Decreto legislativo - 2/07/2010 - n. 104 art. 66 - Verificazione

Gabriele Carlotti

Verificazione

 

1. Il collegio, quando dispone la verificazione, con ordinanza individua l'organismo che deve provvedervi, formula i quesiti e fissa un termine per il suo compimento e per il deposito della relazione conclusiva. Il capo dell'organismo verificatore, o il suo delegato se il giudice ha autorizzato la delega, è responsabile del compimento di tutte le operazioni.

2. L'ordinanza è comunicata dalla segreteria all'organismo verificatore.

3. Con l'ordinanza di cui al comma 1 il collegio può disporre che venga corrisposto all'organismo verificatore, o al suo delegato, un anticipo sul compenso.

4. Terminata la verificazione, su istanza dell'organismo o del suo delegato, il presidente liquida con decreto il compenso complessivamente spettante al verificatore, ponendolo provvisoriamente a carico di una delle parti. Si applicano le tariffe stabilite dalle disposizioni in materia di spese di giustizia, ovvero, se inferiori, quelle eventualmente stabilite per i servizi resi dall'organismo verificatore. Con la sentenza che definisce il giudizio il Collegio regola definitivamente il relativo onere.

Note operative

Tipologia di atto Termine Decorrenza
Ordinanza che dispone la verificazione Nell'ordinanza il collegio stabilisce il termine: a) per il compimento della verificazione; b) per il deposito della relazione conclusiva. Le decorrenze saranno quelle stabilite nell'ordinanza con cui è stata disposta la consulenza tecnica.

Inquadramento

La disposizione stabilisce le modalità procedurali da seguire per l'esecuzione della verificazione. Tali modalità, differenti da quelle fissate dal Codice per il conferimento della consulenza tecnica, evidenziano le differenze strutturali e funzionali tra i due istituti, nonostante la tendenziale unitarietà della relativa disciplina. In dettaglio, si prevede che la verificazione sia disposta dal collegio (e solo da collegio, a norma dell'art. 65, comma 2) con ordinanza.

Al riguardo, il Consiglio di Stato (Cons. St. II, n. 2223/2024) ha chiarito che la verificazione, al pari della consulenza tecnica d'ufficio, è un mezzo istruttorio sottratto alla disponibilità delle parti e affidato al prudente apprezzamento del giudice, rientrando nel suo potere discrezionale la decisione di disporre, o no, la nomina dell'ausiliario. Ne consegue che non può essere censurata la scelta del giudice di primo grado di ricorrere al mezzo istruttorio né quella di aver aderito, all'esito di un autonomo percorso argomentativo, alle conclusioni alle quali sia giunto il verificatore (Cons. St. IV, n. 1166/2025). La motivazione dell'eventuale decisione di non disporre la verificazione può essere anche implicitamente desunta dal contesto generale delle argomentazioni svolte e dalla valutazione del quadro probatorio unitariamente considerato, sicché non può essere fondatamente predicata alcuna omessa pronuncia o violazione del giusto processo per non aver il giudice di primo grado dato seguito alla richiesta dell'interessato. Sia nel caso della verificazione sia in quello della consulenza tecnica d'ufficio, è, dunque, consentito disattendere le conclusioni esposte dal verificatore o dal consulente, purché delle ragioni del dissenso il giudice dia adeguato conto; si deve, pertanto, escludere in modo radicale qualsiasi vincolatività dei giudizi valutativi del verificatore sulla autonomia della cognizione del giudice amministrativo rispetto alle conclusioni assunte in sede di accertamento tecnico (Cass. SU, n. 4331/2024).

Il contenuto obbligatorio dell'ordinanza con la quale venga disposta una verificazione è costituito: a) dalla individuazione dell'organismo incaricato dell'incombente; b) dall'indicazione dell'oggetto della verificazione, cristallizzato nei quesiti formulati, e c) nella fissazione del termine per il compimento della verificazione e per il deposito della relazione conclusiva. È, invece, un contenuto soltanto eventuale dell'ordinanza la previsione della corresponsione di un anticipo sul compenso spettante al verificatore.

La disposizione assegna al capo dell'organismo verificatore la responsabilità di tutte le operazioni.

Infine, l'ultimo comma dell'articolo in commento disciplina in modo dettagliato le modalità di liquidazione del compenso spettante al verificatore. Tale liquidazione si articola in due fasi: una prima liquidazione avviene al termine della verificazione, mentre la liquidazione definitiva è determinata con la sentenza. In particolare, in occasione della prima liquidazione il collegio stabilisce anche, in via provvisoria, su quale parte debba ricadere l'onere del pagamento del compenso; tale scelta potrà essere eventualmente riconsiderata dal giudice in sede di sentenza definitiva.

Per quanto riguarda l'entità del compenso la disposizione rinvia alle tariffe stabilite in materia di spese di giustizia o, se inferiori, a quelle eventualmente stabilite per i servizi resi dall'organismo verificatore.

La disciplina previgente

La verificazione, al pari della consulenza tecnica, sono fondamentali strumenti processuali per il sindacato sulla discrezionalità tecnica esercitata sulla pubblica amministrazione.

La verificazione è un istituto di carattere istruttorio tipico del giudizio amministrativo. La disciplina precedente, abrogata con l'entrata in vigore del Codice, era contenuta nell'art. 44, primo comma, del r.d. 26 giugno 1924, n. 1054 (testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato), secondo cui, qualora la sezione avesse riscontrato l'incompletezza dell'istruttoria o la contraddizione tra i fatti affermati nell'atto impugnato con i documenti, avrebbe potuto ordinare, tra l'altro, all'amministrazione interessata, di fare nuove verificazioni, autorizzando le parti ad assistervi. Un'altra disposizione sulla verificazione era l'art. 26, secondo e terzo comma, del r.d. 17 agosto 1907, n. 642 (regolamento per la procedura dinanzi alle sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato), in base alla quale le sezioni avrebbero potuto richiedere all'amministrazione di eseguire nuove verificazioni, fissando il termine entro cui dovesse essere depositata la relazione. Al ricorrere di questa evenienza, le parti sarebbero state avvisate, a cura dell'amministrazione, almeno cinque giorni prima, del luogo, del giorno e dell'ora in cui sarebbe stata eseguita la verificazione. Dette previsioni divennero applicabili anche al processo avanti ai tribunali amministrativi regionali in forza del rinvio disposto dall' art. 19 della l. 6 dicembre 1971, n. 1034 (Istituzione dei tribunali amministrativi regionali), secondo cui, nei giudizi davanti ai tribunali amministrativi regionali, fino all'emanazione di una nuova legge di procedura, si sarebbero osservate le norme dettate per le sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato, se non contrastanti con la stessa legge n. 1034/1971.

La precedente disciplina dell'istituto rifletteva, a ben vedere, la risalente concezione del giudizio amministrativo come luogo e occasione di un mero sindacato estrinseco sull'esercizio del potere amministrativo, allorquando l'atto impugnato, in cui tale esercizio di potere si fosse concretato, avesse investito questioni la cui soluzione avesse postulato una indagine di natura tecnica. In pratica, si riteneva che il giudice amministrativo, pur nelle ipotesi in cui avesse ravvisato gli elementi sintomatici di un eccesso di potere, non potesse valutare la correttezza intrinseca delle operazioni e valutazioni tecniche compiute dall'amministrazione e che, quindi, al cospetto di esse il giudice dovesse arrestare il suo sindacato, disponendo soltanto del potere di chiedere all'amministrazione di riesaminare, attraverso la verificazione, il proprio operato.

Tale situazione è del tutto mutata, atteso che attualmente il giudice può esercitare, anche grazie alla verificazione e alla consulenza tecnica, un penetrante sindacato sull'esercizio della discrezionalità tecnica da parte della pubblica amministrazione.

Ancorché l'essenziale portato precettivo delle richiamate previsioni sia quindi rifluito nella disposizione in rassegna, va segnalato come sia profondamente mutata la fisionomia dell'istituto della verificazione. Nel previgente regime, infatti, la verificazione, come accennato, era un mezzo istruttorio la cui esecuzione era affidata alla stessa amministrazione che rivestiva la qualità di parte della causa di volta in volta trattata. In sostanza, la verificazione disposta dal giudice si configurava come una sorta di prosecuzione e di completamento dell'istruttoria svolta dall'amministrazione.

Il Codice ha radicalmente ribaltato siffatta originaria prospettiva, all'insegna della progressiva (ma non completa) assimilazione funzionale (seppure non strutturale) della verificazione alla consulenza tecnica. La verificazione si è difatti trasformata in uno strumento di esclusivo ausilio all'esercizio della funzione giurisdizionale, con specifico riferimento alle attività di accertamento tecnico di fatti. In tal modo si è marcata la differenza tra la verificazione e l'istruttoria procedimentale, svolta dall'amministrazione resistente in relazione all'atto o al provvedimento oggetto della controversia. Soprattutto, per effetto di tale trasformazione dell'istituto, si è reso necessario modificare alcuni aspetti della previgente disciplina al fine di rafforzarne i caratteri di «terzietà». Va in particolare valorizzata, sotto questo profilo, l'eliminazione del collegamento soggettivo tra l'organismo verificatore e la pubblica amministrazione che sia parte in causa. L'art. 19, comma 2 (al cui commento si rinvia) dispone, infatti, che la verificazione sia affidata a un organismo pubblico, provvisto delle necessarie competenze tecniche, ma necessariamente estraneo alle parti del giudizio.

La dottrina (Clemente di San Luca) ha osservato che, sebbene il Codice abbia messo a disposizione del giudice amministrativo, affinché questi possa sindacare le valutazioni tecniche compiute dalla pubblica amministrazione, due diversi mezzi istruttori, rimane però non del tutto chiara l'esatta funzionalizzazione di tali due mezzi. La differente funzionalità dei due mezzi istruttori è, invero, segnalata a livello normativo, dalla previsione, ricorrente sia nell' art. 19, comma 1, c.p.a. sia nell' art. 63, comma 4, c.p.a. dell'«indispensabilità», quale requisito per ordinare una consulenza tecnica (requisito non previsto per la verificazione). Secondo tale dottrina sembra doversi ritenere che la verificazione possa e debba essere disposta dal giudice laddove si tratti di accertare fatti che presentino una connotazione tecnico-scientifica il cui acclaramento dia luogo, però, a risultati certi ed indubbi; diversamente il giudice dovrebbe disporre una consulenza tecnica d'ufficio quando si tratti di accertare soltanto la plausibilità – e non la veridicità – della scelta tecnico-scientifica compiuta dalla pubblica amministrazione, giacché la disciplina scientifica sussunta nella fattispecie normativa non offra sul punto una risposta certa ed inopinabile, esistendo più di un criterio per effettuare siffatta scelta.

Secondo altra dottrina (Lucattini) non si dovrebbe sopravvalutare la circostanza che il Codice ammetta il ricorso alla consulenza tecnica d'ufficio solo se «indispensabile», elevando apparentemente la verificazione a mezzo privilegiato per l'accertamento delle questioni fattuali e tecniche più complicate. Tale previsione, infatti, non darebbe luogo una irragionevole limitazione istruttoria; da un lato, perché il requisito della indispensabilità risulterebbe facilmente superabile sul piano motivazionale, al punto da risultare, in pratica, inidoneo ad impedire al giudice di disporre la consulenza tecnica «ogni qual volta lo ritenga necessario ai fini di giustizia»; da un altro lato, perché la verificazione parrebbe, comunque, strumento potenzialmente in grado di consentire l'imparziale accertamento di fatti complessi, in linea con il principio del giusto processo. Tra i due istituti sembrerebbe dunque residuare ormai soltanto differenze di ordine procedurale e in relazione ai profili soggettivi.

Come appena chiarito, la verificazione tendenzialmente si presta, meglio della consulenza tecnica, all'accertamento di fatti e, quindi, il giudice amministrativo può disporla in tutti i casi in cui la decisione della questione sottoposta all'esame del giudice postuli l'apprezzamento, sotto il profilo tecnico, di un fatto o di un evento o della consistenza o di una qualità di una res.

Tal approccio ha trovato conferma nella giurisprudenza della Corte di cassazione; in particolare, le Sezioni Unite civili (Cass. SU, n. 158/2020) hanno affermato che, nel processo amministrativo, la verificazione, oltre a contenere una mera rilevazione di un dato storuico, costituisce uno strumento processuale cognitivo e non valutativo di fatti. E, anzi, proprio muovendo dalla considerazione della natura meramente cognitiva e non valutativa di fatti, il Supremo Collegio ha tratto la conclusione che il parere tecnico, in cui si compendia l'esito della verificazione, non può mai vincolare l'autonomia della cognizione giurisdizionale, posto che il giudice può discostarsene motivatamente. Inoltre, quand'anche proveniente da un organo incardinato in una pubblica amministrazione, la relazione di verificazione non costituisce mai espressione di discrezionalità amministrativa e tanto meno può interferire con le valutazioni di opportunità e di merito dell'amministrazione attiva.   In termini analoghi si è espresso anche il Consiglio di Stato (II, n. 546/2022), secondo cui la verificazione si distingue dalla consulenza, in quanto è uno strumento probatorio che mira all'effettuazione di un mero accertamento tecnico di natura non valutativa; in altri termini, la verificazione consiste essenzialmente in un accertamento disposto al fine di completare la conoscenza dei fatti che non siano desumibili dalle risultanze documentali, mentre la consulenza tecnica si estrinseca in una valutazione di situazioni da utilizzare ai fini della decisione, dall'oggetto non meramente ricognitivo e circoscritto a un fatto specifico, e la cui soluzione implica specifiche cognizioni tecniche.   Più di recente, in tal senso si sono pronunciate anche le Sezioni unite della Corte di Cassazione (Cass. SU, ord. n. 4331/2024), secondo cui la verificazione è diretta a far emergere la realtà oggettiva e si risolve essenzialmente in un accertamento tecnico, di natura non valutativa, diretto a individuare la sussistenza di determinati elementi o fatti complessi, la cui esistenza non sia accertabile né desumibile con certezza dalle risultanze documentali (Cons. St. III, n. 330/2020) e che, in ogni caso, richiede uno specifico sapere scientifico, al quale il giudice fa ricorso in funzione consultiva (Cons. St. III, n. 5169/2021 e III, n. 2537/2021). Per contro, la consulenza tecnica consente al giudice di acquisire un giudizio tecnico e il consulente non si limita a un'attività meramente ricognitiva e circoscritta a un elemento o fatto specifico, ma, utilizzando le proprie specifiche cognizioni tecniche, prende in carico situazioni e oggetti complessi al fine di elaborare un proprio giudizio, e di conseguenza a rispondere al quesito ritenuto dal giudice utile ai fini del decidere con una soluzione tecnicamente idonea alla stregua di un “giudizio di valore” (Cons. St. III, n. 4848/2017).

Per meglio comprendere il concetto appena espresso è utile riportare alcuni esempi di come la giurisprudenza amministrativa utilizzi tale mezzo istruttorio, di per sé molto versatile e, quindi, idoneo ad essere utilizzato per compiere attività che, nel processo civile, sono affidate figure distinte dal consulente tecnico (come lo stimatore).

Sulla versatilità d'uso dello specifico mezzo istruttorio la dottrina (Giani) ha osservato che la verificazione si caratterizza per la sua poliedricità, potendo comportare attività diverse quali ispezioni, sopralluoghi, esperimenti, esami tecnici e qualsiasi altra operazione necessaria per rispondere ai quesiti formulati dal giudice. Tale poliedricità è coerente con l'originaria giustificazione ideologica della verificazione che va ricercata nella ritenuta impossibilità per il giudice, in sede di legittimità, di disporre una cognizione autonoma dei fatti oggetto del giudizio, potendoli conoscere solo attraverso le rappresentazioni ad esso fornite dalla stessa amministrazione parte in causa.

Un settore in cui i giudici amministrativi ricorrono spesso alla verificazione è quello dell'edilizia e dell'urbanistica, per accertare quale sia lo stato di un immobile o per misurare delle distanze (là dove, ad esempio, dal rispetto, o no, di certe distanze in concreto dipenda l'applicazione di una norma) o per controllare se un determinato terreno ricada, o meno, entro il perimetro di un'area sottoposta a vincolo (vedi T.A.R. Campania (Napoli) II n. 695/2016). Un altro ambito di frequente utilizzo della verificazione è quello dell'ambiente (vedi Cgars , sez. giur. n. 581/2015, in tema di misurazione delle emissioni elettromagnetiche di un impianto di una stazione terrestre di un sistema di comunicazione satellitare). Ancora, in ambito sanitario, la verificazione viene spesso utilizzata dai giudici amministrativi per misurare l'altezza di persone che aspirino a far parte di un corpo militare quando l'ordinamento a tal fine prescriva che i candidati possiedano di un'altezza minima (vedi T.A.R. Lazio (Roma) I, n. 13315/2014; T.A.R. Lazio (Roma) II, n. 9252/2014). Molto frequentemente le verificazioni sono ordinate nell'ambito di giudizi elettorali celebrato con il rito «ordinario» (il ricorso alla verificazione non sarebbe compatibile con il rito accelerato disciplinato dall' art. 129 c.p.a., stante la ristrettezza dei tempi imposti per la decisione) per il riconteggio dei voti o l'acquisizione dei verbali degli scrutini e, più in generale, per il controllo giurisdizionale sull'effettivo svolgimento delle operazioni. Con particolare riguardo al giudizio elettorale la giurisprudenza amministrativa ha però affermato, in molteplici occasioni, il divieto, per il collegio, di ordinare (e, per le parti, di richiedere) una verificazione c.d. «esplorativa», ossia volta alla mera ripetizione dello spoglio in sede giudiziaria allo scopo di far emergere in tal modo eventuali vizi delle operazioni elettorali (non conosciuti al momento della proposizione dell'impugnativa), con la conseguente declaratoria di inammissibilità di motivi aggiunti formulati in relazione a vizi delle operazioni, non dedotti con il ricorso introduttivo e conosciuti dalle parti soltanto in occasione dell'effettuazione della verificazione (tra i molti precedenti in tal senso, T.A.R. Campania (Salerno) I, n. 2476/2016; Cons. St. V, n. 1477/2016; Cons. St. V, n. 1059/2016).

La forma del provvedimento che dispone la verificazione

Il comma 1 della disposizione in commento prevede espressamente che la verificazione sia disposta dal collegio con ordinanza. Al riguardo va osservato che la previsione è coerente con l'art. 65, là dove si stabilisce che la decisione sulla verificazione (al pari di quella sulla consulenza tecnica) è riservata al collegio. Sia l'art. 65, comma 2, sia la disposizione in commento individuano, infatti, nell'ordinanza collegiale la forma del provvedimento con il quale si dispone la verificazione. Del resto, già l'art. 33, comma 1, lett. b), dedicato ai provvedimenti del giudice amministrativo, prevede che si pronunci ordinanza ogniqualvolta si assumano, tra l'altro, misure interlocutorie e, in questo novero, rientrano anche i provvedimenti istruttori. Inoltre l'art. 36, comma 1, prescrive che, salvo diversa disposizione del Codice, il giudice provveda con ordinanza in tutti i casi in cui non definisca nemmeno in parte il giudizio (e la verificazione è sicuramente un mezzo istruttorio privo di contenuto decisorio).

Nulla esclude, tuttavia, che il giudice, con un solo provvedimento, decida solo alcune delle questioni sottoposte al suo vaglio e contestualmente disponga una verificazione, qualora ritenga quest'ultima necessaria per definire la restante parte della controversia. In questa eventualità, si applicherà l'art. 36, comma 2, in base al quale il giudice pronuncia sentenza non definitiva, adottando anche provvedimenti istruttori per l'ulteriore trattazione della causa. In questa ipotesi, all'interno di un unico documento, coesisteranno due differenti pronunce e, segnatamente, una sentenza e, nella sostanza, pure un'ordinanza. La distinzione tra i due provvedimenti assume rilievo ai fini impugnatori, dal momento che la sentenza non definitiva potrà essere impugnata nei termini stabiliti (a meno che le parti non si riservino l'appello a norma dell'art. 103), a differenza dell'ordinanza con cui sia stata disposta una verificazione la quale, al contrario, potrà essere al più modificata dal collegio, giacché un'impugnazione contro di essa potrà essere proposta, ma non in via non autonoma, ossia soltanto in uno con quella successivamente interposta nei confronti della sentenza (c.d. «impugnazione conglobata»).

Il contenuto dell'ordinanza che dispone la verificazione

Si è già osservato (v., supra) che la disposizione indica quale debba essere il contenuto necessario dell'ordinanza che dispone la verificazione e, segnatamente,

a) l'individuazione dell'organismo che deve provvedervi;

b) la formulazione dei quesiti;

c) il termine per il compimento della verificazione;

d) il termine per il deposito della relazione scritta.

In ordine all'individuazione dell'organismo che deve provvedervi si rammenta che, a norma dell'art. 19 (al cui commento si rinvia, anche per l'interpretazione del sintagma «organismo pubblico»), deve trattarsi di un organismo pubblico munito di specifiche competenze tecniche ed estraneo alle parti del giudizio.

Precisa la disposizione in esame, nell'ultimo periodo del comma 1, che il capo dell'organismo verificatore (o il suo delegato) è responsabile del compimento di tutte le operazioni. Su tale previsione si tornerà in seguito (v. infra); qui è sufficiente rilevare che, nell'ordinanza, il giudice può indicare nominativamente il capo dell'organismo verificatore oppure limitarsi soltanto a menzionare quest'ultimo organismo, atteso che, per effetto del combinato disposto degli artt. 19, comma 2, e 66, comma 1, dovrà intendersi che, salvo differente determinazione del giudice, il soggetto incaricato della verificazione sia sempre il «capo dell'organismo verificatore».

La disposizione usa intenzionalmente una locuzione generica per indicare il responsabile della verificazione, in modo da tener conto delle variegate fisionomie organizzative che possono assumere le pubbliche amministrazioni e la conseguente varietà delle denominazioni dei rispettivi vertici. In generale, comunque, il capo dell'organismo verificatore è la persona fisica che abbia la rappresentanza legale dell'ente o che presieda il relativo organo apicale, nel caso in cui quest'ultimo sia un organo collegiale (si pensi, ad esempio, ai collegi di molte autorità indipendenti).

Fondamentale è la «formulazione dei quesiti». I quesiti infatti perimetrano l'oggetto della verificazione e devono essere accuratamente indicati dal giudice onde orientare l'attività di indagine del verificatore.

Con l'ordinanza il giudice deve inoltre fissare il termine per il compimento della verificazione, nonché un termine per il deposito della relazione conclusiva. Posto che dopo la scadenza del primo termine risulterà precluso al verificatore il compimento di ulteriori operazioni, potrà darsi il caso, soprattutto quando le indagini delegate siano complesse, che il giudice, sulla base di una richiesta di proroga dello stesso verificatore (da presentare prima della scadenza dei termini inizialmente stabiliti), debba pronunciare un'ulteriore ordinanza, a modifica della precedente, previa riconvocazione delle parti, avendo queste ultime diritto a interloquire sull'istanza di proroga (qualora la richiesta di proroga sia dovuta, infatti, a negligenza del verificatore, le parti potrebbero chiedere la sostituzione dell'ausiliario). Non va, difatti, dimenticato che, in linea di principio, i termini assegnati dal giudice sono perentori, a norma dell'art. 52 c.p.a., salva differente previsione di legge. Ebbene, nel caso dei mezzi istruttori tale differente previsione di legge ricorre, dal momento che la prorogabilità dei termini è, invero, stabilita dal comma 3 dell'art. 67 c.p.a., là dove è contemplata tale possibilità ai sensi dell'art. 154 c.p.c. Ancorché la norma sia stata dettata esplicitamente per la sola consulenza tecnica ( art. 67 c.p.a.), nondimeno deve ritenersi che essa sia espressione di una ratio valida per tutti i mezzi istruttori e, dunque, applicabile analogicamente anche alla verificazione.

La previsione di due distinti termini trova ragionevole spiegazione nella circostanza che, una volta terminate le operazioni connesse all'oggetto dei quesiti, il verificatore ha bisogno di disporre del tempo necessario a stendere la relazione.

Nella prassi non è infrequente che i due termini coincidano oppure che i giudici stabiliscano un unico termine per il deposito della relazione conclusiva.

La menzione del termine per il deposito della relazione conclusiva lascia intendere che, all'esito delle operazioni, il verificatore sia sempre tenuto a redigere una relazione scritta.

Il Codice contempla poi un altro contenuto obbligatorio dell'ordinanza che dispone la verificazione. Sennonché la norma relativa non si trova inserita nel comma 1, della disposizione in esame, ma nel comma 2 dell'art. 65, in cui è previsto che, quando l'istruttoria sia disposta dal collegio, questo provveda con ordinanza recante la fissazione della data della successiva udienza di trattazione del ricorso (ma la regola vale anche per il rito in camera di consiglio). In mancanza di detta fissazione, le parti potranno chiedere una integrazione dell'ordinanza o, comunque, chiedere la fissazione della data con un separato provvedimento.

L'ordinanza che dispone la verificazione può avere anche dei contenuti ulteriori ed eventuali. Uno di tali possibili contenuti è previsto dal comma 3 della disposizione in rassegna, là dove è precisato che il collegio può stabilire, anche d'ufficio, che venga corrisposto all'organismo verificatore un anticipo sul compenso. In questa ipotesi, pur nel silenzio della norma, troverà applicazione in via analogica il primo periodo del comma 4, secondo cui l'anticipo del compenso è posto provvisoriamente a carico di una delle parti.

Non è poi infrequente che il collegio, con l'ordinanza che dispone la verificazione, autorizzi direttamente, cioè anche in assenza di una richiesta dell'interessato, il capo dell'organismo di verificatore a nominare un delegato (c.d. «facoltà di subdelega»), il quale comunque dovrà possedere le necessarie competenze tecniche necessarie per l'assolvimento dell'incarico.

Sebbene la norma taccia sul punto, deve ritenersi che il capo dell'organismo verificatore, qualora nomini un delegato, debba comunicare al giudice e alle parti il nominativo di quest'ultimo, onde consentire alle stesse parti di proporre le eventuali domande di ricusazione, ai sensi dell'art. 20, comma 2.

Opportunamente il comma 2 della disposizione in commento prevede che l'ordinanza con la quale sia stata disposta una verificazione sia comunicata dalla segreteria anche all'organismo verificatore; diversamente quest'ultimo potrebbe non venire a conoscenza dell'incarico ricevuto. D'altronde, soltanto dalla ricezione di tale comunicazione da parte dell'organismo verificatore inizieranno a decorrere i termini per il compimento delle operazioni di verificazione e per il deposito della relazione conclusiva.

L'ordinanza che dispone la verificazione è comunque comunicata alle parti costituite, al pari di ogni altro provvedimento del giudice, a norma degli artt. 33, comma 3, e 89, comma 3, secondo i quali, tra l'altro, le ordinanze, se non pronunciate in udienza o in camera di consiglio e inserite nel relativo verbale, sono comunicate alle parti dalla segreteria entro cinque giorni dall'avvenuto deposito.

Dell'avvenuto deposito della relazione di verificazione devono essere messe a conoscenza le parti: tanto si desume dall'art. 68, comma 4, secondo cui il segretario comunica alle parti l'avviso che l'istruttoria disposta è stata eseguita e che i relativi atti sono a disposizione presso la segreteria.

Il responsabile della verificazione

L'ultimo periodo del comma 1 della disposizione in rassegna prevede che il capo dell'organismo verificatore, o il suo delegato, è responsabile del compimento di tutte le operazioni. Il senso della previsione è chiaro: sebbene la verificazione sia affidata a un organismo pubblico, nondimeno le responsabilità relative alla sua effettuazione sono soggettivamente imputate a una persona fisica, si tratti del capo dell'organismo verificatore o del suo delegato. La locuzione normativa copre peraltro un alveo semantico assai ampio e dà luogo a significative ricadute applicative. Difatti, per un verso essa allude all'esigenza che il capo dell'organismo verificatore, o il suo delegato, governi il subprocedimento di verificazione e compia tutte le operazioni necessarie affinché esso si svolga nei termini stabiliti dal giudice, prevendendo al naturale esito del deposito di una relazione recante la risposta ai quesiti formulati dal giudicante. Per altro verso la previsione implica altresì che sul capo dell'organismo verificatore, o sul suo delegato, gravino le responsabilità stabilite dall'ordinamento giuridico per gli ausiliari del giudice (per tali responsabilità si rinvia al commento dell'art. 19).

Le differenze rispetto alla consulenza. Il contraddittorio nella verificazione

Ancorché l'art. 63, comma 4, non distingua tra consulenza tecnica e verificazione con riferimento all'oggetto delle indagini delegabili alle due figure di ausiliari (posto che la disposizione menziona indistintamente l'accertamento di fatti e l'acquisizione di valutazioni), tuttavia tale approdo esegetico non si presenta coerente con i caratteri strutturali e funzionali dei due mezzi istruttori. Non può, invero, reputarsi che esista una piena fungibilità tra i due strumenti a disposizione del giudice. La circostanza che le verificazioni siano comunque affidate a un soggetto appartenente alla pubblica amministrazione (e, quindi, più «vicino» a una delle parti in causa) induce, invero, a prediligere la soluzione secondo cui all'organismo verificatore debbano essere prevalentemente affidate indagini che presentino un minor tasso di opinabilità, ossia in relazione alle quali siano minori i margini della discrezionalità valutativa e maggiore l'oggettività delle possibili risposte. In altri termini, la verificazione si presta meglio all'accertamento tecnico di fatti già acquisiti, mentre la consulenza si attaglia all'espressione di un giudizio, ossia alla valutazione sotto un profilo tecnico degli stessi fatti. Riguardata da questa prospettiva la consulenza tecnica consente al giudice amministrativo di compiere un sindacato più approfondito sulla discrezionalità tecnica esercitata dalla pubblica amministrazione.

L'esistenza di tali diversità funzionali tra la verificazione e la consulenza tecnica è riconosciuta dalla giurisprudenza amministrativa. Si è, invero, statuito (Cons. St. VI, n. 11/2015) che la differenza tra la verificazione e la consulenza, oltre alla differente natura del soggetto incaricato, risiede nella circostanza che la verificazione non è diretta ad esprimere valutazioni e a fornire un giudizio tecnico, ma si limita a un mero accertamento tecnico.

Va segnalato che il comma 1 dell'art. 19 c.p.a. prevede la possibilità di nominare anche più verificatori. La nomina di più verificatori può rivelarsi necessaria allorquando l'oggetto delle indagini da delegare riguardi più ambiti scientifici oppure nei casi in cui gli accertamenti richiesti dal giudice, seppur relativi a un stesso settore dello scibile, siano molto complessi. Quando siano stati nominati più verificatori, il giudice può stabilire che essi operino come collegio e, pertanto, tali ausiliari redigeranno un'unica relazione finale. Tuttavia, a meno che non sia il giudice a stabilirlo, il collegio dei verificatori non è tenuto a seguire particolari regole di voto, ma dovrà semplicemente dare atto delle eventuali posizioni discordanti dei singoli verificatori. Il comma 1 dell'art. 19 non pone limiti al numero dei verificatori nominabili, sicché la disposizione si discosta da quella contenuta nell'art. 191, secondo comma, c.p.c., che, sebbene dettata solo per i consulenti tecnici, prevede invece che il giudice possa nominare più consulenti soltanto in caso di grave necessità o quando la legge espressamente lo disponga.

Sono molte le differenze di disciplina tra la verificazione e la consulenza tecnica. La prima diversità riguarda, come si è già accennato, il profilo soggettivo. Della verificazione deve essere necessariamente incaricato un organismo pubblico; mentre la consulenza tecnica può essere affidata, in alternativa, a dipendenti pubblici, a professionisti iscritti negli albi di cui all'art. 13 disp. att. c.p.c. (ossia negli albi dei consulenti tecnici, divisi in categorie, istituiti presso ogni tribunale civile) o anche ad altri soggetti aventi comunque una particolare competenza tecnica. Come si è chiarito nel commento all'art. 19 c.p.a., al quale si rinvia, la nozione di organismo pubblico è volutamente molto generica, tenuto conto della varietà delle forme organizzative, oggi anche privatistiche, che possono assumere le pubbliche amministrazioni. Una utile indicazione per definire tale alveo soggettivo può tuttavia essere tratta dall' art. 7, comma 2, c.p.a., là dove è precisato che, per i fini del Codice, si intendono per pubbliche amministrazioni, anche i soggetti ad esse equiparati o comunque tenuti al rispetto dei principi del procedimento amministrativo. In ogni caso il verificatore è sempre un plesso organizzativo, sebbene poi l' art. 66, comma 1, ultimo periodo, c.p.a. precisi che la persona fisica incaricata sia ex lege il capo dell'organismo medesimo, a meno che questi non sia autorizzato dal giudice a nominare un delegato.

Molte diversità si riscontrano poi con riferimento alle regole di svolgimento dei due mezzi istruttori. Sebbene, difatti, sia la verificazione sia la consulenza siano disposte dal collegio, con ordinanza, differente è la disciplina legale del contraddittorio nei due casi. Per la verificazione la disposizione in rassegna prescrive unicamente che il giudice, una volta individuato l'organismo pubblico incaricato, formuli i quesiti e fissi il termine per il compimento delle indagini e per il deposito della relazione conclusiva. Nel caso della consulenza, invece, è prescritto dall'art. 67c.p.a. che l'ausiliario presti il giuramento avanti al magistrato delegato; è contemplata espressamente solo per la consulenza la possibilità, per le parti, di nominare propri consulenti che possono assistere alle operazioni del consulente del giudice e interloquire, oltre a poter partecipare alle udienze e alle camere di consiglio ogni volta che sia presente il consulente tecnico d'ufficio e svolgere, se autorizzati, le loro osservazioni.

La giurisprudenza ammette, però, la possibilità di nominare consulenti tecnici di parte anche in occasione di una verificazione. Al riguardo infatti il Consiglio di Stato (Cons. St. n. 1757/2016) ha statuito che, sebbene la disposizione in esame — a differenza dell' art. art. 67 c.p.a. — non preveda la facoltà di nomina di consulenti di parte; tuttavia nemmeno si rinviene un divieto sul punto.

Il contraddittorio permea anche la fase della redazione della relazione del consulente tecnico che deve essere sottoposta una prima volta alle parti sotto forma di schema e poi integrata con le eventuali osservazioni dei consulenti di parte.

Al riguardo va tuttavia osservato che la giurisprudenza amministrativa si è mostrata molto sensibile alla garanzia del contraddittorio tra le parti anche in occasione della verificazione. Non è difatti infrequente imbattersi in ordinanze che, nel disporre la verificazioni, riproducano – a parte quella che prescrive il giuramento (per le ragioni che si spiegheranno infra) — molte regole sul procedimento della consulenza, ispirate all'art. 67, quali, ad esempio, la facoltà per le parti di nominare propri consulenti (v. supra) oppure l'obbligo del verificatore di predisporre uno schema preliminare di verificazione da sottoporre alle parti, per acquisirne le eventuali osservazioni, prima del deposito della relazione finale. Nella prassi, pertanto, i due istituti si stanno ulteriormente avvicinando sotto il profilo funzionale. Tale atteggiamento della giurisprudenza merita apprezzamento, giacché volto a tutelare al meglio il diritto di difesa delle parti nella fase istruttoria; inoltre tali soluzioni giurisprudenziali non prestano il fianco a nessun sospetto di illegittimità, dal momento che la disposizione in commento indica soltanto i caratteri e gli adempimenti essenziali connessi allo svolgimento della verificazione, ma non impedisce al giudice, nell'esercizio delle sue discrezionalità, di stabilire ulteriori condizioni, specialmente se le eventuali prescrizioni aggiuntive siano nel senso di accrescere, e non di ridurre, il livello delle garanzie processuali per le parti.

Sulla garanzia del contraddittorio nell'ambito della verificazione va ricordato Cons. St. IV, n. 1343/2012, secondo cui, anche se la verificazione viene effettuata dall'amministrazione, nondimeno l'esecuzione deve rispettare il principio del contraddittorio, con la conseguenza che la verificazione offre le stesse garanzie della consulenza tecnica d'ufficio.

La dottrina (Giusti) ritiene, tuttavia, che il rapporto tra verificazione e contraddittorio continui a rimanere problematico. In effetti, la giurisprudenza, nonostante il tenore dell'articolo in commento, è propensa a estendere alla verificazione le garanzie del contraddittorio previste dall'abrogato regolamento di procedura, in quanto ritenute componente essenziale del diritto di difesa. Tuttavia, la stessa giurisprudenza reputa che l'eventuale violazione del contraddittorio (ossia delle regole dettate dal giudice nell'ordinanza con la quale sia stato disposto il mezzo istruttorio) non spieghi alcuna incidenza sulla validità della verificazione, a differenza della nullità che invece si ritiene vizi la consulenza tecnica d'ufficio svolta senza il rispetto delle regole legali di partecipazione delle parti.

In effetti il Consiglio di Stato (sez. V, n. 533/2015) ha affermato che, l'apporto collaborativo del verificatore avviene in funzione pariordinata nella fase di cognizione della causa, sicché la disciplina di legge esclude il contraddittorio in tale momento dell'istruttoria, attestandolo invece in prosieguo sugli sviluppi della verificazione. Da qui, l'impossibilità di sancire la nullità della verificazione svolta in assenza di contraddittorioSul punto, si è anche precisato (Cons. St. III, n. 4848/2017) che, diversamente dalla consulenza,  la verificazione - proprio perché  diretta conseguire la conoscenza di fatti, la cui esistenza non sia accertabile o desumibile con certezza dalle risultanze documentali - si estrinseca in un giudizio di risultato che, come tale, non richiede un momento di contraddittorio, questo semmai concerne esclusivamente gli sviluppi e le risultanze della verificazione. In sostanza, in materia di verificazione, il contraddittorio processuale è assicurato dall'ordinamento consentendo alle parti di prendere posizione sulla relazione di verificazione, mediante il deposito entro i termini di legge di apposite memorie difensive, con cui formulare le pertinenti osservazioni (Cons. St. VI, n. 4458/2020).

In alcune sentenze poi, con riferimento alla necessità, o no, del contraddittorio in sede di verificazione, si distingue in base all’oggetto dell’accertamento da compiere in concreto. Ad esempio, T.A.R. Abruzzo (L’Aquila) I, n. 180/2018, ha affermato che la partecipazione delle parti alle operazioni di verificazione ha senso solo qualora vi sia un esame o accertamento da effettuare su luoghi o cose, ma non quando la verificazione si risolva in un esame documentale.

Sulla stessa linea si colloca anche l’indirizzo giurisprudenziale (come, ad esempio, T.A.R. Sicilia, Catania, I n. 24/2017) secondo cui la convocazione delle parti per l'inizio delle operazioni di verifica non è sempre necessaria; in particolare, si è affermato che tale convocazione sia indispensabile qualora vi sia un esame o accertamento da effettuare su luoghi o cose, ma non anche quando la verificazione si risolva in un esame documentale. Ciò perché l'apporto tecnico e collaborativo del verificatore è di natura consultiva, a supporto dell’attività giurisdizionale, ed esso, intervenendo nella fase di cognizione della causa, non richiede uno specifico contraddittorio, differente e ulteriore rispetto a quello che si attua nel giudizio.

Non va comunque dimenticato che anche nel caso della verificazione potrà aversi l'instaurazione di un contraddittorio, tra il verificatore e le parti, alla presenza del giudice. Tale considerazione trova conferma nel comma 3 dell'art. 19. Detto comma stabilisce, infatti, che il verificatore e il consulente compiono le indagini loro affidate e forniscono anche oralmente i chiarimenti richiesti. La previsione, oltre ad ribadire la doverosità dello svolgimento degli incarichi, prevede la possibilità per il giudice di richiedere chiarimenti sia ai consulenti tecnici sia ai verificatori. L'incarico di tali ausiliari, pertanto, non si esaurisce con il deposito della relazione, ma si estende anche all'obbligo di fornire chiarimenti per iscritto oppure di comparire avanti al giudice, in presenza delle parti, per fornire i medesimi chiarimenti oralmente, sia durante il compimento delle operazioni attinenti allo svolgimento dell'incarico sia dopo l'avvenuto deposito della relazione. La norma, riguardata sotto questo profilo, è probabilmente ridondante per il consulente d'ufficio, atteso che l'art. 67, comma 3, c.p.a. contempla l'ipotesi della comparizione di questo ausiliario avanti al giudice; essa si presenta, invece, assai utile per la corretta interpretazione della disposizione in commento, giacché quest'ultima non accenna espressamente alla possibilità di una comparizione personale del verificatore allo scopo di fornire detti chiarimenti. La richiesta di chiarimenti può anche condurre alla successiva decisione del giudice di compiere un supplemento di verificazione. In ogni caso la richiesta di chiarimenti scritti o la convocazione personale del verificatore (al pari del supplemento di verificazione) vanno disposte dal collegio con ordinanza.

Un'altra, evidente, differenza rispetto al consulente tecnico è che il verificatore non deve prestare alcun preventivo giuramento di bene e fedelmente adempiere le funzioni affidategli al solo scopo di far conoscere al giudice la verità (come recita l'art. 193 c.p.c.). Le ragioni di tale mancata prescrizione sono essenzialmente due e sono facilmente intuibili. La prima concerne il fatto che il verificatore è, come più volte ripetuto, un organismo pubblico e il capo di tale organismo, al pari dell'eventuale delegato da questi indicato, è un dipendente pubblico il quale, in forza di tale status, è di per sé tenuto a obblighi di imparzialità che trovano fondamento direttamente nella Costituzione (artt. 97,98 Cost.), oltre che nelle numerose normative di rango primario sui doveri dei dipendenti pubblici, nonché nella legge sul procedimento amministrativo ( art. 6-bis, l. 7 agosto 1990, n. 241). Sicché la prestazione di un giuramento, da parte del verificatore, risulterebbe un adempimento superfluo che il Codice, condivisibilmente, ha escluso. Si potrebbe, però, obiettare a tale argomento che il Codice, in forza del combinato disposto degli artt. 19, comma 2, e 67, comma 1, ha imposto la prestazione del giuramento anche ai dipendenti pubblici che siano stati nominati consulenti tecnici. L'osservazione, corretta, introduce alla seconda ragione per la quale si è, presumibilmente, escluso il medesimo obbligo per il verificatore. La spiegazione va ricercata nell'accennata differenza funzionale tra l'oggetto della verificazione e quello della consulenza tecnica: mentre infatti il secondo mezzo istruttorio si incentra, principalmente, sull'espressione di un giudizio di carattere tecnico, la verificazione è volta essenzialmente all'accertamento, pur sempre da un punto di vista tecnico, di fatti già acquisiti (o acquisibili) al giudizio. In altri termini, molto più che nella consulenza (che postula il ricorso a parametri valutativi, appartenenti a discipline sconosciute al giudicante), il collegio ha la possibilità di esercitare un controllo più incisivo sull'attività di accertamento tecnico dei fatti, normalmente delegato al verificatore. In questa prospettiva, dunque, non occorre l'ulteriore garanzia formale della fedeltà dell'ausiliario derivante dalla prestazione, al riguardo, di un giuramento.

Infine, differenti, in parte, sono le norme sulla liquidazione del compenso (v. infra).

Il sindacato sugli esiti della verificazione

La giurisprudenza ha anche approfondito la questione della sindacabilità degli esiti della verificazione da parte del giudice.

Al riguardo, in linea generale, i giudici amministrativi (tra i molti, T.A.R. Lazio (Roma) I, n. 8172/2020en. 7130/2019) convengono sulla considerazione che le conclusioni tecnico-scientifiche alle quali perviene il verificatore siano sindacabili soltanto in ipotesi di evidenti e macroscopici vizi di illogicità, incongruenza, contraddittorietà e irragionevolezza.

  Il Consiglio di Stato ha però chiarito, in più occasioni (tra queste, Cons. St. III, n. 5169/2021 e Cons. St. III, n. 2537/2021), che l'esito della verificazione è autonomamente apprezzabile dal giudice, il quale può anche discostarsi dalle conclusioni del verificatore, a condizione tuttavia che ne espliciti adeguatamente le ragioni. La giurisprudenza amministrativa riconosce, infatti, al giudice la facoltà di discostarsi dalle risultanze della verificazione. Tuttavia, è necessaria la motivazione del dissenso con attenta valutazione di tutti gli elementi esposti nella relazione del verificatore. 

Nel medesimo senso è anche la posizione delle Sezioni unite, le quali hanno precisato, che, è sempre consentito al giudice amministrativo disattendere le conclusioni esposte dal verificatore (o dal consulente tecnico), purché delle ragioni del dissenso il giudice dia adeguato conto nella motivazione della sentenza (le stesse Sezioni unite escludono, invero, qualsiasi vincolatività dei giudizi valutativi del verificatore sulla autonomia della cognizione del giudice amministrativo rispetto alle conclusioni assunte in sede di accertamento tecnico; Cass. SU, n. 158/2000). 

La disciplina del compenso

L'attività del verificatore non è svolta a titolo gratuito, ma oneroso. Tanto si ricava dal comma 4 della disposizione in commento. La disciplina di carattere generale che ne risulta è di seguito descritta. Il presidente del collegio, una volta che il verificatore abbia terminato l'incarico, su istanza dell'organismo verificatore (o del delegato di quest'ultimo), liquida con decreto il compenso complessivamente spettante all'ausiliario, ponendolo provvisoriamente a carico di una delle parti; poi, con la sentenza che definisce il giudizio il collegio regola definitivamente il relativo onere, ponendolo a carico di una o di alcune o di tutte le parti, secondo l'esito del giudizio, in base ai principi che disciplinano le spese processuali. Non è possibile ignorare la peculiarità della disciplina dettata dal Codice per la liquidazione del compenso: difatti, l'anticipo sul compenso, se accordato, è liquidato con ordinanza collegiale (così prevede il comma 3); il compenso complessivo con decreto presidenziale (così il comma 4) e quello definitivo con sentenza (ancora si veda il comma 4).

Con riferimento al tema della contestazione della liquidazione del compenso dell'ausiliario, effettuata con il decreto presidenziale, è intervenuta l'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato con la sentenza n. 10/2024, affermando alcuni rilevanti principi e, in dettaglio, che: 1) ogni richiesta di revisione del compenso già liquidato deve essere riqualificata alla stregua di un'opposizione, prevista dagli artt. 84 e 170 (che ora fa rinvio all'art. 15 del d.lgs. n. 150 del 2011) del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, applicabili anche al processo amministrativo; 2) la liquidazione del compenso al verificatore, ai sensi dell'art. 66, comma 4, c.p.a., o al consulente tecnico d'ufficio, ai sensi dell'art. 67, comma 5, c.p.a., deve essere effettuata con decreto dal presidente del collegio, mentre spetta alla sentenza che definisce il giudizio regolare l'onere economico del mezzo istruttorio, ponendolo a carico secondo l'esito del giudizio, in base alla soccombenza, di una o di alcune o di tutte le parti; quand'anche la liquidazione del compenso fosse effettuata con sentenza, il relativo capo conserverebbe, comunque, un'autonoma natura di decreto (e non potrebbe, quindi, considerarsi alla stregua di un capo, impugnabile, della decisione), sebbene inserito in un sentenza, e di esso rimarrebbe immutato il regime di impugnativa (cioè soltanto con l'opposizione); 3) l'opposizione alla liquidazione introduce un nuovo e autonomo giudizio e non già una seconda fase né una revisione accessoria al giudizio in cui è stata effettuata la liquidazione; 4) nonostante alcune pronunce di segno contrario (Cons. St. VI, n. 4826/2017, ord.), la giurisprudenza amministrativa assolutamente prevalente è nel senso di ritenere che sull'opposizione alla liquidazione sussista la giurisdizione del giudice ordinario (tra le altre, Cons. St. V, n. 11026/2023), trattandosi di una controversia civile (Corte cost. n. 80/2020) su diritti soggettivi (Cass. SU n. 20501/2023); 5) a identica soluzione, con riguardo alla giurisdizione del giudice ordinario, deve pervenirsi anche nell'ipotesi in cui l'opposizione sia stata proposta dall'ausiliario del giudice amministrativo rispetto alla liquidazione effettuata in prima istanza, perché, anche in questo caso il giudizio ha carattere civilistico, avendo ad oggetto diritti soggettivi di natura patrimoniale e la spettanza di compensi per le prestazioni rese da un professionista.

Per il verificatore si applicano le tariffe stabilite dalle disposizioni in materia di spese di giustizia, ovvero, se inferiori, quelle eventualmente stabilite per i servizi resi dall'organismo verificatore.

Per quanto riguarda le regole di determinazione di tali compensi, va qui osservato che la disciplina generale di essi si rinviene negli artt. 49,50,51,52,53,54,55,56 e 57 del d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115 (ossia nel Titolo VII del citato provvedimento normativo, dedicato agli «Ausiliari del magistrato nel processo penale, civile, amministrativo, contabile e tributario»), recante il testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia. Siffatte previsioni dispongono, in sintesi, che:

- agli ausiliari del magistrato spettano l'onorario, l'indennità di viaggio e di soggiorno, le spese di viaggio e il rimborso delle spese sostenute per l'adempimento dell'incarico; gli onorari sono fissi, variabili e a tempo (art. 49);

- la misura degli onorari fissi, variabili e a tempo, è stabilita mediante tabelle, approvate con decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze (ossia, dal d.m. 30 maggio 2002), ai sensi dell'art. 17, commi 3 e 4, della l. 23 agosto 1988, n. 400 (ma, sul punto, v. infra);; le tabelle sono redatte con riferimento alle tariffe professionali esistenti, eventualmente concernenti materie analoghe, contemperate con la natura pubblicistica dell'incarico; le tabelle relative agli onorari a tempo individuano il compenso orario, eventualmente distinguendo tra la prima e le ore successive, la percentuale di aumento per l'urgenza, il numero massimo di ore giornaliere e l'eventuale superamento di tale limite per attività alla presenza dell'autorità giudiziaria (art. 50);

- nel determinare gli onorari variabili il magistrato deve tener conto delle difficoltà, della completezza e del pregio della prestazione fornita; gli onorari fissi e variabili possono essere aumentati, sino al venti per cento, se il magistrato dichiara l'urgenza dell'adempimento con decreto motivato (art. 51);

- per le prestazioni di eccezionale importanza, complessità e difficoltà gli onorari possono essere aumentati sino al doppio; se la prestazione non è completata nel termine originariamente stabilito o entro quello prorogato per fatti sopravvenuti e non imputabili all'ausiliario del magistrato, per gli onorari a tempo non si tiene conto del periodo successivo alla scadenza del termine e gli altri onorari sono ridotti di un terzo (art. 52);

- quando l'incarico sia stato conferito ad un collegio di ausiliari il compenso globale è determinato sulla base di quello spettante al singolo, aumentato del quaranta per cento per ciascuno degli altri componenti del collegio, a meno che il magistrato dispone che ognuno degli incaricati deve svolgere personalmente e per intero l'incarico affidatogli (art. 53);

- la misura degli onorari fissi, variabili e a tempo è adeguata ogni tre anni in relazione alla variazione, accertata dall'Istat, dell'indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati, verificatasi nel triennio precedente, con decreto dirigenziale del Ministero della giustizia, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze (art. 54);

- per l'indennità di viaggio e di soggiorno, si applica il trattamento previsto per i dipendenti statali. L'incaricato è equiparato al dirigente di seconda fascia del ruolo unico, di cui all' articolo 15 del d.lg. 30 marzo 2001, n. 165; viene fatta salva l'eventuale maggiore indennità spettante all'incaricato dipendente pubblico; le spese di viaggio, anche in mancanza di relativa documentazione, sono liquidate in base alle tariffe di prima classe sui servizi di linea, esclusi quelli aerei; le spese di viaggio con mezzi aerei o con mezzi straordinari sono rimborsate se preventivamente autorizzate dal magistrato (art. 55);

- gli ausiliari del magistrato devono presentare una nota specifica delle spese sostenute per l'adempimento dell'incarico e allegare la corrispondente documentazione; il magistrato accerta le spese sostenute ed esclude dal rimborso quelle non necessarie; se gli ausiliari del magistrato sono stati autorizzati ad avvalersi di altri prestatori d'opera per attività strumentale rispetto ai quesiti posti con l'incarico, la relativa spesa è determinata sulla base delle tabelle di cui sopra; quando le prestazioni di carattere intellettuale o tecnico di detti prestatori abbiano una propria autonomia rispetto all'incarico affidato, il magistrato conferisce incarico autonomo (art. 56).

In merito alla questione della perdurante applicabilità del sopra citato d.m. 30 maggio 2002, il Consiglio di Stato (Cons. St. V, n. 2015/2015) ha osservato che, sebbene il Codice stabilisca che per il compenso dovuto agli ausiliari del giudice si applicano le tariffe stabilite dalle disposizioni in materia di spese di giustizia, nondimeno, attualmente, la liquidazione del compenso in favore di detti ausiliari deve avvenire mediante l'utilizzo del sistema dei parametri introdotto dal d.m. 20 luglio 2012 n. 140, e non più in base al sistema tariffario di cui al d.m. 30 maggio 2002, a seguito dell'adozione del d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della l. 24 marzo 2012, n. 27, che ha abrogato ( ex art. 9 del d.l. n. 1/2012, fino alla data di entrata in vigore dei decreti ministeriali e, comunque, non oltre il centoventesimo giorno dalla data di entrata in vigore della legge di conversione) il sistema delle tariffe professionali e tutte le disposizioni che ad esse rinviavano. In questo senso anche T.A.R. Napoli, II, n. 4225/2013, secondo cui, tra l'altro, il compenso spettante al consulente tecnico di ufficio va liquidato in base ai parametri per la liquidazione giudiziale dei compensi per le professioni regolamentate, di cui al d.m. 20 luglio 2012 n. 140, e in particolare, in base all'art. 38 di detto decreto, a mente del quale il compenso per le prestazioni di consulenza, analisi ed accertamento, se non determinabile analogicamente, è liquidato tenendo particolare conto dell'impegno del professionista e dell'importanza della prestazione. Tuttavia la giurisprudenza è prevalentemente orientata nel senso che il sistema dei parametri non sia vincolante per il giudiceT.A.R. Milano II, n. 2061/2021; T.A.R. Trieste I, n.10/2020; Cons. St. III, n. 8205/2019) e che esso assuma solo un valore orientativo, essendo imperniato su criteri soggettivi, oggettivi e funzionali, che lasciano un ampio margine di discrezionalità. Occorre, peraltro, tener conto anche del d.m. 21 febbraio 2013, n. 46, per gli iscritti all'albo dei consulenti del lavoro, e, per le professioni dei medici veterinari, farmacisti, psicologi, infermieri, ostetriche e tecnici sanitari di radiologia medica, del d.m. 19 luglio 2016, n. 165.

Di recente il T.A.R. Campania (Salerno) I, ord. n. 468/2020 si è pronunciato sul problema dell'individuazione della normativa applicabile alla fattispecie della determinazione del compenso degli ausiliari del giudice amministrativo (se quella di cui al d.m. 30 maggio 2002, ovvero quella di cui al d.m. n. 140 del 2012, ferma restando l'applicazione del d.P.R. n. 115 del 2002), in taluni casi propendendo la giurisprudenza per la prima soluzione (Cons. St. IV, n. 5043/2018), in altri per la seconda (Cons. St. V, n. 401/2014). Il Tar ha ritenuto corretta la prima soluzione in quanto la sopravvenuta normativa di cui al d.m. n. 140 del 2012, nel prevedere (all'art. 1) che l'organo giurisdizionale che deve liquidare il compenso dei professionisti applica, in difetto di accordo tra le parti in ordine allo stesso compenso, le disposizioni del presente decreto, farebbe chiaramente riferimento allo svolgimento della ordinaria attività libero-professionale (di evidente aspetto privatistico) svolta dal professionista su incarico di terzi soggetti, pubblici o privati, ma non anche all'attività svolta dal medesimo professionista su incarico del giudice quale commissario ad acta o, comunque, quale suo ausiliario (attività, questa, caratterizzata invece da chiara connotazione pubblicistica); in questo senso si sarebbe espressa anche la relazione illustrativa di accompagnamento al d.m. n. 140 del 2012, laddove si afferma apertis verbis che il d.m. lascia intatta la specialità della disciplina dei compensi spettanti agli ausiliari del giudice di cui al testo unico delle spese di giustizia di cui al d.P.R. n. 115/2002. Conseguentemente, il d.m. n. 140 del 2012 potrebbe essere un utile parametro di riferimento per la liquidazione del compenso dell'ausiliario qualora questi abbia svolto un'attività inquadrabile tra quelle proprie delle professioni indicate dal medesimo decreto, quindi delle professioni "ordinistiche", ma non potrebbe trovare applicazione nel caso di svolgimento, da parte di un professionista, di prestazioni di diversa natura, come sono quelle svolte quale ausiliario del giudice; per le attività non disciplinate dal d.m. n. 140 del 2012 dovrebbe, quindi, continuare a trovare applicazione il d.m. 30 maggio 2002, che consente di determinare gli emolumenti dell'ausiliario per attività di supporto per l'esecuzione della pronuncia giurisdizionale, non rientranti tra quelle proprie delle professioni regolamentate; sicché, l'attività esecutiva del giudicato espletata dal commissario ad acta in sostituzione dell'amministrazione inadempiente non rientra tra quelle oggetto della disciplina regolamentare del d.m. 20 luglio 2012, n. 140 e può essere di conseguenza regolata sulla base del d.m. 30 maggio 2002 che all'art. 2 dell'allegato stabilisce i compensi per "la perizia o la consulenza tecnica in materia amministrativa".  In ogni caso va, al riguardo, segnalato che l'art. 1 del d.m. n. 140/2012 detta, inoltre le seguenti regole generali:

- l'organo giurisdizionale che deve liquidare il compenso dei professionisti, in difetto di accordo tra le parti in ordine allo stesso compenso, applica le disposizioni del decreto e può applicare analogicamente tali disposizioni anche ai casi non espressamente regolati;

- nei compensi non sono comprese le spese da rimborsare secondo qualsiasi modalità, compresa quella concordata in modo forfettario. Non sono altresì compresi oneri e contributi dovuti a qualsiasi titolo. I costi degli ausiliari incaricati dal professionista sono ricompresi tra le spese dello stesso;

- i compensi liquidati comprendono l'intero corrispettivo per la prestazione professionale, incluse le attività accessorie alla stessa;

- nel caso di incarico collegiale il compenso è unico ma l'organo giurisdizionale può aumentarlo fino al doppio. Quando l'incarico professionale è conferito a una società tra professionisti, si applica il compenso spettante a uno solo di essi anche per la stessa prestazione eseguita da più soci;

- per gli incarichi non conclusi, o prosecuzioni di precedenti incarichi, si tiene conto dell'opera effettivamente svolta;

- l'assenza di prova del preventivo di massima costituisce elemento di valutazione negativa da parte dell'organo giurisdizionale per la liquidazione del compenso;

- in nessun caso le soglie numeriche indicate nel decreto, anche a mezzo di percentuale, sia nei minimi che nei massimi, per la liquidazione del compenso, sono però vincolanti per la liquidazione stessa.

In linea generale, tuttavia, tali disposizioni trovano rara applicazione al caso della liquidazione del compenso spettante al verificatore, dal momento che esso non è un libero professionista, ma sempre un organismo pubblico e, comunque, un soggetto pubblico.

Come già accenato, la disposizione in commento, al comma 3, prevede che il collegio, con l'ordinanza di cui al comma 1, possa disporre all'organismo verificatore, o al suo delegato, un anticipo sul compenso. La differenza riguardo alla disciplina della consulenza tecnica d'ufficio, contenuta nel successivo art. 67, è che il riconoscimento di un anticipo al verificatore non è mai un obbligo per il giudice.

 Occorre, poi, ricordare che sul giudice, anche amministrativo, grava l'obbligo di verificare, a pena di responsabilità erariale, la correttezza della determinazione del compenso richiesto dagli ausiliari (in tal senso, Corte conti (Lombardia) 2006, n. 553/2006, secondo cui costituisce colpa grave l'omesso controllo sulla liquidazione dei compensi ai consulenti tecnici).

Ancorché l'attuale disciplina degli onorari a tempo sia affidata interamente alle previsioni tabellari, va, comunque, segnalato che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 16/2025, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale, per contrasto con l'art. 3, primo comma, Cost.,  dell'art. 4, secondo comma, della legge 8 luglio 1980, n. 319, sui compensi spettanti ai periti, ai consulenti tecnici, interpreti e traduttori per le operazioni eseguite a richiesta dell'autorità giudiziaria, nella parte in cui, per le vacazioni successive alla prima, dispone la liquidazione di un onorario inferiore a quello stabilito per la prima vacazione.

Bibliografia

Clemente Di San Luca, Il sindacato giurisdizionale sulle valutazioni tecniche in materia ambientale, in Giustamm.it, 2016; Lucattini, Fatti e processo amministrativo, in Dir. proc. amm., 2015, 203 ss.; Giusti, Discrezionalità tecnica – discrezionalità tecnica dell'amministrazione e sindacato del giudice amministrativo, in Giur. It., 2015, 1211; Giani, La fase istruttoria, in F.G. Scoca (a cura di), Giustizia amministrativa, Torino, 2013, Parte V, Dinamica del processo, 364-385.

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