 2, c.p.a., la rinnovazione del ricorso in appello mediante redazione con le modalità formali dell'art. 9, d.P.C.M. 16 febbraio 2016, n. 40 40 (ora art. 9, all. 1, d.P.C.S. 28 luglio 2021) (TAR Lazio (Roma), I-quater, 30 maggio 2019, n. 6900. Da ultimo, con il d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 (di attuazione della riforma del processo civile di cui alla legge delega 26 novembre 2021, n. 206, le cui disposizioni sono entrate in vigore il 28 febbraio 2023), si è intervenuti, tra l'altro, sul primo comma dell'art. 149 bis c.p.c. - norma ritenuta applicabile anche al processo amministrativo, ai sensi dell'art. 39, comma 2 -, rendendo obbligatoria per l'ufficiale giudiziario la notificazione a mezzo di posta elettronica certificata, anche previa estrazione di copia informatica del documento cartaceo, ogni qual volta il destinatario è un soggetto per il quale la legge prevede l'obbligo di munirsi di un indirizzo di posta elettronica risultante dai pubblici elenchi oppure quando il destinatario ha eletto domicilio digitale. Tale obbligo tuttavia non sussiste nei casi in cui sia l'avvocato tenuto a eseguire la notifica a mezzo di posta elettronica certificata, come dispone l'art. 137, comma 7, c.p.c., nel testo modificato dal citato d.lgs. n. 149/2022, salvo che quest'ultimo non dichiari che tale modalità non e' possibile o non ha avuto esito positivo per cause non imputabili al destinatario.
Nei casi di notifica cartacea, le norme tecnico-attuative del PAT prevedono che il professionista debba attestarne la conformità, ai sensi dell' art. 22 del Codice dell'Amministrazione Digitale (“ CAD”). In particolare, ai sensi dell' art. 22 CAD, ove la procura alle liti e/o la prova dell'avvenuta notifica dell'atto siano allegate al Modulo di deposito tramite copia informatica (ottenuta dalla scansione della procura cartacea e/o dell'atto notificato tramite UNEP o in proprio tramite ufficio postale ex l. n. 53 del 1994) il professionista deve attestarne la conformità utilizzando una delle due seguenti modalità: 1) all'interno della copia informatica ottenuta dalla scansione del cartaceo: eseguita la scansione della procura alle liti o dell'atto notificato, si ottiene un file PDF. Il difensore deve “aprire” il file PDF con Adobe Reader o altro software per visualizzare i PDF e, utilizzando le funzionalità gratuite del software (“compila e firma” e “aggiungi testo”) deve inserire l'attestazione di conformità. A questo punto salva il file e lo firma digitalmente utilizzando la firma “PAdES”; 2) su documento informatico separato che poi deve essere allegato al Modulo di deposito: eseguita la scansione della procura alle liti o dell'atto notificato, si ottiene un file PDF il quale viene allegato (senza necessità che lo stesso sia firmato digitalmente) al Modulo di deposito. Deve quindi essere predisposta, su documento informatico separato, l'attestazione di conformità per la quale si può così procedere: si prepara l'attestazione con il software utilizzato per redigere gli atti (word, openoffice, libre office ecc.) la quale deve contenere, oltre ad una sintetica formula con la quale il difensore attesta la conformità della copia informatica all'originale analogico in suo possesso, anche l'impronta (hash) e il riferimento temporale della copia informatica. Una volta completata l'attestazione di conformità la stessa deve essere trasformata in PDF senza scansione e poi firmata digitalmente utilizzando la firma “PAdES” (v., in Appendice, la FAQ n. 14 “In cosa consiste la asseverazione ai sensi dell' art. 22 CAD di cui devono essere corredate la procura e la documentazione di notifica (se effettuate con modalità analogiche) che si intendono allegare al Modulo di deposito? Come e quando deve essere inserita l'asseverazione?”, - pubblicata nella sezione Faq del Processo amministrativo telematico del sito istituzionale giustizia-amministrativa.it). Ai sensi del comma 4, in caso l'applicazione delle forme ordinarie risulti «particolarmente difficile per il numero delle persone da chiamare in giudizio», il Presidente del Tribunale può autorizzare, su richiesta di parte, la notifica per pubblici proclami (v. infra). Segue. La notificazione all'amministrazione resistenteChi propone ricorso ha l'onere di notificare il ricorso «alla pubblica amministrazione che ha emesso l'atto impugnato» (art. 41, comma 2; che sostituisce la precedente norma che indicava invece «l'organo che ha emesso l'atto»). La notificazione si rivolge all'organo che ha la rappresentanza legale dell'amministrazione e, per le amministrazioni che si avvalgono del patrocinio dell'Avvocatura dello Stato, la notifica si effettua (non al domicilio dell'amministrazione) al domicilio eletto presso l'Avvocatura ( art. 11 r.d. n. 1611/1933, come modificato dall' art. 1, l. n. 260/1958). Lo stesso dicasi per gli enti pubblici statali e le amministrazioni regionali che, ai sensi dell' art. 10 della l. n. 103/1979, abbiano deciso di avvalersi del patrocinio dell'Avvocatura dello Stato con delibera pubblicata nel bollettino ufficiale (che quindi determina una presunzione juris et de jure di conoscenza). Questo è l'effetto del richiamo operato dall'art. 41, comma 3, ai sensi del quale «La notificazione dei ricorsi nei confronti delle amministrazioni dello Stato è effettuata secondo le norme vigenti per la difesa in giudizio delle stesse.» Gli atti introduttivi dei giudizi proposti nei confronti delle Amministrazioni statali vanno notificati presso l'ufficio dell'Avvocatura dello Stato nel cui distretto ha sede l'Autorità giudiziaria adita. È nulla la notificazione del ricorso giurisdizionale effettuata presso la sede dell'organo, anziché presso l'ufficio dell'Avvocatura dello Stato competente (T.A.R. Milano, I, 9 luglio 2021, n. 1688; T.A.R. , Roma, II, 17 febbraio 2021, n. 1991; T.A.R. Abruzzo (Pescara) I, 24 aprile 2014, n. 189). Ciò vale anche per i riti speciali, come nel caso del giudizio in materia di accesso ai documenti amministrativi (T.A.R. Piemonte (Torino) II 4 agosto 2016 n. 1109) e nei giudizi di impugnazione, ove la notifica dell'atto di appello effettuata nei confronti delle Amministrazioni pubbliche, che si avvalgono del patrocinio del foro erariale, deve avvenire unicamente presso l'Avvocatura generale dello Stato ai sensi dell' art.11, r.d. 30 ottobre 1933, n. 1611, e non già presso l'Avvocatura distrettuale (Cons. St. III, n. 440/2017). Se la notifica dell'appello proposto avverso la sentenza di un Tar ha avuto luogo presso l'Avvocatura dello Stato del distretto in cui il Tribunale ha sede, la notifica è nulla (con conseguente inammissibilità dell'appello ove l'evocata Amministrazione pubblica non abbia sanato tale nullità con la propria costituzione in giudizio, in base al principio di conservazione degli atti processuali ex art. 156 c.p.c. (Cons. St. III, n. 3605/2016; Cons. St. III, n. 3389/2014). In materia di ricorso per cassazione proposto nei confronti della P.A. è nulla la notifica effettuata presso l'Avvocatura distrettuale anziché presso l'Avvocatura generale dello Stato, sicché ne è ammissibile la rinnovazione presso l'Avvocatura generale ai sensi dell' art. 291, primo comma, c.p.c. — e la conseguente sanatoria —, dovendosi conformare anche tale istituto, in relazione alla previsione di cui all' art. 375, n. 2, c.p.c., al principio della ragionevole durata del processo ( Cass.S.U., n. 608/2015; Cass. II, n. 22079/2014). Anche in sede di ottemperanza, il ricorso nei confronti delle Amministrazioni dello Stato deve essere notificato non presso la sede delle stesse ma presso l'Ufficio dell'Avvocatura dello Stato, secondo le regole generali, a pena di inammissibilità del ricorso stesso (T.A.R. Sicilia (Catania) I, 13 maggio 2015, n. 1278). Per costante giurisprudenza, tuttavia, la costituzione in giudizio dell'amministrazione sana ex tunc il vizio della notifica effettuata presso la sede anziché presso la difesa erariale (v. art. 44). La intervenuta costituzione in giudizio dell'Avvocatura supera ogni possibile questione sulla legittimità della notifica effettuata da parte ricorrente al domicilio dell'amministrazione intimata anziché presso l'Avvocatura dello Stato, giacché tale costituzione sana il difetto di notifica, per intervenuto raggiungimento dello scopo; ciò anche qualora la parte si costituisca in giudizio al solo fine di eccepire la nullità della notifica essendo la costituzione la dimostrazione da parte dell'intimato di essere in grado, per fatto volontario, di esercitare il diritto di difesa (Cons. St. VI, n. 227/2014; T.A.R. Liguria II, 17 giugno 2014, n. 958; T.A.R. Sicilia (Catania) IV, 19 dicembre 2013, n. 3043; Cons. St. IV, n. 2591/2013). Segue. La notificazione ai controinteressatiDeve ritenersi controinteressato ad un ricorso giurisdizionale diretto all'annullamento di un atto: a) il portatore di un interesse qualificato alla conservazione dell'atto impugnato, in quanto ne ricavi un vantaggio diretto ed immediato; b) che sia nominativamente indicato nell'atto o sia da esso agevolmente individuabile; c) la cui qualità va accertata con riferimento alla data di emanazione del provvedimento. La qualifica di controinteressato in senso processuale richiede un requisito formale, costituito dalla presenza del nominativo nel provvedimento amministrativo, e un requisito sostanziale, costituito dalla sussistenza di un interesse favorevole al mantenimento della situazione attuale, definita dal provvedimento stesso (Cons. St. IV, n. 1701/2017;Cons. St. VI, 11 luglio 2013 n. 3747/2013). La qualità di controinteressato all'annullamento di un atto amministrativo a cui il ricorso giurisdizionale deve essere notificato ai sensi dell'art. 41 (e prima dell' art. 21, comma 1, l. Tar), deve ricollegarsi direttamente ed immediatamente all'atto impugnato e non già ad atti successivi (anche se essi trovino nell'atto impugnato il loro presupposto) e va accertata con riferimento alla data di emanazione del provvedimento non potendosi riconoscere alcun rilievo a circostanze o fatti sopravvenuti. Cons. St. V, n. 128/2006; Cons. St. IV, n. 3971/2005; Cons. St. Ad. plen., n. 15/1997; T.A.R. Lazio (Roma) II, 4 marzo 2016, n. 2865; T.A.R. Trentino-Alto Adige (Trento) 12 luglio 2007, n. 131). È da considerare controinteressato — sotto il profilo formale — colui che, espressamente menzionato dal provvedimento o facilmente identificabile, ha un interesse uguale e contrario a quello del ricorrente; è invece controinteressato sostanziale chi, a seguito del provvedimento impugnato, si trova comunque in una posizione di vantaggio antitetica a quella del ricorrente, che potrebbe esser travolta dall'accoglimento della domanda Come già evidenziato in sede di commento all'art. 27 sul contraddittorio, per l'azione di annullamento resta ferma la sanzione della decadenza in caso di omessa notificazione del ricorso all'amministrazione e ad almeno un controinteressato. Tale regola processuale risponde al principio generale per cui la parte contro la quale venga proposta una domanda giudiziale deve essere evocata nel relativo processo onde poter difendere i propri interessi (art. 101 c.p.c.). L’onere – a pena di inammissibilità – di notificazione a almeno uno dei controinteressati è stato ritenuto compatibile con l’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo (CEDU), atteso che anche secondo la giurisprudenza della Corte di Strasburgo costituisce diritto degli Stati membri aderenti prevedere norme di procedura la cui inosservanza possa comportare una mancata pronuncia sul merito della pretesa per carenza di una condizione di ammissibilità, purché tali norme siano dirette a soddisfare esigenze di corretta organizzazione processuale e, quindi, uno scopo legittimo e non svuotino il diretto di accesso al giudice previsto dalla convenzione stessa e accertato secondo un criterio di ragionevolezza e proporzionalità (Cons. St. IV, n. 3948/2006). Il ricorrente deve, quindi notificare il ricorso per l'annullamento di un provvedimento amministrativo all'amministrazione che ha adottato l'atto e ad almeno un controinteressato; rispettata tale regola, ogni valutazione sull'integrità del contraddittorio passa al giudice, che deve verificare se esistono altri soggetti controinteressati e ordinare eventualmente l'integrazione. La prova circa l'esistenza del controinteressato, conosciuto dalla parte ricorrente al momento del ricorso deve essere data dalla parte che eccepisce la mancata notifica (T.A.R. Campania (Napoli) IV, 1 settembre 2016, n. 4142). Dovendo i controinteressati essere individuati nello stesso atto impugnato, qualora il ricorso sia stato notificato alla sola amministrazione e vi sono controinteressati, ma questi non sono stati individuati nell'atto impugnato, non si verifica alcuna decadenza, ma solo una ipotesi di necessaria integrazione del contraddittorio da parte del giudice. Invero, il sistema processuale ha voluto collegare la sanzione estrema della decadenza unicamente ad un incombente agevolmente superabile (laddove emerga con immediatezza l'identità dell'interessato), mentre sarebbe stato irragionevole ipotizzare un tale onere, a pena di decadenza dall'azione, laddove il controinteressato o i controinteressati non siano immediatamente individuati nell'atto impugnato. Il principio esposto, che limita dunque l'onere della necessaria notifica al controinteressato ai casi in cui sia facilmente individuabile in quanto indicato nell'atto impugnato, appare confermato in giurisprudenza, ove si afferma che, solo allorché nell'atto siano individuati dei controinteressati o questi siano facilmente individuabili, incombe sui ricorrenti l'onere di notifica ad almeno uno di questi. Pertanto, l'omessa notifica nel termine decadenziale al controinteressato o ad almeno uno dei controinteressati non espressamente individuati nell'atto, non determina la inammissibilità del ricorso (Cons. giust. amm., n. 186/2022; Cons. St. IV, n. 113/2019 e Cons. St. V, n. 2799/2017; T.A.R. Roma (Lazio) II, 17 ottobre 2016, n. 10346;T.A.R. Lazio (Roma), II 28 gennaio 2015, n. 1491; T.A.R. Lazio (Roma) II, 9 dicembre 2013, n. 10596). In tema di procedure di affidamento, si è posto il problema della individuazione dei controinteressati prima dell'aggiudicazione, essendo potenzialmente tali i soggetti partecipanti alla gara. Laddove siano impugnati degli atti infraprocedimentali può essere difficile individuare un controinteressato in senso formale. Nel caso di procedure concorsuali, si è ritenuto infatti che solo in presenza dell'aggiudicazione definitiva, quale atto ad effetto stabile suscettibile di accrescere e di consolidare la posizione giuridica del soggetto, si può prospettare una posizione di controinteressato (Cons. St. V, n. 4654/2015). Nel caso sia intervenuta l'aggiudicazione, potrebbe non essere sufficiente ai fini del rispetto dell'onere previsto dalla norma in commento la notifica ad una sola impresa controinteressata, ciò in particolare laddove il ricorrente introduca con il ricorso distinte domande dirette ciascuna a contestare la posizione delle diverse imprese classificatesi in posizione migliore al fine di conseguire l'aggiudicazione in suo favore. Si è ritenuto inammissibile il ricorso di primo grado, in caso di omessa notifica dello stesso a ciascuna delle imprese interessate dalle domande introdotte. In particolare, considerata la scindibilità e l'autonomia delle domande introdotte col ricorso che riguardavano esclusivamente e singolarmente le imprese che precedevano la ricorrente, non è sufficiente a considerare validamente instaurato il rapporto processuale di primo grado la notifica dello stesso ad uno solo dei controinteressati (nel caso di specie l'aggiudicatario), atteso che trattavasi in definitiva di tre autonome domande cui corrispondevano tre diversi e distinti controinteressati. Infatti, proprio perché la ricorrente in primo grado, quarta classificata, intendeva conseguire l'aggiudicazione dell'affidamento in suo favore, il ricorso, pur unitariamente proposto, si articolava in realtà di tante autonome domande quante erano i concorrenti che precedevano la ricorrente ed ognuna di queste parti era l'unico soggetto controinteressato al quale andava necessariamente notificato il ricorso: in altri termini. Neppure può sopperirsi a tale mancanza con una successiva integrazione del contraddittorio, in quanto essa presuppone che il rapporto processuale sia stato in ogni caso correttamente instaurato (Cons. St. V, n. 2906/2017). In caso di omessa notifica al controinteressato, il giudice amministrativo non può supplire ad errori o carenze della parte e, pertanto, non è legittimato a disporre l'integrazione del contraddittorio nel caso in cui il ricorso non sia stato ritualmente e tempestivamente notificato al controinteressato, né gli è consentito utilizzare i poteri previsti dall'art. 51 (Cons. giust. amm., n. 125/2022; Cons. St. V, n. 4530/2013; T.A.R. Sicilia (Catania) I, 18 novembre 2014, n. 2978). Entro taluni limiti, la mancata notifica al controinteressato può essere sanata dalla costituzione di quest'ultimo nel giudizio. Rileva, in particolare, la tempestività di tale costituzione rispetto al termine per impugnare, così che l'effetto sanante si verifica nel caso in cui questo non sia spirato (e quindi il controinteressato conservi intatte le proprie facoltà processuali in relazione all'azione proposta), dovendo invece escludere tale effetto in caso di costituzione tardiva. L'effetto sanante della costituzione spontanea in giudizio del controinteressato, pacificamente riconosciuto nelle ipotesi di eventuali irregolarità della notificazione, non si verifica sia nel caso in cui la notificazione sia stata totalmente omessa, non potendo l'intervento in giudizio porre nel nulla gli effetti della decadenza dall'impugnazione, che si producono allo scadere del termine per la sua proposizione, sia nel caso di inesistenza della notificazione, allorché l'intervento spontaneo avvenga oltre il termine utile per la proposizione dell'impugnazione; al contrario, ove l'intervento ad opponendum si sia verificato nel segmento temporale fra la conoscenza del provvedimento impugnato ed i termini per la proposizione del ricorso, la spontaneità della costituzione, per di più intesa a tutelare, nel merito, gli interessi dell'opponente, rende superflua la notificazione, essendosi il contraddittorio comunque costituito ed essendo quindi stato raggiunto lo scopo della prescrizione tassativa (Cons. St. VI, n. 5852/2013; Cons. St. IV, n. 2923/2009; T.A.R. Calabria (Catanzaro) I, 27 luglio 2017, n. 1225). Neppure l'inammissibilità conseguente alla mancata notifica nei confronti dell'unico controinteressato può essere sanata con la sua costituzione tardiva, vertendosi in una ipotesi di inesistenza (e non nullità) della notificazione, che fa venir meno il diritto di agire (è quindi di inapplicabilità dell'art. 44, c. 3 che dispone che «la costituzione degli intimati sana la nullità della notificazione del ricorso, salvi i diritti acquisiti anteriormente alla comparizione, nonché le irregolarità di cui al comma») (T.A.R. Sicilia (Catania) IV, 6 dicembre 2013, n. 2925). In caso di azione di accertamento di un diritto soggettivo proposta innanzi al Tar (adito in sede esclusiva), non si applica il principio di cui all'art. 41, co. 2, che dispone la previa notifica, a pena di inammissibilità, ad almeno un controinteressato del ricorso introduttivo, quanto piuttosto il solo principio processuale di integrazione del contraddittorio. Conseguentemente, ai sensi dell'art. 102, se il giudizio è stato promosso contro una sola o alcune sole delle parti che devono essere ritenute litisconsorti necessari, il giudice ordinerà l'integrazione del contraddittorio (T.A.R. Toscana I, 28 gennaio 2013 n. 134). La notificazione per pubblici proclamiIl Codice ha confermato la modalità della notificazione per pubblici proclami, che può essere disposta dal giudice, che ne prescrive le modalità, quando la notificazione del ricorso nei modi ordinari sia particolarmente difficile per il numero delle persone da chiamare in giudizio. Tale forma di notificazione era già prevista dal Regio decreto 17 agosto 1907, n. 642 (Regolamento per la procedura dinanzi alle sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato) il cui art. 14 disponeva che: «Quando la notificazione del ricorso nei modi ordinari sia sommamente difficile per il numero delle persone da chiamarsi in giudizio, il Presidente della sezione adita può disporre che sia fatta per pubblici proclami autorizzando il ricorrente a far inserire, nel foglio degli annunzi della Provincia ove ha sede l'autorità che emise il provvedimento e nella Gazzetta Ufficiale del Regno, un sunto del ricorso e le sue conclusioni, con le cautele consigliate dalle circostanze, e designando, se sia possibile, alcuni fra gli interessati ai quali la notificazione debba farsi nei modi ordinari»; il successivo art. 16 stabiliva che «1. La sezione nell'ordinare l'integrazione del giudizio, indica le persone a cui il ricorso deve notificarsi, e, ove ne sia il caso, autorizza la notificazione per pubblici proclami. Stabilisce inoltre un termine entro cui deve effettuarsi la notificazione del ricorso e il deposito del medesimo nella segreteria, insieme con la prova dell'eseguita notificazione». Infine, l' art. 150 c.p.c. (‘Notificazione per pubblici proclami') del c.p.c. stabilisce che quando la notificazione nei modi ordinari è sommamente difficile per il rilevante numero dei destinatari o per la difficoltà di identificarli tutti, il capo dell'ufficio giudiziario davanti al quale si procede, e, in caso di procedimento davanti al pretore, il presidente del tribunale, nella cui circoscrizione è posta la pretura, può autorizzare, su istanza della parte interessata e sentito il pubblico ministero la notificazione per pubblici proclami. L'autorizzazione e data con decreto steso in calce all'atto da notificarsi; in esso sono designati, quando occorre, i destinatari ai quali la notificazione deve farsi nelle forme ordinarie e sono indicati i modi che appaiono più opportuni per portare l'atto a conoscenza degli altri interessati. In ogni caso, copia dell'atto è depositata nella casa comunale del luogo in cui ha sede l'ufficio giudiziario davanti al quale si promuove o si svolge il processo, e un estratto di esso è inserito nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica e nel foglio degli annunzi legali delle province dove risiedono i destinatari o si presume che risieda la maggior parte di essi. La notificazione si ha per avvenuta quando, eseguito ciò che è prescritto nel presente articolo, l'ufficiale giudiziario deposita una copia dell'atto, con la relazione e i documenti giustificativi dell'attività svolta, nella cancelleria del giudice davanti al quale si procede. Questa forma di notificazione non è ammessa nei procedimenti davanti al giudice di pace. Con riguardo a tali disposizioni, la giurisprudenza aveva ritenuto che dal riferimento normativo in questione non risultava in alcun modo che — nell'ambito del provvedimento autorizzatorio di competenza del presidente del collegio — la mancata specificazione dei nominativi dei destinatari della notificazione per pubblici proclami potesse essere interpretata nel senso che l'integrazione del contraddittorio, con notifica per pubblici proclami, possa essere eseguita senza l'indicazione dei nominativi di ciascun controinteressato (Cons. St. V, n. 3269/2005). Era stato evidenziato che non era certamente contestabile che la notificazione per pubblici proclami potesse effettuarsi nei confronti di persone non identificate nominativamente, bensì identificabili sulla base di determinate qualificazioni o di precise situazioni di fatto che siano loro comuni (sebbene, sul punto, mentre la disposizione dell' art. 150, comma 1, c.p.c., innovando rispetto al corrispondente articolo del codice di rito del 1865, trova la sua ragione giustificatrice nell'esigenza di effettuare la notifica degli atti processuali laddove la stessa nei modi ordinari è sommamente difficile per il rilevante numero dei destinatari o per la difficoltà di identificarli tutti, quale situazione legittimante il ricorso allo speciale procedimento notificatorio l'art. 14 reg. proc. individua — unico presupposto — la somma difficoltà di attivare la procedura di notificazione «ordinaria» per il numero delle persone da chiamarsi in giudizio). In tale ipotesi, infatti, il riferimento espresso all'identico rapporto o all'unica situazione di fatto a tutti comune soccorre a provocare — come è stato osservato in dottrina — una sorta di autoidentificazione dei destinatari stessi. Quando ricorreva un'ipotesi non già di difficoltà di identificazione, bensì di difficoltà di notifica per l'elevato numero dei destinatari, la notificazione per pubblici proclami doveva avvenire con l'indicazione nominativa dei destinatari degli atti, con la conseguenza che, omettendo di specificare le generalità dei soggetti destinatari della notifica per pubblici proclami, veniva posto in essere un procedimento notificatorio assolutamente inidoneo a costituire la presunzione legale di conoscenza dell'atto, tale da integrare un'ipotesi di inesistenza della notifica e della stessa vocatio in ius, con inottemperanza alla sentenza di integrazione del contraddittorio disposta dal giudice di primo grado (Cass. I, n. 6507/1998; Cass. n. 5173/1994; Cons. St. V, n. 3269/2005). Tali conclusione sono state confermate dal Codice; la notificazione per pubblici proclami è pur sempre una forma di notificazione, e non può essere snaturata a mero mezzo di pubblicità (strumento che tende a diffondere la conoscenza di un atto erga omnes). La notifica per pubblici proclami costituisce modalità eccezionale, sicché in linea generale il relativo annuncio deve contenere l'indicazione, oltre che degli estremi del ricorso, del nome del ricorrente e dell'amministrazione intimata, dei provvedimenti impugnati e di un sunto dei motivi del gravame, dei nominativi dei controinteressati, salva l'effettiva difficoltà della loro identificazione (Cons. St. VI, n. 384/2013). Il Codice ha, inoltre, previsto che sia il giudice ad indicare le modalità della notificazione per pubblici proclami; al riguardo, va tenuto presente che i fogli degli annunzi legali delle province, cui faceva riferimento la normativa citata, sono stati aboliti dall' art. 31 della l. n. 340/2000, con sostituzione di ogni forma di pubblicità in precedenza prevista tramite tali fogli con la pubblicazione in gazzetta ufficiale. In un caso di controversia relativa ad un concorso pubblico, la modalità di notifica per pubblici proclami è stata autorizzata ai fini della integrazione del contraddittorio dell’atto di motivi aggiunti nei confronti di tutti i vincitori del concorso, disponendo che la stessa dovesse avvenire mediante pubblicazione sul sito internet della PdCM del testo dei motivi aggiunti e dei nominativi dei controinteressati vincitori (T.A.R. Lazio, Presidente II, 6 marzo 2018, n. 992). Deve essere, quindi, il giudice a prescrivere le esatte modalità per effettuare la notificazione per pubblici proclami. Deve ritenersi nulla la notifica del ricorso per pubblici proclami ove nell'atto non siano stati indicati i nominativi dei controinteressati, a meno che il giudice non abbia espressamente dispensato il ricorrente da tale formalità in considerazione della difficoltà o impossibilità di identificarli (Cons. St. V, n. 5089/2014; T.A.R. Lazio (Roma) III, 7 dicembre 2012, n. 10245). Azione di risarcimento e necessaria notificazione del ricorso ai beneficiari dell'atto illegittimoL'art. 41, comma 2 contiene una disposizione (aggiunta dal Governo rispetto al testo proposto dalla Commissione speciale istituita presso il Consiglio di Stato), che merita un approfondimento, salvo l'ulteriore commento svolto con riguardo all'azione di condanna (v. commento sub art. 30). È stato previsto che «Qualora sia proposta azione di condanna, anche in via autonoma, il ricorso è notificato altresì agli eventuali beneficiari dell'atto illegittimo, ai sensi dell' articolo 102 del codice di procedura civile; altrimenti il giudice provvede ai sensi dell'articolo 49.» Per l'azione di condanna (in particolare, al risarcimento del danno) viene dunque introdotto un caso di litisconsorzio necessario con la parte privata beneficiaria dell'atto illegittimo. Nel caso di proposizione di azione di condanna, ai sensi dell'art. 41, comma 2 e 102, il ricorso deve essere notificato anche ai beneficiari dell'atto illegittimo, in quanto parti necessarie del processo (Cons. St. II, n. 8202/2021 e Cons. St. III, n. 5613/2013). In precedenza, la giurisprudenza aveva sempre ritenuto che quando la domanda era limitata al risarcimento del danno il beneficiario del provvedimento fonte del danno non era parte necessaria del giudizio, solo risarcitorio. Nella relazione di accompagnamento al Codice viene indicato che «per quanto attiene all'azione di condanna — che nel codice ha trovato sistematizzazione — si è mantenuto il litisconsorzio necessario con i beneficiari, ove esistenti, dell'atto di cui il ricorrente assume l'illegittimità e in dipendenza della quale propone la domanda risarcitoria. Ciò si pone in linea, da un lato, con la consueta presenza nel giudizio amministrativo, accanto all'amministrazione convenuta, del beneficiario del suo atto (sicché, in sostanza, si è inteso confermare anche in questo nuovo ambito tale tradizionale strutturazione soggettiva del processo); dall'altro lato, si vuol provocare la formazione del giudicato sull'illegittimità dell'atto anche nei confronti dei suoi eventuali beneficiari (sicché, almeno per tale profilo, non potrà più essere contestato in altra sede l'eventuale ricorso all'autotutela). L'opzione in parola, infine, risulta coerente con alcune suggestioni interpretative e sistematiche, seppur ancora generiche, di origine sia comunitaria che interna. Quanto alle prime, nella relazione viene richiamato il considerando 21 della c.d. direttiva ricorsi, recepita con il d.lgs. n. 53/2010, che afferma che «Nel prevedere che gli Stati membri fissino le norme atte a garantire che un appalto sia considerato privo di effetti si mira a far sì che i diritti e gli obblighi dei contraenti derivanti dal contratto cessino di essere esercitati ed eseguiti. Le conseguenze che derivano dalla privazione di effetti di un contratto dovrebbero essere determinate dal diritto nazionale. Pertanto il diritto nazionale può, ad esempio, prevedere la soppressione con effetto retroattivo di tutti gli obblighi contrattuali (ex tunc) o viceversa limitare la portata della soppressione agli obblighi che rimangono da adempiere (ex nunc). Ciò non dovrebbe condurre a una mancanza di forti sanzioni se gli obblighi derivanti da un contratto sono già stati adempiuti interamente o quasi interamente. In tali casi gli Stati membri dovrebbero prevedere sanzioni alternative che tengano conto in che misura il contratto rimane in vigore conformemente al diritto nazionale. Il diritto nazionale dovrà determinare inoltre le conseguenze riguardanti il possibile recupero delle somme eventualmente versate nonché ogni altra forma di possibile restituzione, compresa la restituzione in valore qualora la restituzione in natura non sia possibile». Con l'ultimo periodo si ipotizza che la declaratoria di inefficacia del contratto con effetti ex tunc possa comportare il recupero delle somme versate all'aggiudicatario sbagliato e ciò ovviamente avverrà nei limiti dell'arricchimento. Con riguardo alle posizioni emerse internamente, la questione era stata in precedenza solo «sfiorata» dalla giurisprudenza, che ha invitato ad esplorare il ruolo da riconoscersi alle norme in tema di restituzione dell'indebito, o di arricchimento senza causa (l'indebito sarebbe costituito dall'utile di impresa, che potrebbe così essere in tutto o in parte restituito dalla controparte privata che ha svolto il rapporto sine titulo sulla base di un contratto viziato e successivamente dichiarato inefficace dal giudice). Si segnala sul punto la decisione con cui il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Sicilia respingeva il ricorso in ottemperanza avverso la sentenza con cui, in accoglimento dell'appello, aveva confermato la legittimità dell'aggiudicazione disposta a suo tempo dalla ricorrente. I giudici, nella sentenza, vagliano il tema di chi debba sopportare, e per quale titolo, le conseguenze patrimoniali del fatto che un atto legittimo (l'originaria aggiudicazione all'impresa ricorrente) non sia stato interinalmente ritenuto tale in una determinata fase processuale, con la conseguenza che un'altra impresa che non ha partecipato alle fasi processuali ha occasionalmente beneficiato dell'esecuzione della sentenza di primo grado (poi annullata) definitivamente eseguito i lavori che, secondo legge, avrebbero invece dovuto essere affidati alla ricorrente. Il Consiglio conclude per l'esperibilità di una azione di ripetizione di indebito arricchimento, da proporre in primo grado (non escludendo la competenza sulla questione del giudice ordinario), che in ogni caso esula dal giudizio di ottemperanza) (Cons. giust. amm. Sicilia 21 luglio 2008, n. 600). In realtà, la disposizione in esame ha contenuto innovativo perché anche nel sistema retto dalla c.d. pregiudiziale amministrativa se si era svolto il giudizio di solo annullamento con la presenza del controinteressato, il successivo giudizio avente ad oggetto la sola domanda di risarcimento non vedeva il beneficiario dell'atto annullato come litisconsorte necessario. Anche il Consiglio di Stato, per giustificare l'interesse di un'impresa alla decisione, non ha escluso che il soggetto che ha svolto sine titulo un appalto pubblico possa essere chiamato a restituire l'utile di impresa, o all'amministrazione ovvero direttamente alla controparte che, in esito al giudizio definitivo, sia risultata legittima aggiudicataria, avente come tale titolo a svolgere il lavoro o il servizio. Quindi si è ritenuta l'aggiudicataria di una gara pubblica quale parte necessaria del giudizio avente ad oggetto la richiesta di condanna della stazione appaltante al risarcimento del danno. Ciò proprio in funzione della esigenza di provocare la formazione del giudicato sull'illegittimità dell'atto anche nei confronti dei suoi eventuali beneficiari, potendo sorgere obblighi restitutori dallo svolgimento di un rapporto reso senza titolo a seguito dell'annullamento dell'aggiudicazione. (Cons. St. VI, n. 1750/2008; in senso conforme, Cons. St. VI, n. 4089/2011, in cui si richiama proprio la novità del codice qui in commento per affermare che, anche in caso di integrale esecuzione del contratto, l'aggiudicataria di una gara di appalto conserva l'interesse a dimostrare la legittimità dell'aggiudicazione, in base alla quale il contratto è stato stipulato. L'eventuale annullamento o accertamento di illegittimità dell'aggiudicazione è, infatti, potenzialmente idoneo a produrre effetti caducanti sul contratto stipulato, anche ex tunc (come stabilito dagli artt. 121 e 122) o a rendere comunque sine titulo il rapporto intercorso tra stazione appaltante e impresa). Il Codice non prende posizione su quali possano essere le azioni per pervenire a tali restituzioni, né su quale possa essere la giurisdizione davanti alla quale proporre tali azioni, ma crea i presupposti affinché la domanda di risarcimento autonoma, che può contenere un accertamento dell'illegittimità dell'atto, sia pronunciata anche nei confronti del beneficiario dell'atto e fare stato nei suoi confronti. Tuttavia in questo caso — a differenza di quanto è previsto per l'azione di annullamento — il ricorrente non rischia di incorrere in alcuna decadenza per omessa notificazione del ricorso ai litisconsorti necessari, purché integri il contraddittorio nei loro confronti nel termine a tal fine assegnatogli anche d'ufficio dal giudice. L'ipotizzata domanda dell'originario aggiudicatario nei confronti del soggetto che ha effettuato i lavori dovrebbe comunque essere proposta davanti al giudice ordinario, tenuto conto che è stato escluso che il giudice amministrativo possa conoscere di controversie di cui non sia parte una pubblica amministrazione, o soggetti ad essa equiparati, in presenza di azioni tra privati, che non possono essere attribuite alla giurisdizione del giudice amministrativo per mere ragioni di connessione (Cons. St. VI, n. 2957/2008; Cons. giust. amm. Sicilia 21 luglio 2008,n.600). Sulla questione è intervenuta l'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato in un caso in cui la domanda di risarcimento del danno era stata proposta dall'originario aggiudicatario, individuato correttamente dall'amministrazione, che non aveva potuto stipulare ed eseguire il contratto perché, in esecuzione di una sentenza del Tar non sospesa, l'amministrazione aveva nel frattempo stipulato il contratto con il secondo classificato vincitore nel giudizio di primo grado, il cui esito era stato poi ribaltato in appello quando ormai i lavori erano già stati eseguiti dal soggetto sbagliato. L'Adunanza plenaria, in coerenza con il precedente appena citato, esclude che possa appartenere alla giurisdizione amministrativa la domanda che la parte privata danneggiata dall'impossibilità di ottenere l'esecuzione in forma specifica del giudicato proponga nei confronti dell'altra parte privata, beneficiaria del provvedimento illegittimo (rectius, provvedimento adottato in esecuzione di una sentenza poi riformata). Tuttavia, condanna la stazione appaltante al risarcimento del danno, riconoscendo la sussistenza di una obbligazione ex lege scaturente dal fatto oggettivo dell'impossibilità di eseguire il giudicato, ricordando che sulla base della giurisprudenza della Corte di Giustizia non è necessario provare la colpa dell'amministrazione aggiudicatrice, poiché il rimedio risarcitorio risponde al principio di effettività della tutela previsto dalla normativa comunitaria. In questi casi la responsabilità potrebbe essere esclusa solo dalla mancanza o dal venir meno della antigiuridicità della condotta o del nesso di causalità, che è invece presente caso concreto essendoci profili di imprudenza in capo all'amministrazione (Cons. St.Ad. plen., n. 2/2017, che non ha escluso che l'amministrazione, chiamata a risarcire il danno ai sensi dell'art. 112, comma 3, possa vantare un'azione di regresso nei confronti del beneficiario che ha tratto vantaggio dal provvedimento illegittimo travolto dal giudicato, collegata a un'obbligazione risarcitoria di natura solidale o di azione di ingiustificato arricchimento per il disequilibrio causale derivante dal collegamento tra le posizioni sostanziali in gioco, non proposta nel caso di specie e quindi non esaminata neanche sotto il profilo della sussistenza della giurisdizione). La Plenaria ha anche precisato che l'art. 41 non prevede, a rigore e in senso tecnico, un litisconsorzio necessario nei confronti del privato beneficiario dell'atto illegittimo, limitandosi a sancire l'obbligo di una meradenuntiatio litis; in altri termini, il privato non è destinatario di una domanda di risarcimento del danno contro di lui diretta, ma solo destinatario della notificazione della domanda proposta contro l'amministrazione, al fine di rendere possibile l'opponibilità del giudicato (v. il commento all'art. 30 e il par. «Il danno derivante da atti amministrativi posti in essere in esecuzione di pronunce del giudice, poi riformate»). BibliografiaAntillo, Il sistema delle notifiche a mezzo posta alla luce dell'art. 7 della legge 20/11/1982 n. 890, come modificato, dall'art. 36, comma 2-quater e 2-quinques della legge 28 febbraio 2008 n. 31. Considerazioni critiche e spunti riflessivi, in Lexitalia.it, settembre 2008; Cerulli Irelli (cur.), Verso il nuovo processo amministrativo, Torino, 2000; Cucumile, Le notifiche tramite posta elettronica certificata, in Lexitalia, n. 12/2017; De Paolis, Il nuovo processo amministrativo integrato con la giurisprudenza, Padova, 2003; Di Giovanni, La domanda riconvenzionale nel processo amministrativo, Padova, 2004; Figorilli, I motivi aggiunti alla luce delle modifiche introdotte dalla l. n. 205/2000, in Dir. proc. amm. 2005, 181; Follieri, Il contraddittorio in condizioni di parità nel processo amministrativo, in Dir. proc. amm. 2006, 499 ss.; Franco, Strumenti di tutela del privato nei confronti della pubblica amministrazione, Padova, 1999; Gaffuri, Il ricorso incidentale nel giudizio amministrativo di primo grado: alcune note sulla sua natura e sul rapporto con il ricorso principale, in Dir. proc. amm. 2009, 1047 ss.; Giovagnoli-Ieva-Pesce, Il processo amministrativo di primo grado, Milano, 2005; Gizzi, Brevi considerazioni in ordine ad alcune “novità processuali” introdotte dal codice del processo amministrativo, in giustizia-amministrativa.it, 23 febbraio 2022; Menchini, Processo amministrativo e tutele giurisdizionali differenziate, in Dir. proc. amm. 1999, 986 ss.; Lipari, Il rito superspeciale in materia di ammissioni e di esclusioni (art. 120, co. 2-bis e 6-bis del cpa) va in soffitta. 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Ma non convince, in Dir. proc. amm. 2009, 200 ss.; Vacirca, Appunti per una nuova disciplina dei ricorsi incidentali nel processo amministrativo, in Dir. proc. amm. 1986, 57 ss; Villata, In tema di ricorso incidentale e di procedure di gara con due soli concorrenti, in Dir. proc. amm. 2008, 931 ss; Villata, Riflessioni in tema di ricorso incidentale nel giudizio amministrativo di primo grado, in Dir. proc. amm. 2009, 285 ss.; Villata-Bertonazzi, Ricorso e costituzione delle parti, in Quaranta-Lopilato (cur.), Il processo amministrativo, Milano, 2011, 385 ss. |