Decreto legislativo - 2/07/2010 - n. 104 art. 81 - Perenzione

Roberto Chieppa

Perenzione

1. Il ricorso si considera perento se nel corso di un anno non sia compiuto alcun atto di procedura. Il termine non decorre dalla presentazione dell'istanza di cui all'articolo 71, comma 1, e finché non si sia provveduto su di essa, salvo quanto previsto dall'articolo 82.

Note operative

Termini
Perenzione 1 anno (oltre al periodo feriale) dal compimento dell'ultimo atto di procedura

Inquadramento

Nel Titolo VI è disciplinata la perenzione, che — secondo la tradizione del processo amministrativo — è una causa di estinzione del giudizio dovuta all'inattività delle parti.

Il fondamento della perenzione non risiede in una sorta di presunzione della volontà delle parti di abbandonare il giudizio, ma nell'esigenza che le controversie su rapporti giuridici di diritto pubblico non siano tenute pendenti per troppo tempo, quando tale pendenza dipende dalla volontà (inerzia) delle parti.

Il processo amministrativo è connotato dal principio dispositivo ed è, quindi, necessario l'impulso di parte perché il processo vada avanti, costituito dalla istanza di parte di fissazione dell'udienza.

Il termine di perenzione dei giudizi è ridotto ad 1 anno.

Viene codificato che il termine di perenzione non decorre se è stata presentata istanza di fissazione di udienza e finché non si è provveduto su di essa.

La perenzione ordinaria

Il principio dispositivo che regola il processo amministrativo richiede l'impulso di parte affinché il giudizio prosegua e in assenza di tale impulso l'inerzia delle parti non è senza effetto in quanto l'ordinamento non tollera che le controversie su rapporti di diritto pubblico restino pendenti sine die.

La perenzione costituisce dunque un istituto di diritto processuale che conferisce rilievo al solo elemento obbiettivo del decorso del termine previsto dalla legge (e non la volontà di abbandonare il giudizio), il quale comporta l'automatica decadenza del diritto di chiedere e ottenere qualsiasi pronuncia, in rito e nel merito, del giudice amministrativo.

La perenzione è, ai sensi dell'art. 35, comma 2, lett. b, una causa di estinzione del giudizio.

Si è precisato, al riguardo, che tale causa di estinzione del giudizio risponde ad un superiore interesse pubblico alla definizione delle situazioni giuridiche inerenti l'esercizio del potere amministrativo entro termini ragionevoli con un chiaro intento deflattivo delle pendenze ( Cons. St. V, n. 3564/2014). L'estinzione del giudizio per perenzione discende dal decorso del tempo, non contrastato da una tempestiva richiesta di fissazione di udienza; rispetto a tale dato obiettivo è irrilevante la dichiarazione di parte in causa circa la permanenza del suo interesse alla decisione (che invece può valere per la fattispecie della rinuncia al ricorso di cui all'art. 84) ( Cons. St. IV, n. 3108/2014; Cons. St. VI, n. 2494/2013).

In dottrina si è ravvisato, nelle ipotesi di estinzione previste dall'art. 35, co. 2 (che oltre alla perenzione include la rinuncia, oltre che i casi di mancata riassunzione entro il termine perentorio), il dato comune della sopravvenuta perdita di interesse alla decisione, intesa sia in una forma oggettiva (quale è la rinuncia), sia implicita (in cui si associa l'inerzia della parte ad un termine designato come perentorio) (Forlenza, 630).

Il principale atto di impulso delle parti è l'istanza di fissazione di udienza.

In base al combinato disposto degli artt. 71 e 81, si ricava che la presentazione dell'istanza di fissazione, entro il primo anno di pendenza del ricorso, è indispensabile per evitare la perenzione. Infatti, da un lato, il ricorso si considera perento se nel corso di un anno non è stato compiuto alcun atto di procedura (art. 81); dall'altro, si prevede che, entro il termine massimo di un anno, la fissazione dell'udienza di discussione deve essere chiesta da una delle parti con apposita istanza (Cons. St. IV, n. 610/2017).

L'istanza di fissazione può essere presentata da qualsiasi parte costituita del processo e ciò giustifica perché in caso di perenzione, ciascuna delle parti sopporta le proprie spese nel giudizio, dovendo ogni parte attivarsi per evitare la perenzione se intende avere una pronuncia anche relativa alle spese.

La perenzione opera di diritto e può essere rilevata d'ufficio dal giudice (con pronuncia che assume valore dichiarativo) (v. art. 83).

A seguito della mancata presentazione dell'istanza di fissazione dell'udienza nel termine previsto dalla legge, il ricorso è perento, essendo noto che, come disposto dall'art. 83, il provvedimento giurisdizionale con cui si rileva l'intervenuta perenzione ha natura meramente dichiarativa (T.A.R. Sicilia (Catania) II, 2 maggio 2013, n. 1276).

La perenzione comporta l'estinzione del rapporto processuale (del ricorso), ma non produce l'estinzione del diritto di azione (Benvenuti, 94), che resta esercitatile compatibilmente con i termini di decadenza o prescrizione previsti per le varie azioni.

La pronuncia di perenzione di un ricorso non costituisce una decisione di merito, bensì un provvedimento estintivo del giudizio che incide soltanto sul rapporto processuale tra le parti in causa.

Posto che l'estinzione del processo non comporta l'estinzione del diritto di azione, essendo le due vicende concettualmente distinte, e la preclusione del diritto di azione può derivare da vicende estintive legate al decorso del tempo, quali la decadenza e la prescrizione, ma non dall'estinzione del processo in sé considerata, è stato ritenuto che la pronuncia che dichiara la perenzione non costituisce giudicato sostanziale e, quindi, non è idonea a impedire la delibazione di un altro ricorso con cui sia stato impugnato il medesimo provvedimento (non è dunque invocabile, con riguardo a tali pronunce, il principio del ne bis in idem). T.A.R. Puglia (Lecce) II 14 gennaio 2015, n. 176 (nello stesso, T.A.R. Puglia (Bari) III, 6 novembre 2013, n. 1489 la sanzione dell'estinzione, dichiarabile anche d'ufficio nel processo civile, ancorché più stringente e rigorosa della perenzione del giudizio amministrativo, non impedisce alle parti che non hanno coltivato il processo, di promuoverne un secondo sulla medesima situazione sostanziale. Ne consegue che il decreto di perenzione di un giudizio amministrativo non preclude, in via astratta, la possibilità di un ricorso al Tar per la tutela della medesima situazione sostanziale). Pertanto, nella sussistenza delle condizioni di legge, può essere riproposto un nuovo ricorso avente lo stesso oggetto (T.A.R. Sicilia (Palermo) II, 5 settembre 2012, n. 1833).

La perenzione del ricorso principale non si riflette sui motivi aggiunti c.d. impropri, atteso che essi sono dotati di autonomia sostanziale, presentano i caratteri di un nuovo rapporto processuale e non costituiscono il mero svolgimento interno del rapporto processuale sul quale s'innestano ( Cons. St. IV, n. 4768/2014).

Il Codice prevede che la perenzione si verifica se, nel corso di un anno, non sia compiuto alcun atto di procedura, essendo, quindi, stato ridotto il termine biennale previsto dalla normativa previgente al Codice ( art. 25 l. Tar), al dichiarato fine di limitare il periodo di quiescenza dei giudizi.

Va tenuto presente che all'attuale termine annuale va aggiunto il periodo feriale, che era originariamente di quarantasei giorni per ciascun anno e che ora è stato ridotto a 31 giorni a decorrere dal 2015 (v. commento all'art. 54).

Sull'applicabilità della sospensione dei termini nel periodo feriale al termine di perenzione vedi la pacifica giurisprudenza fin da Cons. St. IV, n. 771/1988. V., da ultimo, T.A.R. Sicilia (Catania) III 3 novembre 2015, n. 2520, per cui il periodo di perenzione è pacificamente sottoposto alla sospensione feriale di cui alla L. n. 742/1969 (cfr. Cons.St. IV, n. 2035/2008; Cons. St. V, n. 2788/2003 e Cons. St. V, n. 654/2010).

Nel rito abbreviato il termine di perenzione è dimezzato e si applica, quindi, il termine di sei mesi, oltre alla eventuale sospensione per il periodo feriale.

Ai sensi degli artt. 119 comma 2 e 120 comma 3 c.p.a., nelle procedure di evidenza pubblica, il termine per la presentazione dell'istanza di fissazione dell'udienza, previsto a pena di perenzione del ricorso, è dimezzato rispetto a quello contemplato per le procedure ordinarie ( T.A.R. Piemonte I, 13 dicembre 2013, n. 1361).

Per i giudizi pendenti alla data di entrata in vigore del Codice, l'art. 2 delle Norme transitorie prevede che per i termini che sono in corso alla data di entrata in vigore del Codice continuano a trovare applicazione le norme previgenti.

Pertanto, per i giudizi in corso va calcolato il termine biennale dall'ultimo atto di procedura antecedente all'entrata in vigore dl Codice; dagli atti di procedura successivi all'entrata in vigore del Codice scatta il termine annuale di perenzione.

Viene anche chiarito che il termine di perenzione non decorre dalla presentazione dell'istanza di fissazione di udienza e finché non si sia provveduto su di essa, salva l'ipotesi della perenzione dei ricorsi ultraquinquennali (v. art. 82).

Si tratta della codificazione di un principio già fatto proprio dalla giurisprudenza, secondo cui la perenzione opera in presenza di una inattività delle parti e non quando la stasi del processo dipende dal giudice, con la conseguenza che con l'istanza di fissazione di udienza l'impulso processuale della parte è assolto e spetta al giudice compiere la propria attività, in assenza della quale non si può determinare alcuna estinzione del giudizio.

Nel processo amministrativo la perenzione non può avverarsi quando non compete alle parti lo svolgimento di attività per impulso del processo, ma all'organo giudiziario adito

Al riguardo, in giurisprudenza si è precisato che l'effetto estintivo del giudizio per perenzione, disposto dall'art. 81, può ammettersi solo nei casi in cui la presentazione della domanda di fissazione di udienza sia obbligatoria. Ciò non è il caso, ad esempio, delle controversie relative ai provvedimenti concernenti le procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi o forniture di cui all'art. 119, in relazione alle quali si è ritenuto che, una volta che la parte abbia depositato il ricorso, la mancata l'art. 120 dispone, al comma 6, che «il giudizio, ferma la possibilità della sua definizione immediata nell'udienza cautelare ove ne ricorrano i presupposti, viene comunque definito con sentenza in forma semplificata ad una udienza fissata di ufficio e da tenersi entro quarantacinque giorni dalla scadenza del termine per la costituzione delle parti diverse dal ricorrente». La previsione espressa di una fissazione di ufficio della udienza di merito per tale tipologia di giudizi esclude, per le parti, l'obbligo della presentazione della domanda di fissazione di udienza ai sensi del richiamato art. 81, venendo ad operare, per il prosieguo del giudizio, la necessaria attività del giudice di fissazione di ufficio della udienza di discussione del ricorso ( Cons. St. VI, n. 4609/2016).

Analogamente, si è considerato non applicabile l'istituto nel caso di giudizio in materia di accesso ai documenti amministrativi, posta la disciplina di cui all'art. 87, co. 2, che prevede la fissazione d'ufficio dell'udienza ( Cons. St. n. 1975/2012).

Nello stesso senso, si è escluso il decorso del termine di perenzione in caso di rinvio dell'udienza a data da destinarsi. In tale ipotesi permane intatto l'effetto processuale indotto dalla domanda di fissazione, ma se ne rinvia la compiuta attuazione ad altra data ( T.A.R. Umbria I 8 ottobre 2015, n. 459; Cons. St. V, n. 874/2013).

Peraltro, la previsione dell'improcedibilità dell'istanza cautelare in assenza di istanza di fissazione di udienza fa venire meno il problema della decorrenza del termine di perenzione in caso di proposizione della domanda cautelare (art. 55, comma 4).

Dopo la presentazione dell'istanza di fissazione, la parte non ha l'onere di riproporre l'istanza entro l'anno successivo, sussistendo tale onere solo quando l'originaria istanza di fissazione abbia perso effetto per motivi, quali ad esempio la cancellazione della causa dal ruolo (Scoca, Giust. amm., 478; Travi, 241); cessato l'effetto dell'stanza di fissazione per evitare la perenzione è sufficiente anche il compimento di un atto della procedura idoneo a portare il processo alla sua conclusione (Caianiello, Manuale, 789).

Secondo un risalente indirizzo giurisprudenziale, il deposito di documenti attinenti alla causa è idoneo, ai sensi dell' art. 40, comma 2 r.d. 26 giugno 1924 n. 1054, ad interrompere il termine di perenzione del giudizio, indipendentemente dalla loro utilità concreta ai fini della decisione ( Cons. St. Ad. plen., 12 gennaio 1984, n. 1).

Tuttavia, successivamente è stata ritenuta l'idoneità di una istanza di prelievo a impedire il decorso dei termini per la perenzione, non in quanto essa costituisce un qualsiasi atto di procedura, ma perché è diretta ad accelerare la fissazione di una causa, atteso che tale atto dimostra l'intento di non abbandonare la causa ( Cons. St. IV, n. 4172/2005; Cons. St. III, n. 1299/2014).

Va detto che nella vigenza della legge n. 1034/1971 era opinione comune che l'adempimento previsto dall'art. 23 (presentazione dell'istanza di fissazione entro due anni dal deposito del ricorso) fosse indispensabile per evitare la perenzione e che a tali fini non potesse essere surrogato da qualsivoglia altro atto di procedura. Quanto alla disposizione dell'art. 25, si riteneva dunque che entrasse in applicazione solo nei processi nei quali originariamente l'istanza di fissazione fosse stata presentata nel termine indicato dall'art. 23 (due anni dal deposito del ricorso) ma successivamente avesse perso efficacia, ad es. in quanto «consumata» da una fissazione d'udienza a séguito della quale fosse stata disposta la cancellazione della causa dal ruolo.

In questo senso si può citare la decisione Cons. St. V, n. 294/1998, ove si legge: «...la necessità della presentazione della prima istanza di fissazione dell'udienza di merito entro il biennio dal deposito del ricorso — positivamente prevista nel giudizio davanti al T.A.R. dall'art. 23, 1 comma, della legge 1034/71 — non può ritenersi alternativa al compimento di un qualsiasi e diverso atto di procedura, ai sensi dell' art. 40 del r.d. n. 1054/24. — Il compimento di un tale atto (che, per Cons. St., Ad.plen., n. 6/1983, rileva come atto interruttivo del termine di perenzione anche quando consista nel deposito di documenti attinenti alla causa indipendentemente dalla loro concreta utilità) nel giudizio di primo grado è alternativo alla presentazione dell'istanza di fissazione d'udienza solo ove nel termine biennale questa sia stata ritualmente presentata, ma abbia poi terminato il proprio effetto (come avviene con la celebrazione di ogni udienza, anche se conclusasi con la cancellazione della causa dal ruolo). L'alternatività sussiste cioè solo rispetto alla seconda, o ad un'ulteriore, istanza di fissazione d'udienza; giammai rispetto alla prima, la cui necessità davanti al T.A.R. — ex art. 23, 1 comma, cit.- è in ogni caso fuori discussione ( Cons. St. III, n. 3911/2013, in un caso in cui non sussistendo alcuna prova che entro un biennio dal deposito del ricorso di primo grado era stata richiesta, con autonoma istanza, la fissazione dell'udienza di merito, è stata dichiarata la perenzione).

Tale principio è stato più recentemente ribadito nel senso di non ritenere sufficiente, al fine di impedire la perenzione, il compimento di un qualunque atto processuale, occorrendo invece un atto che abbia il contenuto tipico della richiesta di fissazione dell'udienza (di cui all'art. 71), destinata a essere registrata nello specifico registro della segreteria della Sezione a norma dell' art. 2 comma 1 lett. a), disp. att. c.p.a. (Cons. St. IV, n. 1403/2017). Nella stessa decisione, si peraltro aggiunto che, pur volendo ritenere che sia comunque sufficiente un atto di impulso processuale, il deposito della memoria di parte non avrebbe tale carattere, poiché si limita a difendere la prospettazione di parte ricorrente e a chiedere l'accoglimento del ricorso. Nello stesso senso, si è escluso rilievo alle istanze di prelievo, quali atti idonei ad evitare la perenzione, dovendosi aderire all'orientamento sulla inidoneità degli «atti di procedura» diversi dall'istanza di fissazione d'udienza, al fine di evitare l'estinzione del giudizio per perenzione (Cons. St. IV, ord. n. 4465/2016; Cons. St. VI ord. n. 4176/2016).

L'indipendenza della fase cautelare rispetto a quella di merito comporta come conseguenza anche quella per cui la domanda di sospensione cautelare degli effetti della sentenza non assorbe quella di fissazione dell'udienza di trattazione della causa nel merito.

Non vale infatti ad evitare la perenzione l'istanza presentata dal ricorrente rivolta unicamente alla fissazione dell'udienza (camerale) per la discussione dell'istanza cautelare e non per la discussione del merito. Invero, se da un lato, la mancata presentazione dell'istanza per la fissazione dell'udienza di merito non preclude la trattazione della domanda di sospensione dell'atto impugnato (atteso che quest'ultima dà luogo ad un procedimento incidentale, inserito in quello principale, ma autonomo e distinto rispetto ad esso), dall'altro, la richiesta di tutela interinale non rientra tra gli atti idonei ad interrompere il termine di perenzione del giudizio principale ( Cons. St. IV, n. 2789/2013; T.A.R. Campania (Napoli) II, 3 maggio 2016, n. 2194).

Nel caso in cui il giudice abbia disposto incombenti istruttori senza fissare altra udienza il termine di perenzione decorre dal momento in cui alle parti sia stata data comunicazione da parte della Segreteria dell'avvenuta esecuzione della decisione istruttoria(Cons. giust. amm. Sicilia, sez. giurisdiz., 15 febbraio 1999, n. 27).

Sospeso il processo amministrativo per la pregiudiziale penale, ai sensi degli artt. 295 c.p.c. e 3 c.p.p., nei confronti della parte del processo amministrativo che sia restata estranea alla causa pregiudiziale, il termine biennale di perenzione, di cui all' art. 25 l. 6 dicembre 1971, n. 1034, decorre dal momento della piena conoscenza del passaggio in giudicato della sentenza penale (Cons. St. IV, n. 1461/1998).

La richiesta di fissazione di udienza contenuta nel ricorso non impedisce il decorso del termine di perenzione, al quale fine è necessaria la proposizione di una separata istanza al presidente della sezione cui è assegnato il ricorso (v. commento, sub art. 71).

In caso di cause scindibili, posto che la perenzione agisce sull'atto di esercizio dell'azione, gli effetti processuali della dichiarazione di una o più parti sono inevitabilmente inidonei a estendersi alle altre parti, ben potendo la vicenda processuale, proprio in virtù della rilevata scindibilità delle posizioni, continuare a svolgersi solo nei confronti di alcune delle parti e non di altre (in caso contrario, in presenza di un ricorso collettivo in cui le posizioni dei ricorrenti non hanno carattere scindibile, è sufficiente ad impedire il verificarsi di tale causa estintiva il fatto che la dichiarazione prevista dalla legge sia formulata e sottoscritta da una sola delle parti ricorrenti, così l'effetto estintivo è escluso per tutti i ricorrenti quando la dichiarazione anche solo di taluno di essi intervenga nei termini di legge) ( Cons. St. IV, n. 3951/2016). Peraltro, la mancata sottoscrizione degli altri ricorrenti collettivi potrebbe essere autonomamente apprezzata come sopravvenuto difetto d'interesse all'azione e quindi per loro deve essere emessa una pronuncia di improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse alla decisione ai sensi dell' art. 35 comma 1 lett. c), c.p.a ( Cons. St.V, n. 5344/2014).

La perenzione opera anche in appello, ritenendosi che in base alla generale previsione di rinvio di cui all'art. 38, spetta all'appellante richiedere la fissazione dell'udienza entro il termine di un anno, pena la perenzione del giudizio (Menchini-Renzi, 809).

Bibliografia

Angeletti, Perenzione nei procedimenti giurisdizionali amministrativi, in Nov. dig. it., V, Torino, 1984; Benvenuti, Estinzione del processo (dir. amm.), in Enc. dir., XV, Milano, 1966, 941 ss.; Bodda, La perenzione nei procedimenti giurisdizionali amministrativi, in Nov. dig. it., XII, Torino, 1965; Casalini, Perenzione ultraquinquennale, interruzione e sospensione del processo amministrativo tra imperativi di accelerazione processuale e interesse delle parti, in Dir. proc. amm. 2010, 510 ss.; Forlenza, Articoli 81,82,83,84,85 c.p.a., in Quaranta, Lopilato (a cura di), Il processo amministrativo. Commentario al D.lgs. 104/2010, Milano, 2011, 627 ss.; Gaffuri, Note sulla perenzione nel processo amministrativo di primo grado, in Dir. proc. amm. 1999; Menchini-Renzi, Estinzione e improcedibilità, in Morbidelli (cur.), Codice della giustizia amministrativa, Milano, 2015, 802 ss. Migliorini, Perenzione ed estinzione nel processo amministrativo, in Dir. proc. amm. 1984; Patrito, Lo svolgimento del giudizio e le decisioni emesse in camera di consiglio, in Caranta (a cura di), Il nuovo processo amministrativo, 2011, 399 ss.; Scoca, Considerazioni sul nuovo processo amministrativo, in giustamm.it, 2/2011; Vacirca, Perenzione nel giudizio amministrativo, in Enc. giur., XIII, Roma, 1990.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario