Decreto legislativo - 2/07/2010 - n. 104 art. 105 - Rimessione al primo giudice

Roberto Chieppa

Rimessione al primo giudice

 

1. Il Consiglio di Stato rimette la causa al giudice di primo grado soltanto se è mancato il contraddittorio, oppure è stato leso il diritto di difesa di una delle parti, ovvero dichiara la nullità della sentenza, o riforma la sentenza o l'ordinanza che ha declinato la giurisdizione o ha pronunciato sulla competenza o ha dichiarato l'estinzione o la perenzione del giudizio 1.

2. Nei giudizi di appello contro i provvedimenti dei tribunali amministrativi regionali che hanno declinato la giurisdizione o la competenza si segue il procedimento in camera di consiglio, di cui all'articolo 87, comma 3.

3. Le parti devono riassumere il processo con ricorso notificato nel termine perentorio di novanta giorni dalla notificazione o, se anteriore, dalla comunicazione della sentenza o dell'ordinanza 2.

 

Inquadramento

In presenza di alcuni vizi del giudizio di primo grado e della sentenza che lo ha concluso l'appello assume nel processo amministrativo carattere eliminatorio e determina, a seguito dell'annullamento della sentenza del Tar, il ritorno del giudizio in primo grado.

I casi in cui si determina la rimessione in primo grado sono legati a violazioni particolarmente gravi che hanno leso il contraddittorio e il diritto di difesa o che hanno impedito l'esame del ricorso di primo grado, come l'erronea declaratoria del difetto di giurisdizione, una erronea pronuncia sulla competenza o ancora l'erronea declaratoria di estinzione o perenzione del giudizio.

L'art. 105 prevede che si segua il più veloce rito camerale in caso di impugnazione di sentenze del T.A.R. che hanno declinato la giurisdizione o la competenza.

In ogni caso in cui il Consiglio di Stato annulla la sentenza o l'ordinanza con rinvio della causa al giudice di primo grado opera una priorità per la successiva fissazione dell'udienza davanti al T.A.R.

I casi di rimessione al giudice di primo grado

In caso di riforma di una sentenza del T.A.R. sotto il profilo della giurisdizione o per un errore di procedura (ad es., omessa integrazione del contraddittorio), l'appello diventa un mezzo di tipo eliminatorio, limitandosi il giudice ad annullare la sentenza di primo grado con rinvio.

Negli altri casi — come già visto — l'appello è un mezzo di gravame di tipo rinnovatorio, anche in ipotesi in cui il T.A.R. abbia erroneamente dichiarato irricevibile o inammissibile il ricorso per profili non attinenti alla giurisdizione, il Consiglio di Stato decide nel merito la controversia, senza la necessità di un ritorno in primo grado, benché il merito della questione venga in questo modo affrontato solo in appello.

In sostanza, per il ritorno del processo in primo grado non è sufficiente che il ricorso non sia stato completamente esaminato dai primi giudici o che sia intervenuto un vizio in iudicando che ha determinato l'omesso esame di alcune censure, potendo supplire in questi casi il pieno effetto devolutivo dell'appello, ma devono sussistere quei vizio che l' art. 35 l. n. 1034/1971 (l. T.A.R.) definiva difetto di procedura o vizio di forma, quale ad esempio la non compiuta instaurazione del contraddittorio.

Anche prima dell'entrata in vigore del Codice la giurisprudenza era orientata in questo senso, ritenendo sussistere i presupposti per annullamento della sentenza del Tar con rimessione del giudizio in primo grado nei seguenti casi:

- l'emanazione di una sentenza di primo grado nella forma semplificata prevista dal rito acceleratorio in materia di opere pubbliche ai sensi dell'art. 19 comma 2, l. 25 marzo 1997 n. 67 (conv., con modificazioni dalla l. n. 135/1997), non può prescindere della completezza delle acquisizioni probatorie e del contraddittorio, in mancanza della quale si verifica un difetto di procedura, con conseguente annullamento con rinvio della controversia al giudice di prime cure (Cons. St. V, n. 4822/2001).

- considerato che la comunicazione dell'avviso dell'udienza al procuratore costituito in giudizio è posta nell'interesse delle parti ed a tutela del diritto di difesa che, appunto, s'esplica anche con la partecipazione del difensore all'udienza di discussione della causa, il mancato invio di tale avviso configura un difetto di procedura che, ai sensi dell' art. 35 comma 1, l. n. 1034/1971 (l. T.A.R.) determina la nullità dell'udienza stessa e di tutti i successivi atti processuali, compresa la sentenza emanata in esito a tale giudizio irregolare, con conseguente suo annullamento con rinvio al giudice di prime cure (Cons. St. V, n. 1928/2001).

- il mancato rispetto del termine dilatorio di quaranta giorni previsto per la notificazione del decreto di fissazione di udienza comporta un vizio di procedura e l'annullamento con rinvio della decisione di primo grado, salvo che la parte vi abbia anche tacitamente rinunciato, comparendo all'udienza — Cons. St., VI, 19 marzo 1984, n. 133, in Cons. St., 1984, I, 299;

- la mancata applicazione, da parte del giudice di primo grado, delle norme sulla sospensione feriale dei termini processuali comporta l'annullamento con rinvio della appellata decisione al giudice a quo ove una o più parti non abbiano potuto per tale ragione esercitare compiutamente il proprio diritto di difesa — Cons. St. IV, n. 771/1988; Cons. St. V, n. 675/1984:

- il rispetto del principio del contraddittorio anche nel giudizio d'ottemperanza, discendendo da un recente mutamento giurisprudenziale in contrario avviso alla diversa interpretazione formatasi in passato sul punto, implica il riconoscimento dell'errore scusabile anche in appello (con conseguente annullamento della sentenza gravata, con rinvio della causa al giudice di prime cure), qualora il ricorso introduttivo non sia stato notificato anche alla p.a. intimata ed al contro interessato — Cons. St. V, n. 1069/2000;

- il Cons. St., se annulla la sentenza del tribunale amministrativo regionale per difetto di notificazione alle parti costituite del decreto di fissazione dell'udienza di discussione, rinvia il giudizio al tribunale amministrativo regionale stesso — Cons. St. VI, n. 182/1995; Cons. St. V, n. 1321/1995; Cons. reg. sic. n. 256/1994; Cons. St. VI, n. 905/1978;

- ai sensi dell' art. 35 l. 6 dicembre 1971, n. 1034, l'erronea declinatoria di giurisdizione da parte del T.A.R. rilevata in appello comporta l'annullamento della sentenza impugnata con rinvio al primo giudice perché si pronunci nel merito — Cons.  St. VI, n. 182/2003; Cons. St. VI, n. 327/1999; Cons. St.  Ad. plen. , n. 23/1996; Cons.  St. V, n. 322/1995;

- deve essere annullata, con rinvio al giudice di primo grado, la sentenza del Tar con la quale è stata negata all'Autorità emanante la facoltà di chiedere, ai sensi dell' art. 1 d.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199 (quale risulta dopo la sentenza Corte cost., n. 148/1982), il passaggio in sede giurisdizionale del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, dovendosi la predetta sentenza assimilare al caso di erronea dichiarazione di incompetenza o carenza di giurisdizione — Cons. St. IV, n. 742/1990;

- nel caso di impugnazione di sentenza sottoscritta — in qualità di presidente — da magistrato non facente parte del collegio, il Cons. Stato, adito in appello, deve limitarsi al iudicium rescindens, e (sulla base della accertata nullità della sentenza di primo grado) deve rimettere la causa al giudice che detta sentenza ha pronunciato: Cons. St. IV, n. 832/1988. L'annullamento della decisione di primo grado per irregolare costituzione del collegio giudicante comporta il rinvio al Tar ma non anche la rimozione di atti processuali anteriori alla decisione — Cons. St. V, n. 622/1982;

- l'erronea dichiarazione di perenzione concreta un'ipotesi di difetto di procedura in primo grado che esige l'annullamento della relativa sentenza da parte del giudice di appello con rinvio al giudice a quoCons. St. IV, n. 535/1980.

- qualora il ricorso in primo grado non risulti notificato a tutti i controinteressati ma a taluno soltanto di essi, la decisione appellata va annullata con rinvio della causa al primo giudice, perché provveda sulla integrazione del contraddittorio e proceda a nuovo esame della controversia. Cons. St. VI, n. 997/1999; Cons. St. IV, n. 210/1995; Cons. St. IV, n. 5/1995; Cons.St.  Ad. plen. , n. 13/1994; Cons. St. VI, n. 450/1987.

Anche nelle ipotesi in cui la decisione in forma semplificata era stata assunta senza tutte le garanzie previste dalla legge, era stato ritenuto che il vizio comportasse la rimessione in primo grado, come in ipotesi di annullamento di una sentenza con cui il T.A.R. aveva deciso il ricorso malgrado la tempestiva riserva, all'udienza di discussione, di presentazione di motivi aggiunti poi effettivamente proposti e non considerati (Cons. St.  Ad. plen. , n. 2/1987) o nel caso in cui risulti che Tribunale amministrativo regionale abbia fissato erroneamente una camera di consiglio per la delibazione della domanda cautelare e, in quella sede, abbia deciso direttamente nel merito il ricorso, nonostante che il ricorrente non abbia mai chiesto la sospensione dell'esecuzione degli atti impugnati con domanda inserita nel ricorso principale o proposta con atto separato debitamente notificato alle altre parti; in tale ipotesi, infatti, si realizza un evidente difetto di procedura, con conseguenziale violazione del contraddittorio, non essendo stato consentito all'amministrazione intimata di svolgere regolarmente ed efficacemente le proprie difese (Cons. St. IV, n. 4244/2003).

La giurisprudenza precedente all'entrata in vigore del Codice era anche ferma nell'escludere il ritorno del giudizio in primo grado in presenza di una erronea dichiarazione d'inammissibilità del ricorso di primo grado (Cons. St. IV, n. 3260/2000); in ogni caso in cui il giudice di appello annulla una sentenza di T.A.R. per avere erroneamente dichiarato irricevibile, o inammissibile, o decaduto il ricorso, deve trattenere la causa per l'esame del merito e non la rinvia al giudice di primo grado ( Cons.  St. VI, n. 1152/1988;Cons. St. VI, n. 84/1981; Cons. St. VI, n. 794/1980. Così anche l'omissione dell'espletamento di accertamenti istruttori da parte del tribunale amministrativo regionale non concreta l'ipotesi del difetto di procedura che, ai sensi dell' art. 35 l. 6 dicembre 1971, n. 1034, comporta l'annullamento della sentenza appellata con rinvio al giudice di primo grado, spettando invece al Cons. Stato, qualora l'omissione venga rilevata come vizio della sentenza predetta, provvedere agli accertamenti non effettuati (Cons. St. V, n. 262/1980; Cons. St. IV, n. 885/1981.

La giurisprudenza aveva in sostanza perseguito una interpretazione della disciplina in modo armonico con quella processualcivilistica e, in particolare, con gli artt. 353 e 354 c.p.c.

In questo senso vedi Cons. St.  Ad. plen. , n. 24/1987.

Si ricorda che sulla base dell' art. 353 c.p.c. il giudice d'appello, se riforma la sentenza di primo grado dichiarando che il giudice ordinario ha sulla causa la giurisdizione negata dal primo giudice, pronuncia sentenza con la quale rimanda davanti al primo giudice le parti, che devono riassumere il processo nel termine perentorio di tre mesi dalla notificazione della sentenza e che l' art. 354 c.p.c. aggiunge che negli altri casi il giudice d'appello non può rimettere la causa al primo giudice, tranne che dichiari nulla la notificazione della citazione introduttiva, oppure riconosca che nel giudizio di primo grado doveva essere integrato il contraddittorio o non doveva essere estromessa una parte, ovvero dichiari la nullità della sentenza di primo grado, o ancora nel caso di riforma della sentenza che ha pronunciato sull'estinzione del processo.

La dottrina civilistica maggioritaria ritiene la tassatività dei casi di rimessione al primo giudice, i quali costituiscono eccezione alla regola dettata dall' art. 161 c.p.c. secondo cui le nullità della sentenza si convertono in motivi di impugnazione (Di Marzio).

Tale sistema è stato confermato dal Codice che ha stabilito — per consentire il rispetto del principio del doppio grado del giudizio — che la rimessione ha luogo tassativamente nei casi in cui la sentenza è stata resa a contraddittorio non integro o con violazione del diritto alla difesa, in caso di nullità della sentenza e quando la domanda non è stata esaminata per l'errata declaratoria di difetto di giurisdizione, di competenza o di perenzione o estinzione del giudizio.

Ad esempio, in caso di cumulo tra domanda di annullamento e domanda di ottemperanza deve essere seguito il rito della udienza pubblica e qualora ciò non accada la sentenza di primo grado è nulla ed il giudizio deve regredire in primo gradoex art. 105 c.p.a.; tuttavia, per far valere la nullità della sentenza è necessario che venga proposto uno specifico mezzo di gravame ed ove ciò non accada il Consiglio di Stato deve giudicare previa conversione del rito (Cons. St. IV, n. 8446/2021).

I casi di annullamento con rinvio con rimessione al giudice di primo grado sono, quindi, i seguenti:

- mancata integrazione del contraddittorio;

- violazione del diritto di difesa di una delle parti (mancata concessione di un termine a difesa, omessa comunicazione della data di udienza, violazione di termini a difesa, erronea fissazione dell'udienza durante il periodo feriale, mancata concessione dell'errore scusabile che ha determinato un vizio del contraddittorio, violazione dell'art. 73, comma 3, per aver il giudice di primo grado posto a fondamento della sua decisione una questione rilevata d'ufficio e non prospettata alle parti o per non aver il giudice di primo grado concesso un congruo termine per replicare alla eccezione di inammissibilità dedotta dalla parte resistente solo nel corso della discussione orale (v. art. 73), definizione del giudizio in forma semplificata senza il rispetto delle garanzie processuali);

- nullità della sentenza (illegittima costituzione del collegio giudicante o un vizio nella sottoscrizione della sentenza)

- erronea declinatoria della giurisdizione;

- erronea pronuncia sulla competenza;

- erronea declaratoria dell'estinzione del giudizio o della perenzione.

Con riferimento alla violazione dell'art. 73, la giurisprudenza ha confermato che costituisce violazione del diritto di difesa, rilevabile d'ufficio ex art. 73 comma 3, porre a fondamento della sentenza di primo grado una questione rilevata d'ufficio, quale la perenzione del giudizio, senza previa indicazione in udienza o assegnazione di un termine per controdedurre al riguardo, con conseguente obbligo per il giudice di appello di annullamento della sentenza stessa e rimessione della causa al giudice di primo grado ai sensi dell'art. 105 comma 1 (Cons. St. IV, n. 1808/2016, Cons. St. VI, n. 2974/2016).

La nuova disposizione è più chiara della precedente e risolve i dubbi in passato legati alla esatta definizione dei concetti di difetto di procedura e vizio di forma, includendo ad esempio in modo espresso l'erronea declaratoria di perenzione o estinzione del giudizio.

Si deve tenere presente che la regola è costituita dalla decisione da parte del Consiglio di Stato e l'eccezione dalla rimessione in primo grado con la conseguenza che, una volta che l'art. 105 ha definito in modo puntuale i casi di annullamento con rinvio, questi non possono essere estesi in via analogica ad altre ipotesi, a nulla rilevando al riguardo che non sia stata riproposta nel c.p.a. la disposizione, contenuta nel previgente art. 35, comma 3, l. n. 1034/1971 (l. T.A.R.), secondo cui in ogni altro caso (diverso da quelli di cui ai commi 1 e 2, il Consiglio di Stato decide la controversia nel merito).

Nel senso della tassatività dei casi di annullamento con rinvio v. Cons. St. V, n. 1162/2015.

Non appare coerente con tale principio quella giurisprudenza minoritaria, secondo cui nell'ipotesi di omessa valutazione di una memoria difensiva, la questione dedotta in giudizio appare suscettibile di rinvio al giudice di primo grado, in applicazione dell' art. 35 l. n. 1034/1971 (in seguito sostanzialmente recepito dall'art. 105), in quanto la suddetta lesione del diritto di difesa concretizza quel «difetto di procedura» della sentenza appellata, che non consente di trattenere in decisione la causa per l'effetto devolutivo dell'appello, tenuto conto dell'esigenza di non sottrarre ad entrambe le parti le garanzie del doppio grado di giudizio a differenza di quanto avviene in caso di erronee declaratorie di inammissibilità, irricevibilità o decadenza del ricorso, identificate come contenuto della sentenza appellata (Cons. St. VI, n. 841/2014).

Costituisce, invece, causa di rinvio al giudice di primo grado la lesione del diritto di difesa anche se derivante dall'applicazione di una norma incostituzionale anziché da errore del giudice o vizio di procedura o della decisione (Cons. St. IV, n. 8303/2021 con riferimento alle conseguenze della sentenza della Corte costituzionale n. 148/2021, con cui è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 44, comma 4, c.p.a. nella parte in cui subordinava la possibilità di rinnovazione della notifica nulla, in caso di mancata costituzione del soggetto intimato, all'assenza di una causa imputabile al notificante; v. art. 44).

Durante i lavori della Commissione speciale istituita presso il Consiglio di Stato erano state valutate anche le due ipotesi più radicali, costituite dall'estensione della rimessione anche alle erronee declaratorie di irricevibilità o inammissibilità dei ricorsi o, all'opposto, dal trattenimento in appello anche delle cause, dove il Tar aveva declinato la giurisdizione.

È poi prevalso il tradizionale orientamento.

Secondo alcuni il risultato finale è stata una soluzione di mediazione, copiata dal c.p.c., di cui non sempre si coglie la piena razionalità: non è infatti dato comprendere perché la causa va rimessa al giudice di primo grado in caso di erronea dichiarazione di estinzione del processo, e non anche in caso di erronea dichiarazione di irricevibilità o inammissibilità, atteso che in tutti tali casi è mancato l'esame del merito (De Nictolis - Nunziata, 967).

Vanno segnalate alcune decisioni di segno diverso che sembrano accogliere alcune delle critiche espresse dalla dottrina: in un caso in cui il Tar aveva (erroneamente) dichiarato la tardività di una domanda di risarcimento del c.d. danno da ritardo, in sede di appello è stata riconosciuta l'erronea declaratoria di tardività della domanda risarcitoria, tradottasi in una omessa pronuncia nel merito della causa, il cui oggetto coincideva per intero con detta domanda e ne è stata tratta la conseguenza che tale ipotesi sia sussumibile nella categoria della lesione del diritto di difesa e imponga la rimessione della causa al giudice di primo grado, ai sensi e nei termini di cui all'art. 105 c.p.a. (Cons. giust. amm. Sicilia, n. 33/2018, che ha affermato che lo spazio che il c.p.a. ha riservato ai casi di annullamento con rinvio al giudice di primo grado è più ampio rispetto al passato, tanto emerge dal confronto del nuovo art. 105 c.p.a. con il vecchio art. 35 l.Tar, dal fatto che l'art. 105 c.p.a. ha portata diversa e più ampia degli art. 353 e 354 c.p.c. e da quella giurisprudenza che già ha ricondotto alla violazione del diritto di difesa l'ipotesi in cui vi sia stata “totale omessa pronuncia” - v. Cons. St. IV, n. 3809/2017).

E' stato anche ritenuto che costituisce causa di annullamento con rinvio l'omessa pronuncia relativa non ad una censura, bensì ad una intera domanda (come quella risarcitoria), avente carattere distinto ed autonomo rispetto a quella impugnatoria (Cons. St. IV, n. 1535/2018, in un caso in cui il Tar aveva dichiarato improcedibile la domanda di annullamento e non esaminato quella di risarcimento, nonostante la richiesta di accertare l'illegittimità dell'atto ai sensi dell'art. 34, comma 3).

Con altra sentenza è stato affermato che tale principio è applicabile anche in caso di erronea declaratoria di tardività in primo grado dell'azione di annullamento, che anche integra una delle ipotesi di rimessione della causa al giudice di primo grado previste dall'art. 105 c.p.a., sussumibile nella categoria della lesione del diritto di difesa, atteso che le parti non hanno potuto avere riscontro della fondatezza o meno delle loro difese su tutte le tante questioni trattate fatta eccezione per quella posta a base della decisione ( Cons. giust. amm. Reg. Sic., n. 123/2018).

In sede di primo commento di tali pronunce era stato evidenziato che si sarebbe dovuto verificare il consolidamento o meno di tale cambio di orientamento o la necessità di un intervento della Plenaria.

Puntualmente si sono verificate quasi contestuali rimessioni alla Plenaria circa il carattere più o meno tassativo delle ipotesi di annullamento con rinvio previste dall'art. 105 con riferimento all'erronea declaratoria di inammissibilità del ricorso per difetto di interesse (Cons. St. IV, n. 2122/2018 che, oltre a porre la questione della riconducibilità dell'erronea declaratoria di inammissibilità nella categoria della lesione dei diritti della difesa, rimette una ulteriore questione in materia di violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato) con riguardo alla erronea declaratoria di irricevibilità del ricorso (Cons. St. V, n. 2161/2018), alla l'erroneità della declaratoria di inammissibilità, improcedibilità e/o di irricevibilità del ricorso (Cons. giust. amm. Sicilia, n.223/2018 all'omesso esame della domanda di risarcimento (Cons. St. III, ord. n. 2472/2018).

La Adunanza Plenaria ha aderito all'orientamento tradizionale, secondo cui le ipotesi di annullamento con rinvio al giudice di primo grado previste dall'art. 105 hanno carattere eccezionale e tassativo e non sono, pertanto, suscettibili di interpretazioni analogiche o estensive con la conseguenza che l'erronea dichiarazione di irricevibilità, inammissibilità o improcedibilità del ricorso di primo grado non costituisce, di per sé, un caso di annullamento con rinvio, in quanto la chiusura in rito del processo, per quanto erronea, non determina, ove la questione pregiudiziale sia stato oggetto di dibattito processuale, la lesione del diritto di difesa, né tanto meno un caso di nullità della sentenza o di rifiuto di giurisdizione (Cons. St. Ad. Plen., n. 10/2018, Cons. St. Ad. Plen. n. 11/2018, Cons. St. Ad. Plen. n. 14/2018 e Cons. St. Ad. Plen. n. 15/2018, secondo cui anche la violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, pure quando si sia tradotta nella mancanza totale di pronuncia da parte del giudice di primo grado su una delle domande del ricorrente, non costituisce un'ipotesi di annullamento con rinvio; pertanto, in applicazione del principio dell'effetto sostitutivo dell'appello, anche in questo caso, ravvisato l'errore del primo giudice, la causa deve essere decisa nel merito dal giudice di secondo grado). Secondo la stessa pronuncia, costituisce invece un'ipotesi di nullità della sentenza che giustifica l'annullamento con rinvio al giudice di primo grado il difetto assoluto di motivazione. Esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione”, tale anomalia si identifica, oltre che nella mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, nella motivazione meramente assertiva, tautologica, apodittica oppure obiettivamente incomprensibile: quando, cioè, le anomalie argomentative sono di gravità tale da collocare la motivazione al di sotto del “minimo costituzionale” di cui all'art. 111, comma 5, Cost.

In sostanza, una sentenza che non eserciti alcun sindacato giurisdizionale sull'attività valutativa della P.a., affermando sic et simpliciter che il ricorso a tal fine proposto solleciterebbe un sindacato sostitutivo del giudice amministrativo, senza però in alcun modo supportare tale affermazione con una almeno sintetica disamina circa il contenuto delle censure tecniche, e trincerandosi apoditticamente dietro la natura non anomala o non manifestamente irragionevole della valutazione espressa, reca una motivazione apodittica e tautologica e, in quanto tale, meritevole di annullamento con rinvio al primo giudice, ai sensi dell'art. 105, comma 1, c.p.a., per nullità della stessa in difetto assoluto di motivazione (Cons. St. III, n. 6058/2019, che non ha annullato la sentenza del Tar, perché, sebbene non avesse proceduto in nessun modo ad una minima analisi delle singole censure, proposte nel ricorso, aveva però succintamente motivato circa la loro inammissibilità; Cons. St., V, n. 1038/2025, che ha invece annullato con rinvio una sentenza del Tar, ritenuta affetta da nullità assoluta in quanto la sentenza di prime cure, seppure resa in forma semplificata, ex art. 74 c.p.a., aveva dichiarato inammissibile il ricorso senza delineare l'iter logico seguito).

La questione della esatta individuazione dei casi di rinvio al giudice di primo grado in ipotesi di declaratoria di inammissibilità del ricorso è stata oggetto di un nuovo intervento della Adunanza plenaria, che con una correzione dei principi in precedenza affermati ha enunciato il seguente principio di diritto in ordine alle ipotesi di nullità della sentenza: “l'art. 105, comma 1, c.p.a., nella parte in cui prevede che il Consiglio di Stato rimette la causa al giudice di primo grado se dichiara la nullità della sentenza, si applica anche quando la sentenza appellata abbia dichiarato inammissibile il ricorso di primo grado, errando palesemente nell'escludere la legittimazione o l'interesse del ricorrente” (Cons. St. Ad. Plen. 20 novembre 2024 n. 16).

L'errore palese comporta, quindi, la rimessione al Tar anche se tale nuova decisione può determinare una maggiore incertezza sui casi di rinvio, potendo non risultare oggettiva la natura palese dell'errore commesso dal primo giudice.

La sentenza tenta di esemplificare la casistica, individuando le seguenti tipologie:

a) decisioni di inammissibilità, che hanno omesso l'esame del merito inteso come fatti di causa, ossia decisioni che non prendono in considerazione la specifica situazione fattuale (ad es., nelle controversie in materia edilizia, la concreta ubicazione del bene di proprietà del ricorrente ai fini della verifica della vicinitas, della legittimazione e dell'interesse al ricorso, le concrete caratteristiche dell'immobile costruendo);

(b) decisioni di inammissibilità, che non esaminano il merito inteso come motivi di ricorso;

(c) decisioni con doppia motivazione, in rito e in merito, che, pur dichiarando inammissibile un ricorso, esaminano “comunque” i motivi di ricorso;

(d) decisioni di inammissibilità in cui la declaratoria di inammissibilità è il risultato di una disamina di tutti o di alcuni motivi di ricorso.

Ad avviso dell'Adunanza Plenaria, la prima e la seconda ipotesi sopra delineate danno luogo ad una pronuncia di annullamento con rinvio, ai sensi dell'art. 105 c.p.a., in ragione della nullità della sentenza per motivazione apparente, come già rilevato dalle sentenze del 2018 dell'Adunanza Plenaria, o in ragione di un errore palese di rito che ha per conseguenza il mancato esame della totalità dei motivi di ricorso. Nella terza e quarta ipotesi sopra delineate, vi è stato comunque un esame dei motivi di ricorso, che, anche se solo parziale, non giustifica un annullamento con rinvio, in ragione dell'effetto devolutivo dell'appello, come si desume anche dall'art. 101, comma 2, c.p.a.

Tuttavia, tele esemplificazione deve fare i conti con il sopra menzionato principio di diritto affermato nella stessa sentenza e, quindi, deve sempre essere palese l'errore del primo giudice nell'escludere la legittimazione o l'interesse del ricorrente.

Come prevedibile, a seguito della sentenza della Plenaria vi sono state, da un lato, nuove remissioni relative alla ipotesi della erronea declaratoria di improcedibilità e di irricevibilità del ricorso di primo grado (Cons. St., VI, n. 1483/2025) e, sotto altro profilo, vi sono state pronunce che non sempre hanno applicato in modo uniforme il principio della Plenaria (Cons. St., IV, n. 3009/2025 che ha disposto l'annullamento con rinvio in caso di erronea declaratoria di inammissibilità; Cons. St., III, n. 2340/2025 che ha esteso il rinvio al Tar in ipotesi di erronea declaratoria di irricevibilità; Cons. St., V, n. 2038/2025, che non ha disposto il rinvio non ritenendo palese l'errore del Tar nel dichiarare irricevibile il ricorso; Cons. St. III, n. 2846/2025, secondo cui la pronuncia dell'Adunanza plenaria n. 16 del 20 novembre 2024 non è suscettibile di applicazione alle sentenze di primo grado già emesse al momento del suo intervento).

In ogni caso la disciplina dei rapporti tra giudice di primo grado e giudice d'appello ha natura indisponibile, il che implica che, fermo restando l'onere di articolare specifici motivi di appello e il generale principio di conversione della nullità in motivi di impugnazione, nei casi di cui all'art. 105, il giudice d'appello deve procedere all'annullamento con rinvio anche se la parte omette di farne esplicita richiesta o chiede espressamente che la causa sia direttamente decisa in secondo grado. Viceversa, nei casi in cui non si applica l'art. 105, la possibilità per il giudice di appello di pronunciarsi sulla domande o sulle domande non esaminate in primo grado o erroneamente dichiarate irricevibili, inammissibili o improcedibili, presuppone necessariamente che, ai sensi dell'art. 101, comma 2, tali domande siano oggetto di rituale riproposizione, operando, altrimenti, la presunzione di rinuncia stabilita dallo stesso articolo, con conseguente inammissibilità per difetto di interesse dell'appello proposto senza assolvere all'onere di riproposizione (l’indisponibilità è in parte attenuata dalle menzionate incertezze dopo l’intervento della Plenaria e anche la necessità di riproporre i motivi non esaminati andrà verificata nei casi in cui si impone il rinvio al Tar).

In senso innovativo è stato disposto che, quando è appellata una sentenza che ha declinato la giurisdizione o la competenza, si segue il procedimento in camera di consiglio e questa è fissata entro il termine di trenta giorni dalla scadenza dei termini stabiliti per la costituzione delle parti.

Ai sensi dell'art. 105 comma 2 anche nel caso di sentenza di primo grado dichiarativa del difetto assoluto di giurisdizione, l'appello va trattato in camera di consiglio sia nel caso in cui l'affermato difetto di giurisdizione ha natura relativa, con indicazione di altro giudice al quale rivolgersi, sia quando ha carattere assoluto (Cons. St. IV, n. 5369/2015).

Si ricorda che tale procedimento è più celere, essendo dimezzati tutti i termini processuali tranne quelli del ricorso introduttivo, dei motivi aggiunti e del ricorso incidentale e la camera di consiglio è fissata d'ufficio alla prima udienza utile successiva al trentesimo giorno decorrente dalla scadenza del termine di costituzione delle parti intimate (v. art. 87).

La disciplina dei termini per la notificazione dell'appello avverso i provvedimenti dei tribunali amministrativi regionali che hanno declinato la giurisdizione deriva dal combinato disposti degli art. 87 comma 3, 92 comma 3 e 105 comma 2, in base ai quali, in caso di appello avverso una sentenza declinatoria di giurisdizione, il termine per la notificazione di tale gravame è dimidiato rispetto a quello ordinario di 6 mesi (Cons. St., V, n. 6452/2014). Sebbene le cause d'appello avverso le sentenze declinatorie della giurisdizione seguano il rito della camera di consiglio (art. 105, comma 2), l'adozione del rito ordinario comporta un surplus di tutela e non incide in senso invalidante sul rapporto processuale (v. art. 87, comma 4), con conseguente rituale passaggio in decisione della causa alla pubblica udienza (Cons. St. VI, n. 6144/2014).

È stato evidenziato che tale regime è formalmente previsto anche in caso di appello su pronuncia che ha declinato la competenza (art. 105, comma 2), ma la previsione non è di chiara lettura, in quanto nel sistema del c.p.a. la competenza di regola viene declinata con ordinanza e non con sentenza, ma il rimedio contro la pronuncia che declina la competenza è il regolamento di competenza impugnatorio, che già segue un particolare rito camerale; pertanto, sembrerebbe che l'art. 105, comma 1 non si riferisca al caso di pronuncia che ha declinato la competenza, bensì al caso di sentenza che ha affermato la competenza e deciso nel merito. In tale ipotesi, peraltro, se il giudice di appello riforma siffatta sentenza, significa che ritiene incompetente il giudice a quo. Pertanto, il rinvio non viene disposto al giudice a quo, ma ad un altro giudice. Stessa dottrina aggiunge che altrimenti si potrebbe ritenere che in base alla novellata disciplina degli artt. 15 e 16 ad opera del secondo d.lgs. correttivo, quando, in difetto di domanda cautelare e di eccezione di incompetenza, il giudice si dichiara incompetente con la decisione finale, lo faccia con sentenza e non con ordinanza, suscettibile dell'appello ex art. 105 o lo faccia con ordinanza non rimediabile con il regolamento di competenza bensì con l'appello ex art. 105 (De Nictolis - Nunziata, 977).

Infatti, la sentenza gravata o è confermata, con prosecuzione del giudizio innanzi al giudice munito della giurisdizione ovvero della competenza, oppure è riformata, e in tal caso è disposta con celerità la rimessione al primo giudice.

Per limitare l'impatto del ritorno del giudizio in primo grado è stato previsto che in ogni caso in cui il Consiglio di Stato annulla la sentenza o l'ordinanza con rinvio della causa al giudice di primo grado, si applica l'articolo 8, comma 2, delle norme di attuazione, che prevede una priorità per la fissazione dell'udienza.

Con il secondo correttivo ( d.lgs. n. 160/2012) l'art. 105 è stato modificato, con la sostituzione della prevista prosecuzione d'ufficio del giudizio in primo grado con l'onere posto a carico delle parti della riassunzione del processo entro novanta giorni decorrenti dalla notificazione o, se anteriore, comunicazione della pronuncia di annullamento con rinvio, in modo da evitare fissazioni d'ufficio che possano non corrispondere all'interesse delle parti.

Di conseguenza, l'erronea declinatoria di giurisdizione da parte del giudice di primo grado comporta, ai sensi dell'art. 105, comma 1 l'annullamento con rinvio della sentenza allo stesso giudice di primo grado, dinanzi al quale le parti dovranno riassumere il processo con le modalità e nei termini di cui al comma 3 dello stesso art. 105 ( Cons. St. Ad. plen. , n. 17/2013).

Il Consiglio di Stato ha affrontato la questione delle ricadute sulla corretta applicazione dell'art. 105 c.p.a. a seguito delle sentenze della Cassazione che hanno affermato che sussiste un diniego o rifiuto della tutela giurisdizionale nel caso in cui venga precluso l'intervento nel giudizio amministrativo a enti associativi  e a enti territoriali sulla base di valutazioni che negano la giustiziabilità degli interessi collettivi (legittimi) da essi rappresentati, relegandoli in sostanza al rango di interessi di fatto (Cass. S.U., 23 novembre 2023 n. 32559 e 9 gennaio 2024, n. 786in materia di concessioni demaniali marittime).

Il Consiglio di Stato non ha aderito a tale indirizzo e ha evidenziato che che l'"eccesso di potere giudiziario", denunziabile con il ricorso in cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione, va riferito alle sole ipotesi di difetto assoluto di giurisdizione, e cioè quando il Consiglio di Stato o la Corte dei conti affermino la propria giurisdizione nella sfera riservata al legislatore o all'amministrazione (cosiddetta invasione o sconfinamento), ovvero, al contrario, la neghino sull'erroneo presupposto che la materia non può formare oggetto, in via assoluta, di cognizione giurisdizionale (cosiddetto arretramento); nonché a quelle di difetto relativo di giurisdizione, quando il giudice amministrativo o contabile affermi la propria giurisdizione su materia attribuita ad altra giurisdizione o, al contrario, la neghi sull'erroneo presupposto che appartenga ad altri giudici. Pertanto, non potrebbe mai considerarsi "rifiuto assoluto di giurisdizione" la decisone con cui il giudice non esclude affatto la "giustiziabilità" di una pretesa sostanziale, ma accerta quali siano i soggetti titolari della relativa legittimazione (Cons. St., sez. VII, n. 1653/2024, in relazione anche alle ricadute applicative sull'art. 105 c.p.a., in quanto, qualora si seguisse la nuova linea indicata dalla Cassazione, anche l'erronea declaratoria di inammissibilità dell'intervento in giudizio - e, a fortiori, della domanda introduttiva della lite - dovrebbe parimenti configurarsi come illegittimo rifiuto o diniego di giurisdizione, comportante l'annullamento con rinvio al Tar, ai sensi dell'art. 105 c.p.a.).

 

La sentenza di primo grado, che ha pronunciato su un ricorso proposto avverso una graduatoria concorsuale senza la previa corretta integrazione del contraddittorio, va annullata con rinvio atteso che in assenza di un presupposto processuale non vale l'effetto devolutivo dell'appello, e la causa va rimessa al giudice di primo grado per la necessaria chiamata in giudizio dei soggetti utilmente collocati in graduatoria, a meno che detto giudice, utilizzando il potere riconosciutogli dall' art. 49, comma 2, dello stesso c.p.a., non ritenga che il ricorso sia manifestamente inammissibile, irricevibile, improcedibile o infondato. Cons. St. IV, n. 8724/2010.

L'art. 49, richiamato dalla citata giurisprudenza, prevede che l'integrazione del contraddittorio non è ordinata nel caso in cui il ricorso sia manifestamente irricevibile, inammissibile, improcedibile o infondato; si tratta di una disposizione che non è direttamente applicabile ai casi di annullamento con rinvio, ma al diverso caso in cui si evita nel medesimo grado di giudizio l'integrazione del contraddittorio attesa la manifesta non accoglibilità del ricorso; la sua applicazione anche alle fattispecie di cui all'art. 105 non è certa e appare preferibile attendere un consolidarsi della giurisprudenza.

Anche perché in altre sentenze è stato affermato in modo netto che, laddove sussista la giurisdizione del giudice amministrativo, declinata in primo grado dal T.A.R., il giudice di secondo grado non può che annullare la sentenza gravata, senza ulteriore trattazione della causa, rinviandola al giudice di primo grado, in applicazione dell' art. 105, d.lgs. n. 104/2010 (Cons. St. VI, n. 7510/2010).

Le violazioni del contraddittorio attendono anche alle modalità con cui è stata emessa la sentenza di primo grado: va annullata con rinvio della controversia al primo giudice la sentenza di primo grado che sia stata emessa in forma semplificata nonostante la carenza del presupposto della formale informazione alle parti sul ricorso a tale tipo di pronuncia. Cons. St. VI, n. 7982/2010.

Va segnalato un caso in cui a seguito del rinvio in primo grado il Consiglio di Stato ha stabilito che il giudice di primo grado chiamato a decidere nuovamente la controversia debba procedere in diversa composizione , ex artt. 17 c.p.a. e 51, n. 4, c.p.c.  (Cons. St., IV, n. 1199/2021, che si è espresso sulla natura del rinvio - proprio o prosecutorio - previsto dall'art. 383,1º comma, c.p.c. e sulla nozione di alterità del giudice rispetto ai magistrati che adottarono la decisione impugnata).

Annullamento della sentenza di primo grado senza rinvio

Dai casi di annullamento con rinvio vanno distinti quelli di annullamento della sentenza di primo grado senza rinvio, in passato disciplinati dall' art. 34 della l. n. 1034/1971 (l. T.A.R.) che prevedeva appunto l'annullamento della sentenza di primo grado senza rinvio al Tar, quando il Consiglio di Stato riconosceva il difetto di giurisdizione o di competenza del Tar o la nullità del ricorso introduttivo del giudizio di prima istanza, o l'esistenza di cause impeditive o estintive del giudizio.

Si tratta di vizi che precludono l'esame della controversia nel merito e ciò rende non necessario il rinvio al giudice di primo grado.

A differenza della previgente normativa (art. 34 l. n. 1034/1971) l'art. 105 non disciplina i casi di annullamento senza rinvio.

Una ipotesi di annullamento senza rinvio ricorre quando in sede di appello l'originario ricorrente rinunci al ricorso (di primo grado) e dichiari di non avervi più interesse o si verifichi altra causa di improcedibilità, come il sopravvenuto difetto di interesse riferito al ricorso di primo grado che conduce alla declaratoria di improcedibilità del ricorso di primo grado e la sentenza impugnata va appunto annullata senza rinvio (Cons. St. IV, n. 6262/2012).

Resta fermo che se il ricorso di primo grado non sia stato notificato ad almeno un controinteressato, si verifica una causa di inammissibilità del ricorso non sanabile, che giustifica la riforma in rito della sentenza con declaratoria di inammissibilità del ricorso di primo grado senza rinvio.

Quando il Consiglio di Stato accerta il difetto di giurisdizione in ordine ad una controversia, ritenuta (erroneamente) dal T.A.R. rientrante nella giurisdizione amministrativa, la pronuncia è di annullamento senza rinvio, in quanto spetta poi alle parti riassumere la causa davanti al giudice munito di giurisdizione (v. il commento all'art. 11).

Bibliografia

Cassarino, Il rinvio al giudice di primo grado nella sentenza amministrativa di appello, in Dir. proc. amm., 1995, 1; Corletto, Commento all'art. 105 c.p.a., in AA. VV., Il processo amministrativo - commentario al d.lgs. n. 104/2010 (a cura di A. Quaranta e V. Lopilato), Milano, 2011, 810; De Nictolis - Nunziata, Art. 105. Rimessione al primo giudice, in Morbidelli (a cura di), Codice della giustizia amministrativa, Milano, 2015, 965; Di Marzio, Art. 354 c.p.c., in Di Marzo (a cura di) Codice di procedura civile, Milano, 2016; DI Modugno, Note sull'annullamento con rinvio nel processo amministrativo, in Dir. proc. amm., 1989, 256; Gallo, Omessa integrazione del contraddittorio e rinvio al giudice di primo grado nel giudizio amministrativo; in Dir. proc. amm., 1996, 352; Mezzanotte, Il rinvio al tribunale amministrativo regionale nel giudizio d'appello, in Studi per il centocinquantenario del Consiglio di Stato, Roma, 1981, III, 1903; Tarullo, L'annullamento in appello con rinvio al Tar per erronea declinatoria di giurisdizione tra conservazione e spinte riformatrici; Dir. proc. amm., 1998, 843

Zuccaro, Note in tema di rimessione della causa al primo giudice nel processo amministrativo, in T.A.R, 1980, II, 381.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario