Decreto legislativo - 2/07/2010 - n. 104 art. 65 - Istruttoria presidenziale e collegiale

Gabriele Carlotti

Istruttoria presidenziale e collegiale

 

1. Il presidente della sezione o un magistrato da lui delegato adotta, su istanza motivata di parte, i provvedimenti necessari per assicurare la completezza dell'istruttoria.

2. Quando l'istruttoria è disposta dal collegio, questo provvede con ordinanza con la quale è contestualmente fissata la data della successiva udienza di trattazione del ricorso. La decisione sulla consulenza tecnica e sulla verificazione è sempre adottata dal collegio.

3. Ove l'amministrazione non provveda al deposito del provvedimento impugnato e degli altri atti ai sensi dell'articolo 46, il presidente o un magistrato da lui delegato ovvero il collegio ordina, anche su istanza di parte, l'esibizione degli atti e dei documenti nel termine e nei modi opportuni.

Note operative

Tipologia di atto Termine Decorrenza
Ordinanza collegiale istruttoria Fissa la data dell'udienza Pubblicazione dell'ordinanza
Ordinanza, presidenziale o del magistrato delegato o collegiale Fissa il termine per l'esibizione dell'atto impugnato Pubblicazione dell'ordinanza

Inquadramento

La disposizione indica gli organi investiti dei poteri istruttori e le regole essenziali sulle modalità di acquisizione dei mezzi di prova, sebbene tali regole siano poi specificate in altre previsioni del Codice e, in particolare, nell' art. 68 c.p.a. Il comma 1 si occupa dell'istruttoria presidenziale; il comma 2 di quella collegiale e il comma 3 prevede un'ipotesi di adempimento istruttorio obbligatorio.

Dal punto di vista strutturale la previsione in rassegna conferma che, nel giudizio amministrativo, i poteri istruttori sono distribuiti tra il presidente (o suo delegato) e il collegio.

Il fondamentale valore sistematico della disposizione in rassegna risiede però nell'affermazione del principio della completezza dell'istruttoria, il cui rispetto è compito affidato al giudicante. Il principio della completezza dell'istruttoria deve essere coordinato con quelli, gravanti sulle parti, dell'onere della prova (o dell'onere del principio di prova nei giudizi di annullamento) e dell'onere di allegazione dei fatti.

Dalla lettura della disposizione si evince che l'istruttoria rimane, nel giudizio amministrativo, una fase priva di una definita autonomia procedimentale.

Un altro importante contenuto della disposizione è la previsione della figura del magistrato delegato (dal presidente della sezione) per lo svolgimento di compiti istruttori.

Il principio di completezza dell'istruttoria

L'importanza sistematica della disposizione, come accennato, si coglie nel primo comma là dove si menziona l'esigenza che sia assicurata la completezza dell'istruttoria. Soltanto una causa correttamente e pienamente istruita può, difatti, garantire l'effettività della giurisdizione, solennemente evocata dall' art. 1 c.p.a., che costituisce l'essenziale finalità di un giudizio amministrativo allineato ai principi costituzionali e del diritto europeo. Spetta al giudice amministrativo, che è considerato il «signore della prova» (nel senso che tale giudice gode, come si vedrà, di ampi poteri istruttori), assicurare che l'istruttoria processuale sia completa e che, conseguentemente, sia pieno il sindacato giurisdizionale.

Il principio della completezza dell'istruttoria deve essere, tuttavia, coordinato con quelli, di pari dignità, sul riparto dell'onere della prova e dell'onere dell'allegazione (e della contestazione) dei fatti rilevanti della causa, oneri entrambi gravanti sulle parti. Sicché, se il responsabile della completezza dell'istruttoria è il giudice in composizione monocratica (presidente o suo delegato) o collegiale che sia, tale responsabilità, che implica il riconoscimento di correlati poteri ufficiosi di iniziativa istruttoria, deve essere resa compatibile con il fondamentale principio dispositivo, ricavabile dagli artt. 63 e 64, che ormai innerva di sé, seppure con qualche attenuazione, l'intero giudizio amministrativo.

Il presidente della sezione o il collegio possono e debbono, quindi, garantire lo svolgimento di un'istruttoria completa nei limiti in cui la loro attività non interferisca, alterandoli, sugli oneri gravanti sulle parti. L'intervento ufficioso del giudice amministrativo è, dunque, ammesso dal Codice nei soli casi in cui esso di riveli strettamente necessario ai fini della decisione (v. il comma 1 della disposizione in esame) oppure obbligatorio, anche in assenza di una specifica sollecitazione di parte (v. il comma 3 dell'articolo in esame).

L'istruttoria presidenziale e quella collegiale

La disposizione in rassegna, per quanto concerne il complessivo impianto della fase istruttoria del giudizio, riproduce la situazione delineata dalla normativa previgente, in cui il governo dell'istruttoria processuale era suddiviso tra il presidente della sezione e il collegio giudicante. Naturalmente differenti sono i segmenti del processo in cui i due organi, rispettivamente monocratico e collegiale, intervengono. Ed invero, di norma, il presidente della sezione (quando non intervenga quale presidente di un collegio) o il magistrato da questi delegato adottano i provvedimenti istruttori motivatamente richiesti prima che il giudizio, già introdotto, sia stato incardinato avanti a un collegio e, quindi, in genere prima e fuori dell'udienza (o della camera di consiglio) e in vista della celebrazione della stessa.

Sono, peraltro, diversi i poteri che la disposizione attribuisce al presidente della sezione e al collegio; differente può essere anche la forma che assumono i relativi provvedimenti. In particolare, il comma 2 della previsione è dedicato esclusivamente all'istruttoria collegiale e, oltre a disporre che il collegio provvede sempre con ordinanza (che, ai sensi degli artt. 33, comma 1, lett. b), e 36, è la forma in cui, in via generale, debbono essere adottati tutti i provvedimenti del giudice privi di un contenuto decisorio della controversia), riserva allo stesso organo il potere di decidere sulla consulenza tecnica e sulla verificazione.

La disposizione in esame contempla poi due differenti ipotesi di intervento del presidente rispettivamente previste dal comma 1 e dal comma 3, quest'ultimo peraltro applicabile anche al caso dell'istruttoria collegiale.

L’iniziativa presidenziale, a norma del comma 1, è attivata attraverso la presentazione di un’istanza motivata di parte, che può essere contenuta in una memoria autonoma o in un altro atto di parte come, ad esempio, direttamente nel ricorso introduttivo (art. 40, comma 1, lett. e), in quello incidentale (art. 42, comma 2, che rinvia all’art. 40), in sede cautelare (art. 55, comma 12) e anche in appello (art. 104, comma 2). Nella motivazione dell'istanza la parte interessata (non soltanto il ricorrente) dovrà indicare il mezzo di prova richiesto e illustrare le ragioni della sua ritenuta necessità ai fini della completezza dell'istruttoria. Anche il provvedimento del giudice, positivo o negativo, dovrà contenere al riguardo una motivazione, sia pur succinta.

Il comma 1 non fissa limiti oggettivi al provvedimento del presidente. Un limite specifico si ricava, però, come sopra accennato, dal successivo comma 2, che preclude al presidente di disporre la verificazione o la consulenza tecnica. Un secondo limite di carattere generale si trae, invece, dalla previsione della necessità dell'intervento istruttorio, da intendersi tale necessità sia con riferimento alla indispensabilità dell'acquisizione del mezzo istruttorio richiesto ai fini del decidere sia con riguardo alla indifferibilità di detta acquisizione al momento della trattazione collegiale.

Il comma 3 prevede poi un'ipotesi di obbligatoria attivazione d'ufficio (anche del presidente), a prescindere, quindi, da qualsiasi istanza di parte. Dispone, infatti, il ridetto comma 3 che, se l'amministrazione, quand'anche non costituitasi in giudizio, non produca il provvedimento impugnato e gli altri atti a norma dell' art. 46 c.p.a., allora il presidente, o il magistrato da quegli delegato, ordina l'esibizione nel termine e nei modi opportuni. In particolare, dal combinato disposto dei commi 1, 2 e 3 del citato art. 46 discende che, nel termine di sessanta giorni dal perfezionamento nei suoi confronti della notificazione del ricorso, l'amministrazione dovrà produrre l'eventuale provvedimento impugnato, nonché gli atti e i documenti in base ai quali l'atto sia stato emanato, quelli in esso citati e quelli che l'amministrazione ritenga utili al giudizio e che, dell'avvenuta produzione dovrà esser data comunicazione alle parti costituite a cura della segreteria.

 In tal senso si è pronunciato il Consiglio di Stato, secondo cui (Cons. St. V, n. 8245/2021), nel processo amministrativo di primo grado, l'amministrazione resistente ha l'onere di depositare il provvedimento impugnato e gli atti e documenti del relativo procedimento amministrativo e gli altri ritenuti utili ex art. 46, comma 2, c.p.a. e se l'amministrazione non provvede a tale adempimento, il giudice ordina anche d'ufficio l'esibizione dei documenti ex art. 65, comma 3, c.p.a., sicché il provvedimento impugnato e gli atti del procedimento amministrativo relativo, sono da ritenersi per definizione indispensabili al giudizio, tanto è vero che la mancata produzione da parte dell'amministrazione non comporta decadenza, sussistendo il potere-dovere del giudice di acquisirli d'ufficio (in termini, anche Cons. St. V, n. 2385/2020). La medesima regola si applica, tuttavia, anche nel secondo grado (v. infra e Cons. St. III, n. 4546/2013).

Il comma 3 menziona anche la possibilità che l'esibizione sia ordinata a seguito di un'istanza di parte, ma, in considerazione della obbligatoria acquisizione del provvedimento impugnato (indispensabile, come chiarito, ai fini dell'azione di annullamento e, sovente, anche di altre azioni), deve reputarsi che l'istanza di parte, al ricorrere dell'ipotesi tipizzata dalla disposizione, abbia la natura di una mera sollecitazione all'esercizio di una potestà ufficiosa del presidente (o del collegio).

Occorre segnalare che il vocabolo «esibizione», utilizzato nel comma 3 della disposizione, non allude al mezzo di prova contemplato dal comma 2 dell' art. 63 c.p.a. (e che rinvia all' art. 210 c.p.c.). L'accezione esatta del termine, nel contesto della disposizione, è piuttosto quella di «produzione», in coerenza con il dato letterale dell'art. 46, comma 2.

Il collegio giudicante ha una potestà istruttoria più ampia del presidente della sezione. Non soltanto, difatti, il comma 2 della disposizione in commento riserva al collegio la decisione in ordine all'effettuazione di una verificazione o di una consulenza, ma il comma 3 assegna, anche al collegio, l'obbligo di acquisire il provvedimento impugnato e gli altri atti menzionati dal sunnominato art. 46.Inoltre il collegio, in ogni momento del giudizio, può disporre — senza nemmeno il vincolo della «necessità» (ai fini della completezza dell'istruttoria) che condiziona l'iniziativa presidenziale (v. supra) — tutti gli altri provvedimenti istruttori acquisibili d'ufficio ai sensi degli artt. 63 e 64 c.p.a., ossia può chiedere alle parti chiarimenti e documenti, può ordinare a terzi di esibire in giudizio documenti o altre res, può disporre l'ispezione, può disporre l'acquisizione di informazioni e documenti utili ai fini del decidere che siano nella disponibilità della pubblica amministrazione.

Alla luce di considerazioni testé svolte la dottrina ha osservato che, sul piano formale della struttura del processo amministrativo, non esiste una fase istruttoria in senso proprio. Difatti, diversamente da quanto accade nel rito civile ordinario, l'attività istruttoria può svolgersi anche quando la causa sia stata rimessa al collegio per la decisione (Police, Benvenuti, Caianiello).

La figura del magistrato delegato

La figura del magistrato delegato con competenze istruttorie fu introdotta in via generale dell' art. 21, sesto comma, della l. 6 dicembre 1971, n. 1034, come novellato dall' art. 1 della l. 21 luglio 2000, n. 205. Ancor prima, una norma analoga era contenuta nell' art. 30, primo comma, del r.d. 17 agosto 1907, n. 642, recante il regolamento per la procedura dinanzi alle sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato. Entrambe tali previsioni sono state abrogate con l'entrata in vigore del Codice e il loro portato precettivo è rifluito nella disposizione in rassegna.

Il magistrato delegato per compiti istruttori (che è distinto dall'omologa figura menzionata anche negli artt. 56, comma 2, e 61, comma 2, c.p.a., riguardo all'adozione, rispettivamente, delle misure cautelari monocratiche e di quelle anteriori alla causa), al di là di qualche somiglianza strutturale e funzionale  (monocraticità, competenze istruttorie), non è in alcun modo assibilabile al giudice istruttore del processo civile. Quest'ultimo, infatti, ha un ruolo ben definito dal codice di rito e una specifica e stabile competenza che non deriva da quella del presidente e tanto meno da un provvedimento discrezionale di quest'ultimo.

Premesso che la delega dei poteri istruttori non è mai un obbligo per il presidente (né per il collegio), va osservato che la disposizione in esame non prevede quali siano le modalità di nomina del magistrato delegato né quale sia la forma e il contenuto della delega. Riguardo a tali profili, il comma 1 stabilisce che sia il presidente della sezione a nominare il magistrato delegato. Non essendo poi chiarito quale forma debba assumere l'atto di delega, deve farsi riferimento al combinato disposto delle lettere b) e c) dell'art. 33, secondo le quali, rispettivamente, è pronunciata ordinanza quando siano disposte misure interlocutorie e i decreti possono essere adottati soltanto nei casi previsti dalla legge. Dovrebbe, pertanto, concludersi nel senso che la delega presidenziale vada conferita con ordinanza; sennonché è indubbio che, nella prassi, almeno qualora la delega sia rilasciata con un atto autonomo, essa assuma in genere la forma del decreto che è la forma dei provvedimenti giurisdizionali monocratici. Nel caso in cui, per contro, la delega sia un atto collegiale, allora essa assumerà la forma dell’ordinanza, considerato il tenore dell’art. 69.

Va qui segnalato, infatti, che, ai sensi degli artt. 67, comma 1, 68, comma 2, e 69, anche il collegio può delegare a un magistrato, componente del collegio medesimo, l'adempimento di alcuni compiti istruttori. Tanto si desume dall'art. 67, comma 1, che menziona espressamente il magistrato delegato dal collegio per il conferimento dell'incarico al consulente e per riceverne il giuramento e pure dall'art. 68, comma 2, che prevede la delega a uno dei componenti del collegio per l'assunzione dei mezzi di prova al di fuori dell'udienza; inoltre l'art. 69 dispone che il presidente, con proprio provvedimento, possa surrogare o nominare un altro magistrato delegato, anche quando il magistrato sia stato delegato con ordinanza collegiale.

La disposizione in esame non fissa, peraltro, alcun criterio per la scelta del magistrato da delegare (che può anche non coincidere con il relatore e che, anzi, di norma non dovrebbe coincidere con il relatore quando si tratti di magistrato delegato dal presidente della sezione) e, dunque, sul punto il presidente gode di un ampio potere discrezionale. D'altra parte, la disposizione nemmeno precisa se la delega debba esser conferita, di volta in volta, in relazione a ogni causa, o, genericamente, in relazione a più affari, né viene indicato in quale fase del processo il presidente della sezione possa provvedere sulla delega né, infine, quale sia l'efficacia temporale di essa. La discrezionalità presidenziale, dunque, copre anche tutti questi aspetti. La delega sarà inoltre revocabile in ogni tempo dallo stesso presidente. Ferma restando la latitudine di siffatta discrezionalità, deve tuttavia ritenersi che il presidente non possa mai adottare un provvedimento di delega «in bianco» (ossia generica), attraverso il quale cioè il presidente conferisca stabilmente a un magistrato l'esercizio del relativo potere.

Anche per quanto concerne l'oggetto della delega l'articolo in rassegna lascia un ampio margine di scelta al presidente, fermi restando, però, l'impossibilità di travalicare i confini degli stessi poteri presidenziali. Si fa riferimento, in particolare, alla circostanza che l'ultimo periodo del coma 2 dell'articolo in rassegna riserva al collegio la decisione sulla verificazione e sulla consulenza tecnica, sicché i relativi provvedimenti non potranno essere adottati dal presidente e nemmeno, consequenzialmente, dal magistrato delegato.

Il magistrato delegato ha comunque, almeno potenzialmente, i medesimi poteri istruttori del presidente e, dunque, può ammettere e assumere le prove, anche fuori udienza; inoltre, nell'ambito del subprocedimento di consulenza tecnica, compete al magistrato delegato (in questo caso dal collegio) ricevere il giuramento dell'ausiliario nominato, come si è già accennato.

Sebbene lo svolgimento dell'incarico oggetto della delega sia un obbligo per il magistrato interessato, nondimeno quest'ultimo dovrà (o potrà) sottrarsi ad esso allorquando ricorrano ipotesi di sua astensione obbligatoria (o facoltativa), situazioni che il delegando dovrà segnalare immediatamente al presidente.

Deve reputarsi che la delega collegiale presenti alcune differenze rispetto a quella presidenziale. Più in dettaglio, la prima sarà sempre conferita a un magistrato del collegio e non potrà riguardare adempimenti istruttori differenti da quelli disposti dallo stesso collegio e relativi alla singola controversia trattata.

L'art. 69 (al cui commento si rinvia) disciplina, come sopra ricordato, le ipotesi di surrogazione e di sostituzione del magistrato delegato.

Il provvedimento presidenziale di delega dovrà comunque essere menzionato negli atti adottati dal magistrato delegato a giustificazione dei poteri esercitati. Inoltre, in genere, i presidenti seguono un criterio di rotazione, variamente declinato, tra i magistrati dell'ufficio per l'attribuzione della delega in questione.

La forma dei provvedimenti istruttori. I termini

Per quanto riguarda la forma dei provvedimenti istruttori il comma 2 della disposizione precisa che il collegio provvede sempre con ordinanza che, a norma degli art. 33, comma 1, lett. b), e 36, comma 1, è la forma tipica delle pronunce giurisdizionali di carattere interlocutorio e, comunque, prive di un contenuto decisorio della causa. Qualora, invece, il collegio decida solo in parte la causa, il comma 2 del suddetto art. 36 stabilisce che il giudice pronunci sentenza non definitiva e che adotti, al contempo, i provvedimenti istruttori per l'ulteriore trattazione della causa. Al ricorrere di tale evenienza, il collegio pronuncerà una sentenza non definitiva il cui contenuto, per i profili relativi all'istruttoria, seguirà il regime sostanziale dell'ordinanza e, dunque, non sarà suscettibile di autonoma impugnazione (ma, al più, potrà essere appellata insieme alla sentenza, non definitiva o definitiva).

La disposizione, invece, tace sulla forma del provvedimento del presidente della sezione. Come sopra osservato, però, in applicazione dell'art. 33, comma 1, lett. c), detto provvedimento dovrebbe assumere sempre la forma dell'ordinanza, posto che la legge, ossia la disposizione in commento, non menziona il decreto. Sennonché potrebbe anche obiettarsi che l'art. 33 si riferisca in modo specifico alle pronunce del giudice e che il presidente della sezione, quando sia chiamato dalle parti a provvedere sull'istruttoria non assuma, in senso stretto, la veste di giudice della causa. Non sarebbe da escludere, quindi, che il presidente della sezione possa adottare anche un decreto, che – come si è osservato -è il tipico provvedimento, dal contenuto ordinatorio dell'autorità giudiziaria monocratica.

In ogni caso il profilo esaminato, come già osservato sopra, perde di rilevanza pratica una volta considerato che, anche nel giudizio amministrativo, vige il principio della libertà delle forme, anche per gli atti del giudice e che, secondo un costante orientamento della giurisprudenza, la qualificazione di ogni provvedimento giurisprudenziale, e quindi l'individuazione del suo concreto regime, va fatta sulla base del contenuto concreto del provvedimento.

Con riferimento ai termini eventualmente fissati dal presidente o dal collegio per l'esecuzione di un adempimento istruttorio, la giurisprudenza ha chiarito che essi non hanno natura perentoria, ma ordinatoria. Tale conclusione poggia sull'assenza, nel giudizio amministrativo, di una fase istruttoria in senso stretto e sulla mancata previsione di sanzioni, anche di carattere endoprocessuale, per l'eventuale inosservanza dei termini in questione ( Cons. St. III, n. 1515/2014).

L'impugnabilità dei provvedimenti istruttori

Le decisioni del presidente della sezione e del collegio in ordine alle richieste istruttorie delle parti, fatto salvo il capo particolare previsto dal comma 3 della disposizione in commento, sono espressione di un potere discrezionale, il cui esercizio non è direttamente sindacabile. In particolare, i provvedimenti istruttori pronunciati dal giudice amministrativo non sono autonomamente impugnabili perché non si concretano in decisioni in rito o in merito di un punto controverso suscettibili di passare in cosa giudicata. Possono essere invece impugnate le sentenze, definitive o non definitive, per vizi dell'attività istruttoria compiuta dal giudice (sotto il profilo dell'invalidità dei singoli atti o insufficienza dei mezzi di prova ammessi e assunti) qualora tali vizi abbiano dato luogo a un carente accertamento dei fatti della causa.

A proposito dell'impugnabilità dei provvedimenti istruttori viene, peraltro, in rilievo, sotto un differente profilo, il ricordato principio della prevalenza della forma sulla sostanza. Invero, la forma della sentenza, eventualmente adottata per un provvedimento istruttorio in luogo dell'ordinanza, non rende di per sé l'atto impugnabile (stante la riferita non impugnabilità autonoma degli atti del giudice privi di un valore decisorio); in applicazione del medesimo principio sarà invece impugnabile un'ordinanza che, al di là del nomen iuris utilizzato, rechi statuizioni in punto di rito o di merito idonee a definire, in tutto o in parte, il giudizio.

L'applicabilità della disposizione in appello

Un aspetto problematico della disposizione riguarda la sua applicabilità in appello. Difatti, sebbene l'art. 38 contenga la clausola generale secondo cui il rito del primo grado del giudizio, in assenza di espresse deroghe, si applica anche alle impugnazioni (sicché l'art. 65 verrebbe a trovare applicazione anche avanti al Consiglio di Stato), deve anche tenersi conto di quanto disposto dall'art. 104, comma 2, secondo cui non sono ammessi nuovi mezzi di prova e non possono essere prodotti nuovi documenti, se il collegio non li ritenga indispensabili ai fini della decisione della causa ovvero se la parte non dimostri di non aver potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile. Si tratta, in sostanza, del ben noto «divieto deinovain appello» che, alla stregua del sunnominato art. 38, potrebbe essere considerato un'espressa deroga – contenuta, per l'appunto, nell'art. 104, comma 2 — a quanto stabilito dall'articolo in esame.

Al riguardo si reputa che l'esigenza di rendere compatibili le due disposizioni conduca all'adozione di soluzioni differenziate, soprattutto in relazione a quanto previsto dal comma 3 dell'art. 65.

Per quanto riguarda l'attività istruttoria del collegio giudicante del Consiglio di Stato vale certamente quanto stabilito dall'art. 104, comma 2. A maggior ragione tale limite vale per il presidente di sezione del Consiglio di Stato.

Un discorso a parte va fatto, invece, sia per il collegio giudicante sia per il presidente della sezione in relazione a quanto stabilito dal comma 3 della disposizione in commento, posto che tale previsione impone un vero e proprio obbligo e, quindi, integra una delle ipotesi, tipizzate dalla legge in cui, a norma dell'art. 64, comma 2, il collegio e anche il presidente sono tenuti a procedere d'ufficio.

Nei sensi appena esposti è anche orientata la giurisprudenza amministrativa. Si è, difatti, statuito – muovendo dalla considerazione della indispensabilità del provvedimento impugnato e degli atti del procedimento amministrativo relativo, nonché del potere-dovere del giudice di acquisirli d'ufficio – che l'art. 46, comma 2, è applicabile anche in grado di appello senza che si incontri la preclusione ai nova recata dall'art. 104, comma 2; anzi, il giudice può desumere argomenti di prova, ai sensi dell'art. 64, comma 4, dal comportamento inerte della amministrazione (tra i plurimi precedenti, T.A.R. Bari I, n. 723/2016; Cons. St. VI, n. 2820/2014).

La dottrina (Lombardi, Chizzini-Bertonazzi) ha osservato che l' art. 46, comma 2, c.p.a. pone in capo all'amministrazione un vasto dovere di produzione che corrisponde ad esigenze strutturali del processo in quanto preordinato, nell'interesse del ricorrente e della giustizia, a procurare al giudizio la provvista documentale che l'amministrazione ha formato nel corso del procedimento amministrativo. L'inosservanza dell'art. 46, ai sensi del comma 3 della disposizione in esame, determina la pronuncia di un'ordinanza istruttoria che si pone quale rimedio specifico ad attivazione automatica tutte le volte in cui se ne realizzi il presupposto tipizzato dalla legge, costituito dall'inadempienza proprio dei suddetti obblighi di produzione documentale da parte dell'amministrazione.

Bibliografia

Benvenuti, L'istruzione nel processo amministrativo, Padova, 1953, 10; Caianiello, Manuale di diritto processuale amministrativo, Torino, 2003, 755; Chizzini-Bertonazzi, L'istruttoria, in Sassani-Villata (a cura di), Il Codice del processo amministrativo, Torino, 2012, 701; Police, I mezzi di prova e l'attività istruttoria, in G.P. Cirillo (a cura di), Il nuovo diritto processuale amministrativo, Padova, 2014, 435; Lombardi, Riflessioni in tema di istruttoria nel processo amministrativo: poteri del giudice e giurisdizione soggettiva «temperata», in Dir. proc. amm. 2016, 85.

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