Decreto legislativo - 2/07/2010 - n. 104 art. 120 - Disposizioni specifiche ai giudizi di cui all' articolo 119, comma 1, lettera a) 1

Raffaele Tuccillo

Disposizioni specifiche ai giudizi di cui all'articolo 119, comma 1, lettera a) 1

1. Gli atti delle procedure di affidamento e di concessione disciplinate dal codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo di attuazione della legge 21 giugno 2022, n. 78, comprese le procedure di affidamento di incarichi e concorsi di progettazione e di attività tecnico-amministrative a esse connesse, i quali siano relativi a pubblici lavori, servizi o forniture, nonché i provvedimenti dell'Autorità nazionale anticorruzione in materia di contratti pubblici, sono impugnabili unicamente mediante ricorso al tribunale amministrativo regionale competente. In tutti gli atti di parte e in tutti i provvedimenti del giudice è indicato il codice identificativo di gara (CIG); nel caso di mancata indicazione il giudice procede in ogni caso e anche d'ufficio, su segnalazione della segreteria, ai sensi dell'articolo 86, comma 1.

2. Per l'impugnazione degli atti di cui al presente articolo il ricorso, principale o incidentale, e i motivi aggiunti, anche avverso atti diversi da quelli già impugnati, sono proposti nel termine di trenta giorni. Il termine decorre, per il ricorso principale e per i motivi aggiunti, dalla ricezione della comunicazione di cui all'articolo 90 del codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo di attuazione della legge n. 78 del 2022 oppure dal momento in cui gli atti sono messi a disposizione ai sensi dell'articolo 36, commi 1 e 2, del medesimo codice. Per i bandi e gli avvisi con cui si indice una gara che siano autonomamente lesivi, il termine decorre dalla pubblicazione di cui agli articoli 84 e 85 del codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo di attuazione della legge n. 78 del 2022. Il ricorso incidentale è disciplinato dall'articolo 42.

3. Nel caso in cui sia mancata la pubblicità del bando, il ricorso è comunque proposto entro trenta giorni dalla data di pubblicazione dell'avviso di aggiudicazione o della determinazione di procedere all'affidamento in house al soggetto partecipato o controllato. Per la decorrenza del termine l'avviso deve contenere la motivazione dell'atto di aggiudicazione e della scelta di affidare il contratto senza pubblicazione del bando e l'indicazione del sito dove sono visionabili gli atti e i documenti presupposti. Se sono omessi gli avvisi o le informazioni di cui al presente comma oppure se essi non sono conformi alle prescrizioni ivi indicate, il ricorso può essere proposto non oltre sei mesi dal giorno successivo alla data di stipulazione del contratto comunicata ai sensi del codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo di attuazione della legge n. 78 del 2022.

4. Se la stazione appaltante o l'ente concedente è rappresentato dall'Avvocatura dello Stato, il ricorso è notificato anche presso la sede dell'Amministrazione, ai soli fini della operatività della sospensione obbligatoria del termine per la stipulazione del contratto.

5. Se le parti richiedono congiuntamente di limitare la decisione all'esame di un'unica questione, nonché in ogni altro caso compatibilmente con le esigenze di difesa di tutte le parti in relazione alla complessità della causa, il giudizio è di norma definito, anche in deroga al comma 1, primo periodo, dell'articolo 74, in esito all'udienza cautelare ai sensi dell'articolo 60, ove ne ricorrano i presupposti, e, in mancanza, è comunque definito con sentenza in forma semplificata a una udienza fissata d'ufficio, da tenersi entro quarantacinque giorni dalla scadenza del termine per la costituzione delle parti diverse dal ricorrente e nel rispetto dei termini per il deposito dei documenti e delle memorie. Della data di udienza è dato immediato avviso alle parti a cura della segreteria, a mezzo posta elettronica certificata. In caso di esigenze istruttorie o quando è necessario integrare il contraddittorio o assicurare il rispetto di termini a difesa, la definizione del merito è rinviata, con l'ordinanza che dispone gli adempimenti istruttori o l'integrazione del contraddittorio o dispone il rinvio per l'esigenza di rispetto dei termini a difesa, a una udienza da tenersi non oltre trenta giorni.

6. In caso di istanza cautelare, all'esito dell'udienza in camera di consiglio e anche in caso di rigetto dell'istanza, il giudice provvede ai necessari approfondimenti istruttori.

7. I nuovi atti attinenti alla medesima procedura di gara sono impugnati con ricorso per motivi aggiunti, senza pagamento del contributo unificato.

8. Salvo quanto previsto dal presente articolo e dagli articoli da 121 a 125, si applica l'articolo 119.

9. Anche se dalla decisione sulla domanda cautelare non derivino effetti irreversibili, il collegio può subordinare la concessione o il diniego della misura cautelare alla prestazione, anche mediante fideiussione, di una cauzione di importo commisurato al valore dell'appalto e comunque non superiore allo 0,5 per cento di tale valore. La durata della misura subordinata alla cauzione è indicata nell'ordinanza. Resta fermo quanto stabilito dal comma 3 dell'articolo 119.

10. Nella decisione cautelare il giudice tiene conto di quanto previsto dagli articoli 121, comma 1, e 122, e delle esigenze imperative connesse a un interesse generale all'esecuzione del contratto, dandone conto nella motivazione.

11. Il giudice deposita la sentenza con la quale definisce il giudizio entro quindici giorni dall'udienza di discussione. Quando la stesura della motivazione è particolarmente complessa, il giudice pubblica il dispositivo nel termine di cui al primo periodo, indicando anche le domande eventualmente accolte e le misure per darvi attuazione, e comunque deposita la sentenza entro trenta giorni dall'udienza.

12. Le disposizioni dei commi 1, secondo periodo, 5, 6, 8, 9, 10 e 11 si applicano anche innanzi al Consiglio di Stato nel giudizio di appello proposto avverso la sentenza o avverso l'ordinanza cautelare, e nei giudizi di revocazione o opposizione di terzo. La parte può proporre appello avverso il dispositivo per ottenerne la sospensione prima della pubblicazione della sentenza.

13. Nel caso di presentazione di offerte per più lotti l'impugnazione si propone con ricorso cumulativo solo se sono dedotti identici motivi di ricorso avverso lo stesso atto.

Note operative

Tipologia di atto Termine Decorrenza
Ricorso di primo grado (notificazione) 30 giorni a) in caso di impugnazione dell'aggiudicazione dalla ricezione della comunicazione di cui all’articolo 90 del codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo di attuazione della legge n. 78 del 2022 oppure dal momento in cui gli atti sono messi a disposizione ai sensi dell’articolo 36, commi 1 e 2, del medesimo codice dei contratti pubblici;  b) per i bandi e gli avvisi con cui si indice una gara, autonomamente lesivi, dalla pubblicazione di cui agli articoli 84 e 85 del codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo di attuazione della legge n. 78 del 2022; c) dal giorno successivo alla data di pubblicazione dell'avviso di aggiudicazione definitiva; d) ovvero, in ogni altro caso, dalla conoscenza dell'atto
Ricorso di primo grado (notificazione) - In caso di affidamento senza gara o senza regolari avvisi 6 mesi dal giorno successivo alla data di stipulazione del contratto
Deposito del ricorso e degli altri atti processuali 15 giorni Momento in cui l'ultima notificazione dell'atto si è perfezionata anche per il destinatario (possibilità di depositare prima con obbligo di produrre successivamente la prova del perfezionamento della notificazione).
Ricorso incidentale (notificazione) 30 giorni Data di notificazione del ricorso principale (per i soggetti intervenuti il termine decorre dall'effettiva conoscenza della proposizione del ricorso principale). Il termine era di 60 giorni prima del d.lgs. 15 novembre 2011, n. 195.
Motivi aggiunti 30 giorni Stessa decorrenza del ricorso
Costituzione delle parti intimate 30 giorni Dal perfezionamento nei propri confronti della notificazione del ricorso
Regolamento di competenza e decisioni sulla competenza V. i termini del rito ordinario e applica il dimezzamento.
Atto di intervento (deposito) fino a 15 giorni prima dell'udienza
Camera di consiglio per la trattazione della domanda cautelare Prima camera di consiglio successiva al decimo giorno dal perfezionamento, anche per il destinatario, dell'ultima notificazione e, altresì, al quinto giorno dal deposito del ricorso.
Durata misura cautelare 60 giorni dalla pubblicazione dell'ordinanza.
Udienza di merito fissata con ordinanza all'esito dell'udienza cautelare Entro 45 giorni dalla scadenza del termine per la costituzione delle parti diverse dal ricorrente.
Comunicazione alle parti della data di udienza Immediato avviso a cura della segreteria, a mezzo posta elettronica certificata. Almeno trenta giorni liberi prima della data dell'udienza o ventitré giorni liberi qualora l'udienza sia stata fissata a seguito di rinuncia alla definizione autonoma della domanda cautelare
Memorie e documenti per la camera di consiglio cautelare 1 giorno libero prima della camera di consiglio
Produzione di documenti 20 giorni liberi Prima dell'udienza
Produzione di memorie 15 giorni liberi Prima dell'udienza
Repliche scritte 10 giorni liberi Prima dell'udienza
Redazione sentenza 30 giorni Dall'udienza di discussione.
Dispositivo (a richiesta) 2 giorni Dall'udienza di discussione
Perenzione 6 mesi (oltre all'eventuale periodo feriale)
Appello cautelare (notificazione) 30 giorni dalla notificazione dell'ordinanza
60 giorni dalla pubblicazione dell'ordinanza
Appello avverso sentenze o dispositivi di sentenza (notificazione) 30 giorni dalla notificazione della sentenza o del dispositivo
3 mesi dalla pubblicazione della sentenza o del dispositivo
Motivi (in caso di impugnazione del dispositivo) 30 giorni dalla notificazione della sentenza
3 mesi dalla pubblicazione della sentenza o del dispositivo
Appello incidentale (notificazione) 30 giorni dalla notificazione della sentenza o, se anteriore, entro 30 giorni dalla prima notificazione nei suoi confronti di altra impugnazione
Appello incidentale (deposito) 15 giorni dall'ultima notificazione
Appello incidentale tardivo (notificazione) 30 giorni dalla data in cui si è perfezionata nei suoi confronti la notificazione dell'impugnazione principale
Appello incidentale tardivo (deposito) 5 giorni dalla notificazione
Ricorso rito superaccelerato per ammissioni ed esclusioni ex art. 120 commi 2-bis e 6-bis 30 giorni Dalla pubblicazione del provvedimento di ammissione o esclusione sul profilo del committente della stazione appaltante, ai sensi dell'art. 29, comma 1, d.lg. 18 aprile 2016, n. 50. Comunicazione del provvedimento ai candidati entro due giorni dalla pubblicazione e decorrenza dal termine da quando gli atti sono resi in concreto disponibili, corredati dalla motivazione.
Fissazione della camera di consiglio per la definizione del giudizio ex art. 120 commi 2-bis e 6-bis (anche per appello, revocazione e opposizione di terzo). 30 giorni Dalla scadenza del termine per la costituzione delle parti diverse dal ricorrente
Comunicazione decreto fissazione udienza ex art. 120 commi 2-bis e 6-bis (anche per appello, revocazione e opposizione di terzo). 15 giorni Prima dell'udienza
Produzione di documenti ex art. 120 commi 2-bis e 6-bis (anche per appello, revocazione e opposizione di terzo). 10 giorni liberi Prima dell'udienza
Produzione di memorie ex art. 120 commi 2-bis e 6-bis (anche per appello, revocazione e opposizione di terzo). 6 giorni liberi Prima dell'udienza
Repliche scritte ex art. 120 commi 2-bis e 6-bis (anche per appello, revocazione e opposizione di terzo). 3 giorni liberi Prima dell'udienza
Deposito sentenza ex art. 120 commi 2-bis e 6-bis (anche per appello, revocazione e opposizione di terzo). 7 giorni Dall'udienza, pubblica o in camera di consiglio, di discussione
Dispositivo (a richiesta) ex art. 120 commi 2-bis e 6-bis (anche per appello, revocazione e opposizione di terzo). 2 giorni Dall'udienza
Termine per la proposizione dell'appello 30 giorni Dalla comunicazione o, se anteriore, dalla notificazione della sentenza. Non opera il termine lungo decorrente dalla pubblicazione della sentenza.

Inquadramento

Con l'art. 120, il legislatore interno ha previsto una disciplina processuale speciale per le controversie relative ai provvedimenti concernenti le procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi e forniture.

In una prospettiva storica, si può rilevare che, sin dalla riforma della legge istitutiva dei T.A.R., attuata con la l. n. 205/2000, il legislatore aveva introdotto un rito speciale per alcune categorie di controversie su materie di particolare rilevanza economica, sociale o politica, inserendo l' art. 23-bis nella l. n. 1034/1971. La disposizione è stata poi abrogata dal Codice del processo amministrativo, d.lgs. n. 104/2010, il quale ha, tuttavia, confermato all'art. 119 un rito speciale comune per tutte le materie già individuate con la normativa previgente e lo ha integrato inserendo una disciplina ancora più particolare per le controversie relative ai provvedimenti di cui alla let. a) dell'art. 119, comma 1. La disciplina processuale in esame è stata espressamente interessata dall'intervento dell'ordinamento dell'Unione europea, che, in deroga al principio dell'autonomia processuale degli Stati membri, ha ritenuto necessario adottare direttive che coinvolgessero anche gli aspetti processuali dei contratti pubblici al fine di assicurare l'effettività delle direttive sostanziali. La normativa processuale è stata significativamente modificata dal d.l. n. 90/2014, convertito in l. n. 114/2014, e, quindi, dal codice dei contratti pubblici, d.lgs. n. 50/2016, che all'art. 204 ha introdotto ulteriori abbreviazioni dei termini processuali e nuovi limiti alla tutela giurisdizionale avverso gli atti delle procedure selettive avviate successivamente alla sua entrata in vigore, come previsto dall' art. 216 del d.lgs. n. 50/2016

Il nuovo codice dei contratti pubblici, di cui al d.lgs. n. 36/2023 ha apportato modifiche anche all’art. 120, al fine di aggiornarlo sostituendo i riferimenti alle disposizioni del d. lgs. 18 aprile 2016, n. 50, con quelli del nuovo codice dei contratti pubblici; è stato inoltre sempre aggiunto il riferimento alle concessioni.

 Ne discende che l'art. 120 introduce una disciplina processuale caratterizzata da un secondo grado di specialità (Lipari, La tutela giurisdizionale e precontenziosa nel nuovo Codice dei contratti pubblici). L'art. 120, commi 2-bis e 6-bis commi oggi abrogati-, introduce, poi, una forma di specialità di terzo tipo nel rito applicabile in caso di impugnazione del provvedimento che determina le esclusioni dalla procedura di affidamento e le ammissioni ad essa.

Le peculiarità del rito appalti sono collegate alla esigenza di accelerazione della definizione delle relative controversie, perseguita attraverso strumenti diretti alla semplificazione del processo e alla deflazione del contenzioso (Caringella).

Ambito di applicazione

Il rito speciale si applica alle controversie aventi ad oggetto gli atti delle procedure di affidamento, comprese le procedure di affidamento di incarichi e concorsi di progettazione e di attività tecnico-amministrative ad esse connesse, relativi a pubblici lavori, servizi o forniture, nonché ai provvedimenti dell'Autorità nazionale anticorruzione ad essi riferitiIl d.lgs. n. 36/2023 ha inserito espressamente il riferimento anche alle concessioni. Si coglie, pertanto, una tendenziale complementarità tra il rito applicabile e le disposizioni di diritto sostanziale in tema di appalti pubblici. Più in particolare, i contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture erano regolati dal d.lgs. n. 163/2006, e dal d.P.R. n. 207/2010, oltre a una serie di atti normativi, primari o secondari, per specifici settori. In attuazione delle dir. ue 23/2014/Ue, 24/2014/Ue, 25/2014/Ue, nell'ambito della strategia Europa 2020, e della conseguente l. n. 11/2016, il legislatore interno ha introdotto il « codice dei contratti pubblici» con d.lgs. n. 50/2016, abrogando la normativa precedente. Il nome del citato codice è stato, tuttavia, attribuito solo con il d.lgs. n. 56/2017, cosiddetto correttivo al Codice dei contratti pubblici, che, oltre a modificare la rubrica del decreto legislativo, ha innovato profondamente molti istituti del codice, intervenendo, seppur con differenti modalità, su 129 articoli del Codice approvato nel 2016. Da ultimo, il nuovo codice dei contratti pubblici è entrato in vigore il 1 aprile 2023, con d.lgs. n. 36/2023.

L'adunanza plenaria del Consiglio di Stato ( Cons. St. Ad. plen., n. 10/2011) ha precisato che l'ambito di applicazione della disciplina processuale dettata dagli artt. 120-125, trattandosi di disciplina «specialissima», deve essere interpretato in senso restrittivo. Non possono dunque essere attratte in tale ambito le controversie che, pur essendo affidate alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo e ricollegandosi all'affidamento di contratti pubblici, non investono l'affidamento di lavori, servizi e forniture.

Rientrano nella sfera di operatività della disciplina speciale tutti gli atti delle procedure volte all'affidamento della progettazione sia preliminare, sia definitiva, sia esecutiva nonché dell'esecuzione dei lavori, sia in appalto, sia in concessione, a partire dalla deliberazione a contrattare e dai bandi ed inviti alle gare, fino all'aggiudicazione nonché alla stipulazione dei contratti. E ciò tanto se gli atti promanino da pubbliche amministrazioni propriamente dette, quanto se lo siano da altri soggetti comunque tenuti all'osservanza delle disposizioni in materia di evidenza pubblica (concessionari della pubblica amministrazione; soggetti realizzatori di programmi in project financing; destinatari di finanziamenti pubblici implicanti l'applicazione della normativa comunitaria, statale o regionale di settore; titolari di diritti speciali o esclusivi nei settori speciali). Nessuna distinzione è inoltre operata riguardo al livello di rilevanza comunitaria o meno dei contratti ( art. 44, comma 3, lett. b), della l. n. 88/2009) (Cianflone, Giovannini).

L'ampiezza della formula impiegata dal legislatore per delimitare l'ambito applicativo del rito consente di sottoporre al rito appalti anche le impugnazioni di affidamenti in house di contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, con il corollario del dimezzamento del termine per proporre ricorso (Cons. St. V, n. 2533/2017). Depone in questo senso la comunanza ai contratti così stipulati delle esigenze sottese a questo speciale procedimento giurisdizionale e cioè la spiccata celerità e la pienezza di tutela assicurata dai provvedimenti adottabili ai sensi degli artt. 120 – 124. Inoltre, in base all'argomento letterale, occorre considerare l'ampiezza delle formule impiegate dal legislatore “procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi e forniture” e “atti delle procedure di affidamento”, nelle disposizioni del codice del processo amministrativo.  Tali enunciati linguistici si incentrano sul concetto di “procedure”, che nella sua latitudine è idonea a racchiudere tutta l'attività della pubblica amministrazione espressiva del suo potere di supremazia, che si manifesta attraverso atti autoritativi e nelle forme tipiche del procedimento amministrativo. Con specifico riguardo alla materia degli affidamenti di contratti di lavori, servizi e forniture, il concetto di “procedure” è pertanto idoneo a individuare nel suo complesso la fase che precede la stipulazione del contratto Nel momento in cui, invece, l'amministrazione dismette i propri poteri autoritativi per assumere la qualità di parte di un negozio giuridico bilaterale di diritto privato, fonte di un rapporto di natura paritetica con l'appaltatore o il concessionario, si è al di fuori dalla nozione di procedura e dallo stesso ambito applicativo della giurisdizione amministrativa. Anche se si estrinseca in un unico atto, l'affidamento in house di contratti pubblici è sempre espressione della presupposta potestà autoritativa della pubblica amministrazione, manifestatasi nelle forme del procedimento amministrativo cui quest'ultima è soggetta in via generale nell'esercizio dei suoi poteri, ancorché in tesi con modalità estremamente semplificate. La tesi contraria introdurrebbe una distinzione incentrata non già sul profilo di ordine qualitativo legato al settore di attività della pubblica amministrazione, ma sulle concrete modalità con cui quest'ultima è addivenuta a tale affidamento, con il rischio di rendere non agevole il discrimine tra rito ordinario e rito speciale.

L'art. 120, comma 5, nella parte in cui prevede che il ricorso deve essere proposto nel termine di trenta giorni in luogo dei sessanta previsti nel rito ordinario, non riguarda solo i giudizi aventi ad oggetto l'impugnazione del provvedimento di aggiudicazione, risultando la norma applicabile a tutti gli atti che concernono le procedure di affidamento dei contratti pubblici, ivi compresi quelli che intervengono nell'eventuale fase di sostituzione del contraente, quale l'atto di diniego alla sostituzione manifestato dalla stazione appaltante. Anche in relazione agli atti che intervengono nella fase di sostituzione del contraente ricorre quell'esigenza di certezza delle situazioni giuridiche e di celere definizione delle controversie che è alla base del dimezzamento del termine per impugnare (Cons. St. V, n. 2119/2017).

Il rito in esame è stato esteso a due tipologie di atti dell'Anac, il parere vincolante sulle questioni insorte in sede di gara e la raccomandazione vincolante alle stazioni appaltanti volta a sollecitarne il potere di autotutela, previsti dall' art. 211, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 50/2016. Tuttavia, il correttivo al codice dei contratti pubblici, d.lgs. n. 56/2017, ha modificato il primo comma ed eliminato il secondo comma della disposizione che prevedeva l'istituto della raccomandazione vincolante.

Concessioni

Non sono soggette al rito de quo le controversie in merito a concessioni di beni in quanto, pur spettando alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, non investono l'affidamento di lavori, servizi e forniture (Cons. St. VI, n. 2679/2015; Cons. St. VI, n. 2620/2014; T.A.R. Campania (Napoli) n. 1067/2020, con riferimento alle concessioni demaniali marittime).

Sono invece soggette al rito specialissimo appalti le controversie che investono l'affidamento di servizi a titolo di concessione. Infatti, il termine affidamento di servizi, usato dal legislatore, deve intendersi riferito sia agli appalti che alle concessioni di pubblico servizio, per ragioni testuali e sistematiche: testuali, in quanto la norma considera in modo unitario la procedura di affidamento senza operare alcuna distinzione tra appalti e concessioni di pubblici servizi, sì che essa non può che intendersi riferita anche all'affidamento di servizi mediante concessione, anche alla luce della definizione contenuta nell' art. 3, comma 36, d.lgs. n. 163/2006, ribadita dall' art. 3, comma 1, let. r) d.lgs. n. 50/2016; sistematiche, in quanto una disciplina differenziata dei due istituti si porrebbe in palese contrasto con le finalità perseguite dal legislatore, volte ad assicurare la massima speditezza nell'intera materia degli affidamenti pubblici di lavori, servizi e forniture, senza distinzione di sorta ( Cons. St.Ad. plen., n. 22/2016; Cons. St. III, n. 2704/2015). La soluzione affermativa è senz’altro rafforzata dal tenore letterale dell’art. 120 in seguito alle modifiche apportate con il codice del 2023.

Recesso a seguito di informativa interdittiva antimafia

La giurisprudenza amministrativa non manifesta un orientamento costante per quanto concerne l'impugnazione del recesso in seguito a informativa interdittiva antimafia. È, invece, acquisizione pacifica che l'impugnazione dell'informativa interdittiva antimafia, in quanto indirizzata verso un atto propedeutico ad un successivo recesso dal contratto in essere con l'impresa infiltrata, non sia soggetta al rito accelerato in materia di appalti. Il fenomeno del recesso contrattuale, che si innesta sull'interdittiva, è infatti speculare e opposto a quello dell'affidamento del contratto, fondante la ratio dell'art. 120.

Secondo un orientamento il potere di recesso esercitato dalla stazione appaltante in seguito a sopraggiunta informativa antimafia sarebbe riconducibile alla nozione dei «provvedimenti concernenti le procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi e forniture», di cui all'art. 119, comma 1, lett. a), o comunque al novero degli «atti delle procedure di affidamento», di cui all'art. 120, comma 1 (Cons. St. IV, n. 3247/2016).

Di recente, tuttavia, la medesima sezione del Consiglio di Stato si è discostata da tale precedente stabilendo che il recesso conseguente a informativa interdittiva antimafia consiste in un istituto generale, di carattere trasversale, che non interseca solo la materia dei pubblici appalti ed è soggetto al rito ordinario e non al rito appalti, con la conseguenza che il termine di impugnazione è quello ordinario di 60 giorni e non quello dimezzato di 30 giorni (Cons. St. III, n. 319/2017). La soggezione alla disciplina degli artt. 119 e 120 intanto si giustifica in quanto venga in rilievo, e sia impugnato, un atto riconducibile all'esercizio o al mancato esercizio del potere di scelta, da parte dell'amministrazione, in una procedura di gara. Il potere di recedere dal contratto, in seguito all'emissione dell'informativa, è invece l'espressione di una speciale potestà amministrativa che compete alla stazione appaltante ai sensi dell' art. 92, comma 4, d.lgs. n. 159/2011 (Codice delle leggi antimafia), anche nella fase esecutiva del contratto, e non già del generale potere «selettivo» attribuitole dall'ordinamento per la scelta del miglior contraente. La risoluzione pubblicistica del rapporto, eccezionalmente riconosciuto alla stazione appaltante dall' art. 92, comma 4, d.lgs. n. 159/2011, infatti, non costituisce propriamente l'oggetto o l'effetto di uno degli «atti delle procedure di affidamento», ma è il contenuto di un atto vincolato della stazione appaltante, la conseguenza necessitata, a valle, di una valutazione compiuta dal Prefetto, a monte, in ordine a un requisito fondamentale richiesto dall'ordinamento per la partecipazione alle gare.

Includendo, invece, l'informativa prefettizia nel novero della cause escludenti dalla procedura di gara, è stato prospettato il dubbio sul rito da applicare alle impugnazioni aventi ad oggetto il provvedimento di esclusione fondato sull'interdittiva medesima e, in particolare, sull'applicabilità o meno del rito superaccelerato in tema di ammissioni ed esclusioni previsto dall'art. 120, comma 2 bis. In senso sfavorevole a questa interpretazione si può osservare che l'ampia e generalizzata efficacia dell'informativa interdittiva antimafia, destinata a incidere sulla generalità dei rapporti tra l'impresa privata e la pubblica amministrazione, in una prospettiva estesa a tutto il territorio nazionale non consente di individuarne la disciplina processuale sulla base di un'unica gara dalla quale il concorrente è escluso. La connessione che sussiste tra l'informativa antimafia e la singola procedura di gara appare, al contrario, solo occasionale e la significativa rilevanza degli interessi potenzialmente incisi dall'interdittiva e degli effetti implicati dall'informativa appaiono difficilmente conciliabili con la sommarietà del rito superaccelerato e con una contrazione dei tempi del giudizio resa accettabile, nel settore specifico della gare pubbliche, unicamente nell'ottica dell'efficace e rapido svolgimento della procedura di assegnazione delle commesse.

Per converso, il mancato assoggettamento delle controversie sulle interdittive antimafia al rito sommario incorrerebbe nell'inconveniente di non consentire un accertamento rapido della causa escludente e di incrinare, sia pure in parte qua, gli obiettivi di concentrazione e immediatezza processuale che hanno ispirato l'elaborazione del nuovo rito.

Controversie attinenti alla fase esecutiva e risarcimento del danno

È invece da escludere che nel rito speciale in esame rientrino anche le impugnative in materia di revisione dei prezzi, atteso il solo riferimento alle controversie concernenti gli atti delle procedure di affidamento. Tale conclusione è avvalorata, oltre che dalla obiettiva diversa natura delle due materie, anche dalla distinzione operata tra le stesse dall'art. 133, comma 1, lett. e), rispettivamente ai nn. 1 e 2. Già in precedenza ad analoga conclusione conduceva il richiamo operato dall' art. 245, comma 1, del d.lgs. n. 163/2006, al solo comma 1 dell'allora vigente art. 244 (concernente l'affidamento dei contratti) e non anche al comma 3 (concernente invece, tra l'altro, l'adeguamento dei prezzi) (Cianflone, Giovannini).

Parimenti è da escludere che vi rientrino gli atti inerenti l'esecuzione dei contratti, che sono sottratti alla cognizione del giudice amministrativo.

In caso di ricorso recante una pluralità di domande connesse fra di loro e soggette a riti diversi, trova applicazione ai sensi dell'art. 32, comma 1, il rito ordinario, salvo che taluna delle domande sia soggetta al rito previsto dall'art. 119 o dall'art. 120 che si estende anche alle domande in astratto soggette ad altri riti.

Il rito accelerato si applica, quindi, anche alla domanda risarcitoria, solo qualora essa non sia proposta in via esclusiva, ma cumulativamente con quella di annullamento; tale principio è codificato dall'articolo 32, comma 1, per il caso di pluralità di domande, che, proprio nei casi del titolo V del libro IV, cioè dei giudizi di cui agli articoli 119 e 120, in deroga alla regola, prevede che prevalga la disciplina acceleratoria dettata dai riti speciali, con conseguente applicazione alla domanda risarcitoria proposta cumulativamente alla domanda impugnatoria (T.A.R. Abruzzo (L'Aquila), n. 152/2015; T.A.R. Calabria (Catanzaro), n. 589/2013). Con la precisazione, tuttavia, che il dimezzamento dei termini processuali si applica ai soli giudizi soggetti al citato rito e non quindi alle domande risarcitorie proposte in relazione all'affidamento di appalti pubblici (Cons. St. V, n. 966/2013). Sono anche escluse dal rito in esame le controversie in tema di revisione dei prezzi (Cons. St. III, n. 6237/2018).

La proposizione in via autonoma della domanda risarcitoria comporta l'applicabilità del rito ordinario.

I connessi provvedimenti dell'Anac

Il rito speciale trova applicazione anche per gli atti connessi a quelli delle procedure di affidamento, emessi dall'Anac, quali le iscrizioni nel casellario informativo, le irrogazioni di sanzioni. Rientrano nell'ambito di applicabilità della disposizione anche i pareri di precontenzioso previsti all' art. 211 del d.lgs. n. 50/2016. La connessione con gli atti gara comporta che questi devono essere impugnati con motivi aggiunti nello stesso processo in cui sono impugnati gli atti di gara. Qualora sia impugnato il solo atto dell'Anac senza impugnazione dell'atto di gara, non sarà applicabile il rito appalti, ma il rito speciale comune di cui all'art. 119 tra le cui materie è compresa l'impugnazione dei provvedimenti delle Autorità indipendenti. Pertanto, al fine della sottoposizione dell'impugnazione degli atti in questione al rito di cui all'art. 120, sarà necessario che questi siano connessi con gli atti di gara (connessione che va esclusa per quegli atti che l'Autorità adottata autonomamente e non quale conseguenza di atti di gara) e che siano impugnati insieme agli atti di gara o con motivi aggiunti.

Il rito PNRR .  Rinvio

L'art. 12-bis d.l. n. 68/2022 ha espressamente disposto l'applicabilità dell'art. 120, comma 9, alle procedure amministrative che riguardino interventi finanziati in tutto o in parte con le risorse previste dal PNRR, al fine di garantire il rispetto dei termini previsti dal PNRR ed evitare che la durata ordinaria del giudizio possa incidere sul raggiungimento dei citati obiettivi (si veda “Norme speciali in tema di processo amministrativo” – Il rito speciale PNRR).

Cenni sulla giurisdizione. Rinvio

Per approfondimenti sul riparto di giurisdizione si rinvia al commento sub art. 133.

Le controversie sui pubblici appalti e più in generale sull'attività contrattuale della pubblica amministrazione fino al d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80 e alla l. 21 luglio 2000, n. 205 erano ripartite tra giudice amministrativo e ordinario secondo il criterio di riparto basato sulla distinzione tra diritti soggettivi e interessi legittimi. Erano pertanto affidate alla giurisdizione amministrativa le controversie relative alla procedura pubblicistica di evidenza pubblica di scelta del contraente, mentre i profili privatistici, inerenti alla stipulazione, alla validità e all'esecuzione del contratto, erano devoluti alla giurisdizione ordinaria.

Su tale assetto si sono innestati dapprima l' art. 33 d.lgs. n. 80/1998 e, successivamente, l' art. 6 l. n. 205/2000 il cui testo è stato trasfuso prima nell' art. 244 del d.lgs. n. 163/2006 e poi nell'art. 133, comma 1, let. e).

Il legislatore ha così definitivamente chiarito che la giurisdizione esclusiva non riguarda solo gli appalti di lavori servizi e forniture strumentali a pubblici servizi, ma tutte le procedure preordinate all'affidamento di lavori, servizi e forniture anche fuori del campo dei servizi pubblici. Del pari la giurisdizione esclusiva viene in rilievo sia nel caso di procedura di evidenza pubblica illegittimamente condotta sia per illegittima omissione di una doverosa procedura di evidenza pubblica: anche l'effettuazione di una non consentita trattativa privata implica, infatti, violazione delle regole pubblicistiche che obbligano a una gara. Sembra, dal tenore letterale della disposizione, che la stessa sia idonea a comprendere anche i comportamenti non provvedimentali posti in essere nel corso della procedura, quali i silenzi, i rifiuti, i ritardi e le condotte scorrette che possono interessare la fase delle trattative, fonte di responsabilità precontrattuale anche a prescindere dall'adozione di atti illegittimi (Caringella).

Tradizionalmente (Chieppa-Giovagnoli) venivano considerate di pertinenza del giudice ordinario le condotte successive al contratto, con particolare riguardo agli inadempimenti contrattuali e all'esercizio del potere privatistico di recesso o risoluzione, il contenzioso relativo all'invalidità del contratto, nonché le controversie concernenti la sorte del contratto a seguito dell'annullamento della gara da parte del giudice amministrativo. Sulla materia ha profondamente inciso il d.lgs. n. 53/2010, il quale in attuazione della dir. ce 2007/66/Ce, in materia di miglioramento dell'efficacia delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici, ha devoluto alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo la dichiarazione di inefficacia del contratto a seguito di annullamento dell'aggiudicazione e la determinazione delle sanzioni alternative applicabili laddove non si addivenga alla dichiarazione di inefficacia. Costituisce principio generale che, nelle procedure ad evidenza pubblica aventi ad oggetto l'affidamento di appalti pubblici, spetta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo la cognizione di comportamenti ed atti assunti prima dell'aggiudicazione e nella successiva fase compresa tra l'aggiudicazione e la stipulazione dei singoli contratti, mentre la giurisdizione spetta al giudice ordinario nella successiva fase contrattuale, concernente l'esecuzione del rapporto. La giurisdizione del giudice ordinario, quale giudice dei diritti, diviene pienamente operativa nella fase aperta dalla stipulazione del contratto, nella quale si è entrati a seguito della conclusione — con l'aggiudicazione — di quella pubblicistica: questa seconda fase, pur strettamente connessa con la precedente, e ad essa consequenziale, ha inizio con l'incontro delle volontà delle parti per la stipulazione del contratto e prosegue con tutte le vicende in cui si articola la sua esecuzione, infatti, i contraenti si trovano in una posizione paritetica e le rispettive situazioni soggettive si connotano del carattere, rispettivamente, di diritti soggettivi e obblighi giuridici a seconda delle posizioni assunte in concreto.

Il legislatore – art. 133, comma 1, lett. e ), n. 1 – prendendo atto della circostanza che il rapporto interessato dal giudizio instaurato dal ricorrente che impugna contestualmente atti di gara e contratto è caratterizzato dalla compresenza inscindibile di un provvedimento illegittimo e di un contratto, ha esteso la giurisdizione del giudice amministrativo anche all'inefficacia del contratto consequenziale all'annullamento giurisdizionale dell'aggiudicazione.

La giurisprudenza, anche prima dell'estensione della giurisdizione del giudice amministrativo all'inefficacia del contratto, avvenuta con il recepimento della dir. ce 2007/66 tramite il d.lgs. n. 53/2010, aveva devoluto al giudice amministrativo le controversie sulla caducazione del contratto di appalto derivante dall'annullamento dell'aggiudicazione ( Cass.  S.U., n. 2906/2010). La Corte di Cassazione ha precisato che anche l'annullamento in autotutela di un atto amministrativo prodromico alla stipulazione del contratto ha natura autoritativa e discrezionale, sicché il relativo vaglio di legittimità spetta al giudice amministrativo, la cui giurisdizione esclusiva si estende, con necessità di trattazione unitaria, alla conseguente domanda per la dichiarazione di inefficacia o di nullità del contratto. Sussiste la giurisdizione del giudice ordinario, invece, quando la domanda attenga alla fase esecutiva del rapporto contrattuale (recesso, risoluzione, modifica delle condizioni contrattuali sono tutte ipotesi pur disciplinate nel codice dei contratti pubblici rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario) o quando la pubblica amministrazione, dietro lo schermo dell'annullamento in autotutela, intervenga direttamente sul contratto per vizi suoi propri, anziché sulle determinazioni prodromiche in sé considerate (Cass.  S.U., n. 9861/2015). Nello stesso senso, ha osservato il Consiglio di Stato che, in caso di revoca in autotutela dell'affidamento di un appalto per vizi genetici attinenti a un momento antecedente la stipulazione dell'accordo negoziale, trattandosi di controversia relativa a una procedura di aggiudicazione di appalto pubblico, la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo si estende alle domande di dichiarazione d'inefficacia o di nullità del contratto stipulato con la pubblica amministrazione che sia eventualmente conseguente all'annullamento in autotutela (Cons. St. n. 1798/2016).

Rientra, invece, nella giurisdizione dell'autorità giudiziaria ordinaria la controversia relativa alla delibera con la quale un Comune ha revocato l'aggiudicazione e disposto la risoluzione del contratto d'appalto, con incameramento della cauzione, fondando il provvedimento, in particolare, sull'accertata inesistenza dei presupposti per la concessione di benefici fiscali, collegati a requisiti del personale dipendente, poi ritenuti insussistenti, e sull'omessa comunicazione relativa alla cessione di ramo d'azienda. In tal caso, infatti, i rilievi formulati dal Comune attengono, principalmente, alla fase esecutiva del contratto concernendo la mancata comunicazione della cessione di ramo di azienda, avvenuta in costanza di rapporto contrattuale, circostanza che avrebbe posto la stazione appaltante nell'impossibilità di controllare l'adeguatezza del nuovo contraente ceduto ( Cass.  S.U. , n. 10705/2017). Allo stesso modo rientra nella giurisdizione del giudice ordinario la controversia avente ad oggetto l'impugnazione di un provvedimento con il quale un Comune ha disposto la risoluzione di un contratto di appalto (nella specie si trattava del contratto di appalto avente ad oggetto il servizio di igiene urbana), motivato con riferimento agli inadempimenti posti in essere dalla ditta appaltatrice rispetto alle prescrizioni del capitolato speciale, a nulla rilevando che non sia ancora intervenuta la formale stipulazione del contratto di appalto e che la decisione della pubblica amministrazione sia stata adottata nelle forme dell'atto amministrativo. Si tratta, infatti, di controversia riguardante la fase esecutiva del contratto di appalto e, quindi, inerente a diritti soggettivi, con conseguente cognizione dell'autorità giudiziaria ordinaria (T.A.R. Campania (Napoli), n. 1772/2016). Alle medesime conclusioni perviene la giurisprudenza anche per quanto concerne il perimetro e l'estensione della giurisdizione del giudice amministrativo. Si osserva che l'art. 133, comma 1, lett. e), utilizza la stessa locuzione, procedure di affidamento, per attribuire alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo non solo le controversie relative alle procedure di affidamento, ma anche quelle riguardanti la dichiarazione di inefficacia del contratto. La locuzione che segue, “a seguito di annullamento dell'aggiudicazione”, va letta in coerenza con l'interpretazione ampia che si dà al termine affidamento, ossia l'atto con cui si sceglie il contraente e gli si affida il rapporto negoziale. Nel caso di specie, quindi, deve ritenersi sussistente la giurisdizione del giudice amministrativo sulla domanda di declaratoria di inefficacia del contratto a seguito dell'annullamento dell'affidamento diretto operato a favore della società inhouse. Invero tra l'affidamento del servizio e la stipulazione del relativo contratto sussiste un rapporto di immediata presupposizione, tale per cui il disposto annullamento dell'affidamento comporta necessariamente la perdita di efficacia del conseguente contratto stipulato, dal momento della pubblicazione della decisione (T.A.R. Lombardia (Milano), n. 1781/2016).

Un momento di confine tra la fase dell'evidenza pubblica e quella esecutiva è rappresentato dalla mancata stipulazione del contratto da parte della pubblica amministrazione con il soggetto individuato quale aggiudicatario all'esito della procedura di scelta. Il codice dei contratti pubblici dispone in termini generali che l'aggiudicazione definitiva non equivale per la stazione appaltante ad accettazione dell'offerta ( art. 32, comma 6, d.lgs. n. 50/2016), con la conseguenza che è sempre necessaria la successiva stipulazione del contratto. Il rifiuto di stipulare si colloca sempre nell'ambito della procedura di affidamento che termina solo con la stipulazione del contratto, con conseguente giurisdizione del giudice amministrativo. Prima del d.lgs. n. 163/2006, permanevano dubbi nelle ipotesi in cui l'aggiudicazione era da intendersi come vincolante sia per l'aggiudicatario che per la stazione appaltante, caso nel quale la stipulazione del contratto assumeva un valore di ricognizione formale o di atto comunque dovuto in caso di mancato ritiro con le forme dell'autotutela. In tali casi il rifiuto di stipulare sembrava porsi a valle dell'esaurimento della procedura di affidamento rientrando, a seconda dei casi, nel momento dell'esecuzione del contratto o in un'ipotesi di responsabilità precontrattuale.

Secondo la giurisprudenza di legittimità ( Cass.  S.U. , n. 9575/2017) in tema di edilizia residenziale pubblica, anche dopo l'entrata in vigore del codice del processo amministrativo, il riparto di giurisdizione rinviene il proprio discrimine nell'esercizio, da parte dell'amministrazione, delle proprie attribuzioni, sicché le controversie relative alla fase prenegoziale pubblicistica, in cui è coinvolto un suo potere, pur se sottratto ad ogni discrezionalità, spettano al giudice amministrativo, mentre quelle relative alla fase contrattuale privatistica al giudice ordinario. Pertanto, ricade nella giurisdizione amministrativa la domanda proposta ai sensi dell' art. 2932 c.c., in quanto volta ad indurre la pubblica amministrazione ad esercitare il proprio potere di dismissione del bene mediante alienazione. Ai sensi dell' art. 11, comma 9, d.lgs. n. 163/2006, l'aggiudicatario, in via definitiva, se la stipulazione del contratto non avviene nel termine fissato, ovvero il controllo di cui all' art. 12, comma 3, d.lgs. n. 163/2006 non avviene nel termine ivi previsto, mediante atto notificato alla stazione appaltante, può sciogliersi da ogni vincolo e recedere dal contratto. La disciplina legislativa vigente, invece, non prevede nulla per il caso in cui il privato conservi interesse all'esecuzione del programma negoziale concordato. In tal caso, la posizione dell'aggiudicatario è qualificabile come interesse legittimo (e non come diritto soggettivo che lo legittimerebbe ad esperire l'azione ai sensi dell' art. 2932 c.c. al fine di ottenere una sentenza che produca gli effetti del contratto non concluso) e l'impresa può esperire l'azione avverso il silenzio, ai sensi degli artt. 31 e 117 c.p.a., al fine di ottenere la declaratoria dell'obbligo di provvedere per la stazione appaltante (T.A.R. Lazio (Roma), n. 12400/2015).

La Corte di Cassazione (Cass. S.U., n. 24411/2018), tuttavia, nell'operare una generale ricognizione dei criteri di riparto di giurisdizione nella materia degli appalti pubblici, ha ritenuto che la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo giunga fino all'atto di aggiudicazione definitiva, non potendosi estendere al segmento procedimentale successivo che precede la stipulazione del contratto. Nel caso esaminato dalla Corte, dopo l'aggiudicazione definitiva e prima di pervenire alla stipulazione del contratto di appalto, la pubblica amministrazione aveva invitato l'impresa a dare concreto avvio ad alcune delle attività indicate nel capitolato e oggetto del contratto da stipulare, dando vita all'esecuzione anticipata del rapporto contrattuale. A seguito della condotta del privato, l'amministrazione contestava all'aggiudicataria di essere incorsa in un inadempimento rispetto a quanto previsto nel capitolato speciale di appalto e la dichiarava decaduta dall'aggiudicazione. La decadenza (unitamente al provvedimento di aggiudicazione in favore di altro concorrente) veniva, quindi, impugnata dal privato. Il giudice di legittimità ha ritenuto che: la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in tema di procedure di affidamento riguardi solo la fase che si conclude con l'atto finale di affidamento e, quindi, con l'aggiudicazione nonché l'eventuale esercizio da parte della p.a. di eventuali altri poteri riconosciuti dalla legge relativi a vizi genetici della procedura di affidamento (es. annullamento d'ufficio); nella fase successiva all'aggiudicazione definitiva trovi applicazione il criterio di riparto ordinario imperniato sulla tradizionale distinzione tra diritto soggettivo e interesse legittimo, con la conseguente giurisdizione del giudice amministrativo per gli atti di controllo successivi alla stipulazione del contratto, quali gli atti di approvazione, caratterizzati dall'intervento di un potere autoritativo. In assenza di un potere dell'amministrazione previsto dalla legge, le situazioni giuridiche soggettive che vengono in rilievo hanno la consistenza del diritto soggettivo e sono soggette alla giurisdizione del giudice ordinario; tale conclusione trova applicazione anche per l'ipotesi di anticipazione dell'esecuzione del contratto, la quale, trovando giustificazione in un accordo fra parte privata e parte pubblica, ha natura convenzionale. Non è pertanto condivisibile la diversa soluzione secondo cui si configurerebbe la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, in generale, nella fase compresa fra l'aggiudicazione e la stipulazione del contratto. Nel caso di specie, la decadenza era stata dichiarata per inadempimento del privato con conseguente affermazione, da parte della Cassazione, della giurisdizione del giudice ordinario.

Competenza. Rinvio

Per approfondimenti sulla competenza si rinvia al commento sub art. 13.

Una disciplina ad hoc era stata introdotta dal d.lgs. n. 53/2010, attraverso l'aggiunta del comma 2-quater all' art. 245 del d.lgs. n. 163/2006, in materia di competenza territoriale dei tribunali amministrativi regionali. Secondo, infatti, la disciplina allora vigente contenuta nell' art. 31 della l. n. 1034/1971, detta competenza era contestabile entro brevi termini mediante apposito regolamento da proporsi dinanzi al Consiglio di Stato, restando altrimenti la controversia radicata presso il tribunale regionale adito. Il comma 2-quater dell' art. 245 del d.lgs. n. 163/2006, aveva invece configurato, nel rito speciale de quo, tale competenza come funzionale e, pertanto, rilevabile d'ufficio oltre che contestabile dalle parti resistenti, sia pure entro limitati termini. Tale peculiarità del rito speciale è però venuta meno con l'entrata in vigore del Codice del processo amministrativo, il quale, agli artt. 16 ss., ha conferito alla competenza territoriale dei tribunali regionali valenza funzionale sia per il rito ordinario, sia per i riti speciali. Il difetto di competenza è quindi rilevato in primo grado anche d'ufficio e nei giudizi di impugnazione è rilevato se dedotto con specifico motivo avverso il capo della pronuncia impugnata che, in modo implicito o esplicito, ha statuito sulla competenza ai sensi dell'art. 15. Il difetto di competenza va dichiarato con ordinanza che deve indicare anche il Tar competente; il processo deve poi essere riassunto entro 15 giorni dalla comunicazione dell'ordinanza.

La competenza si determina, quindi, secondo gli ordinari criteri dell'efficacia dell'atto e della sede dell'autorità emanante. Il principio di concentrazione, in base al quale tutti gli atti della stessa procedura devono essere obbligatoriamente impugnati con motivi aggiunti, ha effetto anche sulla competenza territoriale che per gli atti successivi si determina per connessione rispetto agli atti già impugnati.

Secondo la giurisprudenza sono di competenza del Tar periferico gli atti della procedura di evidenza pubblica relativi ad appalti o affidamenti che devono eseguirsi nel territorio di una Regione, risultando indifferente che vengano impugnati bandi nazionali o altri atti generali interni alla procedura ancorché emessi da organi centrali dello Stato. L'affidamento ha infatti ad oggetto prestazioni tipiche localizzate territorialmente con la conseguenza che l'effetto tipico dell'atto è destinato a prodursi nella regione in cui il contratto avrà esecuzione (Cons. St. VI, n. 1837/2011).

La connessione acquista particolare rilevanza quando sono impugnati sia atti di gara, per i quali sarebbe competente il Tar periferico, che provvedimenti dell'Anac, per i quali è astrattamente competente il T.A.R. Lazio in caso di connessione (ad esempio, iscrizione nel casellario informatico). Tuttavia, la regola dell'obbligatorietà della proposizione dei motivi aggiunti determina il radicamento della competenza davanti al Tar adito per primo.

Sulla individuazione del Tar competente in caso di contestuale impugnazione di informativa prefettizia antimafia e atto di ritiro dell'aggiudicazione, l'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha affermato il principio secondo cui, in caso di impugnazione sia dell'informativa prefettizia che dei consequenziali atti di gara, la competenza territoriale spetta al giudice competente per l'informativa ( Cons. St.Ad. plen., n. 17/2014). Alla soluzione si è pervenuti in seguito a un'evoluzione della giurisprudenza. Inizialmente l'Adunanza Plenaria ( Cons. St.Ad. plen.n. 33/2012) aveva ritenuto che, qualora con il medesimo ricorso fossero impugnati sia un provvedimento interdittivo che il diniego di autorizzazione al subappalto sullo stesso fondato, dovesse ritenersi sussistente la competenza territoriale inderogabile del tribunale nella cui circoscrizione ha sede l'amministrazione aggiudicatrice, perché il provvedimento interdittivo esaurisce i suoi effetti nel procedimento che conduce al diniego di autorizzazione, con la conseguente applicabilità del criterio principale di riparto della competenza territoriale inderogabile, rappresentato dalla sede dell'autorità che ha emesso l'atto impugnato ai sensi dell'art. 13, comma 1. Successivamente, tuttavia, la giurisprudenza è pervenuta all'opposto principio secondo cui in caso di impugnazione congiunta dell'informativa prefettizia e degli atti di gara, la competenza territoriale spetta al giudice competente per l'informativa.

Ricorso straordinario al capo dello stato

La prima delle peculiarità del rito in questione è costituita dall'esclusione della possibilità di utilizzare il rimedio alternativo del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica. A tale conclusione si perviene in via ermeneutica già dalla lettura del primo comma dell'art. 120, il quale prevede che il ricorso al T.A.R. competente costituisca l'unico mezzo di impugnazione attribuito alle parti per ricorrere avverso gli atti delle procedure di affidamento, come emerge dall'utilizzo dell'enunciato linguistico «unicamente» (Sandulli,Rito speciale in materia di contratti pubblici).

In questo senso si è espressa la giurisprudenza amministrativa, precisando che, in base all'art. 120, è preclusa la possibilità di impugnare gli atti delle procedure di affidamento di contratti pubblici con gli strumenti della tutela giustiziale (incluso il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica). Tale esclusione è motivata anche per la complessiva ratio che sorregge la disciplina dettata dal codice del processo amministrativo per tale tipo di controversie, cadenzata da tempi processuali serrati e stringenti, il cui rispetto sarebbe certamente pregiudicato dallo svolgimento di una fase contenziosa, da svolgersi davanti all'amministrazione; pertanto, in tale tipo di controversie, l'eventuale proposizione di ricorsi amministrativi non determina la sospensione del termine per proporre ricorso giurisdizionale (T.A.R. Sardegna, n. 812/2015). Sul tema della inammissibilità del ricorso straordinario, la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto che il ricorso straordinario al Capo dello Stato è ammesso, ai sensi dell'art. 7, comma 8, c.p.a., solo per le controversie devolute in via generale alla giurisdizione amministrativa. Ne deriva che è inammissibile il ricorso proposto ex art. 111, comma 8, Cost. volto a contestare la pronuncia d'inammissibilità del ricorso a tale rimedio, giustificata dalla appartenenza dell'atto impugnato all'ambito della giurisdizione esclusiva del TAR ex art. 120, comma 1, c.p.a. e non alla ipotesi generale di cui all'art. 7, comma 8, cit., dal momento che il vizio contestato attiene alla esplicazione interna del potere giurisdizionale conferito dalla legge al giudice amministrativo (Cass. s.u. n. 18491/2021).

Rapporti e differenze con il rito speciale comune

Il rito speciale comune, art. 119, e il rito in materia di procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi e forniture, art. 120 a 125, sono entrambi disciplinati nell'ambito del titolo V del libro IV, ottemperanza e riti speciali, del codice del processo amministrativo, dedicato ai riti abbreviati relativi a speciali controversie.

In particolare, intendendo la specialità come un giudizio di relazione tra norme, si può ritenere che, mentre il rito di cui all'art. 119 abbia carattere speciale rispetto al rito ordinario previsto dai libri secondo e terzo del codice, gli artt. 120 ss. prevedano, a loro volta, un rito speciale rispetto a quello previsto dall'art. 119 (Torchia, Follieri). Ne discende un doppio grado di specialità, che sembra poi tradursi in una specialità di terzo tipo per quanto concerne le controversie in materia di ammissioni e di esclusioni dalla gara ai sensi dei commi 2-bis e 6-bis dell'art. 120 – disposizioni oggi abrogate (Lipari,La tutela giurisdizionale e precontenziosa nel nuovo Codice dei contratti pubblici).

Il terzo comma dell'art. 120 risolve, mediante l'introduzione di una clausola di salvezza, il rapporto tra le norme previste per il rito speciale comune e il rito appalti. La clausola di salvezza denota una relazione sottrattiva tra due norme, mediante la quale il legislatore, prescindendo dai tradizionali strumenti per risolvere l'antinomia (specialità, gerarchia, competenza, criterio cronologico), individua un criterio di prevalenza o di preferenza. Nel caso di specie, il legislatore attribuisce prevalenza alle disposizioni contenute agli artt. 120 ss., ne deriva che: in caso di antinomia tra norme contenute nell'art. 119 e nell'art. 120 ss. prevale la disposizione diretta a disciplinare il rito appalti, in forza della clausola di salvezza citata; in caso di lacuna nel rito appalti, occorrerà fare riferimento al rito speciale comune; in caso di lacuna sia nella disciplina del rito appalti che in quello speciale comune, sarà applicabile il rito ordinario.

Le differenze disciplinari tra i due riti possono riassumersi nei seguenti elementi.

Il rimedio processuale in caso di rito appalti ha carattere esclusivo, non essendo praticabile il rimedio del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, al contrario applicabile per il rito previsto dall'art. 119.

Ai fini dell'operatività dell'effetto sospensivo automatico, in caso di amministrazioni difese dall'avvocatura erariale, il ricorso deve essere notificato anche alla stazione appaltante presso la sua sede reale, oltre che nel domicilio legale presso l'avvocatura.

Alcuni termini processuali sono più brevi rispetto a quelli di cui all'art. 119, così: trenta giorni anziché sessanta per la proposizione del ricorso introduttivo, dei motivi aggiunti, del ricorso incidentale; udienza di merito da tenersi entro quarantacinque giorni dalla scadenza del termine per la costituzione delle parti diverse dal ricorrente; in caso di ordinanza istruttoria o di integrazione del contraddittorio o di concessione di termini a difesa, udienza da tenersi entro trenta giorni; sentenza da pubblicarsi, in primo grado, entro quindici giorni dall'udienza di discussione, con possibilità di deposito della sentenza nel termine di trenta giorni dall’udienza di discussione e del dispositivo nei quindici giorni, qualora la motivazione sia particolarmente complessa, mentre nel rito abbreviato comune la sentenza va redatta e non pubblicata entro 23 giorni decorrenti dal passaggio della causa in decisione e non dall'udienza di discussione; il dispositivo deve indicare anche le domande eventualmente accolte e le misure per darvi attuazione; durata massima della misura cautelare in primo grado di sessanta giorni dalla pubblicazione dell'ordinanza che la dispone.

È, inoltre, prevista l'obbligatorietà, anziché la mera facoltatività, dei motivi aggiunti.

Il giudizio abbreviato è indefettibile e l'udienza di merito va fissata d'ufficio.

Viene introdotto il principio della sinteticità degli atti di parte e la regola della ordinaria redazione della sentenza in forma semplificata.

Sono invece comuni i seguenti termini: quindici giorni per tutti i depositi di atti di parte soggetti a notificazione; trenta giorni per proporre motivi aggiunti avverso atti già impugnati; trenta giorni per proporre appello cautelare in caso di notificazione dell'ordinanza o sessanta giorni in caso di pubblicazione.

Procedimento. Termini di impugnazione

A differenza dal termine di sessanta giorni previsto per il rito speciale comune di cui all'art. 119, il ricorso deve essere notificato entro trenta giorni.

Il dies a quo di decorrenza del termine è diverso a seconda delle varie ipotesi che vengano concretamente in rilievo, salvo quanto era previsto per il rito cosiddetto super accelerato in materia di ammissioni ed esclusioni, ed è disciplinato dal secondo e dal quinto comma della disposizione. Il tema della decorrenza per l'impugnazione dell'aggiudicazione e degli atti di gara nel c.d. rito appalti è stato oggetto di diversi interventi giurisprudenziali (si veda in particolare Cons. St., Ad. plen., n. 12/2020). 

a ) Nel caso in cui sia mancata la pubblicità del bando, il termine decorre dal giorno successivo alla data di pubblicazione dell'avviso di aggiudicazione definitiva, a condizione che l'avviso contenga la motivazione dell'atto con cui la stazione appaltante ha deciso di affidare il contratto senza previa pubblicazione del bando. Nel caso in cui siano omessi gli avvisi o le informazioni in questione o se questi non siano conformi alle prescrizioni di legge, il ricorso deve essere proposto entro sei mesi dalla data di stipulazione del contratto.

b ) Negli altri casi, l'impugnazione deve essere proposta entro trenta giorni dalla ricezione della comunicazione di cui all' art. 79 del d.lgs. n. 163/2006, o dall' art. 76 del d.lgs. n. 50/2016. Oggi, la disposizione in seguito alle modifiche apportate dal codice dei contratti pubblici del 2023 prevede che il termine decorra  dalla ricezione della comunicazione di cui all'articolo 90 del codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo di attuazione della legge n. 78 del 2022 oppure dal momento in cui gli atti sono messi a disposizione ai sensi dell'articolo 36, commi 1 e 2, del medesimo codice dei contratti pubblici.

Il ricorso giurisdizionale notificato oltre il termine di trenta giorni dalla formale comunicazione è irricevibile (Cons. St. IV, n. 5225/2015). Il termine per impugnare un provvedimento di esclusione da una gara pubblica decorre per l'impresa interessata dal giorno in cui il provvedimento le è comunicato e non dalla conoscenza dell'avvenuta aggiudicazione ad altro concorrente, atteso che la lesione consumatasi in suo danno è logicamente e giuridicamente autonoma rispetto a qualsiasi altro fatto o atto della gara compresa l'aggiudicazione in favore di altro partecipante (T.A.R. Basilicata, n. 432/2012).

La comunicazione dell'avvenuta aggiudicazione imposta dall'art. 76, comma 5, d.lgs. n. 50/2016, non è surrogabile da altre forme di pubblicità legali, quali la pubblicazione del provvedimento all'albo pretorio della stazione appaltante per l'espresso riferimento dell'art. 120, comma 5, alla “ricezione della comunicazione”, ovvero ad una precisa modalità informativa del concorrente (Cons . St. V, n. 5257/2019).

c ) Per i bandi e gli avvisi con cui si indica una gara autonomamente lesivi il termine decorre   dalla pubblicazione di cui agli articoli 84 e 85 del codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo di attuazione della legge n. 78 del 2022 (la precedente formulazione prevedeva  dalla pubblicazione di cui all'art. 66, comma 8, del d.lgs. n. 163/2006 o dall' art. 73 del d.lgs. n. 50/2016. Più in particolare, l' art. 29 del d.lgs. n. 50/2016, prevede che tutti gli atti delle amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori relativi alla programmazione dei lavori, nonché alle procedure per l'affidamento di contratti pubblici devono essere pubblicati e aggiornati sul profilo del committente, nella sezione «Amministrazione trasparente», con l'applicazione delle disposizioni di cui al d.lgs. n. 33/2013. Dalla pubblicazione in questione decorre il termine di trenta giorni per impugnare il provvedimento lesivo della situazione del ricorrente. L'art. 84 del codice del 2023, in relazione alla pubblicazione a livello europeo, prevede che  i bandi, gli avvisi di  pre-informazione e gli avvisi relativi agli appalti aggiudicati di importo pari o superiore alle soglie di cui  all'articolo 14 sono redatti dalle stazioni appaltanti e trasmessi all'Ufficio delle pubblicazioni dell'Unione europea, per il tramite della Banca dati nazionale dei contratti pubblici. L 'art. 85, in tema di pubblicazione a livello nazionale, prevede che i bandi, gli avvisi di  pre-informazione e quelli relativi agli appalti aggiudicati sono pubblicati, solo successivamente alla pubblicazione di cui all'articolo 84, sulla Banca dati nazionale dei contratti pubblici dell'ANAC e sul sito istituzionale della stazione appaltante o dell'ente concedente.

Il termine dimidiato per impugnare gli atti di gara decorre, per le gare alle quali si applica il d.lgs. n. 50/2016, dalla pubblicazione di tali atti, con le modalità previste dall'art. 29, sul profilo del committente, nella sezione «Amministrazione trasparente», con l'applicazione delle disposizioni di cui al d.lgs. n. 33/2013, senza che quindi possa rilevare, al fine di far slittare in avanti il dies a quo del termine per l'impugnazione, il deposito in giudizio degli atti di gara da parte dell'amministrazione resistente (T.A.R. Lazio (Roma), n. 4190/2017). Di regola, gli atti endoprocedimentali non sono impugnabili in via autonoma, in quanto la lesione della sfera giuridica del destinatario è imputabile solo all'atto che conclude il procedimento, salve le ipotesi in cui, in ragione della loro natura vincolata, gli stessi siano idonei a conformare in maniera netta la determinazione conclusiva del procedimento o quando questi spieghino in via diretta ed immediata una autonoma portata pregiudizievole della sfera giuridica dei destinatari. L'immediata impugnabilità dell'atto endoprocedimentale non esonera dal dovere di impugnare anche l'atto finale. Se, infatti, l'anticipazione della tutela di impugnazione costituisce un ampliamento degli strumenti di tutela dei concorrenti, ciò non li esime dal far valere anche contro il provvedimento che conclude il procedimento i vizi già sollevati avverso gli atti preparatori, ancorché in via derivata; diversamente, in assenza di impugnativa del provvedimento finale, questi si consoliderà nei suoi effetti e diverrà inoppugnabile, con la conseguente improcedibilità del ricorso proposto avverso il solo atto endoprocedimentale. Al fine di evitare tale conseguenza processuale è onere del concorrente, tanto più in pendenza di un contenzioso, verificare sul profilo del committente la pubblicazione degli atti di gara. Tale onere risultava nella specie rafforzato dalla pendenza del contenzioso e dall'avviso (gravato con l'atto introduttivo del giudizio) che sarebbe stato adottato l'atto definitivo di annullamento d'ufficio della gara, già preannunciato con l'atto oggetto del ricorso introduttivo, revoca poi adottata e pubblicata in applicazione delle regole di trasparenza degli atti relativi alle procedure di affidamento.

Ha, ancora, precisato la giurisprudenza amministrativa che, nelle gare disciplinate dal d.lgs. n. 163/2006, la pubblicazione della delibera di aggiudicazione nell'albo pretorio non è idonea a far decorrere il termine di impugnazione se ad essa non si accompagna la comunicazione dell'aggiudicazione definitiva a tutti gli interessati (Cons. St. V, n. 4916/2016).

d ) In tutti gli altri casi il termine decorre dalla conoscenza dell'atto.

Si deve osservare che la disciplina vigente non prevede le forme di comunicazione come esclusive o tassative e non incide sulle regole processuali generali vigenti nel processo amministrativo e relative alla decorrenza dei termini di impugnazione. Pertanto, la piena conoscenza dell'atto può provenire da qualsiasi fonte e determina la decorrenza del termine decadenziale per la proposizione del ricorso.  In questo senso la giurisprudenza ha osservato (Cons. St. III, n. 2925/2017) che nel processo amministrativo il termine per impugnare i provvedimenti adottati nelle procedure di affidamento di contratti pubblici decorre, in base alla regola generale fissata dall'art. 41, comma 2, dalla notificazione, comunicazione, o piena conoscenza dell'atto, e ciò anche in mancanza delle particolari forme di comunicazione di detti provvedimenti ai sensi dell'art. 79, d.lgs. n. 163/2006, perché tale circostanza non impedisce che la conoscenza degli stessi, cui comunque l'art. 120 fa riferimento testuale, sia acquisita con altre forme; in sostanza l'art. 120, comma 5, non prevedendo forme di comunicazione esclusive e tassative, non incide sulle regole processuali generali del processo amministrativo, con riferimento alla possibilità che la piena conoscenza dell'atto, al fine del decorso del termine di impugnazione, sia acquisita conforme diverse da quelle del citato art. 79.

Se la conoscenza dell'atto precede gli altri fatti descritti nella norma è da questa che deve farsi decorrere il termine. Così la concorrente deve impugnare il provvedimento di esclusione emesso nei suoi confronti dal momento in cui la stessa, tramite il suo rappresentante, venga edotta, nella sostanza, delle ragioni della esclusione, indipendentemente da qualsiasi successiva comunicazione formale (Cons. St. IV, n. 3688/2016; Cons. St. V, n. 3451/2016).

Ai fini della decorrenza del termine in questione e, quindi, al fine di integrare il requisito della conoscenza dell'atto, occorre che l'attività conoscitiva abbia carattere pieno e insista sugli elementi essenziali dell'atto (Cons. St. V, n. 1953/2017 Cons. St. III, n. 25/2015). Pertanto, nel caso in cui la conoscenza o la comunicazione risulti incompleta, il termine decorre dalla cognizione acquisita in sede di accesso degli elementi oggetto della comunicazione previsti dall' art. 79 del d.lgs. n. 163/2006 (Cons. St. V, n. 408/2016; T.A.R. Sardegna, n. 508/2016).

Il termine di impugnazione decorre, quindi, dalla ricezione della comunicazione solo se questa è accompagnata dal provvedimento lesivo e dalla sua motivazione (Cons. St., n. 5681/2012), mentre, nel caso in cui la comunicazione difetti della documentazione necessaria e prevista dall' art. 79 del d.lgs. n. 163/2006, decorre dallo spirare del termine di dieci giorni concesso agli aventi diritto al fine di procedere all'esame degli atti della procedura di aggiudicazione per verificare la concreta sussistenza dell'interesse a ricorrere (T.A.R. Sicilia (Catania), n. 2654/2012).

La giurisprudenza ha effettivamente ritenuto che il termine di 30 giorni per impugnare debba ritenersi maggiorato dei 10 giorni per l'esercizio dell'eventuale accesso, in base al d.lgs. n. 163/2006 (cfr. Cons . St., n. 1143/2016) ovvero di 15 giorni, in base al d.lgs. n. 50/2016 (Cons . St. V, n. 6251/2019   Cons. St., Ad. plen., n. 12/2020 ). Più in particolare, il termine in questione non decorre necessariamente dalla comunicazione, ma può essere incrementato di un numero di giorni pari a quello necessario affinché il soggetto che si ritenga leso dall'aggiudicazione possa avere conoscenza del contenuto dell'atto e dei suoi profili di illegittimità, se questi non siano obiettivamente evincibili dalla richiamata comunicazione, e, comunque, entro il limite di dieci giorni previsto per esercitare la particolare forma di accesso, semplificata ed accelerata, prevista per le procedure di affidamento dei contratti pubblici (T.A.R. Lazio (Roma), n. 4760/2016; T.A.R. Lombardia (Milano), n. 52/2016). Inoltre, le disposizioni del d.lgs. n. 50/2016 non precisano più, a differenza di quanto previsto nel d.lgs. n. 163/2006, che la comunicazione in favore delle altre imprese concorrenti è accompagnata dal provvedimento e dalla relativa motivazione, dovendosi quindi ritenere che la stazione appaltante non sia più obbligata, nella comunicazione d'ufficio dell'avvenuta aggiudicazione, ad esporre le ragioni di preferenza dell'offerta aggiudicata, ovvero in alternativa, ad allegare i verbali della procedura. Ne discende che, qualora la comunicazione non sia sufficiente ad ottenere tali notizie, l'impresa concorrente possa richiedere di accedere agli atti della procedura e il termine per proporre impugnazione, in conformità con l'insegnamento della giurisprudenza europea, deve essere incrementato di un numero di giorni pari a quello necessario affinché il soggetto che si ritenga leso dall'aggiudicazione possa avere piena conoscenza del contenuto dell'atto e dei relativi profili di illegittimità ove questi non siano oggettivamente evincibili dalla comunicazione. La dilazione temporale, che prima era fissata nei dieci giorni previsti per l'accesso informale ai documenti di gara dall'art. 79, comma 5, d.lgs. n. 163/2006, può ora essere fissata nei quindici giorni previsti dal secondo comma dell'art. 76 del d.lgs. n. 50/2016. Nel caso in cui la stazione appaltante tenga comportamenti dilatori che non consentano l'immediata conoscenza degli atti di gara, il termine non inizia a decorrere fino a quando l'interessato abbia cognizione degli atti della procedura (Cons . St. V, n. 6251/2019). Il nuovo Codice ha introdotto una disciplina processuale ancora più celere di quella - già speciale - contenuta nel Libro IV del codice del processo amministrativo, per l'impugnazione delle decisioni di oscuramento di parti delle offerte, su indicazione degli operatori economici, all'art. 36, commi 4 e 7. In particolare, il comma 4 prevede che il ricorso, secondo il rito dell'accesso exart. 116 c.p.a., debba essere depositato e notificato entro solo dieci giorni dalla comunicazione digitale dell'aggiudicazione, mentre il comma 7 stabilisce che il ricorso è, poi, fissato d'ufficio in udienza in camera di consiglio «nel rispetto di termini pari alla metà di quelli di cui all'articolo 55 del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 ed è deciso alla medesima udienza con sentenza in forma semplificata, da pubblicarsi entro cinque giorni dall'udienza di discussione, e la cui motivazione può consistere anche in un mero richiamo delle argomentazioni contenute negli scritti delle parti che il giudice ha inteso accogliere e fare proprie». Ne discende che sulla domanda di accesso il collegio si pronuncerà nella prima udienza in camera di consiglio, fissata d'ufficio, successiva al decimo giorno dal perfezionamento, anche per il destinatario, dell'ultima notificazione e, altresì, al quinto giorno dal deposito del ricorso. Il comma 8 chiarisce che il rito e i termini di cui sopra si applicano anche nei giudizi di impugnazione. L'art. 36 fissa, al comma 9, anche il termine di decorrenza per l'impugnazione dell'aggiudicazione e dell'ammissione e valutazione delle offerte diverse da quella aggiudicataria, individuandolo nella comunicazione di cui all'art. 90. Tale comunicazione – che va data d'ufficio entro cinque giorni dall'adozione dei seguenti atti - contiene: a) la motivata decisione di non aggiudicare un appalto ovvero di non concludere un accordo quadro, o di riavviare la procedura o di non attuare un sistema dinamico di acquisizione, corredata di relativi motivi, a tutti i candidati o offerenti; b) l'aggiudicazione all'aggiudicatario; c) l'aggiudicazione e il nome dell'offerente cui è stato aggiudicato l'appalto o parti dell'accordo quadro a tutti i candidati e concorrenti che hanno presentato un'offerta ammessa in gara, a coloro la cui candidatura o offerta non siano state definitivamente escluse, nonché a coloro che hanno impugnato il bando o la lettera di invito, se tali impugnazioni non siano state già respinte con pronuncia giurisdizionale definitiva; d) l'esclusione ai candidati e agli offerenti esclusi, ivi compresi i motivi di esclusione o della decisione di non equivalenza o conformità dell'offerta; e) la data di avvenuta stipulazione del contratto con l'aggiudicatario ai soggetti di cui alla lettera c). Con tale chiarimento normativo il legislatore ha superato la questione interpretativa affrontata dalla giurisprudenza amministrativa in ordine al  dies  a quo del termine per l'impugnazione dell'atto di aggiudicazione in conseguenza in primo luogo al mantenimento nell'art. 120, comma 5, del c.p.a . del richiamo all'art. 79 del ‘primo codice' ormai abrogato, e in secondo luogo alla diversità di disciplina in materia di accesso, informazioni e pubblicità degli atti, contenuta nei due codici dei contratti pubblici susseguitisi nel tempo. L'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, nella sentenza Cons. Stato n. 12/2020, aveva risolto la questione nel senso che, per determinare il  dies  a quo per l'impugnazione, doveva essere riaffermata la perdurante rilevanza della “data oggettivamente riscontrabile”, cui ancora si riferisce il comma 5 dell'art. 120 c.p.a ., ossia del rispetto delle disposizioni sulle formalità inerenti alla “informazione” e alla “pubblicazione” degli atti, nonché dalle iniziative dell'impresa che effettui l'accesso informale con una “richiesta scritta”, per la quale sussisteva il termine di quindici giorni previsto dall'art. 76, comma 2, del ‘secondo codice', applicabile per identità di ratio anche all'accesso informale.

A questo proposito, relativamente alle procedure di affidamento dei lavori, è sorta questione per l'ipotesi in cui le determinazioni della stazione appaltante siano assunte in seduta pubblica, alla quale partecipino i rappresentanti delle imprese. Ci si è chiesti, in particolare, se tale presenza comporti l'acquisizione della conoscenza del provvedimento da parte delle imprese rappresentate e, quindi, il decorso del termine di proposizione della relativa impugnazione. Si è in giurisprudenza risposto affermativamente, talora, peraltro, richiedendosi la sussistenza di una legittimazione formale dell'intervenuto alla seduta attraverso un apposito mandato o in virtù della titolarità di idonea carica societaria, talora, invece, pure in riferimento alle ipotesi in cui egli non sia munito di procura ad hoc, ma risulti comunque investito, anche oralmente, del potere di rappresentare l'impresa sulla base di un qualsivoglia rapporto di lavoro subordinato, o di lavoro autonomo o di mandato o simili (Cons. St. IV, n. 3688/2016; Cons. St. V, n. 1186/2016; Cons. St. V, n. 6284/2013;  T.A.R. Lazio (Roma), n. 5599/2018, secondo cui la conoscenza avuta dal rappresentante alla seduta di gara è riferibile alla società concorrente e comporta, pertanto, il decorso del termine per l'impugnazione dell'atto lesivo della sfera giuridica del partecipante solo qualora il soggetto presente rivesta una specifica carica sociale che gli attribuisce la legale rappresentanza della società ovvero qualora sia munito di procura rilasciata allo scopo di fargli assumere la rappresentanza della società). Nella gara pubblica, se l'impresa partecipante assiste, tramite rappresentante, alla seduta in cui vengono adottate determinazioni in ordine all'esclusione della sua offerta, è in tale seduta che l'impresa acquisisce la piena conoscenza del provvedimento ed è dalla data della stessa seduta che decorre il termine per impugnare il medesimo provvedimento; invece, la mera presenza di un rappresentante della ditta partecipante alla gara di appalto in quella seduta non comporta ex se la piena conoscenza dell'atto di esclusione ai fini della decorrenza del termine per l'impugnazione qualora il rappresentante stesso non sia munito di apposito mandato o non rivesta una specifica carica sociale, ossia non ricorrano i casi in cui la conoscenza avuta dal medesimo sia riferibile alla società concorrente (Cons. St. III, n. 3026/2016).

La giurisprudenza ha ritenuto, invece, che non si possa desumere la c.d. piena conoscenza dell'avvenuta aggiudicazione da un elemento indiziario, quale l'interruzione del rapporto di lavoro con gli autisti e la dismissione degli automezzi, cui la ricorrente, nella sua veste di gestore uscente, era stata costretta. Per aversi piena conoscenza, necessaria al fine della individuazione del dies a quo di decorrenza del termine di impugnazione del provvedimento, è necessario che l'interessato sia in grado di percepire i profili di lesività per la propria sfera giuridica dell'atto amministrativo e, quindi, nel caso di aggiudicazione, che abbia acquisito piena contezza del nominativo dell'aggiudicatario e del carattere definitivo dell'aggiudicazione, mentre, nel caso di specie, gli elementi indiziari descritti possono dimostrare la chiusura del precedente contratto di appalto, ma non l'acquisita conoscenza dell'esistenza di una nuova aggiudicazione (Cons . St. V, n. 6251/2019).

La quinta sezione del Consiglio di Stato (Cons. St. V, n. 2215/2020ha rimesso all'Adunanza plenaria cinque quesiti interpretativi diretti a chiarire la disciplina della decorrenza dei termini per l 'impugnazione dell'aggiudicazione e degli atti di gara . In particolare, sono state rimesse al vaglio della Plenaria le seguenti questioni:  se il termine per l'impugnazione dell'aggiudicazione possa decorrere dalla pubblicazione generalizzata degli atti di gara; se le informazioni previste dall'art. 76 del d.lgs. 19 aprile 2016, n. 50, nella parte in cui consentono di avere ulteriori elementi per apprezzare i vizi già individuati o per accertarne altri, consentano la sola proposizione dei motivi aggiunti, salva la patologica ipotesi della omessa o incompleta pubblicazione prevista dall'art. 29 del d.lgs. n. 50 del 2016; se la proposizione dell'istanza di accesso agli atti di gara non sia idonea a far slittare il termine per l'impugnazione del provvedimento di aggiudicazione e legittimi solo la proposizione di motivi aggiunti ovvero se essa comporti la dilazione temporale, almeno con riferimento alle ipotesi in cui le ragioni di doglianza siano tratte dalla conoscenza dei documenti che completano l'offerta dell'aggiudicatario ovvero delle giustificazioni da questi rese nell'ambito del procedimento di verifica dell'anomalia dell'offerta; se la previsione dell'art. 120, comma 5, c.p.a., che fa decorrere il termine per l'impugnazione degli atti di gara dalla comunicazione individuale o dalla conoscenza comunque acquisita del provvedimento, debba intendersi nel senso che essa indica due modi di conoscenza e due momenti di decorrenza equivalenti ed equipollenti tra di loro, senza che la comunicazione principale possa ritenersi modalità principale e prevalente e la conoscenza aliunde modalità secondaria o subordinata e meramente complementare; se, in ogni caso, la pubblicazione degli atti di gara, ai sensi dell'art. 29 del d.lgs. n. 50 del 2016, debba considerarsi rientrante tra le modalità di conoscenza aliunde; se le forme di comunicazione e pubblicità individuate nella lex specialis di gara e accettate dagli operatori economici ai fini della partecipazione alla procedura di gara siano idonee a far decorrere il termine per l'impugnazione del provvedimento di aggiudicazione.

In risposta ai quesiti formulati dalla quinta sezione, l'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato (Cons St. Ad. plen., n. 12/2020), intervenendo quindi sul tema del dies a quo per la impugnazione di atti di procedure di gara sottoposte al c.d. rito appalti, ha evidenziato che due sono i principi che entrano in conflitto per la risoluzione di una siffatta problematica: i principi di speditezza e celerità delle procedure di evidenza pubblica; i principi di effettività e pienezza della tutela giurisdizionale. L'Adunanza plenaria manifesta di privilegiare le tesi sostanzialista in base alla quale per impugnare un atto bisogna prima conoscerne il contenuto minimo. Sulla base di tali considerazioni, il collegio afferma i seguenti cinque principi di diritto: il termine per l'impugnazione dell'aggiudicazione decorre dalla pubblicazione generalizzata degli atti di gara, tra cui devono comprendersi anche i verbali di gara, ivi comprese le operazioni tutte e le valutazioni operate dalle commissioni di gara delle offerte presentate, in coerenza con la previsione contenuta nell'art. 29 del d.lgs. n. 50 del 2016; le informazioni previste, d'ufficio o a richiesta, dall'art. 76 del d.lgs. n. 50 del 2016, nella parte in cui consentono di avere ulteriori elementi per apprezzare i vizi già individuati ovvero per accertarne altri, consentono la proposizione non solo dei motivi aggiunti, ma anche di un ricorso principale; la proposizione dell'istanza di accesso agli atti di gara comporta la  dilazione temporale quando i motivi di ricorso conseguano alla conoscenza dei documenti che completano l'offerta dell'aggiudicatario ovvero delle giustificazioni rese nell'ambito del procedimento di verifica dell'anomalia dell'offerta; la pubblicazione degli atti di gara, con i relativi eventuali allegati, exart. 29 del decreto legislativo n. 50 del 2016, è idonea a far decorrere il termine di impugnazione; sono idonee a far decorrere il termine per l'impugnazione dell'atto di aggiudicazione le forme di comunicazione e di pubblicità individuate nel bando di gara ed accettate dai partecipanti alla gara, purché gli atti siano comunicati o pubblicati unitamente ai relativi allegati.

Il collegio evidenzia che l'art. 120, comma 5, rinvia ancora all'art. 79 d.lgs. n. 163 del 2006. Con il codice del 2016, da un lato, è stato abrogato il codice del 2006, ivi incluso l'art. 79, dall'altro, sono state introdotte disposizioni in materia di accesso, di informazioni e di pubblicazione degli atti, di contenuto ben diverso (artt. 29 e 76) rispetto a quelle previgenti. Sono dunque sorte le questioni interpretative, conseguenti in primo luogo al mantenimento nell'art. 120, comma 5, del c.p.a. del richiamo all'art. 79 del ‘primo codice' ormai abrogato, e in secondo luogo alla diversità di disciplina in materia di accesso, informazioni e pubblicità degli atti, contenuta nei due codici dei contratti pubblici susseguitisi nel tempo. Secondo il collegio, in mancanza del coordinamento della disciplina del c.p.a. con quella del codice dei contratti pubblici, il riferimento alle formalità previste dall'art. 79 del primo codice deve intendersi ora effettuato alle formalità previste dall'art. 76 del secondo codice. L'art. 76, tuttavia, non contiene specifiche regole sull'accesso informale, in precedenza consentito per le procedure di gara dall'art. 79, comma 5 quater, del primo codice. Rilevano quindi le disposizioni generali sull'accesso informale previste dall'art. 5 del regolamento approvato con il d.P.R. n. 184 del 2006, applicabili agli atti delle procedure di gara in seguito alla abrogazione delle disposizioni speciali, previste dall'art. 79, comma 5 quater, del codice del 2006. Pertanto, l'amministrazione deve consentire all'impresa interessata di accedere agli atti e, in presenza di suoi comportamenti dilatori o di rifiuto all'accesso, il termine per l'impugnazione degli atti comincia a decorrere solo da quando l'interessato li abbia conosciuti.

Con riferimento al termine per la proposizione dei motivi aggiunti si veda anche infra § 7.2

La norma non spiega poi effetti riguardo alla sospensione feriale dei termini regolata dalla l. 7 ottobre 1969, n. 742 (Cons. St. V, n. 6454/2001). È da sottolineare che la legge non fissa di per sé termini, ma stabilisce la regola sostanziale di esclusione della loro maturazione nel periodo considerato (1° agosto — 15 settembre di ogni anno, ma a decorrere dal 2015, per effetto del d.l. n. 132/2014, convertito in l. n. 162/2014 dal 1° agosto al 31 agosto) e non può pertanto, per il suo stesso oggetto, considerarsi rientrare nella sfera di operatività della riduzione in questione (Cons. St. IV, n. 4851/2009).

 

Termini di impugnazione e accesso agli atti

Con specifico riferimento al rapporto tra accesso agli atti di gara e termine di impugnazione, la giurisprudenza amministrativa ha ritenuto che quanto affermato dall'Adunanza plenaria non comporta necessariamente che dal complessivo termine di 30 giorni + 15 giorni ivi individuato (giusta la dilazione del termine in caso di accesso ex art. 76, comma 2, d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50) debbano sottrarsi i giorni impiegati dall'impresa per formulare l'istanza di accesso. Tale tesi non pare del tutto compatibile con il principio dell'effettività della tutela giurisdizionale riconosciuto dal diritto nazionale (arti. 24 Cost.) ed europeo in materia di ricorsi relativi agli appalti pubblici, finendo col porre a carico del concorrente l'onere di proporre l'accesso non solo tempestivamente, come certo l'ordinaria diligenza, prima ancora che l'art. 120, comma 5, c.p.a., gli impone di fare, ma addirittura immediatamente, senza lasciargli nemmeno un minimo ragionevole spatium deliberandi per valutare la necessità o, comunque, l'opportunità dell'accesso al fine di impugnare. Il collegio ritiene che debba essere permesso alla concorrente per poter chiedere l'accesso un congruo termine, eguale a quello assegnato all'amministrazione per consentirlo («immediatamente e comunque entro quindici giorni»: art. 76, comma 2, del d. lgs. n. 50 del 2016), senza sottrarre questi pochi giorni (nel caso di specie appena sei), invero già esigui perché contraddistinti da rigide preclusioni decadenziali ispirate in questa materia ad una evidente ratio acceleratoria, dai 45 giorni indicati dall'Adunanza plenaria, in modo da non superare così nel rispetto della stessa ratio acceleratoria, complessivamente e a tutto concedere anche nell'ipotesi di richiesto (e ottenuto) accesso, il termine ordinario massimo di 30 giorni per impugnare gli atti di gara (Cons. St., III, n. 1792/2022; ma diversamente Cons. St. V, n. 3127/2021).

In senso sostanzialmente conforme la giurisprudenza ha ritenuto che in materia di appalti pubblici, ex d.lgs. n. 50 del 2016, la comunicazione o la pubblicazione dell'aggiudicazione fa decorrere il termine per l'impugnativa, non essendo necessaria una perfetta conoscenza degli atti di gara in quanto il ricorso può essere integrato con la proposizione di motivi aggiunti. Il termine è prorogato di 15 giorni in presenza di un'istanza di accesso agli atti, ma non è modulabile oltre, a meno che non si alleghi che l'amministrazione si è illegittimamente opposta all'accesso ovvero abbia avuto un comportamento ostruzionistico che deve essere valutato in concreto e nel contraddittorio tra le parti (Cons. St. IV, n. 391/2025). L'esigenza dell'ordinamento è infatti quella di tenere fermi i termini per proporre ricorso e di renderli il meno possibile aleatori e sottoposti alle istanze di accesso dei concorrenti non aggiudicatari. Peraltro, anche applicando il criterio ricavabile dalla sentenza della Corte costituzionale 28 ottobre 2021, n. 204 (in Foro it., 2022, I, 882), per cui deve essere garantito l'intero termine di 30 giorni previsto dall'art. 120 c.p.a., decorrente dalla conoscenza delle illegittimità o da quando l'interessato avrebbe potuto prenderne conoscenza, usando l'ordinaria diligenza, va considerato nel computo del termine anche il periodo necessario per proporre l'istanza di accesso onde evitare che possa esservi un ampliamento del termine decadenziale a discrezione dell'interessato stesso, mediante il differimento della presentazione di un'istanza di accesso documentale.

Il nuovo codice dei contratti pubblici è intervenuto espressamente sul rapporto tra accesso agli atti e impugnazione dell'aggiudicazione, precisandosi che il dies a quo del termine di 30 giorni per l'impugnazione degli atti di gara, coincide con quello in cui l'interessato acquisisce o è messo in grado di acquisire piena conoscenza degli atti che lo ledono e, pertanto, tale termine non può iniziare a decorrere se non dalla ostensione della documentazione oggetto dell'istanza di accesso. Ha sul punto precisato la giurisprudenza amministrativa che tale normativa persegue l'obiettivo di evitare i c.d. ricorsi “al buio” e si pone in linea con l'orientamento espresso in materia dalla Corte di giustizia dell'Unione europea secondo cui, ai fini della decorrenza del termine di impugnazione, viene in rilievo non la mera percezione della intervenuta adozione del provvedimento e della sua portata lesiva per gli interessi del ricorrente, ma anche la conoscenza delle ragioni della sua eventuale illegittimità, da sottoporre all'attenzione del giudice con la relativa richiesta di caducazione (Cons. St. V, n. 8352/2024).

Nel dettaglio, l'art. 36 d.lgs. n. 36 del 2023  detta la disciplina procedimentale e processuale concernente l'accesso agli atti di gara applicabile alla fattispecie, introducendo elementi innovativi rispetto alla disciplina dell'art. 53 del d.lgs. 50/2016 in termini di semplificazione, economicità e celerità dell'azione amministrativa. Quanto al procedimento, la conoscenza dei dati e delle informazioni avviene sotto forma di disponibilità degli stessi all'interno della piattaforma digitale di approvvigionamento utilizzata per lo svolgimento della procedura, consentendo un accesso diretto da parte degli operatori legittimati. Con riguardo al profilo processuale, la previsione di un rito speciale super accelerato è finalizzata ad evitare la presentazione di ricorsi c.d. “al buio”, consentendo in tal modo all'operatore economico di esercitare il diritto di azione a seguito della conoscenza delle informazioni necessarie alla tutela giurisdizionale (sul punto si veda T.A.R. Lazio n. 2050/2024).

L' Amministrazione deve rendere disponibile tramite la piattaforma l'offerta dell'operatore economico risultato aggiudicatario, dei verbali di gara e degli atti, dei dati e delle informazioni presupposti all'aggiudicazione a tutti i candidati e offerenti non definitivamente esclusi contestualmente alla comunicazione digitale dell'aggiudicazione ai sensi dell'articolo 90”. Viene poi stabilita una disciplina differenziata con riferimento agli operatori economici collocatisi nei primi cinque posti in graduatoria, ai quali sono resi reciprocamente disponibili gli atti di cui al comma 1 e le offerte dagli stessi presentate. Gli operatori economici hanno l'onere di formulare all'Amministrazione richieste di oscuramento di parti delle offerte contenenti “secondo motivata e comprovata dichiarazione dell'offerente, segreti tecnici o commerciali”, intendendo per parti delle offerte di cui all'art. 36, comma 3, le “informazioni fornite nell'ambito dell'offerta o a giustificazione della medesima” di cui all'art. 35, comma 4, lettera a). Tale onere si ricava dal tenore letterale del citato comma 3 dell'art. 36, ove le richieste di oscuramento di parti delle offerte sono “indicate dagli operatori ai sensi dell'articolo 35, comma 4, lettera a)”. Delle decisioni assunte su di esse deve dare atto l'Amministrazione nella comunicazione dell'aggiudicazione. La previsione dell'onere in argomento rimette all'iniziativa del controinteressato la manifestazione di esigenze di riservatezza che “possono” condurre all'esclusione del “diritto di accesso e di ogni forma di divulgazione”, collocando l'interlocuzione con il controinteressato nel segmento procedimentale che precede la comunicazione di aggiudicazione. La struttura del procedimento - rectius del subprocedimento interno alla procedura di affidamento - si discosta quindi da quella dell'accesso semplice e dell'accesso civico generalizzato, ove all'istanza dell'interessato fa seguito la comunicazione officiosa al controinteressato stabilita, rispettivamente, dall'art. 3 del D.P.R. 184/2006 e dall'art. 5, comma 5, del d.lgs. 33/2013. La decisione dell'Amministrazione sul contenuto ostensibile dei documenti può essere impugnata con ricorso ai sensi dell'art. 116 del c.p.a., sottoposto al termine di notifica e di costituzione di dieci giorni nonché a termini dimezzati per la fissazione della camera di consiglio. Qualora la decisione dell'Amministrazione, rigettando le richieste di oscuramento, stabilisca un'ostensione completa, il predetto termine di dieci giorni svolge una funzione dilatoria che segue una logica analoga a quella già prevista dall'art. 5, comma 6, terzo periodo, del d.lgs. 33/2013, in quanto non è possibile rendere disponibili i documenti prima che sia interamente decorso. Nella diversa ipotesi in cui le richieste di oscuramento siano state accolte, anche implicitamente, sorge allora l'interesse di altro operatore economico all'impugnazione, la quale non deve essere preceduta da alcuna istanza, diventando il ricorso la sede naturale per manifestare le esigenze di carattere difensivo correlate alla completa ostensione dei documenti.

Notifica alla stazione appaltante

Se la stazione appaltante è un'amministrazione dello stato, il ricorso proposto avverso l'aggiudicazione definitiva deve essere notificato non solo al domicilio legale previsto dall'art. 41, comma 3, e, quindi, presso la sede dell'Avvocatura di stato, ma anche al domicilio reale della stazione appaltante, in data non anteriore alla notifica presso l'Avvocatura.

La notifica presso la sede reale dell'amministrazione ha il solo scopo di rendere possibile l'operatività della sospensione obbligatoria del termine per la stipulazione del contratto, cosiddetto standstill sostanziale, disciplinato dall' art. 11, comma 10, del d.lgs. n. 163/2006 e riprodotto dall' art. 32, comma 9, del d.lgs. n. 50/2016, e standstill processuale, disciplinato dall' art. 11, comma 10, del d.lgs. n. 163/2006, ripreso dall' art. 32, comma 11, del d.lgs. n. 50/2016. Questa speciale regola si applica solo quando è impugnata l'aggiudicazione e non anche quando sono impugnati precedenti atti di gara o susseguenti provvedimenti della stazione appaltante, atteso che solo all'impugnazione dell'aggiudicazione si riconnette l'effetto sospensivo ex lege.

Ne discende che la relativa omissione non determina l'inammissibilità del ricorso.

Per quanto riguarda l’individuazione dei resistenti si rinvia al commento sub art. 41 c.p.a. Tuttavia, si precisa che l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato (Cons. St., Ad. plen. n. 8/2018) ha affermato il principio di diritto per cui ai sensi dell’art. 41, comma 2, in caso di impugnazione degli atti di una gara di appalto svolta in forma aggregata da un soggetto per conto e nell’interesse anche di altri enti, il ricorso deve essere notificato alla sola amministrazione che ha emesso l’atto impugnato.

Termini per l'introduzione del giudizio e per la proposizione di ricorso incidentale e per motivi aggiunti

Anche i motivi aggiunti devono essere proposti entro trenta giorni, tanto nei casi in cui siano con essi impugnati provvedimenti ulteriori e diversi rispetto a quelli oggetto dell'atto introduttivo del giudizio, tanto nelle ipotesi di nuovi motivi di censura proposti avverso atti già impugnati. Tale previsione si differenzia da quanto prevedeva l' art. 245 del d.lgs. n. 163/2006, anteriormente alla modificata operata con il d.lgs. n. 53/2010, che fissava in trenta giorni il termine per proporre motivi aggiunti verso nuovi atti e in quindici giorni il termine per proporre motivi aggiunti avverso provvedimenti già impugnati con l'atto introduttivo del giudizio.

Con il d.lgs. n. 195/2011, anche il termine per proporre ricorso incidentale è diventato di trenta giorni. Prima di tale intervento legislativo, in mancanza di diverse previsioni, doveva farsi riferimento al termine di sessanta giorni previsto dall'art. 119, comma 2, decorrente dalla notificazione del ricorso principale.

Prima dell'intervento del legislatore la giurisprudenza era divisa. Secondo un primo orientamento il termine era di sessanta giorni, essendo la dimidiazione di cui all'art. 120, comma 5, prevista solo per il ricorso principale e i motivi aggiunti (T.A.R. Lazio (Roma), n. 197/2012; T.A.R. Puglia (Lecce), n. 113/2011). In base a un diverso orientamento (T.A.R. Piemonte, n. 785/2011) il termine per proporre ricorso era di trenta giorni, in quanto il legislatore utilizzava l'enunciato linguistico «ricorso», senza distinguere tra principale e incidentale.

Il termine per il deposito dell'atto introduttivo del giudizio, dei motivi aggiunti e del ricorso incidentale è di quindici giorni. A tale conclusione deve pervenirsi dall'esame del terzo comma dell'art. 120, il quale prevede, salvo quanto previsto dalla medesima disposizione, l'applicabilità dell'art. 119, che stabilisce che tutti i termini processuali sono dimezzati.

In virtù del principio di dimidiazione di cui all'art. 119, comma 2, il termine per il deposito del ricorso principale, di quello incidentale e dei motivi aggiunti è di quindici giorni dal perfezionamento dell'ultima notifica anche per il suo destinatario (art. 45, comma 1). In ordine a tale termine va ricordato che a seguito dell'intervento della Corte costituzionale (Corte cost., n. 477/2002), le cui statuizioni sono state successivamente recepite in via legislativa dall' art. 2, comma 1, lett. e), della l. 28 dicembre 2005, n. 263 (che ha aggiunto un terzo comma all' art. 149 c.p.c.), è stato introdotto nell'ordinamento il principio della scissione soggettiva degli effetti della notificazione. Pertanto, per il notificante essa si intende perfezionata al momento della consegna del plico all'ufficiale giudiziario, mentre per il destinatario il perfezionamento si determina solo al prodursi della legale conoscenza dell'atto. In questa situazione, secondo costante giurisprudenza, il termine per il deposito del ricorso decorre dalla data di consegna del plico al destinatario o da atto ex lege equipollente (come, ad es., nella notificazione effettuata ai sensi dell' art. 140 c.p.c.), quale momento in cui il procedimento di notifica si perfeziona complessivamente. È fatta salva la facoltà della parte di effettuare il deposito dell'atto, anche se non ancora pervenuto al destinatario, sin dal momento in cui la notificazione si perfeziona per il notificante, ma le domande introdotte con l'atto stesso non possono essere esaminate fin quando non venga fornita la prova di tale avvenuto perfezionamento (art. 45, commi 2 e 3).

Con riferimento alla decorrenza del termine di trenta giorni per la proposizione di motivi aggiunti  la giurisprudenza amministrativa  (T.A.R. Puglia (Lecce), n. 297/2020) ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell 'art. 120, comma 5, nella parte in cui fa decorrere, per il rito appalti, il termine di trenta giorni per la proposizione dei motivi aggiunti dalla ricezione della comunicazione dell'aggiudicazione di cui all 'art. 79 del d.lgs. n. 163/2006,   per contrasto con il diritto di difesa e con il principio di effettività della tutela giurisdizionale di cui all'art. 24 Cost . , in quanto, equiparando il termine per la proposizione dei motivi aggiunti a quello per la proposizione del ricorso, impedisce di fatto la tutela giurisdizionale della parte ricorrente avverso i vizi di legittimità del provvedimento di aggiudicazione rivelati dagli atti e dai documenti successivamente conosciuti .   In particolare,  ai sensi dell'art. 120, comma 5, “per l'impugnazione degli atti di cui al presente articolo il ricorso, principale o incidentale, e i motivi aggiunti, anche avverso atti diversi da quelli già impugnati, devono essere proposti nel termine di trenta giorni, decorrente, per il ricorso principale e per i motivi aggiunti, dalla ricezione della comunicazione di cui all'articolo 79 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163”.  I  motivi aggiunti rappresentano lo strumento processuale atto a contestare la legittimità di atti o vizi ulteriori, non conosciuti al momento della proposizione del ricorso e la cui successiva conoscenza è spesso riconducibile all'esercizio del diritto di accesso. Il  citato art. 120, comma 5, c.p.a., nella parte in cui fa decorrere il termine di trenta giorni dalla comunicazione dell'aggiudicazione di cui all'art. 79 d.lgs. n. 163 del 2006 anche per la proposizione di motivi aggiunti, si pone in contrasto con il diritto di difesa di cui all'art. 24 Cost. che, inteso nella sua piena effettività, impone di collegare la decorrenza del termine di decadenza per adire il giudice alla concreta possibilità di esercitare consapevolmente il diritto di azione e, nel caso in esame, alla data in cui il ricorrente è venuto a conoscenza o avrebbe dovuto essere a conoscenza degli atti e dei vizi ulteriori, non conosciuti al momento della proposizione del ricorso. La disposizione, a giudizio del collegio, non può essere interpretata in senso costituzionalmente conforme, essendo univoco il significato delle forme espressive utilizzate dal legislatore.

La questione è stata ritenuta infondata dalla Corte costituzionale (n. 204/2021 ) secondo cui il termine per la proposizione dei motivi aggiunti, nel rito speciale sugli appalti, deve ritenersi decorrente non già dal momento della comunicazione di aggiudicazione, ma dal momento dell'effettiva conoscenza degli atti resi disponibili dall'amministrazione a seguito di accesso amministrativo . Il testo dell'art. 120, comma 5, è compatibile con un'interpretazione secondo la quale il dies  a quo per proporre il ricorso principale ed i motivi aggiunti decorre dalla comunicazione dell'aggiudicazione fermo il meccanismo di dilazione temporale per denunciare i vizi che emergano a seguito dell'accesso agli atti di gara. L'interpretazione così accolta non è, del resto, in contrasto con l'art. 24 Cost. in quanto sarebbe contrario alle garanzie proprie del diritto di difesa un assetto che imponga alla parte lesa dal provvedimento di aggiudicazione di proporre un ricorso recante motivi aggiunti prima che essa sia stata posta nelle condizioni di percepire il vizio che si intende denunciare, o comunque quando non le sia stato assicurato, a tal fine, l'intero termine di trenta giorni previsto dalla legge, e non le possa essere mosso alcun addebito di colpevole inerzia, o comunque di negligenza.  Pertanto, prevedere che maturi il termine di decadenza per proporre i motivi aggiunti nonostante il vizio non fosse conoscibile mediante l'impiego dell'ordinaria diligenza, comporterebbe una arbitraria e irragionevole compressione del diritto di agire. Peraltro, una simile previsione sarebbe in contrasto con il diritto dell'Unione europea in materia di affidamenti pubblici, il quale “esige che il termine per proporre ricorso decorra dalla data in cui il ricorrente è venuto a conoscenza o avrebbe dovuto essere a conoscenza della illegittimità che intende denunciare”, con una regola che, in tale settore, non può che concernere sia il ricorso principale, sia la proposizione di motivi aggiunti. In definitiva “sono compatibili con l'art. 24 Cost., oltre che con il diritto dell'Unione europea, ove applicabile, quelle sole interpretazioni del quadro normativo per effetto delle quali la parte ricorrente disponga di un termine non inferiore a trenta giorni per agire in giudizio, e comunque per proporre motivi aggiunti, tenuto conto della data in cui essa ha preso conoscenza, o avrebbe potuto prendere conoscenza usando l'ordinaria diligenza, dei profili di illegittimità oggetto dell'impugnativa. Si tratta, infatti, del termine discrezionalmente scelto dal legislatore per la proposizione sia del ricorso principale, sia dei motivi aggiunti, per i quali ultimi non è stabilita normativamente alcuna dimidiazione di esso”.

Motivi aggiunti

Tutti gli atti della stessa procedura devono essere impugnati con ricorso per motivi aggiunti senza pagamento del contributo unificato. Sembra, tuttavia, doversi ritenere che la previsione non sia imposta a pena di inammissibilità con la conseguenza che nell'ipotesi in cui sia proposto un nuovo ricorso, il giudice possa riunirli ai sensi dell'art. 70.

Secondo la giurisprudenza che appare prevalente, la violazione della citata previsione, che ha lo scopo di consentire la trattazione in un unico contesto processuale delle diverse questioni che una stessa parte intende far valere avverso diversi atti della stessa procedura di gara non determina l'inammissibilità del nuovo ricorso eventualmente proposto in modo autonomo e regolarmente notificato alle controparti, non essendo stata prevista l'automatica applicazione della sanzione dell'inammissibilità del nuovo ricorso (Cons. St. III, n. 3597/2012). Secondo un diverso orientamento, però l'utilizzo di uno strumento processuale diverso da quello prescritto determina di regola l'inammissibilità del ricorso, con il temperamento del principio di conservazione, in base al quale il ricorso autonomo potrà essere convertito d'ufficio in motivi aggiunti se ne ricorrono i presupposti di forma e di sostanza e se questo non sia di ostacolo alla celere definizione del ricorso originariamente proposto. Tuttavia, parte della giurisprudenza ha ritenuto che la mancata proposizione del ricorso mediante lo strumento dei motivi aggiunti determina l’inammissibilità del ricorso (T.A.R. Lazio (Roma), n. 9530/2021; T.A.R. Lazio (Roma), n. 613/2021).

La disposizione deve essere interpretata nel senso di riconoscere alla parte ricorrente la facoltà (e non l'obbligo) di proporre autonoma impugnativa avverso il provvedimento di aggiudicazione della gara, ove questo sia sopraggiunto all'introduzione del giudizio non ancora definito, senza in assoluto escludere né la possibilità di un'impugnativa congiunta né la proposizione successiva di motivi aggiunti (T.A.R. Campania (Napoli), n. 434/2017; T.A.R. Abruzzo (L'Aquila), n. 319/2014).

Si tratta di una previsione che è tuttavia applicabile al solo ricorrente principale e non anche al controinteressato o all'amministrazione resistente, giacché, diversamente opinando, non avrebbe senso l'espressione linguistica «aggiunti» utilizzata dal legislatore. In altri termini il lemma in questione presuppone logicamente la preesistenza di un ricorso originario del quale i motivi ampliano il petitum o la causa petendi, ne consegue che il controinteressato non può impugnare gli atti sopravvenuti in corso di causa tramite tale strumento (T.A.R. Campania (Napoli), n. 4909/2013).

Per quanto riguarda il grado di appello (Cons. St. III, n. 1633/2017), l'art. 104, comma 3, ammette i motivi aggiunti al solo fine di dedurre ulteriori vizi degli atti già censurati in primo grado, evenienza nella quale non ci si trova tanto in presenza di una domanda nuova quanto di un'articolazione della domanda già proposta al T.A.R.; i motivi aggiunti non sono invece ammessi nella diversa ipotesi in cui con essi si intendano impugnare nuovi atti sopravvenuti alla sentenza di prime cure. Questo principio si applica anche alle impugnative di atti delle procedure di affidamento di contratti pubblici, ove l'art. 120, comma 7, prevede che i nuovi atti attinenti la medesima procedura di gara devono essere impugnati con ricorso per motivi aggiunti solo con riferimento al primo grado di giudizio, ma non già per il grado di appello, per il cui svolgimento l'art. 120, comma 11, non richiama la regola del comma 7, ciò per l'ovvia ragione che, in virtù del generale principio di cui all'art. 104, comma 3, non è possibile impugnare, con motivi aggiunti, un atto sopravvenuto alla sentenza già gravata né, a fortiori, è possibile impugnare la sentenza di prime cure che si sia pronunciata sulla legittimità dell'atto di gara sopravvenuto alla prima sentenza.

Ricorso cumulativo

L' art. 204, comma 1, lett. i ), del d.lgs. n. 50/2016, ha inserito all'interno dell'art. 120 il comma 11- bis , prevedendo dei limiti alla proponibilità del ricorso cumulativo nel caso del rito appalti. In particolare, il cumulo dei ricorsi in caso di presentazione di offerte per più lotti è possibile solo se vengono dedotti identici motivi di ricorso avverso lo stesso atto. Il presupposto applicativo della disposizione è la presentazione di offerte per più lotti e, quindi, che ai sensi dell' art. 51 del d.lgs. n. 50/2016 sia stata indetta una gara unica suddivisa in lotti e sia stata prevista la possibilità che ciascun concorrente possa presentare offerta per più lotti. Occorre che il concorrente si sia avvalso di questa possibilità e abbia presentato offerta per più lotti e che in giudizio contesti l'aggiudicazione di più lotti ad altri concorrenti. Il presupposto applicativo della disposizione non si realizza qualora il concorrente abbia presentato offerta per un unico lotto, nel qual caso sarà legittimato a impugnare solo l'esito della gara per il lotto per cui ha concorso. Lo scopo della disposizione è quello di rendere più agile l'oggetto del contenzioso impedendo che in un unico giudizio si innestino domande eterogenee riferite a gare sostanzialmente distinte anche se collegate in un unico contesto temporale e oggettivo.

Nel processo amministrativo impugnatorio, la regola generale è che il ricorso abbia ad oggetto un solo provvedimento e che i motivi si correlino strettamente a quest'ultimo, salvo che tra gli atti impugnati esista una connessione procedimentale o funzionale (da accertarsi in modo rigoroso onde evitare la confusione di controversie, con conseguente aggravio dei tempi del processo, o l'abuso dello strumento processuale), tale da giustificare la proposizione di un ricorso cumulativo (cfr. Cons. St. IV, n. 4277/2014; Cons. St. V, n. 398/2014). L'unicità o la pluralità di domande proposte dalle parti, mediante ricorso principale, motivi aggiunti o ricorso incidentale, si determina esclusivamente in funzione della richiesta di annullamento di uno o più provvedimenti ( Cons. St.Ad. plen., n. 5/2015).

Nel caso del rito appalti, la possibilità di un ricorso cumulativo è consentita in ipotesi ancora più circoscritte rispetto al rito ordinario. La norma fa riferimento alla identità di motivi di ricorso avverso lo stesso atto (T.A.R. Lazio (Roma), n. 1337/2021),  ma il carattere cumulativo del ricorso presuppone etimologicamente e processualmente la proposizione del ricorso avverso più atti, ne discende che l'enunciato linguistico citato deve in realtà essere inteso come riferibile alla medesima tipologia di atti.

Ne discende che è inammissibile il motivo di ricorso proposto avverso l'aggiudicazione di più lotti, volto a contestare la validità e la congruenza delle offerte economiche presentate dalle concorrenti in relazione ai singoli lotti oggetto di aggiudicazione, essendo nel rito appalti tale ricorso cumulativo tollerato soltanto nell'ipotesi in cui vi sia articolazione, nel gravame, di censure idonee ad inficiare segmenti procedurali comuni(T.A.R. Trentino-Alto Adige (Bolzano), n. 46/2017; T.A.R. Veneto, n. 1077/2016). L'art. 120, comma 11-bis, ha in realtà recepito l'indirizzo giurisprudenziale consolidatosi anche in precedenza alla stregua del quale è ammesso il gravame di più atti con un unico ricorso solo quando tra essi sia ravvisabile una connessione procedimentale o funzionale (Cons. St. V, n. 1463/2017; Cons. St. V, n. 2543/2016). Nel contenzioso appalti, dunque, il ricorso cumulativo che investa più aggiudicazioni (relative a più lotti, assegnati a diverse imprese concorrenti) è tollerato dall'ordinamento, come eccezione alla regola dei ricorsi separati e distinti, soltanto nell'ipotesi in cui vi sia articolazione, nel gravame, di censure idonee ad inficiare segmenti procedurali comuni (ad esempio il bando, il disciplinare di gara, la composizione della commissione giudicatrice, la determinazione di criteri di valutazione delle offerte tecniche ecc.) alle differenti e successive fasi di scelta delle imprese affidatarie dei diversi lotti e, quindi, a caducare le pertinenti aggiudicazioni. In questa situazione, infatti, si verifica una identità di causa petendi e una articolazione del petitum che, tuttavia, risulta giustificata dalla riferibilità delle diverse domande di annullamento alle medesime ragioni fondanti la pretesa demolitoria, che, a sua volta, ne legittima la trattazione congiunta.

Più in generale, si può osservare (T.A.R. Piemonte n. 146/2017) che nel rito appalti è inammissibile il ricorso cumulativo quando: la gara è unica, ma suddivisa in lotti del tutto indipendenti ed aggiudicabili separatamente; le censure proposte sono dirette ad avversare l'attività del medesimo ente appaltante, ma in relazione a diverse imprese concorrenti; i motivi introdotti sono del tutto eterogenei, risentendo della specificità della posizione delle singole imprese meglio classificate, ciò costituendo fattore ostativo al cumulo, atteso che l'analogia dei motivi di impugnazione integra la condizione per la proposizione del ricorso cumulativo ed anche per la riunione di distinti ricorsi. Secondo la giurisprudenza è quindi inammissibile il ricorso cumulativo proposto avverso l'aggiudicazione di due o più lotti di una stessa gara nel caso in cui, al di fuori della parziale connessione soggettiva, la gara sia unica ma divisa in lotti del tutto indipendenti e aggiudicabili separatamente, le censure proposte siano dirette ad avversare l'attività della stazione appaltante ma in relazione a concorrenti diversi, i motivi introdotti siano diversi (Cons. St. V, n. 52/2017).

Svolgimento del processo

Dopo essere stato introdotto, il processo può seguire due alternativi percorsi.

Nel caso in cui sia proposta domanda cautelare, è attribuita all'autorità giudiziaria la possibilità di definire immediatamente il giudizio con sentenza in forma semplificata nella stessa camera di consiglio fissata per la trattazione dell'istanza cautelare. Il sesto comma dell'art. 120, introduce una clausola di salvezza, descrivendo le modalità di svolgimento del procedimento, lasciando tuttavia ferma la possibilità della definizione immediata del giudizio ove ne ricorrano i presupposti. I presupposti legittimanti una tale modalità di conclusione del procedimento si ricavano dall'art. 119, in forza del rinvio operato dal terzo comma dell'art. 120, il quale, a sua volta, fa salva l'applicazione dell'art. 60. Si tratta della fattispecie processuale introdotta per la prima volta dall' art. 9 della l. n. 205/2000 e richiede (De Nictolis,Il rito processuale) che: siano trascorsi almeno dieci giorni dall'ultima notificazione del ricorso; venga assicurata l'integrità del contraddittorio e la completezza dell'istruttoria; siano sentite le parti costituite sul punto; l'immediata pronuncia sul merito non rechi pregiudizio alle difese delle parti o comunque una delle parti manifesti l'intenzione di proporre motivi aggiunti, ricorso incidentale, regolamento di competenza o di giurisdizione. Si ritiene, inoltre, che il primo percorso possa essere utilizzato solo nel caso in cui sia ravvisabile una situazione di manifesta fondatezza del ricorso, ovvero di manifesta sua irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità o infondatezza (Cianflone, Giovannini). Tale conclusione ermeneutica è desunta dal combinato disposto degli artt. 60 e 74: la prima disposizione prevede che la definizione in via immediata del giudizio debba avvenire a mezzo di sentenza in forma semplificata; la seconda disposizione prevede che la sentenza in forma semplificata può essere pronunciata solo in presenza dei presupposti indicati. Con l’art. 4, comma 4, lett. a), del  d.l. 16 luglio 2020, n. 76, recante “Misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione digitale”, convertito con modificazioni dalla l. 11 settembre 2020, n. 120, il legislatore, al fine di accelerare ulteriormente la durata del rito appalti, ha modificato il citato comma 6 prevedendo che il giudizio, qualora le parti richiedano congiuntamente di limitare la decisione all'esame di un'unica questione, nonche' in ogni altro caso compatibilmente con le esigenze di difesa di tutte le parti in relazione alla complessita' della causa, è di norma definito in esito all’udienza cautelare ai sensi dell’art. 60, ove ne ricorrano i presupposti. Si precisa che la definizione immediata del giudizio opera in deroga all’art. 74, con la conseguenza che lo strumento andrà utilizzato anche nel caso in cui non sia ravvisabile una situazione di manifesta fondatezza del ricorso, ovvero di manifesta sua irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità o infondatezza.

In ogni caso, secondo la giurisprudenza, l'eventuale assenza di tali condizioni (Cons. St. IV, n. 4298/2015) non incide sulla validità della sentenza. La censura con la quale si denuncia la carenza dei presupposti per la definizione del giudizio di primo grado con sentenza in forma semplificata all'esito della camera di consiglio fissata dall'autorità giudiziaria di primo grado per la trattazione dell'incidente cautelare, oltre ad essere inammissibile se le parti, espressamente informate dell'intenzione del collegio giudicante di definire immediatamente nel merito la causa, nulla hanno obiettato, è anche infondata nel merito, atteso che la doglianza si sostanzia in una censura di difetto di motivazione della sentenza impugnata, che non rileva nel giudizio di appello, giacché l'effetto devolutivo di quest'ultimo consente al giudice di appello di provvedere, eventualmente integrando la motivazione mancante (in senso conforme Cons. St. V, n. 4144/2015).

In mancanza di proposizione della domanda cautelare o in assenza dei presupposti per la definizione del giudizio con sentenza immediata, il giudizio prosegue con l'udienza di merito, come previsto dal sesto comma dell'art. 120. L'udienza deve essere fissata in una data compresa entro i quarantacinque giorni dalla scadenza del termine per la costituzione delle parti diverse dal ricorrente. È da sottolineare che la fissazione dell'udienza avviene d'ufficio, con la conseguenza che per tale speciale rito non è richiesta la presentazione della istanza di fissazione dell'udienza, prevista in via generale dall'art. 71. La precedente formulazione dell'art. 120, comma 6, modificata dall' art. 40, comma 1, lett. a), d.l. n. 90/2014, convertito dalla l. n. 114/2014, richiedeva la fissazione dell'udienza in via immediata e con assoluta priorità (Sandulli,Rito speciale in materia di contratti pubblici).

La legge del 2014 ha inoltre previsto che, in caso di esigenze istruttorie o quando è necessario integrare il contraddittorio o assicurare il rispetto dei termini a difesa, la definizione del merito è rinviata ad un'udienza da tenersi non oltre il termine di trenta giorni, fissata con ordinanza collegiale. In ogni caso i termini previsti hanno carattere ordinatorio, perché dalla sua inosservanza non possono derivare conseguenze preclusive dei diritti di tutela giurisdizionale delle parti.

Dell'udienza è dato immediato avviso alle parti a cura della segreteria, a mezzo posta elettronica certificata, almeno trenta giorni liberi prima della data dell'udienza o ventitré giorni liberi qualora l'udienza sia stata fissata a seguito di rinuncia alla definizione autonoma della domanda cautelare. A tali termini seguono quello per deposito dei documenti fino a venti giorni liberi prima dell'udienza, delle memorie fino a quindici giorni liberi prima nonché delle repliche fino a dieci giorni liberi prima (derivanti dalla dimidiazione, stabilita dall'art. 119, comma 2, dei termini ordinari di cui all'art. 73).

La decisione della controversia avviene in ogni caso con sentenza in forma semplificata.

Il d.lgs. n. 36/2023 ha previsto che in tutti gli atti di parte e in tutti i provvedimenti del giudice è indicato il codice identificativo di gara (CIG); nel caso di mancata indicazione il giudice procede in ogni caso e anche d’ufficio, su segnalazione della segreteria, ai sensi dell’articolo 86, comma 1.

Fase precontenziosa

Come già evidenziato, il complesso di norme risultanti dall'esame degli artt. 119 e 120 non esaurisce la disciplina del processo in ogni suo aspetto, restando applicabili, per le parti mancanti, le previsioni del rito ordinario, ai sensi dell'art. 38.

Un'ulteriore peculiarità della disciplina de qua investe la stessa fase antecedente all'instaurazione del giudizio. L' art. 243-bis del d.lg. n. 163 del 2006 (abrogato dal d.lgs. n. 50/2016), introdotto dall' art. 6 del d.lgs. n. 53/2010, prevede che i soggetti i quali intendono proporre un ricorso giurisdizionale informano preventivamente le stazioni appaltanti della presunta violazione e della intenzione, per l'appunto, di proporre il ricorso (comma 1). L'informazione, diretta al responsabile del procedimento, può essere fatta per iscritto, anche mediante l'assistenza di un difensore, fino a quando l'interessato non abbia notificato il ricorso, ovvero oralmente nel corso della seduta pubblica della commissione di gara ed inserita nel relativo verbale (comma 2). Essa mira a stimolare la riflessione della stazione appaltante circa i vizi prospettati, che debbono pertanto essere indicati in modo analitico e preciso, secondo il contenuto prescritto dal comma 2. Su di essi la stazione appaltante è tenuta a comunicare le proprie determinazioni entro i quindici giorni successivi. L'informativa non impedisce, peraltro, l'ulteriore corso del procedimento, né il decorso del termine dilatorio per la stipulazione del contratto, né, ancora, quello del termine per la proposizione del ricorso giurisdizionale (comma 3). Neppure la sua omissione preclude all'interessato di esperire l'impugnativa (comma 2). La circostanza che egli non abbia proceduto alla informazione e quella che la stazione appaltante non si sia pronunciata sulla stessa costituiscono comportamenti valutabili ai fini della pronuncia sulle spese di giudizio e sulla determinazione delle responsabilità e dei conseguenti oneri risarcitori ai sensi dell' art. 1227 c.c. Il provvedimento assunto dalla stazione appaltante in senso negativo per le aspettative dell'interessato non è impugnabile autonomamente ma può esserlo contestualmente all'impugnativa dell'atto cui si riferisce o a mezzo di motivi aggiunti. È il caso di rimarcare l'importanza della proposizione di tali censure, poiché la risposta all'informativa può formare o concorrere a formare la motivazione del provvedimento finale del procedimento, motivazione la quale, se non tempestivamente gravata, non può più essere messa in discussione. In sintesi, dunque, l'onere di informazione e i conseguenti doveri di determinazione si configurano non come presupposti processuali, ma come obblighi di correttezza, influenti sulla pronuncia in merito alle responsabilità delle parti in caso di annullamento dell'atto finale della procedura.

La possibilità di prevedere strumenti precontenziosi era lasciata alla scelta degli Stati membri dalla direttiva Ce 2007/66 e l'opzione positiva del legislatore interno era diretta alla realizzazione di finalità deflattive. Tuttavia, il Codice del 2016 non disciplina più l'informazione preventiva, ma all' art. 211 d.lgs. n. 50/2016, rubricato pareri di precontenzioso dell'Anac,prevede che, su iniziativa della stazione appaltante o di una o più delle altre parti, l'Autorità esprime parere, previo contraddittorio, relativamente a questioni insorte durante lo svolgimento delle procedure di gara, entro trenta giorni dalla ricezione della richiesta. Il parere è reso su iniziativa della stazione appaltante o di una delle parti e riguarda questioni insorte durante la procedura di gara. Il parere, pur obbligando le parti che vi abbiano preventivamente consentito ad attenersi a quanto in esso stabilito, è impugnabile innanzi ai competenti organi della giustizia amministrativa ai sensi dell'art. 120. In caso di rigetto del ricorso contro il parere vincolante, il giudice valuta il comportamento della parte ricorrente in relazione alle spese di giudizio ai sensi e per gli effetti dell'art. 26. Sul punto, il Consiglio di Stato in sede consultiva (Cons. St., Comm. spec., parere n. 855/2016) ha osservato che, per assicurare la compatibilità con la Costituzione e con la delega è necessario evitare la trasformazione di questa procedura in un rimedio alternativo alla giurisdizione amministrativa. È quindi opportuna la precisazione dell'impugnabilità del parere vincolante dinanzi agli organi della giustizia amministrativa.

Ai fini del rilascio dei pareri di precontenzioso, l'Anac ha emanato il Regolamento per il rilascio dei pareri di precontenzioso di cui all' art. 211 d.lgs. n. 50/2016 in data 5 ottobre 2016 che, quale regolamento di organizzazione, detta disposizioni inerenti il relativo procedimento e l'attività degli uffici dell'Autorità, ma con ricadute sui soggetti destinatari dei pareri. La legittimazione a impugnare il parere sembra da riconoscere sia al privato concorrente che alla stazione appaltante.

In base al comma 2, dell' art. 211 del d.lg. n. 50/2016, qualora l'Anac ritenga sussistente un vizio di legittimità in uno degli atti della procedura di gara invita mediante atto di raccomandazione la stazione appaltante ad agire in autotutela e a rimuovere gli eventuali effetti degli atti illegittimi, entro un termine non superiore a sessanta giorni. Il mancato adeguamento della stazione appaltante alla raccomandazione vincolante, impugnabile ai sensi dell'art. 120, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria entro il limite minimo di euro 250,00 e il limite massimo di euro 25.000,00, posta a carico del dirigente responsabile. La sanzione incide altresì sul sistema reputazionale delle stazioni appaltanti, di cui all' art. 38 del d.lgs. n. 50/2016. Il secondo comma della disposizione e, quindi, lo stesso istituto della raccomandazione vincolante è stato tuttavia abrogato dal correttivo al codice degli appalti pubblici d.lgs. n. 56 del 2017.

La fase cautelare

La camera di consiglio per la discussione dell'istanza cautelare deve essere fissata entro il termine di dieci giorni decorrenti dal perfezionamento, anche per il destinatario, dell'ultima notificazione e di cinque giorni dal deposito del ricorso presso la segreteria del T.A.R. Le parti possono presentare memorie e documenti fino a un giorno libero prima della camera di consiglio, ma il collegio, per gravi ed eccezionali ragioni, può autorizzare la produzione di documenti nella stessa camera di consiglio fino all'inizio della discussione, con consegna di copia alle altre parti prima dell'inizio della discussione.

Le altre parti possono costituirsi anche in camera di consiglio, ma, in tal caso, in considerazione dei limiti previsti dall'art. 55, senza poter produrre documenti o memorie.

Per quanto riguarda la concessione della misura cautelare, il legislatore ne ha indicato dei presupposti più rigorosi al fine di restringere le ipotesi di sospensione degli atti impugnati in quanto suscettibili di incidere sulla tempestiva realizzazione delle opere pubbliche. Così, per quanto riguarda il periculum in mora, il comma 4 dell'art. 119 richiede la sussistenza di un pregiudizio di estrema gravità e urgenza, mentre l'art. 55 richiede un pregiudizio grave e irreparabile; per quanto riguarda il fumus boni iuris, il comma 3 dell'art. 119 richiede che sia accertata la sussistenza di profili di fondatezza del ricorso (Caringella). Nella prassi, potrà essere difficile distinguere la qualificazione del danno e del fumus prevista nel rito ordinario da quella del rito appalti, tuttavia, la disposizione è espressione del richiamo al giudice amministrativo di valutare con massima sensibilità l'esigenza di mantenere l'efficacia del rapporto controverso al fine di favorirne lo svolgimento anche nelle more del giudizio (Cianflone, Giovannini).

Il legislatore ha disciplinato in termini peculiari anche l'istituto della cauzione, pur previsto in linea generale in ipotesi di provvedimento cautelare. In base al comma 8-bis dell'art. 120, infatti, il collegio, quando dispone misure cautelari, ne può subordinare l'efficacia alla prestazione di una cauzione anche qualora dalla decisione non derivino effetti irreversibili. La cauzione può essere prestata anche mediante fideiussione ed è commisurata al valore dell'appalto, non potendo comunque superare lo 0,5 per cento del valore dell'appalto stesso.

La durata delle misure non poteva essere superiore a sessanta giorni dalla pubblicazione dell'ordinanza (sospensiva, cosiddetta, temporizzata). Il Codice dei contratti pubblici del 2023 ha modificato la disposizione in questione prevedendo che la durata della misura cautelare subordinata alla cauzione è indicata nell'ordinanza che la dispone.

Secondo la giurisprudenza, in sede cautelare, il giudice amministrativo potrà anche sospendere l'efficacia del contratto. Gli argomenti indicati a favore di un tale orientamento sono individuati nell'atipicità del contenuto delle misure cautelari, come emerge dall'art. 55, comma 1, e nella naturale finalizzazione della tutela cautelare ad anticipare in via interinale le misure adottabili con la decisione definitiva. A tale conclusione si perviene, argomentando a contrario, anche dall'esame del disposto dell'art. 125, comma 4, che, nell'escludere, in via di eccezione, che la sospensione dell'aggiudicazione comporti la caducazione del contratto già stipulato con riguardo alle controversie relative alle infrastrutture strategiche, ammette, quale regola, che la misura cautelare possa incidere sul contratto nelle more stipulato (in questo senso: Cons. St. V, n. 4677/2011; Cons. St. IV, decr., n. 1590/2013). In ogni caso, l'autorità giudiziaria, nel valutare l'incidenza della sospensione sul contratto, deve svolgere il giudizio sulla base dei parametri previsti dagli artt. 121 e 122 anche in sede cautelare (già, T.A.R. Lombardia (Milano), n. 1097/2010).

In questo senso sembra esprimersi anche la lett. aaa) della legge delega per il recepimento delle dir. Ue 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE. Il comma 8-ter dell'art. 119, inserito dall' art. 204, comma 1, lett.f) del d.lgs. n. 50/2016, ha espressamente previsto che, nella decisione cautelare, il giudice tiene conto di quanto previsto dagli artt. 121, comma 1, e 122 e delle esigenze imperative connesse ad un interesse generale all'esecuzione del contratto, dandone conto nella motivazione.

Ulteriore importante deroga, con finalità ugualmente acceleratoria, è rappresentata dalla previsione del comma 8 dell'art. 120, introdotta con il comma 2-duodecies dell' art. 245 del d.lgs. n. 163/2006, secondo cui il giudice, anche allorché ordini adempimenti istruttori o conceda termini a difesa, o se sollevi o vengano proposti incidenti processuali, decide comunque interinalmente sulla domanda cautelare, non tollerando la materia stessa spazi temporali di incertezza. Se l'esame dell'istanza cautelare è oggetto di rinuncia o di abbinamento al merito in altra udienza, cessa l'effetto sospensivo automatico.

Per quanto concerne i rapporti con il merito, la decisione dell'istanza cautelare e il termine fissato per la trattazione del merito deve essere correlato con il sesto comma dell'art. 120, in base al quale, a prescindere dall'accoglimento o dal rigetto della richiesta, il giudice è tenuto d'ufficio a fissare l'udienza di merito in una data compresa entro quarantacinque giorni dalla scadenza del termine per la costituzione delle parti diverse dal ricorrente.

Per quanto non diversamente disposto rimangono applicabili le norme regolanti il processo cautelare ordinario. Pertanto, pur in mancanza di espressa previsione, è possibile richiedere la tutela cautelare monocratica prevista dall'art. 56 e, limitatamente ai giudizi di primo grado, quella ante causam disciplinata dall'art. 61. L'utilità di una tale forma di cautela si riscontra in particolare nelle ipotesi in cui: non è impugnata l'aggiudicazione ma altri atti e, quindi, non si produce l'effetto sospensivo automatico; la stazione appaltante, pur non stipulando il contratto, ne avvii l'esecuzione con urgenza, si avvalga di una delle consentite deroghe allo standstill, violi l'effetto sospensivo automatico (De Nictolis, Il rito processuale). L'introduzione della tutela ante causam nel nostro ordinamento è stata indotta dalle dir Cee 89/665/Cee e 92/13/Cee che hanno stabilito l'incompatibilità con la disciplina comunitaria degli ordinamenti nazionali, tra cui quello italiano, che non prevedevano una tutela cautelare preventiva, scissa dal giudizio di merito.

Secondo la giurisprudenza comunitaria, infatti (Corte Giust. CE, 19 settembre 1996, C-236/95), l'art. 2 della direttiva n. 665/1989/Cee va interpretato nel senso che gli Stati membri sono tenuti ad attribuire agli organi giurisdizionali competenti la facoltà di adottare in sede cautelare, indipendentemente da ogni previa cauzione, qualsiasi provvedimento provvisorio compresi i provvedimenti intesi a sospendere o a far sospendere la procedura di aggiudicazione pubblica di un appalto. La Corte Costituzionale (Corte cost., ord., n. 179/2002) aveva invece ritenuto che la tutela cautelare monocratica già prevista nel sistema fosse sufficiente per rispondere pienamente alle esigenze di effettività della tutela consentendo l'immediata pronuncia interinale del presidente della sezione cui il ricorso sia assegnato, anche in considerazione del fatto che il ricorrente poteva avvalersi di mezzi rapidissimi di notifica. La Corte di Giustizia (Corte Giust. CE, ord. 29 aprile 2004, C-202/03) ha tuttavia riaffermato l'obbligo per gli stati membri di conferire ai loro organi competenti a conoscere dei ricorsi la facoltà di adottare, indipendentemente dalla previa proposizione di un ricorso di merito, qualsiasi provvedimento inteso a sospendere o a far sospendere la procedura di aggiudicazione pubblica dell'appalto.

Ne è derivata la previsione, nell'ambito dell' art. 245 del Codice dei contratti pubblici oggi abrogato ( d.lgs. n. 163/2006), poi trasfuso nel Codice del processo amministrativo, dello strumento della tutela anteriore all'introduzione della causa, originariamente prevista per le sole controversie in materia di appalti pubblici e poi estesa a tutte le controversie rientranti nella giurisdizione del giudice amministrativo. Essa è esperibile in caso di estrema gravità e urgenza, a prescindere dalla previa notifica di un atto di ricorso e si traduce in una istanza notificata nelle forme prescritte per la notificazione del ricorso stesso in vista dell'adozione di misure interinali e provvisorie che appaiono indispensabili durante il tempo occorrente per la proposizione del ricorso di merito e della domanda cautelare in corso di causa. Il presidente o un magistrato da lui delegato provvede sull'istanza con decreto non appellabile. L'eventuale provvedimento di accoglimento deve essere notificato alle altre parti entro il termine fissato dal giudice, non superiore a cinque giorni; esso perde efficacia ove entro quindici giorni dalla sua emanazione non venga notificato il ricorso con la domanda cautelare ed esso non sia depositato nei successivi cinque giorni, in uno con l'istanza di fissazione dell'udienza.

Secondo le regole generali ora codificate dall'art. 62, avverso l'ordinanza cautelare di primo grado è proponibile appello al Consiglio di Stato.

I termini — per i quali non vale il criterio della dimidiazione secondo l'espresso tenore dell'art. 119, comma 2,— sono quelli ordinari ex art. 62, comma 1, e, quindi, pari a trenta giorni dalla notificazione dell'ordinanza o di sessanta giorni dalla sua pubblicazione. L'atto di appello va depositato in segreteria entro quindici giorni — termine dimidiato — decorrenti dal momento nel quale l'ultima notificazione si è perfezionata anche per il destinatario (art. 45, comma 1).

In ordine al rapporto tra pronuncia cautelare di primo grado e pronuncia cautelare d'appello, il comma 3 dell'art. 119 disciplina espressamente la sola ipotesi in cui al rigetto dell'istanza cautelare da parte del T.A.R. faccia riscontro la riforma dell'ordinanza di primo grado da parte del Consiglio di Stato. Per il resto anche al giudizio cautelare di appello si applicano le ordinarie disposizioni di cui al Titolo II del Libro II del Codice del processo amministrativo.

La giurisprudenza amministrativa ha evidenziato che l'art. 5, comma 6, del d.l. 16 luglio 2020, n. 76 (cd. d. semplificazioni), conv., con modif., dalla l.  11 settembre 2020, n. 120, non si applica al caso di una controversia sull'aggiudicazione di una gara; esso contiene una disposizione processuale extravagante, secondo cui "In sede giudiziale, sia in fase cautelare che di merito, il giudice tiene conto delle probabili conseguenze del provvedimento stesso per tutti gli interessi che possono essere lesi, nonché del preminente interesse nazionale o locale alla sollecita realizzazione dell'opera, e, ai fini dell'accoglimento della domanda cautelare, il giudice valuta anche la irreparabilità del pregiudizio per l'operatore economico, il cui interesse va comunque comparato con quello del soggetto pubblico alla celere realizzazione dell'opera. In ogni caso, l'interesse economico dell'appaltatore o la sua eventuale sottoposizione a procedura concorsuale o di crisi non può essere ritenuto prevalente rispetto all'interesse alla realizzazione dell'opera pubblica" il cui ambito applicativo deve essere riferito all'ambito sostanziale del medesimo co. 6 ("Salva l'esistenza di uno dei casi di sospensione di cui al comma 1, le parti non possono invocare l'inadempimento della controparte o di altri soggetti per sospendere l'esecuzione dei lavori di realizzazione dell'opera ovvero le prestazioni connesse alla tempestiva realizzazione dell'opera") ovvero all'ambito sostanziale del comma 1 dell'art. 5, ossia i casi in cui o vi sia tra le parti una controversia sull'inadempimento contrattuale ai sensi dell'art. 5, comma 6, o una controversia su un provvedimento amministrativo di sospensione dei lavori disposto dal RUP ai sensi dell'art. 5, commi 1 e 2; essendo altresì da stabilire se in siffatte due evenienze la giurisdizione sulla controversia spetti al giudice ordinario ovvero al giudice amministrativo; in ogni caso la citata previsione processuale extravagante dell'art. 5, comma 6, D.L. n. 76 del 2020 non incide sulle regole processuali contenute negli artt. 120 e ss. c.p.a. in ordine alle sentenze di merito del giudice amministrativo sull'aggiudicazione degli appalti e sulla sorte del contratto (C.g.a. Sicilia, decr. n. 795/2020).

La decisione

La sentenza che definisce il giudizio è redatta nelle forme della sentenza in forma semplificata ai sensi dell'art. 74, anche se resa in pubblica udienza. Alla sinteticità della sentenza e degli atti del giudice corrisponde in via complementare la sinteticità degli atti di parte, come precisato dal comma 10 dell'art. 120, anche se il principio in questione è posto in via generale dell'art. 3 anche per controversie diverse da quelle soggette al rito in esame.

Per il deposito della sentenza non era previsto un termine particolare, per cui si riteneva applicabile il termine (ordinatorio) stabilito in via generale dall'art. 89, comma 1, pari a 45 giorni dalla pronuncia, ridotto alla metà. Il d.lgs. n. 90/2014 è intervenuto sulla disposizione fissando un termine ordinatorio di trenta giorni dall'udienza di discussione per il deposito della sentenza. In conformità con quanto previsto dal rito speciale comune dell'art. 119, anche nel rito appalti le parti potevano chiedere l'anticipata pubblicazione del dispositivo che avviene entro due giorni dall'udienza. Una volta pubblicato, il dispositivo è pienamente efficace, onde si determinano immediatamente i suoi effetti demolitori e conformativiCon l'art. 4, comma 4, lett. b), del  d.l. 16 luglio 2020, n. 76, recante “Misure urgenti per la semplificazione e l'innovazione digitale”, convertito con modificazioni dalla l. 11 settembre 2020, n. 120, il legislatore ha modificato il comma 9 dell'art. 120 prevedendo, per il deposito della sentenza, il termine di quindici giorni dall'udienza di discussione. Nell'ipotesi in cui la stesura della motivazione sia particolarmente complessa, il giudice pubblica il dispositivo nel termine di quindici giorni e la sentenza entro trenta giorni dall'udienza. Per quanto concerne il dispositivo, sotto un profilo contenutistico, al fine di attribuire alla stazione appaltante utili indicazioni per andare avanti con la procedura, si precisa che lo stesso deve indicare anche le domande eventualmente accolte e le misure per darvi attuazione.

L'art. 12-bis d.l. n. 68/2022 ha espressamente disposto l'applicabilità dell'art. 120, comma 9, alle procedure amministrative che riguardino interventi finanziati in tutto o in parte con le risorse previste dal PNRR, al fine di garantire il rispetto dei termini previsti dal PNRR ed evitare che la durata ordinaria del giudizio possa incidere sul raggiungimento dei citati obiettivi (si veda Norme speciali in tema di processo amministrativo – Il rito speciale PNRR).

La disposizione è da leggere in combinato disposto anche con il primo comma del medesimo art. 4, il quale, oltre a stabilire che il contratto deve essere concluso nel termine previsto dalla legge, aggiunge alla lett. b) che la mancata stipulazione del contratto nel termine previsto deve essere motivata con specifico riferimento all'interesse della stazione appaltante e a quello nazionale alla sollecita esecuzione del contratto e viene valutata ai fini della responsabilità erariale e disciplinare del dirigente preposto. Non costituisce giustificazione adeguata per la mancata stipulazione del contratto nel termine previsto, salvo quanto previsto dai commi 9 e 11, la pendenza di un ricorso giurisdizionale, nel cui ambito non sia stata disposta o inibita la stipulazione del contratto. Le stazioni appaltanti hanno facoltà di stipulare contratti di assicurazione della propria responsabilità civile derivante dalla conclusione del contratto e dalla prosecuzione o sospensione della sua esecuzione.

La pubblicazione del dispositivo costituisce un'opportunità che il legislatore offre alle parti a fini acceleratori e corrisponde all'esigenza di conoscere, sia pure in sintesi, la decisione del giudice in anticipo rispetto alla sentenza completa della motivazione, con l'evidente finalità di consentire alle parti di adottare le iniziative ritenute più opportune a fini organizzativi o economico finanziari (Cons. St. III, n. 713/2014).

La giurisprudenza ha poi chiarito che le modifiche introdotte con il d.l. n. 76/2020 hanno natura processuale e sono applicabili, secondo il generale principio del tempus regit actum, alle controversie soggette al c.d. rito appalti chiamete in decisione nelle udienze cautelari calendarizzate in una data successiva alla loro entrata in vigore (T.A.R. Lazio, II n. 9044/2020).

Per quanto riguarda la decisione emessa in seguito all'appello, l'art. 120, comma 11, al fine di individuarne la disciplina, non richiama il primo periodo dell'art. 120, comma 9, in cui è prevista la possibilità dell'anticipata pubblicazione del dispositivo. Tuttavia, alla possibile richiesta dall'anticipata pubblicazione del dispositivo deve pervenirsi per effetto del rinvio operato dall'art. 120, comma 11, all'art. 119, comma 5, su richiesta delle parti e con un termine di sette giorni per il relativo deposito.

L'anticipata pubblicazione interessa solo la sentenza che definisce il giudizio, almeno parzialmente, e non i provvedimenti interinali, quali ordinanze istruttorie o altro, per effetto dello specifico riferimento contenuto nell'art. 120, comma 9, a tale categoria di atti.

La parte può proporre appello avverso il dispositivo al fine di ottenerne la sospensione prima della pubblicazione della motivazione della sentenza. L'appello è proponibile entro trenta giorni dalla pubblicazione, con riserva dei motivi da proporre entro trenta giorni dalla notificazione della sentenza o entro tre mesi dalla sua pubblicazione ( Cons. St. Ad. plen. , n. 8/2014). Secondo un orientamento l'appello avverso il dispositivo non concorre a determinare la materia del contendere; il giudice di appello deve pertanto esaminare il solo appello avverso la sentenza e non anche l'appello avverso il dispositivo che esaurisce la sua funzione nella sede, in senso lato, cautelare. Pertanto, in base a una ricostruzione giurisprudenziale, l'appello avverso il dispositivo ha portata esclusivamente cautelare, mentre i successivi motivi aggiunti avverso la sentenza hanno natura di autonomo appello non cautelare. Ne consegue che i motivi contenuti nell'appello avverso il dispositivo e non riprodotti nell'appello avverso la sentenza si devono intendere abbandonati e non devono essere esaminati dal giudice di merito; nel dispositivo della sentenza di appello non occorre alcuna pronuncia avverso il dispositivo nemmeno in termini di improcedibilità o assorbimento; l'appello avverso la motivazione deve avere la sostanza di appello autonomo, anche se può avere la forma dei motivi aggiunti dell'appello avverso il dispositivo (Cons. St. VI ,ord. n. 761/2013).

Si riscontrano tuttavia degli elementi che potrebbero far propendere per una diversa definizione del rapporto tra appello avverso il dispositivo e avverso la sentenza. In particolare, lo stesso art. 119, comma 6, nel disciplinare l'appello avverso il dispositivo, fa riferimento alla riserva dei motivi da proporre dopo la pubblicazione della sentenza. Si potrebbe pertanto ritenere che il secondo appello possa contenere solo i motivi riservati in sede di appello avverso il dispositivo e non debba pertanto contenere l'esposizione dei fatti che potrebbe essere affidata al solo appello avverso il dispositivo. Anche per quanto riguarda il contributo unificato, in caso di appello separato avverso il dispositivo e avverso la motivazione deve essere pagato un unico contributo unificato, al momento dell'appello avverso il dispositivo.

La giurisprudenza ha definito il tema del rapporto tra appello contro il dispositivo e appello contro la sentenza traducendolo in una fattispecie a formazione progressiva. In particolare ( Cons. St. Ad. plen. , n. 8/2014), i due appelli costituiscono espressione del medesimo potere di impugnazione della parte, con la conseguenza che non incorrono nella sanzione di inammissibilità i motivi aggiunti che non contengono una compiuta e separata esposizione dei fatti su cui si innesta la controversia, ma rinviano alle considerazioni già espresse nell'atto di impugnazione del dispositivo. L'effetto devolutivo della controversia si produce in un primo tratto limitatamente all'emissione delle misure cautelari che l'impugnazione del dispositivo consente di anticipare in presenza della sola esecutività del dispositivo medesimo; nel secondo tratto con effetto di cognizione piena del merito della controversia in relazione ai motivi di appello che il ricorrente è posto in condizione di articolare dopo la pubblicazione della motivazione della sentenza. Correlativamente e per converso, è inammissibile l'appello rivolto contro il dispositivo, qualora sia privo dell'istanza cautelare, (Cons. St. V, n. 5375/2013) ed è improcedibile qualora non venga seguito dall'impugnazione della intera sentenza (Cons. St. IV, n. 3842/2000).

La mancata pubblicazione del dispositivo non comporta la nullità della pronuncia emessa nel testo integrale, perché a differenza del processo del lavoro, nel quale la lettura del dispositivo risponde ad esigenze di concentrazione del giudizio e di immutabilità della decisione, nel rito speciale in esame la pubblicazione del dispositivo ha finalità meramente acceleratorie del giudizio. Secondo la giurisprudenza prevalente, qualora si verifichino discrasie tra il dispositivo pubblicato e la pronuncia redatta per esteso, è ammessa la correzione del primo da parte della seconda (Cons. St. V, n. 4746/2003) e, comunque, l'errore è emendabile mediante il procedimento di correzione di errore materiale (Cons. St. III, n. 871/2016; Cons. St. IV, n. 4103/2015).

L'esecuzione della sentenza

Uno dei problematici profili applicativi riguarda le conseguenze derivanti dall'annullamento degli atti di gara e, in particolare, la necessità o meno del rinnovo delle operazioni di gara. La problematica, ferma l'esigenza di un'analisi casistica, dipende dal tipo di atto annullato, dal tipo di vizio e dall'esigenza di salvaguardia della segretezza degli autori delle offerte. Nel caso in cui l'annullamento abbia ad oggetto il bando, dovrà procedersi al rinnovo del bando stesso; in caso di annullamento dell'atto di nomina della commissione occorre procedere alla ricostituzione della commissione; in caso di annullamento dell'aggiudicazione, in linea di principio potranno essere fatti salvi gli atti anteriori ad essa, quali il bando e la costituzione della commissione, mentre occorrerà procedere al rinnovo della valutazione delle offerte.

La giurisprudenza osserva che nelle ipotesi in cui l'azione amministrativa si articola in diversi segmenti procedimentali, ciascuno caratterizzato dall'emanazione di provvedimenti, il vincolo derivante dalla statuizione di annullamento consiste nella riedizione della sola fase procedurale colpita dalla pronuncia di illegittimità, fatto comunque salvo il potere di annullamento d'ufficio dell'intera procedura, e, quindi, nella ripetizione delle operazioni di gara affette dal vizio riscontrato in sede giudiziaria (Cons. St. IV, n. 692/2005). Pertanto, in caso di annullamento dell'esclusione di un concorrente, in sede di riapertura della gara, la commissione giudicatrice deve riesaminare le sole offerte valide, senza riammettere gli altri concorrenti che siano stati precedentemente esclusi con provvedimento divenuto definitivo, salva la possibilità per l'amministrazione di esercitare gli ordinari poteri di autotutela. Il tema deve, però, essere esaminato in modo coordinato all'esigenza di salvaguardare la segretezza degli autori delle offerte. In particolare, in caso di annullamento della gara per illegittima esclusione del concorrente, secondo una ricostruzione, occorre distinguere le ipotesi in cui l'aggiudicazione avvenga con criteri matematici, nel qual caso sarebbe possibile rinnovare la valutazione delle offerte anche se già conosciute, dall'ipotesi in cui la commissione ha poteri valutativi discrezionali, nel qual caso la procedura dovrebbe riprendere dalla fase di presentazione delle offerte mentre non si potrebbe solo procedere a nuova valutazione delle offerte già presentate (Cons. St. V, n. 2612/2006). In caso di annullamento della gara per vizi di motivazione in ordine al giudizio della commissione, il principio di segretezza delle offerte potrebbe essere derogato essendo le offerte già presentate e potrebbe procedersi al solo rinnovo della loro valutazione (Cons. St. IV, n. 4834/2004). Il tema del rinnovo della gara è stato tuttavia sottoposto all'esame dell'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ( Cons. St.,Ad. Plen., n. 30/2012) secondo la quale nella gara per l'affidamento di contratti pubblici l'interesse fatto valere dal ricorrente che impugna la sua esclusione è volto a concorrere per l'aggiudicazione nella stessa gara; pertanto, anche nel caso dell'offerta economicamente più vantaggiosa, in presenza del giudicato di annullamento dell'esclusione stessa sopravvenuto alla formazione della graduatoria, il rinnovo degli atti deve consistere nella sola valutazione dell'offerta illegittimamente pretermessa, da effettuarsi ad opera della medesima commissione preposta alla procedura. I principi di continuità e segretezza delle gare devono essere contemperati con il più generale principio di conservazione degli atti giuridici e con il principio di economicità ed efficienza dell'azione amministrativa. L'Adunanza Plenaria, pertanto, ritiene che i principi espressi dalla giurisprudenza con riferimento al rinnovo parziale della gara quando il criterio di aggiudicazione è quello del prezzo più basso debbano estendersi anche al criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa.

L'appello e gli altri mezzi di impugnazione

Salvo quanto previsto dal legislatore con riferimento all'appello nel rito superaccelerato in tema di ammissioni ed esclusioni, per il quale vi è un integrale richiamo dei commi 2-bis, 6-bis, 9 secondo periodo dell'art. 120, (rito abrogato dal d.l. 18 aprile 2019, n. 32, rubricato “Disposizioni urgenti per il rilancio del settore dei contratti pubblici, per l'accelerazione degli interventi infrastrutturali, di rigenerazione urbana e di ricostruzione a seguito di eventi sismici”, cd. “Sblocca cantieri”), più limitati appaiono i rinvii operati dal legislatore per estendere l'applicabilità del rito speciale al giudizio di impugnazione. In particolare, il legislatore richiama: il comma 6, in tema di procedimento (per il quale si veda supra); i commi 8, 8-bis e 8-ter, in tema di domanda cautelare (per la quale si veda supra); il comma 10, in tema di sinteticità degli atti (per la quale si veda infra) e di forma della sentenza (per la quale si veda supra). Per quanto non diversamente previsto, il legislatore rinvia al rito speciale comune dell'art. 119, indicando tra le disposizioni dirette a disciplinare il giudizio di appello al Consiglio di Stato anche il comma 3 dell'art. 120.

Il termine per la notifica dell'appello cautelare è di trenta giorni dalla notifica o sessanta dalla pubblicazione. Il termine per il deposito dell'appello cautelare è di quindici giorni, trattandosi di termine dimidiato dall'art. 119 che sottrae al dimezzamento la sola notifica dell'appello cautelare.

In generale, il termine per proporre appello è di trenta giorni dalla notificazione della sentenza o di tre mesi dalla sua pubblicazione. Per il rapporto tra appello contro il dispositivo e contro la sentenza si veda supra.

In passato nulla era stabilito in ordine agli altri mezzi di impugnazione: revocazione, opposizione di terzo e ricorso per Cassazione. La disciplina del ricorso per Cassazione trova compiuta disciplina nel codice di procedura civile.

Più dubbia è apparsa la soluzione riguardo alla revocazione e all'opposizione di terzo e, in particolare, alla individuazione del termine per la loro proposizione. Prima il comma 2-terdecies del novellato art. 245 e poi gli artt. 119, comma 7, e 120, comma 11, hanno stabilito espressamente che le disposizioni di rito speciale ordinario e della contrattualistica pubblica si applicano anche ai giudizi per revocazione e opposizione di terzo. Ne riesce quindi confermata l'operatività per essi della regola della dimidiazione dei termini, dell'accelerazione del processo secondo le cadenze descritte e della particolare conformazione del giudizio cautelare ove nell'ambito degli stessi esperito (Cianflone, Giovannini).

Sinteticità degli atti

L' art. 40, comma 1, lett. a), d.l. n. 90/2014, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 114/2014, ha modificato il comma 6 dell'art. 120, prevedendo, tra l'altro, che, al fine di consentire lo spedito svolgimento del giudizio in coerenza con il principio di sinteticità, le parti contengono le dimensioni del ricorso e degli altri atti difensivi nei termini stabiliti con decreto del Presidente del Consiglio di Stato, sentiti il Consiglio nazionale forense e l'Avvocato generale dello Stato, nonché le associazioni di categoria riconosciute degli avvocati amministrativisti. Con il medesimo decreto sono stabiliti i casi per i quali, per specifiche ragioni, può essere consentito superare i relativi limiti.

La disposizione è stata tuttavia abrogata dall' art. 7-bis, comma 2, lett. a), del d.l. n. 168/2016, convertito in l. n. 197/2016, a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto del Presidente del Consiglio di Stato previsto al comma 1 dell' art. 13-ter delle norme di attuazione del codice del processo amministrativo. L'art. 13-ter, rubricato criteri per la sinteticità e la chiarezza degli atti di parte, ha così rinviato, anche per i procedimenti diversi da quelli disciplinati dal rito appalti, a un decreto del presidente del Consiglio di Stato al fine di determinare i criteri e i limiti dimensionali degli scritti di parte, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 3 gennaio 2017, decreto 22 dicembre 2016, n. 167.

In particolare, gli atti introduttivi del giudizio, in primo grado o in sede di impugnazione, i ricorsi e le impugnazioni incidentali, i motivi aggiunti, l‘atto di intervento volontario, le memorie e ogni altro atti difensivo non espressamente disciplinato dal medesimo decreto sono redatti nel numero massimo di 70.000 caratteri, in conformità alle specifiche tecniche definite dall'art. 8 del d.P.C.S. n. 167/2016. La domanda di misure cautelari autonomamente proposta successivamente al ricorso e quella di cui all'art. 111 sono contenute nel numero massimo di 20.000 caratteri. Allo stesso numero di caratteri devono attenersi anche le memorie di replica. Nei limiti dimensionali indicati non si computano le intestazioni e le altre indicazioni formali dell'atto (tra le quali: epigrafe, indicazione delle parti e dei difensori, individuazione dell'atto impugnato, riassunto preliminare, indice dei motivi, conclusioni dell'atto, procure, sottoscrizione delle parti). Sono consentite deroghe ai limiti dimensionali con un procedimento autorizzatorio preventivo che può determinare l'indicazione di limiti dimensionali maggiori o l'assenza di qualsivoglia limite predeterminato. Possono in particolare essere autorizzati limiti dimensionali non superiori a 100.000 caratteri (in luogo di 70.000 oppure 30.000 in luogo di 20.000) qualora la controversia presenti questioni tecniche, giuridiche o di fatto particolarmente complesse o attenga a interessi sostanziali perseguiti di particolare rilievo anche economico, politico e sociale, o alla tutela di diritti civili, sociali e politici. A tal fine vengono valutati, ad esempio, il valore della causa ove non inferiore a 50 milioni di euro, il numero e l'ampiezza degli atti e dei provvedimenti impugnati, la dimensione della sentenza gravata, l'esigenza di riproposizione di motivi dichiarati assorbiti o di domande o eccezioni non esaminate, la necessità di dedurre distintamente motivi rescindenti e motivi rescissori, l'attinenza della causa ad opere strategiche ai sensi dell'art. 125. Può essere consentito il superamento anche del limite dei 100.000 caratteri, senza determinazione del limite massimo, qualora i presupposti di deroga siano di straordinario rilievo, tale da non permettere una adeguata tutela nel rispetto dei limiti dimensionali previsti. Nei casi di autorizzazione in deroga, occorre sempre redigere il riassunto preliminare dei motivi proposti. Ai sensi dell' art. 13 ter disp. att. c.p.a. il giudice è tenuto a esaminare tutte le questioni trattate nelle pagine rientranti nei suddetti limiti; l'omesso esame delle questioni contenute nelle pagine successive al limite massimo non è motivo di impugnazione.

La giurisprudenza in diverse ipotesi ha affermato l'inammissibilità del ricorso che violi i canoni di chiarezza, specificità dei motivi e sinteticità (Cons. St. V, n. 5459/2015).

Gli atti impugnabili

Secondo i principi del diritto processuale amministrativo possono essere fatti oggetto di autonoma impugnazione soltanto i provvedimenti amministrativi propriamente detti, quegli atti, cioè, che sono dotati della forza di incidere sulle altrui sfere giuridiche. Gli atti preparatori non sono viceversa impugnabili ex se, ma solo unitamente al provvedimento al quale si correlano. Un regime particolare concerne poi i provvedimenti presupposti, come gli atti generali e i regolamenti, i quali sono normalmente impugnabili solo unitamente al provvedimento applicativo, nascendo da quest'ultimo l'effettiva lesione della posizione giuridica degli interessati. Ciò fatto salvo il caso in cui la lesione stessa derivi immediatamente e direttamente dal provvedimento generale (Caianiello).

Determinazione di indizione della gara e bando di gara

Muovendo da questi principi, la giurisprudenza ritiene impugnabili solo in limitate ipotesi la determinazione di indizione della gara, il bando di gara e l'invito alla gara. Si tratta di provvedimenti presupposti, non impugnabili di regola autonomamente, ma solo congiuntamente ai successivi atti applicativi dai quali deriva un effettivo pregiudizio per il concorrente (Cons. St. V, n. 5181/2015; Cons. St. VI, n. 2217/2015). Ne deriva che la loro omessa impugnazione non preclude la successiva possibilità per l'interessato di farne valere i vizi (Cons. St. III, n. 250/2016). Fa eccezione a tale regola l'ipotesi in cui l'atto contenga clausole assolutamente preclusive della partecipazione dell'interessato nel quale caso il concorrente è tenuto a impugnarlo immediatamente (T.A.R. Lazio (Roma), n. 11149/2017, con riferimento a clausole del bando che prevedevano l'articolazione della gara in più lotti geografici, i requisiti di capacità economico finanziaria e, più in generale, i requisiti richiesti agli operatori economici a fini partecipativi; T.A.R. Sicilia (Catania), n. 496/2017; Cons. St. V, n. 2359/2016; Cons. St. V, n. 1890/2016). Nel caso in cui la clausola preclusiva sia invece ambigua, dubbia o equivoca, tale da poter essere interpretata anche in senso favorevole all'interessato, quest'ultimo non può ritenersi tenuto alla sua immediata impugnazione, derivandone il relativo onere solo unitamente al provvedimento applicativo che scelga il risultato ermeneutico a lui sfavorevole (Cons. St. III, n. 2746/2013). L'esigenza di immediata impugnazione del bando è stata, inoltre, affermata quando gli adempimenti imposti all'interessato ai fini della partecipazione risultino manifestamente incomprensibili o implicanti oneri per la partecipazione del tutto sproporzionati per eccesso rispetto ai contenuti della gara o della procedura concorsuale, nonché relativamente a quelle clausole, dettate in materia di criteri di scelta dei contraenti e di modus operandi della commissione, le quali siano, per il loro contenuto, tali da precludere la formulazione dell'offerta sulla base di un attendibile calcolo di convenienza tecnica ed economica (Cons. St. III, n. 5983/2013; Cons. St. V, n. 6135/2011). Ciò che appare determinante è non soltanto il fatto che la clausola manifesti immediatamente la sua attitudine lesiva, ma che risulti esattamente e storicamente identificata, preesistente alla gara, non condizionata dal suo svolgimento e, quindi, in condizioni di ledere immediatamente e direttamente l'interesse sostanziale del soggetto che ha chiesto di partecipare alla gara.

Secondo una giurisprudenza (T.A.R. Abruzzo (L'Aquila), n. 124/2017), l'impugnazione immediata del bando di gara è consentita in quattro tassative ipotesi: nell'ipotesi in cui si contesti la stessa indizione della gara (Trib. reg. giust. amm., n. 27/2017); quando si contesti che una gara sia mancata, avendo l'amministrazione disposto la conclusione in via diretta del contratto senza il rituale svolgimento delle appropriate procedure di evidenza pubblica; quando si impugnino direttamente le clausole del bando immediatamente escludenti, riguardanti requisiti di partecipazione, che siano ex se ostative all'ammissione dell'interessato; quando le prescrizioni di gara impediscano di fatto la partecipazione alle procedure, imponendo, ad esempio, oneri manifestamente incomprensibili o del tutto sproporzionati per eccesso rispetto ai contenuti della procedura concorsuale. Al di fuori di queste ipotesi, in cui il partecipante alla procedura competitiva ha interesse (e quindi anche l'onere) a proporre immediato ed autonomo ricorso giurisdizionale, il bando e le sue clausole non possono essere considerate come direttamente lesive della sfera giuridica dei soggetti che aspirino a contrattare con la stazione appaltante, per cui l'eventuale impugnativa delle prescrizioni di gara ritenute illegittime va proposta unitamente all'atto applicativo con il quale si concretizza la lesione in capo ad un soggetto.

L'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (Cons. St., Ad. plen. n. 1/2003), superando i precedenti orientamenti che si erano formati sul tema, ha considerato, in linea generale, che l'onere di immediata impugnazione del bando di gara debba, di norma, essere riferito alle sole clausole riguardanti requisiti soggettivi di partecipazione. Inoltre, non poteva essere escluso un onere di immediata impugnazione delle clausole del bando in quei limitati casi in cui gli oneri imposti all'interessato ai fini della partecipazione fossero risultati manifestamente incomprensibili o implicanti oneri per la partecipazione del tutto sproporzionati per eccesso rispetto ai contenuti della gara o della procedura concorsuale, clausole che comportano l'impossibilità per l'interessato di accedere alla gara e il conseguente arresto procedimentale. Le clausole sui requisiti di partecipazione, infatti, manifestano immediatamente la loro attitudine lesiva e, essendo legate a situazioni e qualità del soggetto che ha chiesto di partecipare alla gara, sono esattamente e storicamente identificate, preesistenti alla gara e non condizionate al suo svolgimento, risultando pertanto idonee a ledere immediatamente e direttamente l'interesse sostanziale del soggetto che ha chiesto di partecipare alla gara o alla procedura concorsuale. Secondo l'Adunanza Plenaria non sono immediatamente impugnabili le clausole sulla composizione e sul funzionamento del seggio di gara, le clausole sulla formulazione dell'offerta economica, sul metodo di gara, sulla valutazione dell'anomalia, sull'esclusione automatica delle offerte anomale e le clausole relative agli oneri formali di partecipazione. La giurisprudenza successiva si è sostanzialmente allineata all'orientamento espresso dall'Adunanza Plenaria, come già evidenziato.

Il Consiglio di Stato ha ritenuto ammissibile l'immediata impugnazione della clausola del bando che prevede l'aggiudicazione con il criterio del massimo ribasso (Cons. St. III, n. 2014/2017; nel senso dell'inammissibilità dell'impugnazione della clausola del bando è orientato T.A.R. Puglia (Bari), n. 1109/2017). Si osserva, in particolare, che in questa ipotesi sia lesa la situazione giuridica soggettiva avente a oggetto lo svolgimento della competizione secondo opzioni meritocratiche di qualità e prezzo; sussiste la lesione attuale e concreta, generata dalla previsione del massimo ribasso in difetto dei presupposti di legge; sussiste l'interesse a ricorrere in relazione all'utilità concretamente ritraibile da una pronuncia demolitoria che costringa la stazione appaltante ad adottare il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa. Ne discende che appare in parte superato il precedente orientamento giurisprudenziale ( Cons. St., Ad. plen., n. 1/2003) che escludeva la possibilità di impugnare immediatamente le previsioni del bando che condizionano la formulazione dell'offerta economica. Il d.lgs. n. 50/2016 e, in particolare gli artt. 95, 204 (nella parte in cui prevede l'immediata impugnabilità dell'ammissione di altri operatori economici), 211, comma 2, rendono chiaro che vi sono elementi fisiologicamente disciplinati dal bando o dagli altri atti di avvio della procedura, che assumono rilievo sia nell'ottica del corretto esercizio del potere di regolazione della gara, sia in quella dell'interesse del singolo operatore economico ad illustrare e a far apprezzare il prodotto e la qualità della propria organizzazione e dei propri servizi, così assicurando, nella logica propria dell'interesse legittimo, la protezione di un bene della vita che è quello della competizione secondo il miglior rapporto qualità prezzo; un bene, cioè, diverso, e dotato di autonoma rilevanza rispetto all'interesse finale all'aggiudicazione. L'illegittimità di regole inidonee a consentire una corretta e concorrenziale offerta economica incide direttamente sulla formulazione dell'offerta, impedendone la consapevole elaborazione, sicché la lesività della stessa disciplina di gara va immediatamente contestata, senza attendere l'esito della gara per rilevare il pregiudizio che da quelle previsioni è derivato, senza neanche l'onere di partecipazione alla procedura di colui che intenda contestarle, in quanto le ritiene tali da impedirgli l'utile presentazione dell'offerta, sia sul piano tecnico che economico laddove esse rendano impossibile la presentazione di un'offerta e il calcolo di convenienza tecnica ed economica ai fini della partecipazione alla gara (Cons. St. IV, n. 4180/2016).

Alla luce dell'orientamento manifestato da una parte della giurisprudenza amministrativa, nel senso del parziale superamento delle conclusioni a cui era pervenuta l'Adunanza Pelanaria nel 2003, delle disposizioni del d.lgs. n. 50/2016, della direttiva ricorsi e della giurisprudenza della Corte UE, il Consiglio di Stato (Cons. St. III, n. 5138/2017) ha rimesso all'Adunanza Plenaria la questione relativa all'onere, per l'operatore economico, di immediata impugnazione del bando di gara anche in caso di contestazione sull'erronea adozione da parte della stazione appaltante del criterio del prezzo più basso in luogo di quello del miglior rapporto qualità prezzoe, più in generale, se le modifiche normative impongano agli operatori di impugnare immediatamente tutte le clausole attinenti le regole formali e sostanziali di svolgimento della procedura di gara e gli altri atti attinenti alle fase della procedura che precedono l'aggiudicazione, con la sola esclusione delle prescrizioni generiche e incerte, il cui tenore eventualmente lesivo è destinato ad emergere solo in seguito all'adozione dei provvedimenti attuativi. Secondo l'ordinanza l'esigenza di un ripensamento rispetto alla precedente prospettiva si imporrebbe alla luce di diverse disposizioni la cui ratio deve essere individuata nella necessità di assicurare il corretto svolgimento delle procedure di appalto nell'interesse di tutti i partecipanti e di quello collettivo dei cittadini a prescindere dall'interesse del singolo partecipante all'aggiudicazione. In particolare, deporrebbero in questo senso: l'espressa comminatoria di nullità delle clausole espulsive autonomamente previste dalla stazione appaltante ai sensi dell'art. 83, comma 8, d.lgs. n. 50/2016; la previsione dell'onere di immediata impugnazione dell'altrui ammissione alla procedura di gara, ai sensi dell'art. 120, comma 2 bis; la legittimazione dell'ANAC all'impugnazione dei bandi, degli altri atti generali e dei provvedimenti relativi a contratti di rilevante impatto, emessi da qualsiasi stazione appaltante, qualora ritenga che essi violino le norme in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture. Tali dati, complessivamente valutati, consentono di ritenere che, a prescindere dall'interesse dell'operatore economico all'aggiudicazione dell'appalto, l'ordinamento giuridico riconosca un interesse al regolare svolgimento della procedura di gara in sé considerata, nella forma del diritto dell'operatore economico a competere secondo i criteri predefiniti dal legislatore e, in particolare, secondo le regole procedurali dirette a fissare il nucleo essenziale della selezione comparativa delle offerte. La sezione rimettente ha chiesto quindi di chiarire: se la legittimazione a contestare il criterio di aggiudicazione spetti solo a chi ha presentato domanda di partecipazione oppure possa estendersi agli operatori economici del settore, anche in mancanza di presentazione della domanda di partecipazione alla gara; se la nuova regola interpretativa debba applicarsi anche per i giudizi in corso e se debba valere solo per le gare bandite dopo l'entrata in vigore del nuovo codice dei contratti pubblici oppure se i principi innovativi prospettati valgano solo per il futuro, secondo lo schema dell'overruling. 

L’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato  (Cons. St., Ad. plen., n. 4/2018) ha, tuttavia, dato continuità all’indirizzo interpretativo maggioritario secondo il quale le clausole del bando di gara che non rivestono portata escludente devono essere impugnate unitamente al provvedimento lesivo e possono essere impugnate unicamente dall’operatore economico che abbia partecipato alla gara o manifestato formalmente il proprio interesse alla procedura. Pertanto, le clausole non escludenti del bando vanno impugnate unitamente al provvedimento che rende attuale la lesione, rappresentato dall’aggiudicazione a terzi. Secondo il Collegio, in materia di controversie aventi ad oggetto gare di appalto, il tema della legittimazione al ricorso è declinato nel senso che deve essere correlata ad una situazione differenziata e dunque meritevole di tutela per effetto della partecipazione alla stessa procedura oggetto di contestazione, con la conseguenza che chi si è astenuto dal partecipare alla selezione non è legittimato a chiederne l’annullamento ancorché vanti un interesse di fatto a che la competizione venga nuovamente bandita. Non vi sono ragioni per mutare orientamento tenuto conto che: la presentazione della domanda di partecipazione non sembra imporre all’operatore del settore alcuno spropositato sacrificio; in alcun modo la domanda di partecipazione può pregiudicare sul piano processuale l’operatore economico, tenuto conto della giurisprudenza secondo cui nelle gare pubbliche l’accettazione delle regole di partecipazione non comporta l’inoppugnabilità di clausole del bando regolanti la procedura che fossero, in ipotesi, ritenute illegittime, in quanto una stazione appaltante non può mai opporre ad una concorrente un’acquiescenza implicita alle clausole del procedimento, che si tradurrebbe in una palese ed inammissibile violazione dei principi fissati dagli artt. 24, comma 1, e 113, comma 1, Cost., ovvero nella esclusione della possibilità di tutela giurisdizionale; la situazione differenziata è ricollegabile unicamente alla partecipazione alla stessa procedura oggetto di contestazione, mentre la procedura cui non si sia partecipato è res inter alios acta e non legittima l’operatore economico a insorgere avverso la medesima.

Le ragioni che inducono a confermare l’orientamento tradizionale sono varie e, in particolare, l’art. 120, quinto comma, prevede espressamente l’onere di immediata impugnazione del bando o dell’avviso di gara solo in quanto autonomamente lesivo. Le disposizioni del 2006 e del 2016 che prevedono i criteri di aggiudicazione non consentono di ritenere che l’operatore debba procedere all’immediata impugnabilità della stessa, in quanto, versandosi in una fase iniziale della procedura, non vi sarebbero elementi per ritenere che l’impugnante non sarebbe scelto quale aggiudicatario, con la conseguenza che si imporrebbe all’offerente di denunciare la clausola del bando su una prognosi di una futura e ipotetica lesione, al fine di tutelare l’interesse strumentale alla riedizione della gara da ritenersi, tuttavia, subordinato rispetto all’interesse primario all’aggiudicazione della stessa, del quale non sarebbe certa la non realizzabilità. Osserva ancora il Collegio che: l’effetto certo dell’abbandono del criterio tradizionale è quello dell’incremento del contenzioso, mentre, a legislazione vigente, i possibili vantaggi sembrano del tutto ipotetici; l’art. 211 del codice dei contratti pubblici non si muove nella logica del mutamento in senso oggettivo dell’interesse dell’operatore economico o del partecipante alla gara, in quanto l’interesse pubblico del quale è titolare l’Anac è del tutto distinto da quello del privato, che ha l’interesse primario ad aggiudicarsi la gara e, soltanto laddove l’aggiudicazione divenisse impossibile, rileverebbe l’interesse strumentale alla riedizione della procedura della gara; l’art. 120, comma 2 bis, ha portata innovativa, in quanto attribuisce rilevanza e protezione immediata a un interesse procedimentale, ma non si può trarre da tale disposizione una tensione espressiva di un principio generale secondo cui tutti i vizi del bando dovrebbero essere immediatamente denunciati, ancorché non strutturantisi in prescrizioni immediatamente lesive in quanto escludenti. Con l’art. 120, comma 2 bis, sembra che il legislatore abbia voluto perimetrare l’interesse procedimentale di cui favorire l’immediata emersione attraverso una puntuale e restrittiva indicazione dell’oggetto del giudizio da celebrarsi con il rito superaccelerato. L’intento del legislatore è stato quello, infatti, di definire prontamente la platea dei soggetti ammessi alla gara in un momento antecedente all’esame delle offerte, creando un nuovo modello complessivo di contenzioso a duplice sequenza, disgiunto per fasi successive del procedimento di gara, dove la raggiunta certezza preventiva circa la res controversa della prima è immaginata come presupposto di sicurezza della seconda, “e ciò è avvenuto attraverso l’emersione anticipata di un distinto interesse di natura strumentale (sia pure di nuovo conio, come definito in dottrina) che, comunque, rimane proprio e personale del concorrente, e quindi distinto dall’interesse generale alla correttezza e trasparenza delle procedure di gara; f) né potrebbe sostenersi che la scelta “limitativa” del legislatore possa essere tacciata di illogicità, essendo sufficiente in proposito porre in luce che l’anticipata emersione di tale interesse procedimentale si giustifica in quanto la maggiore o minore estensione della platea dei concorrenti incide oggettivamente sulla chance di aggiudicazione (il che non avviene in riferimento a censure attingenti clausole non escludenti del bando che perseguono semmai la diversa – e subordinata- ottica della ripetizione della procedura)”.

Nelle ipotesi in cui vi è onere di impugnazione immediata del bando, il termine decorre dalla piena conoscenza dello stesso. L'effetto della conoscenza legale si produce quando sono state adempiute le formalità pubblicitarie prescritte dall'ordinamento giuridico e, in particolare, dalla data di pubblicazione del medesimo in Gazzetta Ufficiale.

Atto di nomina e di costituzione della commissione di gara

L'atto di nomina e di costituzione della commissione di gara non è immediatamente impugnabile dal partecipante alla gara, trattandosi di tipico atto endoprocedimentale, inidoneo di per sé a ledere la sfera giuridica dell'interessato (T.A.R. Lazio (Roma), n. 11149/2017Cons. St. V, n. 5296/2015; Cons. St. V, n. 92/2015), tanto più che la commissione illegittimamente composta potrebbe stabilire l'affidamento della gara proprio al concorrente che ne abbia impugnato la nomina (T.A.R. Lazio (Roma), n. 9196/2013). Tuttavia, quando si intende far valere una causa di ricusazione o di astensione di un commissario si ritiene applicabile il principio processuale dell'immediata contestazione della causa di incompatibilità del commissario. In questo senso, la giurisprudenza ha ritenuto immediatamente impugnabile il diniego di sostituzione del componente incompatibile, con la conseguente inammissibilità della censura formulata dal ricorrente solo in sede di impugnazione dell'aggiudicazione (Cons. St. V, n. 2188/2008).

Atti di ammissione e di esclusione

Per quanto concerne gli atti di ammissione e di esclusione occorre prendere atto della modifica normativa che ha interessato l'art. 120 mediante l'introduzione del rito c.d. superaccelerato in materia di ammissioni ed esclusioni, che, tuttavia, è stato abrogato dal d.l. 18 aprile 2019, n. 32, rubricato “Disposizioni urgenti per  il  rilancio  del  settore  dei  contratti pubblici, per l'accelerazione degli interventi  infrastrutturali,  di rigenerazione urbana e di ricostruzione a seguito di eventi  sismici” (cd. “Sblocca cantieri”) Ne discende che troveranno , su tali procedure,  nuovamente applicazione i principi e gli orientamenti espressi dalla giurisprudenza anteriormente al 2016 .

In particolare, prima della novella del 2016, l'ammissione di concorrenti in gara era considerato un atto tipicamente preparatorio per il quale era negata l'impugnabilità ex se; i relativi vizi potevano essere fatti valere in sede di ricorso avverso il provvedimento di aggiudicazione sfavorevole per l'istante (T.A.R. Piemonte, n. 1322/2012; Cons. St. VI, n. 6990/2006).

Al contrario, immediatamente impugnabile è sempre stato considerato il provvedimento di esclusione dalla gara (C.g.a Sicilia, n. 584/2021), in quanto atto autonomamente lesivo della situazione giuridica del concorrente. Con la precisazione, tuttavia, che l'interesse finale che un soggetto escluso fa valere è quello di assicurarsi il bene della vita cui mira, ossia l'aggiudicazione, e la rimozione dell'esclusione costituisce un passaggio solo strumentale al relativo perseguimento. Di conseguenza, anche la successiva aggiudicazione deve essere impugnata dal concorrente e, in difetto di tempestiva impugnazione, il ricorso avverso l'esclusione deve essere dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse (Cons. St., n. 2625/2013). Di regola, l'interesse a ricorrere del concorrente deriva dal mero provvedimento di esclusione. Tuttavia, tale soluzione incontra un temperamento nel caso in cui il sistema di gara sia quello del prezzo più basso e al momento dell'impugnazione dell'esclusione o successivamente siano noti i ribassi offerti, potendosi quindi evincere con certezza se il ricorrente escluso, in caso di ammissione, avrebbe o meno vinto la gara. Diversamente, una tale prova non è necessaria, in ipotesi di sistema di gara con il metodo dell'offerta economicamente più vantaggiosa, in cui il concorrente non è in grado di dimostrare con certezza che la propria offerta sarebbe risultata aggiudicataria, atteso che l'esito della gara dipende dalla valutazione delle offerte tecniche svolte dalla commissione di gara e l'offerta dell'escluso non è stata valutata (Cons. St. VI, n. 3555/2011). In caso di impugnazione dell'esclusione quando la gara non è ancora stata aggiudicata si è negato che il futuro aggiudicatario sia controinteressato o che siano individuabili controinteressati. Al contrario, in caso di impugnazione dell'esclusione quando la gara è stata già aggiudicata, sembra prevalente l'orientamento che qualifica come controinteressata l'aggiudicataria della gara (Cons. St. V, n. 7374/2006).

Le conclusioni indicate andavano, tuttavia, rimeditate alla luce del disposto dell'art. 12, come modificato in seguito all'entrata in vigore del d.lgs. n. 50/2016, il quale, con l'introduzione del comma 2-bis, ha previsto che il provvedimento che determina le esclusioni e le ammissioni all'esito della valutazione dei requisiti soggettivi, economico-finanziari e tecnico-professionali va impugnato nel termine di trenta giorni, in origine decorrente dalla sua pubblicazione sul profilo del committente della stazione appaltante, ai sensi dell' articolo 29, comma 1, del d.lgs. n. 50/2016. Il correttivo al codice dei contratti pubblici del 2017, tuttavia, ha modificato l' art. 29, comma 1, del d.lg. n. 50/2016, prevedendo che entro il termine di due giorni dalla data di adozione dell'atto (di ammissione o di esclusione) è dato avviso ai candidati e ai concorrenti, con le modalità di cui all' art. 5 bis del d.lg. n. 82/2005, recante il Codice dell'amministrazione digitale o strumento analogo negli altri Stati membri, di detto provvedimento, indicando l'ufficio o il collegamento informatico ad accesso riservato dove sono disponibili i relativi atti. Il termine per l'impugnativa di cui all'art. 120, comma 2 bis, decorre dal momento in cui gli atti di cui al secondo periodo sono resi in concreto disponibili, corredati di motivazione. L'omessa impugnazione preclude la facoltà di far valere l'illegittimità derivata dei successivi atti delle procedure di affidamento, anche con ricorso incidentale. Il rito superspeciale è stato tuttavia abrogato, come anticipato, dal d.l. 18 aprile 2019, n. 32

In linea teorica, anche alla luce del carattere accelerato del rito, il giudizio dovrebbe concludersi anteriormente all'aggiudicazione. Tuttavia, in caso di sopravvenienza dell'aggiudicazione, in corso di causa sull'ammissione o sull'esclusione di un concorrente, a pena di improcedibilità, il ricorrente dovrà impugnare anche l'aggiudicazione.

Aggiudicazione

Nella fase di conclusione della gara, in base alle previsioni del d.lgs. n. 163/2006, veniva normalmente adottato un provvedimento di aggiudicazione provvisoria, cui faceva seguito, dopo i dovuti riscontri della stazione appaltante e gli atti di controllo, il provvedimento di aggiudicazione definitiva. L'aggiudicazione provvisoria non è l'atto conclusivo del procedimento, ma un atto preparatorio che produce solo effetti prodromici, con la conseguenza che non vi è un onere di immediata impugnazione della stessa (Cons. St. IV, n. 5714/2002). In relazione all'aggiudicazione provvisoria, la giurisprudenza era originariamente orientata nel senso di escluderne l'autonoma impugnabilità (Cons. St. V, n. 4327/2003). Più di recente, tuttavia, la prevalente ricostruzione giurisprudenziale ammetteva la facoltà di un'autonoma impugnazione dell'aggiudicazione provvisoria, salvo l'onere per il ricorrente di impugnare, poi, anche la successiva aggiudicazione definitiva a pena di improcedibilità (Cons. St. IV, n. 854/2016; Cons. St. V, n. 631/2016). L'aggiudicazione definitiva non è infatti atto meramente esecutivo o confermativo, ma atto che, anche quando recepisce il contenuto dell'aggiudicazione provvisoria, comporta comunque un'autonoma valutazione, con la conseguenza che l'aggiudicazione provvisoria ha un effetto viziante e non caducante sull'aggiudicazione definitiva (Cons. St. VI, n. 2482/2011). La giurisprudenza ha osservato che nelle ipotesi in cui gli atti, anche se facenti parte della stessa sequenza procedimentale, non siano tra loro collegati da un nesso di dipendenza perché l'atto successivo comporta un'autonoma valutazione, l'atto successivo deve essere autonomamente impugnato. Nel rapporto tra aggiudicazione provvisoria e aggiudicazione definitiva l'impugnazione della prima non esonera dall'onere di impugnare anche la seconda pena l'improcedibilità del ricorso, perché l'aggiudicazione definitiva contiene una nuova e autonoma valutazione rispetto a quella provvisoria, pur facendo parte della stessa sequenza procedimentale.

L'impresa partecipante ad una gara pubblica ha, quindi, la mera facoltà d'impugnare immediatamente l'aggiudicazione provvisoria, ma se ha scelto la via dell'immediata contestazione dell'aggiudicazione provvisoria è comunque tenuta a rispettare il termine perentorio di impugnativa e, pertanto, ha l'onere di dedurre, nei confronti degli atti conosciuti al momento della proposizione del ricorso diretto contro l'aggiudicazione provvisoria, tutti i motivi di doglianza, con la conseguenza che, in occasione dell'impugnazione dell'aggiudicazione definitiva, non potrà dedurre motivi che avrebbe potuto proporre in precedenza e non ha originariamente articolato (Cons. St. IV, n. 5497/2014).

Con la riforma del 2016, il legislatore ha, da un lato, eliminato l'aggiudicazione provvisoria, facendo riferimento alla proposta di aggiudicazione, al fine di esaltarne il carattere interinale e non provvedimentale ( art. 33, comma 1, d.lgs. n. 50/2016), dall'altro, escluso l'autonoma impugnabilità della proposta di aggiudicazione ( art. 120, comma 2-bis, d.lgs. n. 104/2010). Ne deriva che l'eventuale autonoma impugnazione della proposta di aggiudicazione deve essere dichiarata inammissibile da parte dell'autorità giudiziaria adita. La proposta di aggiudicazione e gli altri atti endoprocedimentali devono tuttavia ritenersi solo non autonomamente impugnabili, con la conseguenza che i relativi vizi potranno essere fatti valere in sede di impugnazione dell'atto conclusivo del procedimento, cioè dell'aggiudicazione.  La disposizione che impediva, tuttavia, l’autonoma impugnabilità della proposta di aggiudicazione è stata tuttavia abrogata dal d.l. 18 aprile 2019, n. 32.

I medesimi principi e la distinzione emersa tra aggiudicazione definitiva e provvisoria possono trovare applicazione nei rapporti tra bando e aggiudicazione. In linea generale, per quanto concerne il rapporto di presupposizione tra atti inseriti all'interno di un unico procedimento, si deve distinguere tra invalidità ad effetto caducante e invalidità ad effetto viziante. Nel primo caso l'annullamento dell'atto presupposto determina l'automatica caducazione dell'atto consequenziale, senza la necessità di un'autonoma impugnazione. In ipotesi di invalidità ad effetto viziante, al contrario, la caducazione dell'atto a valle ne richiede la relativa impugnazione. In base a tale distinzione si ritiene non necessaria l'impugnazione dell'atto finale quando sia già stato impugnato l'atto presupposto e tra i due atti vi sia un rapporto di consequenzialità immediata, diretta e necessaria, nel senso che l'atto successivo si pone come inevitabile conseguenza di quello precedente perché non vi sono nuove e ulteriori valutazioni di interessi né del destinatario dell'atto presupposto né di altri soggetti. Al contrario, nell'ipotesi in cui l'atto finale non costituisca un'inevitabile conseguenza dell'atto preparatorio, perché la sua adozione implica nuove e ulteriori valutazioni di interessi, anche di terzi soggetti, l'immediata impugnazione non incide sulla necessità di valutare anche l'atto finale, pena l'improcedibilità del primo ricorso. In caso di invalidità integrale del bando si produce la caducazione della graduatoria e dell'aggiudicazione definitiva in via automatica. Il legame di effettiva presupposizione necessaria incide su tutti gli atti della sequenza procedimentale, comportando la necessità di tutelare il diritto di difesa dei controinteressati e l'esigenza di rispettare il principio di economia dei mezzi processuali, al fine di limitare la proposizione di opposizioni di terzo avverso la sentenza che pronunci la caducazione automatica della graduatoria (Cons. St. V, n. 6289/2008).

Legittimazione attiva e partecipazione alla gara

Condizione di ammissibilità del giudizio dinanzi al giudice amministrativo è la titolarità in capo alla parte istante di una situazione di interesse legittimo o, in ipotesi di giurisdizione esclusiva, di diritto soggettivo. Anche a tale riguardo è possibile notare nella evoluzione normativa e giurisprudenziale la progressiva estensione delle fattispecie nelle quali essa viene positivamente rilevata. Secondo la giurisprudenza comunitaria, in conformità con quella nazionale, gli Stati membri devono garantire l'accesso alle procedure di ricorso a chiunque abbia o abbia avuto un interesse a ottenere l'affidamento di un determinato appalto pubblico e che sia stato o rischi di essere leso a causa di una violazione. Pertanto, almeno in astratto, non è necessaria la qualifica formale di offerente o candidato. Secondo l'interpretazione interna del sistema, in linea teorica la legittimazione al ricorso è correlata ad una situazione differenziata conseguente alla partecipazione alla gara. Tale regola subisce deroghe solo nei casi: di soggetto che contesti in radice la scelta della stazione appaltante di indire la procedura comparativa, di operatore economico di settore che contesti un affidamento diretto dell'appalto o che manifesti l'intenzione di impugnare una clausola escludente del bando correlata all'illegittima richiesta del possesso di determinati requisiti di qualificazione. Peraltro, tali deroghe, in quanto connesse a ragioni peculiari, non comportano l'introduzione nel sistema di una nozione di legittimazione al ricorso fondata sulla mera qualificazione di imprenditore potenzialmente aspirante all'indizione di una nuova gara. Dunque, la legittimazione del soggetto che impugna la decisione di indire una gara è ammessa nei soli casi in cui questi dimostri un'adeguata posizione differenziata, costituita ad esempio dalla titolarità di un rapporto incompatibile con il nuovo affidamento contestato.

Pertanto, la regola è che solo i soggetti partecipanti alla gara sono titolari di una situazione giuridica soggettiva idonea ad ammetterne l'impugnazione degli atti, perché solo in questo caso si ha una posizione differenziata, qualificata e meritevole di tutela ( Cons. St. Ad. plen., n. 4/2011). Se il soggetto non ha partecipato alla procedura competitiva o ne è stato escluso legittimamente non può impugnare gli atti di gara. Il concorrente escluso deve prima impugnare la sua esclusione e, qualora l'impugnazione abbia esito positivo, può allora impugnare gli atti di gara. Ne discende che se la domanda avverso l'esclusione è rigettata quella relativa agli atti di gara deve essere dichiarata improcedibile. Il concorrente che sia stato legittimamente escluso non ha un'aspettativa diversa e maggiormente qualificata di quella che si può riconoscere in capo ad un qualunque soggetto che alla prima gara non abbia partecipato, atteso che l'esclusione elimina in radice il titolo di partecipazione su cui si fonda la legittimazione al ricorso. In questo senso si è espressa l'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ( Cons. St.,Ad. plen., n. 9/2014) riaffermando il principio che, con riferimento alle controversie aventi ad oggetto gare di appalto, è legittimato a proporre il ricorso esclusivamente l'operatore economico che abbia partecipato alla procedura oggetto di contestazione, giacché solo in tale ipotesi il ricorrente è titolare di una situazione differenziata e meritevole di tutela. Anche la Corte Costituzionale (Corte cost. n. 245/2016) ha aderito a tale orientamento, rilevando l'inammissibilità del ricorso proposto da imprese che non avevano presentato domanda di partecipazione alla gara. In particolare, le clausole impugnate di un bando per un lotto unico di ambito regionale incidevano sulle possibilità di aggiudicazione delle ricorrenti che si ridurrebbero fino quasi ad azzerarsi, mentre, in presenza di una gara dimensionata su base provinciale e suddivisa in lotti, esse avrebbero avuto elevate probabilità di aggiudicarsi il servizio, anche per il vantaggio di essere state le precedenti gestrici del servizio. Secondo la Corte Costituzionale da tale motivazione non è possibile individuare un impedimento certo e attuale alla partecipazione alla gara, ma la prospettazione di una lesione solo eventuale, denunziabile da parte di chi abbia partecipato alla procedura ed esclusivamente all'esito della stessa in caso di mancata aggiudicazione.

In via eccezionale, la giurisprudenza consente l'impugnazione da parte del soggetto che non ha partecipato alla gara (Cons. St. III, n. 3391/2012) qualora l'impresa: contesti in radice l'indizione della gara (Cons. St. IV, n. 1560/2016); contesti la mancata indizione della gara in quanto la pubblica amministrazione ha provveduto all'affidamento in via diretta del contratto; impugni una clausola del bando assumendo che questa sia immediatamente escludente.

In particolare, nell'ipotesi in cui il ricorrente contesti in radice la procedura di gara, la mancata partecipazione alla gara, ostativa all'ammissibilità del ricorso, è del tutto equiparabile alla situazione di chi ne sia stato legittimamente escluso. La Corte Costituzionale (Corte cost., n. 245/2016) ha interpretato il principio nel senso che è inammissibile il ricorso proposto dall'impresa che non ha partecipato alla gara quando non è assolutamente certo ma soltanto altamente probabile che, per effetto della strutturazione della gara o della normativa di gara, l'impresa stessa non potrebbe conseguire l'aggiudicazione (Cons. St. IV., n. 481/2017). Una giurisprudenza di merito (T.A.R. Liguria, n. 263/2017) ha rimesso alla Corte di Giustizia dell'Unione europea la questione se gli artt. 1, parr. 1, 2 e 3, e l'art. 2, par. 1, lett. b), della dir. cee n. 89/665/Cee ostino ad una normativa nazionale che riconosca la possibilità di impugnare gli atti di una procedura di gara ai soli operatori economici che abbiano presentato domanda di partecipazione alla gara stessa, anche qualora la domanda giudiziale sia volta a sindacare in radice la procedura, derivando dalla disciplina della gara un'altissima probabilità di non conseguire l'aggiudicazione. Si sottolinea, in particolare, nell'ordinanza che la possibilità di accedere alla tutela giurisdizionale sarebbe condizionata alla partecipazione alla gara, che comporta di per sé rilevanti oneri, e ciò anche nel caso in cui l'impresa intendesse contestarne la legittimità per essere la gara stessa eccessivamente restrittiva della concorrenza, partecipazione che si renderebbe del tutto inutile dal momento che le chances di aggiudicazione sarebbero, fin dall'inizio, inesistenti o estremamente limitate.

Il Consiglio di Stato (Cons. St. III, n. 5138/2017) ha tuttavia rimesso all’Adunanza Plenaria la questione della legittimazione a contestare la scelta del criterio di aggiudicazione, chiedendo di precisare se l’evoluzione del sistema della procedura di gara e l’interesse al corretto svolgimento della procedura di gara, che sembra emergere da alcune disposizioni del codice dei contratti pubblici e del codice del processo amministrativo, consentano di ritenere che sia legittimato a contestare il criterio di scelta il solo operatore economico che abbia presentato domanda di partecipazione oppure se la legittimazione possa ormai intendersi estesa agli operatori economici del settore, anche in difetto della domanda di partecipazione alla gara.

L’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato  (Cons. St., Ad. plen., n. 4/2018) ha, tuttavia, dato continuità all’indirizzo interpretativo maggioritario secondo il quale le clausole del bando di gara che non rivestono portata escludente devono essere impugnate unitamente al provvedimento lesivo e possono essere impugnate unicamente dall’operatore economico che abbia partecipato alla gara o manifestato formalmente il proprio interesse alla procedura. Pertanto, le clausole non escludenti del bando vanno impugnate unitamente al provvedimento che rende attuale la lesione, rappresentato dall’aggiudicazione.

La Corte di Giustizia UE (Corte giust. UE, 21 dicembre 2016, C- 355) ha evidenziato che l' art. 1, par. 3, della dir. ce 89/665/Cee non osta a che ad un offerente escluso dalla gara sia negato l'accesso alle procedure di ricorso per contestare gli atti di gara ivi compreso il provvedimento di aggiudicazione. La definitività del provvedimento di esclusione determina che il concorrente escluso è privo della legittimazione ad impugnare i successivi atti di gara ( Cons. St., Ad. plen., n. 4/2011).

Raggruppamenti temporanei

In caso di raggruppamenti temporanei, la giurisprudenza amministrativa riconosce la legittimazione al ricorso non solo alla capogruppo, ma anche ai singoli imprenditori che hanno sottoscritto l'offerta congiunta, in considerazione dell'autonomo interesse di ciascuno al legittimo svolgimento della procedura concorsuale e in mancanza di un centro unitario di imputazione degli interessi (Cons. gius. reg. amm., n. 247/2007). In ogni caso, nell'ipotesi in cui agisca la sola capogruppo in qualità di mandataria degli altri raggruppati, la sentenza di accoglimento ha effetto anche nei confronti degli altri.

Nel medesimo senso la Corte di Giustizia ha precisato che la legittimazione processuale va riconosciuta, oltre che al mandatario dell'associazione temporanea di imprese anche al singolo componente. L' art. 1 della dir. 89/665/Cee deve infatti essere interpretato nel senso che non osta a che, secondo il diritto nazionale, il ricorso contro una decisione di aggiudicazione di un appalto pubblico possa essere proposto a titolo individuale da uno soltanto dei membri di un'associazione temporanea priva di personalità giuridica, la quale abbia partecipato in quanto tale alla procedura di aggiudicazione dell'appalto e non se lo sia visto attribuire (Corte. Giust. CE, 4 ottobre 2007, C-492/06).

Interesse ad agire

L'interesse al ricorso riveste connotazione meramente processuale. Con esso si intende che l'impugnativa, in relazione al contenuto ed alla natura dell'atto gravato, alle censure dedotte ed alla situazione di fatto del ricorrente, deve necessariamente tendere al conseguimento di una concreta utilità di questi, sia essa di contenuto economico o anche soltanto morale. Ove siffatta utilità manchi ab origine, il ricorso è dichiarato inammissibile; se, originariamente presente, essa venga a mancare in corso di giudizio, il ricorso è dichiarato improcedibile (Caianiello; Ferrara). L'utilità del ricorso può atteggiarsi in due diverse forme: può anzitutto configurarsi nel fatto che all'eventuale accoglimento del ricorso consegua necessariamente l'affidamento dei lavori all'istante; può, poi, configurarsi nel fatto che all'accoglimento del ricorso consegua non immediatamente la nuova aggiudicazione all'istante, bensì la mera rinnovazione, in tutto o in parte, della gara, interesse cosiddetto strumentale (Fantini).

In questo senso, la giurisprudenza (Cons. St. V, n. 5296/2015) ha osservato che, nel processo amministrativo, il ricorrente, che ha partecipato legittimamente alla gara pubblica, può far valere tanto un interesse finale al conseguimento dell'appalto affidato al controinteressato quanto, in via alternativa e normalmente subordinata, l'interesse strumentale alla caducazione dell'intera gara e alla sua riedizione, sempre che sussistano, in concreto, ragionevoli possibilità di ottenere l'utilità richiesta. La distinzione tra le due forme di interesse rileva anche ai fini della cosiddetta prova di resistenza prevista solo in relazione all'interesse finale al conseguimento dell'appalto.

In particolare, il giudice adito deve svolgere la indicata prova di resistenza con riferimento alla posizione del ricorrente rispetto alla procedura selettiva le cui operazioni sono sospettate come illegittime, con la conseguenza che egli deve dichiarare inammissibile il ricorso nel caso in cui, in esito a una verifica svolta a priori, risulti che la parte ricorrente non sarebbe comunque risultata aggiudicataria anche nel caso di fondatezza del merito del ricorso (Cons. St. V, n. 1495/2016). Pertanto, nel caso in cui il partecipante alla gara sia collocato oltre il secondo posto nella graduatoria definitiva, non ha un interesse tutelato all'esclusione dalla procedura selettiva dell'offerta risultata aggiudicataria, non essendo essa in grado di determinare alcun vantaggio per il ricorrente; l'interesse potrà riscontrarsi solo nel caso in cui il concorrente abbia chiesto l'esclusione dalla gara di tutti gli altri concorrenti che si sono classificati in posizione potiore in graduatoria (Cons. St. IV, n. 749/2014).

Con riferimento all'interesse strumentale (Cons. St. IV, n. 4986/2015), nel caso di ricorso avverso gli atti di una procedura di evidenza pubblica, l'interesse ad agire sussiste allorché si possa ipotizzare che, in caso di accoglimento, il ricorrente debba aggiudicarsi la gara, ovvero in subordine che la gara debba essere ripetuta (interesse strumentale). L'interesse strumentale tutelabile non è quello di ottenere l'esclusione dell'aggiudicatario tout court, ma quello di ottenere che, attraverso l'esclusione, l'amministrazione riediti il potere, bandisca una nuova gara e sia così soddisfatta la futura chance partecipativa del ricorrente: non si tratta quindi di un interesse «emulativo», ma di un interesse patrimoniale diretto, seppur futuro. Nel caso di una gara a cui abbiano partecipato più imprese, ed in relazione alla quale la stazione appaltante abbia la possibilità di procedere scorrendo la graduatoria, la non aggiudicataria (che è stata o che doveva essere esclusa) potrebbe in teoria introdurre nel procedimento giurisdizionale motivi volti alla coltivazione del proprio strumentale interesse alla riedizione della procedura; tuttavia, ove essa non faccia ciò, e si limiti a sostenere che l'aggiudicataria doveva essere esclusa, deve ritenersi mancante l'interesse a coltivare le dette doglianze ed il ricorso deve essere dichiarato improcedibile.

In ogni caso, la stipulazione del contratto non priva il ricorrente dell'interesse ad ottenere una pronuncia dichiarativa dell'illegittimità della propria esclusione, anche ai soli fini risarcitori, il che esclude che possa pervenirsi in tal caso a una dichiarazione di improcedibilità del giudizio (Cons. St. V, n. 5642/2011).

L'idoneità dell'interesse strumentale a descrivere l'interesse ad agire in giudizio era stata messa in discussione dalla giurisprudenza (Cons. St. VI, n. 351/2011) che lo aveva inteso come interesse non legittimo. A fronte di un interesse, ipotetico, al rinnovo della gara vengono sacrificati l'interesse pubblico, attuale e concreto, alla realizzazione dell'opera in tempi ragionevoli e l'interesse del privato beneficiario dell'aggiudicazione. Nel momento in cui partecipa alla procedura, l'interesse della ricorrente è quello alla vittoria della specifica gara a cui ha partecipato e non al rinnovo della gara previo nuovo bando.

Tuttavia, l'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ( Cons. St.,Ad. plen., n. 4/2011) ha confermato la configurabilità dell'interesse strumentale sia pure ritenendo che l'esame della legittimazione preceda quello dell'interesse. L'interesse strumentale è infatti collegato a una posizione giuridica attiva, protetta dall'ordinamento giuridico, la cui soddisfazione è realizzabile unicamente attraverso il rinnovo dell'attività amministrativa.

Casistica: il rapporto tra ricorso principale e ricorso incidentale

 

Occorre premettere che il ricorso incidentale è diretto ad assolvere la funzione di garantire alla parte resistente la conservazione dell'assetto di interessi esistente. Ne discende che il ricorso incidentale presenta carattere accessorio rispetto al ricorso principale e l'interesse a ricorrere sorge solo in seguito alla proposizione del ricorso principale. Ne discende l'inammissibilità del ricorso incidentale proposto avverso l'ammissione alla gara di un concorrente diverso da quello principale e che sia del tutto indipendente dall'impugnazione principale, dovendo in tal caso la posizione dell'operatore economico diverso dal ricorrente principale impugnata con autonomo ricorso principale (Cons. St. III, n. 1902/2018).

Una delle questioni processuali più controverse in materia di contratti pubblici è quella che interessa il rapporto tra ricorso principale e ricorso incidentale escludente (Presutti; Villata), del quale verranno descritti i principali passaggi giurisprudenziali. Occorre premettere che, nel contenzioso sui pubblici appalti, non sussistono controinteressati in caso di impugnazione di atti generali, quali bandi di gara o lettere di invito, mentre, in caso di impugnazione dell'aggiudicazione, unico controinteressato è l'operatore aggiudicatario.

Pertanto, in caso di impugnazione dell'aggiudicazione, il ricorso, tendendo alla sostituzione dell'aggiudicatario o al travolgimento delle operazioni concorsuali, deve essere notificato necessariamente all'aggiudicatario o, comunque, a tutti i soggetti in posizione utile (Cons. St. V, n. 6289/2008), come accade nell'ipotesi in cui il terzo classificato contesti sia la posizione del primo che del secondo classificato.

In linea teorica, il ricorso incidentale va esaminato dopo quello principale e solo in caso di riconosciuta fondatezza di quest'ultimo, operando come un'eccezione processuale in senso stretto. Tuttavia, anche a prescindere dall'esistenza di ragioni di economia processuale, la giurisprudenza e la dottrina hanno indicato ipotesi in cui l'esame del ricorso incidentale debba o possa precedere l'esame del ricorso principale. In particolare, una tale circostanza si verifica nelle ipotesi in cui sia proposto un ricorso incidentale tendente a paralizzare il ricorso principale per ragioni di ordine processuale (legittimazione o interesse a ricorrere). Una tipica ipotesi si riscontra qualora il ricorso principale sia proposto dal concorrente secondo classificato, mentre il ricorso incidentale sia rivolto contro l'ammissione del ricorrente principale. In questa ipotesi, l'accoglimento del ricorso incidentale comporta l'inammissibilità, per difetto di legittimazione all'impugnazione, del ricorso principale. Manca, pertanto, una qualsiasi valutazione sulla legittimità del provvedimento impugnato per le censure dedotte con il ricorso principale, posto che ragioni processuali ostano all'esame del merito dello stesso.

Ulteriori problematiche applicative sono emerse in ipotesi di gara di appalto con soli due concorrenti utilmente classificati. In questo caso, secondo una ricostruzione, l'accoglimento del ricorso incidentale non incide sulla procedibilità del ricorso principale, in quanto il ricorrente principale è titolare di un interesse all'esame del merito della sua impugnazione, rappresentato dall'interesse strumentale al rinnovo integrale della procedura selettiva. In tal caso, all'eventuale accoglimento di entrambi i ricorsi potrà seguire un integrale rinnovo delle operazioni di gara. Una differente ricostruzione, invece, non distingue l'esito del giudizio sulla base del numero dei partecipanti alla gara, osservando che anche nel caso di due concorrenti dovrebbe riscontrarsi la perdita di legittimazione del ricorrente principale.

In caso di due imprese partecipanti alla gara, l'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ( Cons. St.,  Ad. plen. , n. 11/2008) aveva manifestato adesione all'orientamento in base al quale occorreva dapprima esaminare il ricorso incidentale contro l'atto di ammissione alla gara del ricorrente principale e, poi, nel caso di sua fondatezza, occorreva esaminare le censure di questi contro l'ammissione della aggiudicataria. Tale conclusione era in particolare argomentata muovendo dalla nozione di interesse strumentale alla ripetizione della gara e dalla prevalenza della parità delle parti sull'ordine di trattazione delle questioni. Ciò premesso, osservava la giurisprudenza che, qualora l'accoglimento di uno dei due ricorsi sortisca l'effetto di vanificare l'intera gara (come in ipotesi di impugnazione del bando di gara da parte di uno dei concorrenti), occorre esaminare in via prioritaria tale ricorso, con conseguente inutilità dell'esame dell'altro ricorso che miri solo all'esclusione di uno dei due concorrenti (Cons. St. VI, n. 3404/2009).

La questione fu poi nuovamente sottoposta all'esame dell'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ( Cons. St.,  Ad. plen. , n. 4/2011), che, discostandosi dalle conclusioni alle quali era pervenuta nel 2008, ha ritenuto che l'esame del ricorso incidentale escludente – diretto cioè a contestare l'ammissione alla gara del ricorrente principale – ha carattere prioritario anche nel caso in cui il ricorrente incidentale faccia valere il suo interesse strumentale alla rinnovazione della gara. Tale regola trova applicazione a prescindere dal numero di partecipanti alla procedura selettiva, dal tipo di censura proposta e dalla richieste formulate dall'amministrazione resistente. La sentenza ritiene che la parità delle parti e l'imparzialità del giudice non intacchino le regole sull'ordine di esame delle questioni di rito e di merito, fissato dal codice del processo amministrativo e che la questione della legittimazione al ricorso sia prioritaria rispetto al merito e rilevabile d'ufficio dal giudice. Ne discende che la legittimazione spetta solo a chi partecipa legittimamente alla gara e il concorrente escluso o illegittimamente ammesso alla gara, non rientrando in tale categoria, non può svolgere tale contestazione.

Le conclusioni dell'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato non erano state seguite in senso generalizzato dalla giurisprudenza amministrativa la quale, talvolta, precisava che la priorità logica del ricorso incidentale non deve precludere, in casi particolari, l'esame del ricorso principale, qualora il ricorrente principale faccia valere un interesse giuridicamente tutelato diverso rispetto a quello finalizzato a ottenere l'aggiudicazione dell'appalto (T.A.R. Lazio (Roma), n. 197/2012; T.A.R. Piemonte n. 208/2012), altre volte si esprimeva nel senso di rimettere alla stazione appaltante la decisione di agire in autotutela per un'eventuale riedizione della procedura di gara (T.A.R. Abruzzo (L'Aquila), n. 424/2013).

La Corte di giustizia dell'Unione europea ha stabilito che l' art. 1, par. 3, della dir ce 89/665/Cee del Consiglio deve essere interpretato nel senso che se, in un procedimento di ricorso, l'aggiudicatario che ha ottenuto l'appalto e proposto ricorso incidentale solleva un'eccezione di inammissibilità fondata sul difetto di legittimazione a ricorrere dell'offerente che ha proposto il ricorso, con la motivazione che l'offerta da questi presentata avrebbe dovuto essere esclusa dall'autorità aggiudicatrice per non conformità alle specifiche tecniche indicate nella lex specialis, tale disposizione osta al fatto che il suddetto ricorso principale sia dichiarato inammissibile in conseguenza dell'esame preliminare di tale eccezione di inammissibilità senza pronunciarsi sulla conformità con le specifiche tecniche sia dell'offerta dell'aggiudicatario che ha ottenuto l'appalto, sia di quella dell'offerente che ha proposto il ricorso principale (Corte giustizia UE, sez. X, 4 luglio 2013, C-100/12).

In seguito alla sentenza della Corte di Giustizia, l'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha affermato che nel giudizio avente ad oggetto procedure di gara sussiste la legittimazione del ricorrente in via principale ad impugnare l'aggiudicazione disposta a favore del solo concorrente rimasto in gara, esclusivamente quando le due offerte siano affette da vizio inerente la medesima fase procedimentale. L'Adunanza plenaria, riprendendo la giurisprudenza europea, ha affermato che deve escludersi che il motivo identico possa essere individuato equiparando l'identità della causa all'identità dell'effetto, dovendosi ritenere comune la causa di esclusione che afferisce alla medesima sub fase del segmento procedimentale destinato all'accertamento del titolo di ammissione alla gara dell'impresa e della sua offerta, correlando le sorti delle due concorrenti in una situazione di simmetria invalidante. Devono, in particolare, ritenersi afferenti alla medesima fase i vizi ricompresi esclusivamente all'interno delle seguenti tre, alternative, categorie: a) tempestività della domanda ed integrità dei plichi (trattandosi in ordine cronologico e logico dei primi parametri di validazione del titolo di ammissione alla gara); b) requisiti soggettivi generali e speciali di partecipazione dell'impresa (comprensivi dei requisiti economici, finanziari, tecnici, organizzativi e di qualificazione); c) carenza di elementi essenziali dell'offerta previsti a pena di esclusione (comprensiva delle ipotesi di incertezza assoluta del contenuto dell'offerta o della sua provenienza). Sono, quindi, identici, e dunque consentono l'esame incrociato, solo i vizi che afferiscono alla medesima categoria. Laddove, al contrario, i vizi fatti valere dalle parti non soddisfino il requisito della «simmetria escludente», perché sussumibili in diverse categorie, occorrerà esaminare (cfr. Cons. St.,  Ad. plen. , n. 4/2011) in via preliminare il ricorso incidentale escludente, salvo il caso in cui il ricorso principale risulti manifestamente infondato, inammissibile, irricevibile o improcedibile ( Cons. St.,  Ad. plen. , n. 9/2014). L'obbligo di esaminare in ogni caso entrambi i ricorsi era stato quindi limitato al fatto che si versasse all'interno del medesimo procedimento, gli operatori rimasti in gara fossero solo due, il vizio delle offerte fosse identico per entrambe.

La questione è stata nuovamente affrontata dalla Corte di Giustizia dell'Unione europea, che ha sancito il contrasto con l'art. 1, par. 3, dir Ce 89/665/Ceedella pregiudizialità paralizzante del ricorso incidentale, dichiarando irrilevante ai fini della corretta applicazione dei principi affermati nel proprio precedente: il numero di partecipanti alla procedura di aggiudicazione dell'appalto pubblico; il numero di partecipanti che hanno presentato ricorsi; la divergenza dei motivi dai medesimi dedotti (Corte giust. UE, grande sez., 5 aprile 2016, C-681/13, cosiddetta sentenza «Puligienica»). La Corte riafferma il principio secondo cui la direttiva ricorsi osta a che un ricorso principale proposto da un offerente, il quale abbia interesse a ottenere l'aggiudicazione di un determinato appalto e che sia stato o rischi di essere leso a causa di una presunta violazione del diritto dell'Unione in materia di appalti pubblici o delle norme che traspongono tale diritto, e diretto a ottenere l'esclusione di un altro offerente, sia dichiarato irricevibile in applicazione di norme processuali nazionali che prevedono l'esame prioritario del ricorso incidentale presentato da detto altro offerente.

La giurisprudenza interna (in particolare, Cons. St. III, n. 3708/2016) ha proposto la tesi secondo cui, in presenza di concorrenti terzi di cui non si contesti l'ammissione alla gara, per l'esame del ricorso principale deve essere verificata l'insussistenza di possibili ostacoli alla piena operatività della tutela dell'interesse strumentale della parte ricorrente. Secondo la giurisprudenza amministrativa, il principio espresso dalla Corte di Giustizia UE è da analizzarsi con specifico riferimento alla fattispecie concreta oggetto del giudizio principale, riconoscendo che non può ritenersi esistente l'interesse ad agire nei casi in cui dall'accoglimento del ricorso non possa derivare alcun effetto per il ricorrente, neppure limitatamente all'indizione di una nuova procedura. La Terza Sezione ha infatti sottolineato che, nel caso deciso dall'organo di giustizia europeo, si trattava di una gara a cui avevano partecipato anche altre imprese, le quali, tuttavia, erano rimaste estranee al giudizio e delle quali i relativi provvedimenti di esclusione erano rimasti inoppugnati, con conseguente consolidamento degli effetti giuridici di questi ultimi. Di conseguenza, l'eventuale accoglimento del ricorso principale avrebbe soddisfatto l'interesse strumentale alla rinnovazione della procedura di gara, riconoscendo al ricorrente una chance di aggiudicazione dell'appalto controverso. Nello specifico, è stato osservato che l'esame del ricorso principale postula logicamente che l'operatore economico al quale deve essere assicurato un sistema di giustizia effettivo abbia e conservi un interesse all'aggiudicazione dell'appalto. Si è dunque rilevato che la nozione di interesse strumentale processualmente rilevante ex art. 100 c.p.c. non può estendersi fino a ricomprendere anche la situazione in cui dall'accoglimento del ricorso non derivi neanche il limitato effetto dell'indizione di una nuova procedura.

Sulla scorta di tale orientamento, idoneo a incidere sull'ordine di trattazione del ricorso principale e di quello incidentale, è stata (T.A.R. Trentino-Alto Adige (Trento), n. 112/2017) esclusa la necessità di dover sistematicamente esaminare anche il ricorso principale, qualora quello incidentale risulti fondato e di per sé precluda la conservazione di un effettivo interesse in capo al ricorrente principale, quest'ultimo così definibile solo in relazione al momento introduttivo dell'intero giudizio; deve pertanto essere esaminato prioritariamente il ricorso incidentale qualora dall'eventuale accoglimento dello stesso deriverebbe l'inammissibilità o l'improcedibilità del ricorso della società ricorrente principale per difetto di interesse, e successivamente – nel caso di accertata fondatezza – verificare gli effetti anche in ordine all'eventuale permanenza in capo a quest'ultima di un interesse strumentale, peraltro circoscritto nel senso che non possono ravvisarsi gli estremi della condizione dell'azione in una situazione in cui dall'accoglimento del ricorso non derivi neanche il limitato effetto dell'indizione di una nuova procedura.

È stata, invece, affermata (T.A.R. Campania (Napoli), n. 831/2017) la necessità di esaminare sia il ricorso principale che quello incidentale ove sia configurabile un reciproco interesse di entrambi i ricorrenti che, con censure speculari, mirano alla reciproca esclusione, potendo in tal caso tale interesse essere soddisfatto anche con la rinnovazione della gara, indipendentemente dal numero dei partecipanti, non potendosi escludere che anche altre offerte risultino irregolari; nel qual caso l'interesse del ricorrente ben potrebbe trovare soddisfazione anche attraverso l'intermediazione della successiva attività amministrativa e condurre ad esiti non pronosticabili.

La Corte di Giustizia dell'Unione europea (Corte Giust. UE VIII, 21 dicembre 2016, C-355/15) ha poi affermato che il diritto europeo non osta a che a un offerente escluso dalla procedura di gara di un appalto pubblico con una decisione dell'amministrazione aggiudicatrice divenuta definitiva sia negato l'accesso a un ricorso contro la decisione di aggiudicazione dell'appalto pubblico e la conclusione del contratto, allorché a presentare le offerte siano stati unicamente l'offerente escluso e l'aggiudicatario e detto offerente sostenga che anche l'offerta dell'aggiudicatario avrebbe dovuto essere esclusa. Pertanto, in una gara con due soli concorrenti, nel caso in cui l'offerente escluso impugni sia il provvedimento relativo alla propria esclusione che l'altrui aggiudicazione e venga respinto il ricorso contro l'esclusione, correttamente viene negato l'interesse a contestare l'aggiudicazione deducendo che anche l'aggiudicatario andava escluso.

La quinta sezione del Consiglio di Stato (Cons. St. V, 5103/2017) ha rimesso all'Adunanza Plenaria la questione della necessità per l'organo giudicante di esaminare sia il ricorso incidentale escludente che il ricorso principale in una procedura alla quale abbiamo partecipato anche altri concorrenti estranei al giudizio e ai quali non siano comuni i vizi prospettati come motivi di ricorso. La Sezione muove dalla considerazione della persistenza di un contrasto nell'ambito del Consiglio di Stato sul tema. Secondo un primo orientamento, il giudice che ha ritenuto fondato il ricorso incidentale escludente è tenuto ad esaminare anche il ricorso principale solo se dal suo accoglimento può derivare un vantaggio per il ricorrente principale, consistente nella ripetizione della gara; pertanto, in caso di concorrenti rimasti estranei al giudizio, la verifica dell'esistenza dell'interesse strumentale alla riedizione della gara presuppone che sia accertato se i medesimi vizi indicati come motivi di ricorso possano interessare anche le offerte degli operatori rimasti estranei al giudizio, al fine di prospettare un possibile intervento in autotutela dell'amministrazione. Secondo un diverso orientamento la domanda introdotta con il ricorso principale deve essere comunque esaminata, in relazione all'interesse legittimo al corretto svolgimento della procedura di gara; in questo caso occorrerebbe comunque esaminare entrambi i ricorsi, spettando poi all'amministrazione valutare la comunanza dei vizi e decidere eventualmente se annullare l'intera procedura di aggiudicazione.

L'Adunanza plenaria del Consiglio di stato (Cons St. , Ad. Plen., 6/2018) ha rimesso alla Corte di giustizia UE il quesito interpretativo se la normativa europea possa essere interpretata nel senso che essa consenta che allorché alla gara abbiano partecipato più imprese e le stesse non siano state evocate in giudizio sia rimessa al giudice, in virtù dell'autonomia processuale riconosciuta agli Stati membri, la valutazione della concretezza dell'interesse dedotto con il ricorso principale da parte del concorrente destinatario di un ricorso incidentale escludente reputato fondato, utilizzando gli strumenti processuali posti a disposizione dell'ordinamento.

La Corte di Giustizia dell'Unione europea (Corte giust. UE X, 5 settembre 2019, C-333/18), sul quesito pregiudiziale formulato dall'Adunanza plenaria, ha ritenuto che la normativa europea in materia di appalti pubblici deve essere interpretata nel senso che essa osta a che un ricorso principale inteso a ottenere l'esclusione di un altro offerente, proposto da un concorrente che abbia interesse ad ottenere l'aggiudicazione di un determinato appalto e che affermi di essere leso da una violazione del diritto dell'Unione, venga dichiarato inammissibile in base al diritto nazionale, quali che siano il numero di partecipanti alla procedura di aggiudicazione dell'appalto e il numero di quelli che hanno presentato ricorsi. Il collegio ha precisato che la normativa europea è diretta a rafforzare i meccanismi esistenti per garantire l'applicazione effettiva delle direttive in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici, in particolare nella fase in cui le violazioni possono essere ancora corrette. I ricorsi contro le decisioni adottate dall'amministrazione, per essere considerati efficaci, devono essere accessibili almeno a chiunque abbia o abbia avuto interesse a ottenere l'aggiudicazione di un determinato appalto e sia stato o rischi di essere leso a causa di una presunta violazione. Pertanto, quando due offerenti presentano ricorsi intesi alla reciproca esclusione, ciascuno di essi ha interesse a ottenere l'aggiudicazione di un determinato appalto: l'esclusione di un offerente può far sì che l'altro ottenga l'appalto direttamente nell'ambito della stessa procedura; nell'ipotesi di esclusione di tutti gli offerenti e dell'avvio di una nuova procedura di aggiudicazione di appalto pubblico, ciascuno degli offerenti potrebbe parteciparvi e quindi ottenere indirettamente l'appalto. Ne consegue che l'accoglimento del ricorso incidentale dell'aggiudicatario non può comportare automaticamente il rigetto o l'inammissibilità del ricorso principale di un concorrente escluso qualora la regolarità dell'offerta di ciascuno degli operatori venga contestata nell'ambito del medesimo procedimento in quanto ciascuno dei concorrenti può far valere un interesse equivalente all'esclusione dell'offerta degli altri, che può portare l'amministrazione aggiudicatrice a constatare l'impossibilità di procedere alla scelta di un'offerta regolare. Le autorità giudiziarie nazionali hanno quindi l'obbligo di non dichiarare inammissibile il ricorso principale in applicazione delle norme procedurali nazionali che prevedono l 'esame prioritario del ricorso incidentale proposto da un altro offerente e tale principio è applicabile anche quando altri offerenti abbiano presentato offerte nell'ambito della procedura di affidamento e i ricorsi intesi alla reciproca esclusione non riguardino offerte classificate alle spalle delle offerte costituenti l 'oggetto dei ricorsi per esclusione proposti. L'offerente che si sia classificato in terza posizione ha un legittimo interesse all'esclusione dell'offerta dell'aggiudicatario e dell'offerente collocato in seconda posizione, in quanto non si può escludere che, anche se la sua offerta fosse giudicata irregolare, la stazione appaltante sia indotta a constatare l'impossibilità di scegliere un'altra offerta regolare e proceda di conseguenza all'organizzazione di una nuova procedura di gara, anche a motivo del fatto che le restanti offerte regolari non corrispondono sufficientemente alle attese dell'amministrazione stessa. La Corte osserva ancora che il principio di autonomia processuale degli Stati membri non può comunque giustificare disposizioni di diritto interno che rendano praticamente impossibile o eccessivamente difficile l'esercizio dei diritti conferiti dall'ordinamento giuridico dell'Unione e un offerente che abbia proposto un ricorso come quello di cui al procedimento principale non può, sulla base delle norme o delle prassi procedurali nazionali, essere privato dal suo diritto all'esame nel merito di tale ricorso.

La Corte di giustizia UE (Corte giust. UE, sezione III, 28 novembre 2018, C- 328/17) ha affermato la compatibilità comunitaria dei principi del processo amministrativo, come elaborati dalla giurisprudenza amministrativa nazionale, che prescrivono la presentazione della domanda di partecipazione quale requisito di legittimazione alla impugnazione delle decisioni delle amministrazioni aggiudicatrici relative a procedure d'appalto, rimettendo tuttavia al giudice nazionale la valutazione se, in concreto, l'applicazione di tale normativa non sia tale da poter ledere il diritto a una tutela giurisdizionale effettiva degli operatori economici interessati.

Segue: il rapporto tra ricorso principale e ricorso per motivi aggiunti

Le regole esaminate dalla giurisprudenza con riferimento al rapporto tra ricorso principale e ricorso incidentale escludente sono applicabili anche nel caso in cui le questioni relative all'esclusione dei due concorrenti non siano poste con due ricorsi contrapposti degli stessi, ma dal medesimo concorrente con il ricorso principale e con i successivi motivi aggiunti.  

La questione è stata esaminata dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (Cass. S.U. n. 41226/2017) in una procedura di gara alla quale avevano partecipato due concorrenti: il ricorrente, aggiudicatario provvisorio, veniva escluso dalla procedura di gara, con conseguente annullamento dell'aggiudicazione provvisoria disposta in suo favore; la gara era definitivamente aggiudicata in favore della seconda classificata. Il ricorrente, pertanto, impugnava, con ricorso principale, il provvedimento di esclusione emesso nei suoi confronti e, quindi, con ricorso per motivi aggiunti, l'aggiudicazione definitiva in favore dell'altra concorrente, con il quale contestava, per vizi analoghi, l'ammissione alla gara dell'aggiudicataria definitiva. Il Consiglio di Stato (Cons. St. IV, n. 6284/2014), rigettando l'appello principale proposto, confermava l'improcedibilità, già dichiarata in primo grado, dei motivi aggiunti riproposti in appello, per difetto di interesse, precisando che non ricorrevano nel caso di specie i presupposti per applicare il principio di diritto espresso dall'Adunanza Plenaria nel 2014 (Cons. St. Ad. Plen., n. 9/2014), in quanto non ricorreva un'ipotesi di censure simmetricamente escludenti, riferibile al rapporto tra ricorso principale e ricorso incidentale, ma un rapporto tra censure proposte con il ricorso principale e censure proposte con il ricorso per motivi aggiunti dalla medesima parte.

La Corte di Cassazione ha, in senso contrario, ritenuto che i principi che richiedono l'esame sia del ricorso principale che del ricorso incidentale sono applicabili anche nel caso in cui la questione sia posta dal medesimo concorrente con il ricorso principale e con il successivo ricorso per motivi aggiunti, precisandosi che anche in questo caso vi è un interesse del ricorrente, una volta che siano stati rigettati i motivi di impugnazione della propria esclusione, a che vengano esaminate le censure da questi proposte avverso l'ammissione dell'aggiudicatario; interesse da ritenersi strumentale al rinnovo della procedura di gara. L'unica condizione è che le contestazioni incrociate siano mosse nell'ambito di un unico processo e che l'esclusione del concorrente non sia già divenuta definitiva, anche a seguito di rigetto della relativa impugnazione con decisione passata in giudicato, prima della proposizione del ricorso. La giurisprudenza di legittimità, muovendo da una nozione dinamica di giurisdizione, ai sensi dell'art. 111 cost. e dell'art. 110, giunge quindi alla conclusione che è affetta da vizio di difetto di giurisdizione la sentenza del Consiglio di Stato che risulti fondata su una interpretazione delle norme che finisca con il negare alla parte l'accesso – affermato dalla Corte di Giustizia dell'Unione europea mediante l'interpretazione della disposizione comunitaria corrispondente – alla tutela giurisdizionale davanti al giudice amministrativo, tale dovendosi intendere l'interpretazione che consenta al giudice di non esaminare nel merito le censure rivolte da un concorrente avverso l'ammissione del concorrente risultato aggiudicatario, Sulla nozione di giurisdizione si rinvia al commento sub art. 110.

Rito speciale su ammissioni ed esclusioni. Inquadramento e finalità

L' art. 204 del d.lgs. n. 50/2016, ha introdotto ai commi 2- bis e 6- bis dell'art. 120 un nuovo rito superaccelerato per le controversie in tema di ammissioni ed esclusioni (Caringella, Chieppa-Giovagnoli). Più in particolare, il rito, secondo la versione originale, era riservato ai provvedimenti che determinavano le esclusioni dalla procedura di affidamento e le ammissioni ad essa all'esito della valutazione dei requisiti soggettivi, economico-finanziari e tecnico-professionali (Sandulli, Rito speciale in materia di contratti pubblici). Con il d.lgs. 19 aprile 2017, n. 56, cosiddetto correttivo al codice appalti, il legislatore ha abrogato il riferimento alla valutazione dei requisiti soggettivi, sostituendolo con la verifica della documentazione attestante l'assenza dei motivi di esclusione di cui all' art. 80 del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, nonché la sussistenza dei requisiti economico-finanziari e tecnico-professionali.

Il d.l.  18 aprile 2019, n. 32, rubricato “Disposizioni urgenti per il rilancio del settore dei contratti pubblici, per l'accelerazione degli interventi infrastrutturali, di rigenerazione urbana e di ricostruzione a seguito di  eventi  sismici” (cd. “Sblocca cantieri”) ha tuttavia abrogato il rito  in questione con la conseguenza che anche alle procedure in tema di ammissioni ed esclusioni si applicherà il rito cd.   speciale  in tema di appalti  pubblici . L'abrogazione si applica ai processi iniziati dopo la data  di entrata in vigore del  d.l.

Il rito non si applica nel caso di esclusione dalla gara fondata su presupposti diversi da quelli soggettivi e, quindi, a seguito di estromissione disposta per carenza di elementi essenziali dell'offerta tecnica prescritti dalla lex specialis di gara (T.A.R. Campania (Napoli), n. 1020/2017). Non può infatti ipotizzarsi un'estensione in via analogica delle nuove disposizioni processuali al di fuori delle ipotesi espressamente previste, ostandovi la natura eccezionale del rito.

L'omessa impugnazione del provvedimento di esclusione o del provvedimento di ammissione preclude la facoltà di far valere l'illegittimità derivata dei successivi atti delle procedure di affidamento, anche con ricorso incidentale.

La portata della disciplina si coglie nell'onere di immediata impugnazione dei provvedimenti di ammissione e di esclusione dalla procedura di gara e nella fissazione di regole ulteriormente acceleratorie rispetto alle norme originariamente poste all'art. 120. Si tratta di una specialità di terzo tipo o grado che si aggiunge, cioè, alla specialità di cui agli artt. 119 e 120 (Lipari, La tutela giurisdizionale e precontenziosa nel nuovo Codice dei contratti pubblici). L'obiettivo perseguito è quello di rendere inoppugnabili, nel più breve tempo possibile, tutte le determinazioni riferite alla individuazione delle offerte ammesse al confronto concorrenziale. Su un piano generale, pertanto, il rito è volto alla deflazione del contenzioso successivo all'aggiudicazione, muovendo dal presupposto che si tratta di un contenzioso frequente, nella prassi complicato dai ricorsi incidentali, con il quale si rimette in discussione la fase di ammissione alla gara. Procedure lunghe e complesse nel corso delle quali sono state valutate offerte tecniche molto articolate vengono portate dinanzi al giudice, dopo la conclusione, in ragione di vizi che spesso attengono non alla qualità dell'offerta, ma ai requisiti di partecipazione o alle dichiarazioni ad essi relative. Il nuovo rito è strutturato, invece, anticipando il contenzioso sulla fase di ammissione prima che la competizione vera e propria cominci, in modo che essa si svolga tra concorrenti tutti ugualmente in possesso dei requisiti necessari e che non sia possibile rimettere in discussione, dopo l'aggiudicazione, i passaggi precedenti della gara. Occorre, tuttavia, considerare che l' art. 80 del d.lgs. n. 50/2016, in conformità con l' art. 57, comma 5, della Dir. UE 24/2014/Ue, prevede che le stazioni appaltanti hanno la possibilità di escludere un operatore economico in qualunque momento della procedura. Ne discende che, almeno sino al momento dell'aggiudicazione, la fase delle ammissioni delle offerte non è conclusa e lo stesso esito della gara appare valutabile dall'amministrazione e, quindi, contestabile in sede giudiziaria, anche dopo la conclusione della fase indicata. Deve ancora rilevarsi che le fasi di ammissione e selezione delle offerte presentano una scansione cronologica non omogenea né predeterminata, ma variabile anche in relazione al numero dei partecipanti.

In tal modo, oltre ad attualizzarsi anticipatamente un interesse al ricorso in un momento in cui, secondo i principi che caratterizzano il processo amministrativo, esso non può essere considerato ancora tale, in ipotesi di impugnazione del provvedimento di ammissione, si costringono i concorrenti a contestare la sussistenza di dichiarazioni che l'amministrazione è tenuta a verificare solo in un momento successivo attraverso modalità di accesso che sono precluse agli operatori economici privati. Tale circostanza dovrebbe interessare la relazione tra tutti i concorrenti ammessi a prescindere dalla loro collocazione nella graduatoria finale e, quindi, in base a un interesse ancora non attuale ed eventuale al momento della proposizione del ricorso, ma che potrebbe successivamente risultare insussistente. Il nuovo rito sarebbe da intendersi come una sorta di giurisdizione oggettiva, perché il concorrente è obbligato a far valere gli eventuali vizi della procedura di gara prima di essere divenuto aggiudicatario e indipendentemente dalle sue possibilità di assicurarsi l'aggiudicazione, ma, in quanto mero concorrente, egli non ha un interesse qualificato alla regolarità della gara. Secondo una diversa ricostruzione, il legislatore ha selezionato e individuato uno specifico interesse qualificato rappresentato dall'interesse alla corretta composizione dell'insieme dei concorrenti, sia a favore della stazione appaltante che dei partecipanti alla gara. L'interesse qualificato del concorrente non è solo l'aggiudicazione, ma anche e preliminarmente la chance di corretta competizione, in modo che la scelta venga effettuata fra soggetti tutti ugualmente qualificati.

Su un diverso piano, si osserva che la riforma avrebbe reso la tutela giurisdizionale eccessivamente e ingiustamente difficile e costosa. Nelle gare con numerosi partecipanti, il concorrente dovrebbe impugnare numerosi provvedimenti, circostanza che renderebbe insostenibile il contenzioso per le piccole e medie imprese, il costo del contributo unificato si tradurrebbe in un vero e proprio ostacolo all'accesso alla tutela giurisdizionale. Il contenzioso diminuirebbe, ma si tratterebbe di una riduzione a spese del diritto di difesa e dell'accesso alla giustizia.

Con ordinanza (T.A.R. Piemonte (Torino), n. 88/2018) è stata rimessa alla Corte di giustizia dell'Unione Europea la questione della conformità dell'art. 120, comma 2-bis, con il diritto dell'Unione Europea. In particolare, il Tribunale, dopo aver rappresentato che in base alla normativa vigente l'operatore professionale che intenda contestare l'ammissione di altro concorrente alla procedura di gara deve farlo entro trenta giorni, sottolinea che questa norma impone al partecipante alla gara un onere inutile in relazione all'interesse finale che intende perseguire, rappresentato dall'aggiudicazione dell'appalto, analogamente a quando sia censurata la mancata esclusione di un concorrente che non risulti, poi, l'aggiudicatario della gara. Secondo il Collegio, in particolare, la struttura del procedimento contrasterebbe con il principio europeo in base al quale la tutela giurisdizionale deve essere attribuita in corrispondenza della lesione di un diritto o di un interesse legittimo e purché sussista un interesse, concreto e attuale, ad una pronuncia dell'autorità giudiziaria. Il principio di effettività non può dirsi rispettato quando la possibilità di contestare le decisioni delle amministrazioni sia affidata all'iniziativa di soggetti che non hanno alcuna garanzia di ricavare vantaggi materiali dal favorevole esito della controversia. La norma avrebbe quindi introdotto un giudizio di diritto oggettivo contrario ai principi di diritto europeo (artt. 6 e 13 della CEDU, art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, art. 1 Dir. 89/665/CEE, modificato dall'art. 1 Dir. 2007/66/CE, in materia di appalti) in base ai quali il diritto di azione è un diritto del solo soggetto titolare di un interesse attuale e concreto che consiste unicamente nel conseguimento dell'aggiudicazione o, al massimo, nell'interesse strumentale alla rinnovazione della gara.

La Corte di giustizia UE (Corte di giustizia UE, ord. 14 febbraio 2019, C-54/18), ha invece ritenuto che la disciplina europea non osti a una normativa nazionale che prevede che i ricorsi avverso i provvedimenti delle amministrazioni aggiudicatrici recanti ammissione o esclusione dalla partecipazione alle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici debbano essere proposti, a pena di decadenza, entro un termine di 30 giorni a decorrere dalla loro comunicazione agli interessati, purché i provvedimenti in tal modo comunicati siano accompagnati da una relazione dei motivi pertinenti tale da garantire che detti interessati siano venuti o potessero venire a conoscenza della violazione del diritto dell'Unione dagli stessi lamentata. Ai sensi dell'art. 2-quater della Direttiva 89/665, gli Stati membri possono stabilire termini per presentare un ricorso avverso una decisione presa da un'amministrazione aggiudicatrice nel quadro di una procedura di aggiudicazione di un appalto disciplinata dalla Direttiva 2014/24, e che il termine in parola deve essere di almeno dieci giorni civili dal giorno successivo all'invio della comunicazione, se la spedizione è avvenuta per fax o per via elettronica, oppure di almeno quindici giorni, se la spedizione è avvenuta con altri mezzi di comunicazione o di almeno dieci giorni civili a decorrere dal giorno successivo alla data di ricezione della decisione dell' amministrazione aggiudicatrice, precisando altresì che la comunicazione della decisione dell'amministrazione aggiudicatrice ad ogni offerente o candidato è accompagnata da una relazione sintetica dei motivi pertinenti. L'art. 1, par. 1, della Direttiva 89/665 impone agli Stati membri l'obbligo di garantire che le decisioni prese dalle amministrazioni aggiudicatrici possano essere oggetto di un ricorso efficace e quanto più rapido possibile, con la conseguenza che il termine fissato dall'ordinamento italiano non contrasta con le disposizioni europee.

Anche la preclusione per gli operatori economici di eccepire l'illegittimità dei provvedimenti dell'amministrazione nell'ambito dei ricorsi diretti contro atti successivi non risulta in contrasto con il diritto europeo, purché gli interessati siano venuti o potessero venire a conoscenza della illegittimità degli atti. Non può tuttavia escludersi che, in particolari circostanze o in considerazione di talune delle loro modalità, l'applicazione delle norme di decadenza possa pregiudicare i diritti conferiti ai singoli dal diritto dell'Unione, segnatamente il diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale, sancito dall'articolo 47 della Carta. Ciò accade quando le norme di decadenza stabilite dal diritto nazionale siano applicate in modo tale che l'accesso, da parte di un offerente, ad un ricorso avverso una decisione illegittima gli sia negato, sebbene egli, sostanzialmente, non potesse essere a conoscenza di detta illegittimità se non in un momento successivo alla scadenza del termine di decadenza. Ricorsi efficaci contro le violazioni delle disposizioni applicabili in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici possono essere unicamente garantiti qualora i termini imposti per proporre tali ricorsi inizino a decorrere solo dalla data in cui il ricorrente abbia avuto o avrebbe dovuto avere conoscenza della presunta violazione di dette disposizioni. Spetta al giudice del rinvio verificare se, nelle circostanze di cui al procedimento principale, l'impresa ricorrente sia effettivamente venuta o sarebbe potuta venire a conoscenza dei motivi di illegittimità del suddetto provvedimento dalla stessa lamentati.

Con ordinanza (T.A.R. Puglia (Bari), n. 903/2018) è stata rimessa alla Corte Costituzionale la questione della legittimità costituzionale della disposizione nella parte in cui onera l'impresa partecipante alla gara ad impugnare immediatamente le ammissioni delle altre imprese partecipanti alla stessa gara, per contrasto con gli artt. 3, comma 1, 24 commi 1 e 2, 111 commi 1 e 2, 113, commi 1 e 2, e 117, comma 1, Cost., nonché con gli artt. 6 e 13 della Cedu. Osserva, tra l'altro, il Collegio che la norma impone di impugnare, nel termine decadenziale di trenta giorni, decorrente dalla pubblicazione sul profilo del committente della stazione appaltante, un atto endoprocedimentale per sua natura non immediatamente lesivo, quale l'ammissione alla gara. Ne discende che il legislatore ha introdotto una forma di giurisdizione amministrativa oggettiva, in quanto l'impugnazione dell'atto di ammissione di altro concorrente risulta, per sua natura, priva di utilità concreta e attuale per un partecipante che ignora l'esito finale della procedura selettiva, in contrasto con il principio fondamentale desumibile dall'art. 100 c.p.c, applicabile al processo amministrativo tramite il rinvio esterno di cui all'art. 39. La novella di cui all'art. 120, comma 2 bis, deve confrontarsi con i principi generali delineati dalla giurisprudenza secondo cui il requisito dell'attualità dell'interesse non sussiste quando il pregiudizio derivante dall'atto amministrativo è meramente eventuale, e cioè quando l'emanazione del provvedimento non sia di per sé in grado di arrecare una lesione nella sfera giuridica del soggetto né sia certo che una siffatta lesione comunque si realizzerà in un secondo tempo; pertanto, è inammissibile il ricorso che tende ad ottenere una pronuncia di principio, che possa essere fatta valere in un futuro giudizio con riferimento a successivi comportamenti dell'amministrazione, atteso che la tutela di un interesse strumentale deve aderire in modo rigoroso all'oggetto del giudizio, con carattere diretto ed attuale. I caratteri della personalità, attualità e concretezza dell'interesse ad agire caratterizzano il sistema soggettivo di giurisdizione amministrativa, come delineato dalla Costituzione, mentre la previsione in esame costituisce una illegittima deviazione rispetto al quadro costituzionale.

La giurisprudenza amministrativa (Cons. St., n. 5234/2019) ha quindi precisato, richiamando i principi espressi dalla Corte di giustizia UE (CGUE, ord. 14 febbraio 2019, C-54/18), che l'onere di immediata impugnazione dell'ammissione del concorrente è compatibile sia con il diritto europeo che con i principi costituzionali. Con riferimento alla compatibilità con il diritto europeo ha osservato che tale onere è conforme ad esso purché i provvedimenti emessi siano corredati dall'esposizione dei motivi pertinenti, in modo da garantire che gli interessati possano conoscere i vizi di legittimità eventualmente verificatisi. Per quanto concerne il rapporto con i principi costituzionali, il collegio ha osservato che il diritto di azione non è impedito dalla previsione di un termine di 30 giorni per impugnare un atto di cui si conoscano le sottostanti ragioni. Inoltre, l'eventuale accoglimento dell'impugnazione contro l'atto di ammissione è comunque idoneo ad attribuire un'utilità al concorrente in quanto, da un lato, rappresenta comunque un vantaggio in vista del conseguimento del risultato finale dell'aggiudicazione e, dall'altro, determina un regime di relativa stabilità del provvedimento di aggiudicazione, con la preclusione a far valere nei confronti dell'atto finale di gara eventuali vizi di fasi precedenti. La scelta legislativa, quindi, non risulta lesiva del diritto di contestare in giudizio gli atti della pubblica amministrazione previsto dagli artt. 24 e 113 Cost., costituendo un ragionevole bilanciamento tra contrapposte esigenze.

Sulla compatibilità costituzionale del rito , in relazione alle questioni di legittimità costituzionale sollevate  con le citate ordinanze  dal T. A .R. Puglia ,  è, quindi, intervenuta la Corte costituzionale  (Corte cost., n. 271/2019)   dichiarandole inammissibili o infondate. La Corte, dopo aver evidenziato che l’intervenuta abrogazione del rito non fa venire meno l’interesse alla decisione del giudizio, essendo alla controversia in esame applicabile il rito abrogato con il c.d. sblocca-cantieri (sull’ambito temporale di applicazione del rito si veda infra § 15.8)  ha, tra l'altro, ritenuto  che la scelta di introdurre il rito c.d. superspeciale non possa ritenersi  irragionevole né l'onere di immediata impugnazione e la correlata preclusione processuale, secondo lo schema classico del giudizio impugnatorio, sono tali da rendere impossibile o estremamente difficile l'esercizio del diritto di difesa Il legislatore gode di ampia discrezionalità nella conformazione degli istituti processuali e nella fissazione di termini di decadenza o prescrizione, ovvero di altre disposizioni condizionanti l'azione con il solo limite della manifesta irragionevolezza o arbitrarietà delle scelte compiute . Nella specie, la ragione dell'introduzione del rito è stata individuata nell'esigenza di definire la platea dei soggetti ammessi alla gara in un momento antecedente all'esame delle offerte con la conseguente creazione di un modello complessivo di contenzioso a duplice sequenza, disgiunto per fasi successive del procedimento di gara, dove la raggiunta certezza preventiva circa la res controversa della prima è immaginata come presupposto di sicurezza della seconda . Le finalità sottese alla introduzione del rito, come sostanzialmente confermato dalla giurisprudenza europea e ritenute condivisibili dalla Corte, sono di evitare che con l'impugnazione dell'aggiudicazione possano essere fatti valere vizi attinenti alla fase della verifica dei requisiti di partecipazione alla gara, il cui eventuale accoglimento farebbe regredire il procedimento alla fase di ammissione e di porre rimedio alla proliferazione incontrollata dei giudizi retrospettivi  “incentrati, attraverso il fuoco incrociato dei ricorsi principali e incidentali escludenti, sui requisiti di ammissione alla gara, così neutralizzando, per quanto possibile, «l'effetto “perverso” del ricorso incidentale», anche alla luce del difficile dialogo con la Corte di Giustizia in relazione a tale istituto”. Nell 'argomentare sul la legittimità costituzionale del rito la Corte precisa che la giurisdizione amministrativa, nelle controversie  tra amministrati e pubblico potere, è primariamente rivolta alla tutela delle situazioni giuridiche soggettive e solo mediatamente al ripristino della legalità dell'azione amministrativa, “legalità che pertanto può e deve essere processualmente perseguita entro e non oltre il perimetro dato dalle esigenze di tutela giurisdizionale dei cittadini”. Nel caso di specie, il legislatore non ha configurato una giurisdizione di tipo oggettivo volta a tutelare l'interesse generale alla correttezza e trasparenza delle procedure di affidamento, ma ha inteso  dare rilevanza all'interesse strumentale o procedimentale del concorrente alla corretta formazione della platea dei soggetti partecipanti alla gara, intere sse proprio e personale del concorrente  stesso , in quanto la maggiore o minore est e nsione della platea incide sulla chance di aggiudicazione .  Non mancano nell'ordinamento altre ipotesi di tutela di interessi non finali, tuttavia, se è vero che gli artt. 24, 103 e 113 Cost. hanno posto al centro della giurisdizione amministrativa l 'interesse sostanziale al bene della vita, deve anche riconoscersi che attribuire rilevanza in casi particolari ad interessi strumentali può comportare un ampliamento della tutela attraverso una sua anticipazione e non è distonico rispetto ai principi costituzionali “sempre che sussista un solido collegamento con l'interesse finale e non si tratti di un espediente per garantire la legalità in sé dell'azione amministrativa, anche al costo di alterare l'equilibrio del rapporto tra le parti proprio dei processi a carattere dispositivo”. Quindi, la scelta del legislatore di far emergere un distinto interesse strumentale a contestare l 'ammissione di altri concorrenti non altera la struttura soggettiva della giurisdizione amministrativa e non lede i parametri costituzionali invocati nelle ordinanze di rimessione .  Con riferimento all'incidenza del rito in esame sul diritto di difesa per via dei costi eccessivi imposti alla parte ricorrente che si trova a versare  uno o più elevati contributi unificati per i giudizi intrapresi avverso le ammissioni ed un altro parimenti elevato contributo unificato per il ricorso avverso l'aggiudicazione , con effetto dissuasivo dalla proposizione di iniziative giurisdizionali,  la Corte osserva che, fermo il carattere ancillare dell'argomento rispetto alla tesi principale – con la conseguenza che ,  una volta ritenuta legittima l'emersione legislativa dell'interesse procedimentale alla corretta  cristallizzazione  della platea dei concorrenti,  non mantiene un'autonoma forza logica –, il costo eccessivo del cumulo dei contributi unificati non può essere motivo di illegittimità costituzionale delle norme istitutive del rito in esame, ma, eventualmente, di quelle che regolano l 'imposizione o la misura del contributo unificato medesimo.   Per quanto riguarda la possibile violazione dell 'art. 117, primo comma, Cost., in relazione agli artt. 6 e 13 CEDU, sul presupposto che tali parametri, nell'assicurare l'effettività della tutela giurisdizionale, implicherebbero la libertà del ricorrente di autodeterminarsi in ordine alla concretezza ed attualità dell'interesse ad agire contro le altrui ammissioni alla gara, deve ritenersi che la Corte EDU lasci all 'autonomia degli Stati membri un certo margine di apprezzamento nella configurazione del diritto di accesso a un tribunale e nella previsione di eventuali limiti, a condizione  che siano posti per uno scopo legittimo, rispettino il principio di proporzionalità e non abbiano l'effetto di rendere impossibile ovvero eccessivamente difficile l'esercizio del diritto convenzionale. La giurisprudenza convenzionale segue direttrici ermeneutiche analoghe a quelle della Corte costituzionale sul diritto di difesa e sulla sua effettività, con la conseguenza che deve escludersi il contrasto con i citati parametri interposti per le stesse ragioni per le quali non vi è contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost.

Decorrenza del termine di impugnazione del provvedimento di ammissione o di esclusione

Il provvedimento di ammissione o di esclusione o deve essere impugnato nel termine di trenta giorni, decorrente dalla sua pubblicazione sul profilo del committente della stazione appaltante, ai sensi dell' art. 29, comma 1, d.lgs. n. 50/2016. Tuttavia, l' art. 19 del d.lgs. n. 56/2017, inserendo un ulteriore periodo dopo l'attuale secondo periodo dello stesso art. 29 d.lgs. n. 50/2016, stabilisce che, entro il termine di due giorni previsto per la pubblicazione sul profilo del committente del provvedimento di esclusione e degli atti di ammissione all'esito della verifica, le amministrazioni aggiudicatrici e gli enti aggiudicatori devono darne avviso ai candidati e ai concorrenti, con le modalità di cui all' art. 5-bis del d.lgs. n. 82/2005, recante il Codice dell'amministrazione digitale indicando l'ufficio o il collegamento informatico ad accesso riservato dove sono disponibili i relativi atti. La norma specifica, ancora, che il termine per l'impugnativa di cui all'art. 120, comma 2-bis, decorre dal momento in cui gli atti di cui al secondo periodo sono resi in concreto disponibili, corredati di motivazione. La stessa disposizione aggiunge, all' art. 29, comma 1, d.lgs. n. 50/2016, che gli atti di cui al presente comma recano, prima dell'intestazione o in calce, la data di pubblicazione sul profilo del committente. Fatti salvi gli atti a cui si applica l' articolo 73, comma 5, d.lgs. n. 50/2016, i termini cui sono collegati gli effetti giuridici decorrono dalla data di pubblicazione sul profilo del committente.

Come anticipato, l'omessa impugnazione preclude la facoltà di far valere l'illegittimità derivata dei successivi atti delle procedure di affidamento, anche con ricorso incidentale. Il legislatore ha quindi previsto che è inammissibile l'impugnazione della proposta di aggiudicazione e degli altri atti endoprocedimentali privi di immediata lesività.

Ha osservato la giurisprudenza (T.A.R. Toscana, n. 582/2017) che il ricorso proposto avverso l'aggiudicazione di una gara pubblica nel quale si sollevino censure contro il provvedimento di ammissione dell'aggiudicatario che, come tali, avrebbero dovuto essere tempestivamente proposte entro il termine previsto dal comma 2-bis, è irricevibile. Ai fini della tempestività del ricorso proposto avverso l'ammissione di altro concorrente ad una gara non rileva che la stazione appaltante non abbia provveduto alla pubblicazione del provvedimento di ammissione dei concorrenti con le modalità previste dall' art. 29, d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, sul profilo del committente, trovando in ogni caso applicazione il principio secondo cui in difetto della formale comunicazione dell'atto e nel caso in cui il ricorrente venga ad aver contezza dell'atto prima della sua comunicazione formale, il termine di impugnazione decorre dal momento dell'avvenuta conoscenza dell'atto stesso purché siano percepibili quei profili che ne rendono evidente l'immediata e concreta lesività per la sfera giuridica dell'interessato. In sostanza, in mancanza di una espressa previsione legislativa derogatoria e di un rapporto di incompatibilità, deve escludersi che il comma 2 bis dell'art. 120 abbia apportato una deroga all'art. 41, comma 2, e al principio generale della decorrenza del termine di impugnazione dalla conoscenza completa dell'atto. La piena conoscenza dell'atto di ammissione della controinteressata, acquisita prima o in assenza della sua pubblicazione sul profilo telematico della stazione appaltante, può dunque provenire da qualsiasi fonte e determina la decorrenza del termine decadenziale per la proposizione del ricorso (Cons. St. VI, n. 5870/2017; Cons. St. III, n. 1902/2018; diversamente è orientato T.A.R. Lazio (Roma), n. 9379/2017, nel senso che la piena conoscenza non è idonea a determinare la decorrenza del termine di impugnazione per il rito superspeciale).

Il Consiglio di Stato (Cons. St. III, n. 565/2018) ha precisato che l'onere di impugnazione dell'ammissione di altri concorrenti è subordinato alla pubblicazione degli atti della procedura e, pertanto, da tale data decorre il termine di trenta giorni previsto dall'art. 120 comma 2-bis, in quanto diversamente l'impresa sarebbe costretta a proporre un ricorso al buio.

La giurisprudenza amministrativa (Cons. St. III, n. 546/2020) ha quindi precisato che l’onere di immediata impugnazione del provvedimento recante le ammissioni e le esclusioni non lede il diritto di difesa dell’operatore economico, ma questi deve essere messo in grado di conoscere agevolmente tutti gli elementi necessari per verificare la correttezza dell’operato della stazione appaltante. In mancanza di una prova rigorosa circa l’effettiva conoscenza di tutti i documenti di gara, compresi quelli allegati alle offerte, indispensabili per attivare tempestivamente il rimedio giurisdizionale, il termine per la proposizione del ricorso non inizia a decorrere, a nulla rilevando la circostanza che l’interessato, ricevuta la notizia dell’intervenuta pubblicazione del provvedimento recante le ammissioni, avrebbe potuto esercitare il diritto di accesso ai documenti della procedura. La compressione dei tempi per l’esercizio del diritto di difesa, prevista dal particolare rito, giustifica lo spostamento in capo alla stazione appaltante dell’onere di rendere conoscibili non solo gli effetti dispositivi degli atti di gara, ma anche gli elementi fattuali e giuridici presupposti, necessari per valutare consapevolmente l’esistenza di eventuali profili di illegittimità ed articolare efficacemente le relative censure.

In base a una ricostruzione sistematica degli orientamenti giurisprudenziali emersi sulla decorrenza del termine in esame, si è osservato (Cons. St. III, n. 1902/2018; cfr. sul punto anche Cons. St. V, 1843/2018) che l'onere di immediata impugnazione è subordinato alla pubblicazione degli atti di gara, non potendosi richiedere che l'impresa sia costretta a proporre un ricorso al buio. Tuttavia, la piena conoscenza deve essere ritenuta idonea a far decorrere il termine di impugnazione in questione, che deve, però, essere accertata con particolare rigore, con la conseguenza che non può ritenersi sufficiente a tal fine la mera presenza di un rappresentante della ditta alla seduta in cui viene decretata l'ammissione, in mancanza di specifica prova sulla percezione immediata ed effettiva di tutte le irregolarità che possano aver inficiato il provvedimento. Nel medesimo senso, si è precisato (Cons St., n. 5234/2019) che, prima delle modifiche introdotte dal d.lgs. n. 56 del 2017, non vi sono ragioni sufficienti per non applicare anche al provvedimento di ammissione alla gara la regola generale sulla conoscibilità dell'atto e della sua lesività, essendo sufficiente, per far decorrere il termine per l'impugnazione, la conoscenza comunque avvenuta dell'ammissione, ad esempio durante la seduta di gara (diversamente appaiono orientati Cons. St. n. 2079/2019 e Cons. St. n. 173/2019).

Procedimento

Il comma 6-bis dell'art. 120 prevede che il rito si svolge ed è definito in camera di consiglio, con l'applicabilità delle relative norme previste dall'art. 87, per quanto non disposto diversamente dalla disposizione in esame. Tuttavia, su richiesta delle parti, il ricorso è definito in udienza pubblica, senza alcuna incidenza sui tempi del giudizio.

Rispetto al rito ex art. 120, per il quale è previsto un termine di quarantacinque giorni, l'udienza deve essere fissata entro trenta giorni dalla scadenza del termine per la costituzione delle parti diverse dal ricorrente. Il decreto di fissazione dell'udienza è comunicato alle parti quindici giorni prima dell'udienza. Le parti possono produrre documenti fino a dieci giorni prima dell'udienza, memorie fino a sei giorni prima e presentare repliche ai nuovi documenti e alle nuove memorie fino a tre giorni prima.

Il termine di sei giorni liberi previsto per il deposito dei documenti, delle memorie e delle eventuali repliche dall'art. 120, comma 6-bis, riguarda sia  l'ipotesi di trattazione del giudizio in udienza pubblica  che in camera di consiglio del c.d. rito superaccelerato in materia di appalti pubblici (T.A.R. Campania (Napoli), n. 3226/2017). Nelle disposizioni sul procedimento applicabile al rito in esame si riscontrano disposizioni che riguardano pacificamente l'udienza pubblica ed altre che, viceversa, disciplinano la camera di consiglio. Ne discende che non può che ritenersi che tale disposizione estenda ad entrambe le ipotesi di rito la previsione sui termini di deposito dei documenti, delle memorie e delle eventuali repliche (rispettivamente di 10, 6 e 3 giorni liberi). Laddove il legislatore ha poi utilizzato il termine udienza, ha inteso riferirsi sia all'udienza pubblica che all'udienza camerale, tenuto conto dell'esigenza di speditezza del nuovo rito che impone la previsione, in ogni caso e a prescindere dalle formalità del giudizio, di termini chiari e ridotti per il deposito di atti processuali. A conferma di tale orientamento il comma 9 del medesimo art. 120 prevede un unico termine processuale per il deposito della sentenza (7 giorni), disponendo espressamente che esso si applica sia nel caso dell'udienza pubblica che della camera di consiglio, uniformando così la disciplina dei termini processuali in entrambe le ipotesi. 

La camera di consiglio e l'udienza pubblica possono essere rinviate solo in caso di esigenze istruttorie (per il deposito di documenti è previsto un termine non superiore a tre giorni), per integrare il contraddittorio, per proporre motivi aggiunti o ricorso incidentale. Particolare rigore è previsto, poi, per il differimento della camera di consiglio. Eventuali rinvii non possono essere disposti oltre il termine di quindici giorni (nel rito appalti dell'art. 120 il termine è di trenta giorni). Non può essere disposta la cancellazione della causa dal ruolo.

Secondo un orientamento giurisprudenziale, il termine di trenta giorni per proporre ricorso incidentale avverso l'ammissione in gara del concorrente, ricorrente principale, non decorre dalla notifica del ricorso principale, ma dalla data di ammissione in gara del concorrente (T.A.R. Campania (Napoli), n. 3226/2017). Il riferimento al rinvio motivato per proporre ricorso incidentale contenuto al comma 6-bis dell'art. 120 non può essere inteso nel senso della permanenza del potere di articolare in sede di gravame incidentale, vizi afferenti l'ammissione alla gara del ricorrente principale dopo la decorrenza del termine fissato dal comma 2 bis. La disposizione deve in realtà essere riferita ai gravami incidentali che hanno ad oggetto non vizi di legittimità del provvedimento di ammissione alla gara, ma un diverso oggetto poiché, aderendo alla diversa ricostruzione, si giungerebbe alla conclusione di consentire l'impugnazione dell'ammissione altrui oltre il termine stabilito dalla novella legislativa. 

In senso conforme (Cons. St. III, n. 1902/2018) si è osservato che il termine per proporre ricorso incidentale avverso l'ammissione alla gara del ricorrente principale decorre dalla notifica del ricorso principale e non dalla conoscenza del provvedimento di ammissione pubblicato sul profilo del committente. Tuttavia, la decorrenza del termine per la proposizione del ricorso incidentale, prevista d'altro canto dall'art. 42 c.p.a., non incide sulla preclusione all'attivazione di tale rimedio processuale qualora siano decorsi i termini per proporre censure riferite all'ammissione o all'esclusione di un concorrente.

La giurisprudenza (Cons. St. V, n. 5036/2018) ha, quindi, precisato che l'inapplicabilità dell'art. 42 discende dalla presunzione assoluta di insorgenza immediata dell'interesse a ricorrere che deriva dall'art. 120, comma 2 bis. Nella disciplina del rito ordinario l'interesse a proporre ricorso incidentale sorge soltanto per effetto dell'avvenuta proposizione del ricorso principale, il che giustifica la previsione normativa che fa decorrere il termine per la proposizione del ricorso incidentale dalla notifica del ricorso principale. Al contrario, nel rito superaccelerato, il legislatore ha introdotto una presunzione legale assoluta di insorgenza dell'interesse a ricorrere fin dal momento della conoscenza ufficiale dell'ammissione. Ne discende che il termine per proporre ricorso incidentale decorre dalla conoscenza del provvedimento di ammissione pubblicato sul profilo del committente. In sostanza l'impresa che immagina una contestazione della propria legittimazione alla gara dispone, per muovere una simmetrica contestazione, dello stesso termine di trenta giorni per ricorrere dal medesimo dies a quo. Qualora il suo ricorso segua cronologicamente quello proposto dall'altra impresa non si tratterà di un ricorso incidentale, ma di un ricorso autonomo.

Diversamente si è espressa altra parte della giurisprudenza (Cons. St. III, n. 5182/2017), ritenendo che il termine per proporre il ricorso incidentale avverso l'ammissione di altro concorrente decorre, in applicazione dell'art. 42, dalla notifica del ricorso principale e non dalla conoscenza del provvedimento di ammissione pubblicato sul profilo del committente. Oltre a rilievi di carattere testuale, il collegio osserva che in chiave sistematica la diversa ricostruzione comporta una considerevole compromissione delle facoltà di difesa del resistente non bilanciata da vantaggi o ragioni sistematiche di analogo rilievo.

Una particolare regola riferita al giudizio in materia di esclusioni e ammissioni riguarda la disciplina dei motivi aggiunti diretti a contestare nuovi provvedimenti connessi. Al comma 7 dell'art. 120, secondo il quale i nuovi atti attinenti la medesima procedura di gara devono essere impugnati con ricorso per motivi aggiunti, è aggiunto l'inciso «ad eccezione dei casi previsti al comma 2-bis». Occorre chiedersi quale sia l'effettiva portata e utilità della norma. La previsione, infatti, non determina il divieto, per l'interessato, di esercitare la facoltà, generale, di utilizzare lo strumento dei motivi aggiunti. Se è così, l'utilità della disposizione risulta piuttosto limitata, dal momento che, per il ricorrente e per le altre parti, dovrebbe essere decisamente preferibile concentrare in un unico giudizio tutte le contestazioni riguardanti la gara (Lipari, La tutela giurisdizionale e precontenziosa nel nuovo Codice dei contratti pubblici).

L'impugnazione del provvedimento di ammissione-esclusione e di altri atti di gara

Pur in assenza di una specifica previsione e ferma la finalità acceleratoria del rito che, nella prospettiva del legislatore, dovrebbe consentire la conclusione delle controversie in tema di ammissione ed esclusione prima dell'aggiudicazione (Cons. St., comm. spec., n. 855/2016), deve tuttavia ritenersi possibile la proposizione congiunta di un'impugnazione avverso l'aggiudicazione e avverso l'atto di ammissione o di esclusione.

In base all'art. 32 è sempre possibile il cumulo di domande connesse proposte in via principale o incidentale, con la conseguenza che se le azioni sono soggette a riti diversi si applica quello ordinario salvo quanto previsto dal Titolo V del Libro IV. La norma è intesa nel senso che il rito di cui agli artt. 119 e 120 prevalga su quello ordinario (T.A.R. Abruzzo (L'Aquila), n. 152/2015; T.A.R. Calabria (Catanzaro), n. 589/2013), ma la disposizione non esamina il problema della connessione di più domande rientranti nei riti di cui agli artt. 119 e 120 e così nell'ipotesi in cui una domanda sia soggetta al rito ex art. 120 e l'altra al rito in tema di ammissioni ed esclusioni.

Secondo la giurisprudenza amministrativa, in presenza di domande di annullamento di provvedimenti relativi alla medesima materia, disciplinate da riti caratterizzati da un diverso grado di specialità (commi 6 e 6- bis dell'art. 120) si applica all'intera controversia il rito disciplinato dal comma 6 e non quello «superaccelerato» introdotto dal successivo comma 6- bis (T.A.R. Campania (Napoli), n. 434/2017). Una volta che il provvedimento di aggiudicazione intervenga in corso di causa, non appare logico, né utile ai fini delle ragioni di economia processuale, precludere l'impugnativa di quest'ultimo provvedimento con motivi aggiunti. Anzi appare del tutto contrario ai principi di economia e concentrazione processuale, oltre che foriero di possibili contrasti tra giudicati, sostenere che il provvedimento di aggiudicazione sopravvenuto debba necessariamente essere impugnato con ricorso autonomo e che le due impugnative non possano confluire in un unico giudizio. In base all'art. 32, deve ritenersi esistente un principio di prevalenza del rito che si presti a fornire maggiori garanzie per tutte le parti coinvolte nell'unica vicenda processuale, in ragione della necessità di individuare tra più discipline confliggenti quella che fissi regole e termini processuali in grado di offrire una maggiore salvaguardia del diritto di difesa. Tale rito deve individuarsi in quello disciplinato dal comma 6 dell'art. 120, che ordinariamente si applica all'impugnativa di provvedimenti concernenti le procedure di affidamento relative a pubblici lavori, servizi o forniture, tanto da prevalere anche sul rito ordinario (in questo senso anche T.A.R. Puglia (Bari), n. 529/2017; T.A.R. Puglia (Bari), n. 1367/2016).

Diversamente, secondo un alternativo orientamento, è inammissibile il cumulo e la trattazione congiunta delle domande di annullamento dei provvedimenti di ammissione e aggiudicazione della gara (Cons. St. ord., n. 1059/2017), essendo disciplinati da due riti differenti, con la conseguenza che occorre esaminare nel giudizio introdotto con il rito superspeciale la sola domanda relativa al provvedimento di ammissione dovendo essere dichiarata inammissibile la domanda avverso l'annullamento dell'aggiudicazione, salva l'applicabilità della disciplina dell'errore scusabile.

Ciò premesso, qualora l'aggiudicazione in favore di un concorrente sopraggiunga al ricorso proposto ai sensi dell'art. 120 comma 2 bis avverso gli atti di ammissione dei concorrenti alla gara e sia idonea a incidere sulla persistenza dell'interesse a ricorrere avverso le ammissioni altrui, il ricorso deve essere dichiarato  improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse qualora l'operatore ricorrente, all'esito dell'espletamento della gara stessa, risulti nel frattempo collocato in posizione inferiore alla seconda (Cons. St. V, n. 3257/2017). Anche a ritenere ininfluente, sotto il profilo della permanenza del particolare interesse al ricorso nel rito in tema di ammissioni ed esclusioni, la circostanza dell'intervenuta aggiudicazione, essendo tale rito finalizzato a definire la platea dei soggetti ammessi alla gara, cristallizzandone la situazione al fine della rapida costituzione di certezze giuridiche poi incontestabili sui protagonisti della gara, tuttavia, detto particolare interesse al ricorso non può, anche durante il processo, essere valutato in modo avulso dalla realtà storica costituita dalla graduatoria formulata e, dunque, nell'indifferenza della posizione ivi conseguita dalle singole imprese partecipanti alla gara. Ciò in quanto la distinzione e la separatezza del giudizio ex art. 120, commi 2 bis e 6 bis, rispetto a quello ordinario del medesimo art. 120 non contempla per il giudice del primo un divieto di prendere in considerazione i fatti storici medio tempore verificatisi  e risultanti dai suoi atti processuali, come, appunto, l'avvenuta aggiudicazione della gara e gli effetti di eventuali impugnazioni di quest'ultima. Ne consegue che detti atti, pur non formanti oggetto del medesimo rito specialissimo, si riflettono parzialmente sulla persistenza dell'interesse a ricorrere in quest'ultimo.

Secondo un orientamento giurisprudenziale (T.A.R. Lazio, (Roma) I bis, n. 2113/2017), in ragione della separazione delle fasi processuali, l'una relativa all'impugnazione dei provvedimenti di ammissione ed esclusione e l'altra relativa al provvedimento di aggiudicazione, cui corrispondono anche riti diversi, la successiva aggiudicazione non può ritenersi tale da incidere sull'interesse a ricorrere ai sensi dell'art. 120, comma 2 bis, non essendo venuta meno l'utilità del ricorso anticipato. In particolare, l'ipotesi esaminata dal giudice di primo grado riguardava la sopravvenuta aggiudicazione in favore del concorrente che aveva proposto ricorso avverso le altrui ammissioni, che non sarebbe idonea a comportare l'improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse. In particolare, se l'omessa impugnazione dell'ammissione degli altri concorrenti fa consumare il potere di dedurre censure in sede di impugnazione dell'aggiudicazione, allo stesso modo tali censure non potranno essere articolate nei confronti dell'aggiudicatario che volesse paralizzare, con lo strumento del ricorso incidentale, quello principale proposto avverso l'affidamento dell'appalto qualora non abbia tempestivamente impugnato il provvedimento di ammissione. Tuttavia, la dichiarazione di improcedibilità del ricorso avverso l'ammissione, in ipotesi di aggiudicazione a favore del ricorrente, comporterebbe una potenziale lesione della posizione dell'aggiudicatario, il quale si vedrebbe precluso l'esame delle proprie doglianze nei confronti degli altri concorrenti, i quali, al contrario, potrebbero ottenere l'accoglimento delle proprie ragioni contro l'ammissione del ricorrente e contro l'aggiudicazione.

Anche anteriormente all'introduzione del rito speciale in tema di ammissioni ed esclusioni, la giurisprudenza prevalente era orientata nel senso della necessità per il contraente escluso di impugnare anche la successiva aggiudicazione, pena l'improcedibilità del ricorso per difetto sopravvenuto di interesse dell'originario ricorso avverso l'esclusione (Cons. St. V, n. 2710/2014). Si osserva, infatti, che, quando più atti si collocano nella stessa sequenza procedimentale, il vizio dell'atto preparatorio e presupposto incide sull'atto finale, con la conseguenza che di regola occorre impugnare l'atto finale della procedura. Eccezionalmente può essere impugnato l'atto endoprocedimentale, al fine di garantire un'immediata tutela giurisdizionale, anche cautelare del ricorrente, mediante ammissione con riserva ad esempio. Tuttavia, tale possibilità di immediata impugnazione non si traduce nell'esonero dal dovere di impugnare anche l'atto finale. Infatti, l'anticipazione della tutela di impugnazione costituisce un ampliamento degli strumenti di tutela degli interessati, ma non costituisce una deroga alla regola secondo cui va impugnato l'atto finale e conclusivo del procedimento. Dall'altro lato, la circostanza che l'atto finale sia affetto da invalidità derivata dai vizi dell'atto preparatorio non esclude che tale invalidità debba essere fatta valere con gli strumenti posti dal legislatore. Si pone, inoltre, l'esigenza di tutela dei controinteressati.

La decisione

Il secondo periodo del comma 9 dell'art. 120, inserito dall' art. 204, comma 1, let. g), del d.lgs. n. 50/2016, prevede che il T.A.R. depositi la sentenza entro sette giorni dall'udienza di discussione, con la possibilità per le parti di chiedere l'anticipata pubblicazione del dispositivo che avviene entro due giorni dall'udienza. La disposizione si caratterizza, rispetto al primo periodo del medesimo comma 9, diretto a disciplinare la decisione nel rito ex art. 120, per una particolare abbreviazione dei termini di deposito della sentenza (sette giorni anziché trenta), mentre quello per la pubblicazione del dispositivo è lo stesso.

L'appello e gli altri mezzi di impugnazione

Il legislatore, anche per l'appello, ha introdotto una regola acceleratoria, prevedendo che debba essere proposto entro trenta giorni dalla comunicazione o, se anteriore, dalla notificazione della sentenza, con esclusione della possibilità di applicare il termine lungo decorrente dalla sua pubblicazione.

La comunicazione della sentenza, che il comma 6-bis dell'art. 120 indica quale dies a quo del termine per la proposizione dell'appello, coincide con la comunicazione, alle parti costituite, da parte della Segretaria dell'Ufficio giudiziario, dell'avvenuto deposito della decisione, come si desume dall'art. 89, comma 3, la cui rubrica è «pubblicazione e comunicazione della sentenza», mentre il termine non può farsi decorrere dalla conoscenza della sentenza (Cons. St. V, n. 1501/2017).

Va osservato (Lipari, La tutela giurisdizionale e precontenziosa nel nuovo Codice dei contratti pubblici), poi, che, con riguardo ai termini, non è dettata una disciplina specifica per gli altri mezzi di impugnazione della sentenza (opposizione di terzo e revocazione), per i quali rimangono applicabili le regole degli artt. 119 e 120. Il rinvio compiuto dal comma 11 dell'art. 120 consente di chiarire l'assoggettamento al rito previsto per il giudizio dinanzi al T.A.R., ma non stabilisce quali siano i termini di proposizione delle impugnative, che restano quindi assoggettate alle regole dell'art. 119.

Al giudizio di appello e agli altri giudizi di impugnazione si applicano tutte le regole previste per il rito in esame, in forza del comma 11 dell'art. 120, che estende a tali mezzi di impugnazione le disposizioni contenute nei commi 2-bis, 6-bis e 9 secondo periodo.

La tutela cautelare

Nella versione originaria dell'art. 120 il legislatore introduceva al comma 8 una clausola di salvezza in tema di procedura cautelare. Ne erano derivati alcuni dubbi sulla stessa ammissibilità di un giudizio cautelare per le controversie in tema di ammissioni ed esclusioni, puntualmente sottolineati nel parere reso dal Consiglio di Stato (Cons. St. comm. spec., n. 464/2016). Nel rito superspeciale, la tutela cautelare diventa, di fatto e nella ordinarietà dei casi, superflua, attesi i tempi strettissimi in cui si perviene alla decisione di merito, di cui può anche essere anticipata la pubblicazione del dispositivo. Sicché la funzione anticipatoria che è propria e tipica della tutela cautelare non troverà ordinariamente possibilità di pratica esplicazione. Tuttavia l'inciso originariamente introdotto, se rispondente alla ratio della ordinaria non necessità della tutela cautelare nel rito superspeciale, dà luogo a dubbi sul piano dei principi europei e costituzionali in tema di indefettibilità della tutela cautelare. Difatti, la tutela cautelare non può essere preclusa ex ante, in via generale, anche ove, di fatto, ed ordinariamente, ex post, non sia necessaria.

La versione vigente dell'art. 120 non contiene più un tale inciso, con la conseguente ammissibilità della tutela cautelare anche per tale rito, con l'applicabilità delle disposizioni previste per il rito ex art. 120

Nel senso dell'ammissibilità della tutela cautelare e della possibilità di definire il giudizio, anche in appello, con la sentenza in forma semplificata si esprime la giurisprudenza amministrativa (Cons. St. V, n. 1323/2017). Si osserva che, in concreto, la tutela cautelare potrebbe risultare necessaria per bloccare il pericolo di una rapida aggiudicazione e di un avvio dell'esecuzione del contratto anticipato rispetto alla stipulazione, più veloci rispetto ai tempi di definizione del giudizio superaccelerato (T.A.R. Campania, Napoli, n. 5852/2016).

Presupposti applicativi

Il rito in esame si applica solo nei casi in cui vi sia una netta distinzione tra fase di ammissione/esclusione e fase di aggiudicazione (T.A.R. Puglia (Bari), n. 394/2017). In effetti la novella della disposizione sembra muovere da un modello di contenzioso a duplice sequenza distinto per fasi successive del procedimento di gara; nel momento in cui si è raggiunta la certezza preventiva sulla prima fase, si può poi procedere all'esame della seconda (Cons. St. V, n. 1059/2017). Nei casi in cui, invece, la suddetta distinzione non sia ravvisabile, deve ritenersi che il rito non sia attuabile per mancanza di un presupposto logico della sua operatività; le esigenze di rapida costituzione di certezze giuridiche poi incontestabili dai protagonisti della gara divengono attuali solo nel momento in cui il procedimento è giunto alla fase di aggiudicazione definitiva, soggetta al rito disciplinato dai restanti commi dell'art. 120. I provvedimenti di esclusione adottati all'esito della procedura di verifica dell'anomalia dell'offerta esulano, quindi, dall'ambito applicativo del rito. L'obiettivo della disposizione è quello di scremare la platea dei soggetti concorrenti attraverso una prima fase attinente alla verifica e alla eventuale contestazione dei loro titoli di ammissione alla procedura di gara. È invece estranea a questa logica acceleratoria la fase di contestazione del contenuto delle offerte formulate dai concorrenti. Poiché il giudizio di anomalia riguarda il contenuto intrinseco delle offerte, esso non può refluire tra le fattispecie soggette al nuovo rito accelerato.

La regola processuale del consolidamento dell'ammissione di un concorrente alla gara pubblica presuppone, inoltre, che vi sia stata pubblicità degli atti di gara, occorrendo che ai candidati sia garantito il pieno e tempestivo accesso alla documentazione, non potendo altrimenti decorrere il termine per impugnare un atto (l'ammissione di un altro operatore) privo di diretta lesività e la cui piena conoscenza postula la verifica dei presupposti su cui si fonda. E ciò a differenza di quanto avviene secondo la regola ordinaria in cui la semplice conoscenza del provvedimento giustifica l'immediato decorso del termine di impugnazione, in quanto il destinatario è posto in grado fin da subito di apprezzarne la lesività, salvo l'esperimento di motivi aggiunti (T.A.R. Molise, n. 150/2017; T.A.R. Lazio (Roma), n. 5545/2017). Così, qualora siano mancate le forme di pubblicità sul profilo del committente, nella sezione trasparenza, previste dall' art. 29, d.lgs. n. 50/2016, il termine di trenta giorni previsto dall'art. 120, comma 2-bis, per l'impugnazione dell'ammissione di altro concorrente comincia a decorrere solo dalla data di invio della Pec che comunica l'avvenuto affidamento dell'appalto, con conseguente applicazione del rito appalti ordinario in luogo di quello superaccelerato. Una tale conclusione deve ritenersi doverosa al fine di evitare la violazione del principio europeo di effettività, laddove la normativa nazionale obbliga la proposizione di determinati ricorsi senza consentire una previa completa conoscenza degli atti (T.A.R. Puglia (Bari), n. 340/2017). Ma sulla idoneità della conoscenza del provvedimento a far decorrere il termine per l'impugnazione del provvedimento di ammissione o di esclusione, anche in mancanza della pubblicazione, si veda supra par. 15. Una volta esclusa l'estensione del nuovo rito superaccelerato di cui all'art. 120, comma 2-bis, trova applicazione, secondo un orientamento, il costante orientamento giurisprudenziale che nega valenza procedimentale autonoma all'atto di ammissione alla gara e che ne ammette l'impugnazione solo unitamente al provvedimento di aggiudicazione (T.A.R. Campania (Napoli), n. 2843/2017). Altra parte della giurisprudenza ha invece ritenuto che l'omessa pubblicazione dei provvedimenti di ammissione delle imprese concorrenti a una gara pubblica, se da un lato fa venire meno l'onere di immediata impugnazione, dall'altro non preclude la facoltà di impugnazione di tali provvedimenti prima dell'aggiudicazione della gara, in quanto il codice del processo amministrativo, in deroga alla disciplina generale sull'interesse all'impugnazione degli atti di gara, ha intso qualificare tali atti come immediatamente lesivi e, quindi, suscettibili di immediata impugnazione (T.A.R. Molise (Campobasso), n. 332/2017). Al contrario, nel caso in cui siano stati rispettati gli oneri pubblicitari previsti, deve ritenersi irricevibile il ricorso con cui si censura l'omessa esclusione di due concorrenti in ragione della presunta sussistenza di un collegamento sostanziale tra gli stessi (T.A.R. Sicilia (Catania), n. 420/2017).

Si deve, in ogni caso, considerare che i dubbi circa l'applicazione delle regole processuali devono essere risolti preferendo l'opzione ermeneutica meno sfavorevole per l'esercizio del diritto di difesa e, quindi, maggiormente conforme ai principi costituzionali espressi dagli artt. 24 e 113 Cost. (Cons. St. III, n. 4994/2016).

Ambito temporale di applicazione ed effetti dell’abrogazione del rito

Il rito superspeciale può trovare applicazione unicamente in relazione a fattispecie conseguenti a bandi pubblicati successivamente al 19 aprile 2016. L'art. 216, comma 1, del d.lgs. n. 50/2016 risolve ogni problema di diritto intertemporale rendendo recessiva ogni diversa opzione prospettabile in tema di successione di norme processuali fondata sul canone tempus regit actum. Il comma 2-bis e il successivo comma 6-bis dell'art. 120 definiscono un sistema processuale chiuso e speciale entro cui si inserisce anche la previsione di un termine breve di trenta giorni per la proposizione dell'appello. Quest'ultimo termine può essere riferito unicamente all'impugnazione di sentenze rese in primo grado in giudizi informati allo schema processuale speciale (Cons. St. III, n. 4994/2016).

Il rito è stato, tuttavia, abrogato dal  d.l.  18 aprile 2019, n. 32, convertito con modificazioni dalla legge 14 giugno 2019, n. 55 rubricato “Disposizioni urgenti per  il  rilancio  del  settore  dei  contratti pubblici, per l'accelerazione degli interventi  infrastrutturali,  di rigenerazione urbana e di ricostruzione a seguito di eventi  sismici” (cd. “Sblocca cantieri”), con la conseguenza che, per i processi iniziati dopo la data di entrata in vigore del citato d.l., si applicherà il rito appalti.

Insieme all'abrogazione del rito super speciale, sono state abrogate le previsioni, recate dall'art. 29, comma 1, codice appalti, in ordine alla pubblicazione del provvedimento recante le ammissioni e le esclusioni sul sito internet della stazione appaltante, e la regola della decorrenza del termine di impugnazione di ammissioni ed esclusioni dalla data di tale pubblicazione. Resta la regola della comunicazione individuale ai candidati e ai concorrenti delle ammissioni e delle esclusioni (trasferita, topograficamente, dall'art. 29 c. 1 all'art. 76 del codice), sicché è da tale comunicazione individuale che decorre il termine per impugnare l'esclusione da parte del concorrente escluso; mentre la comunicazione individuale dell'altrui ammissione è di regola irrilevante al fine del decorso del termine di impugnazione di essa, dato che l'altrui ammissione di regola diviene lesiva solo con il provvedimento di aggiudicazione, e potrà dunque essere impugnata insieme all'aggiudicazione entro il termine previsto per l'impugnazione di quest'ultima.

In prima approssimazione si può ritenere che l'abrogazione del rito superspeciale non determini apprezzabili problemi applicativi, in quanto si tratta, solo, di ripristinare il quadro normativo vigente anteriormente all 'introduzione del rito stesso. Tuttavia, la dottrina (Lipari,2019), oltre ad esprimere dubbi sulla necessità e sull'opportunità dell'abrogazione, ha osservato che il regime transitorio, per come disciplinato nel c.d. sblocca cantieri, genera alcune perplessità. Il legislatore ha infatti collegato l'applicazione della nuova normativa ai processi iniziati dopo la data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto e non alle sole controversie riguardanti le procedure bandite dopo l'entrata in vigore della riforma. La formula legislativa deve intendersi riferita alla data della notifica del ricorso introduttivo del processo in primo grado. Secondo l'A. non è però del tutto chiaro come incida la nuova disciplina sulla regola riguardante l'onere di immediata impugnazione dell'ammissione del concorrente e, ad esempio, nell'ipotesi in cui il provvedimento recante le ammissioni e le esclusioni sia diventato inoppugnabile prima dell'entrata in vigore della disciplina soppressiva del rito superspeciale. In questa ipotesi sembra preferibile ritenere ammissibile il ricorso proposto dall'interessato perché il processo originato dal ricorso contro l'aggiudicazione è iniziato dopo l'entrata in vigore del d.l. n. 32 del 2019. La casistica potrebbe essere più complessa e varia, potrebbe infatti pensarsi al caso in cui il ricorrente si sia visto respingere il ricorso proposto contro l'ammissione del concorrente poi divenuto aggiudicatario. In tale ipotesi, l'interessato non può riproporre le stesse censure contro l'aggiudicazione, con un ricorso proposto dopo l'entrata in vigore della nuova disciplina, ma può discutersi se possa far valere vizi diversi da quelli sottoposti al Tar nel primo giudizio, sempre riguardanti l'ammissione del concorrente. Un ulteriore tema di indagine riguarda la permanente facoltà di impugnazione immediata del provvedimento recante le ammissioni e le esclusioni. La previsione della comunicazione e pubblicazione del provvedimento recante le ammissioni e le esclusioni (ora inserita nell'art. 76 del d.lgs. n. 50/2016), pur non essendo più collegata espressamente alla decorrenza del termine di proposizione del ricorso, appare tuttora finalizzata a consentire all'operatore interessato di esercitare il proprio diritto di difesa in giudizio. Dalla lettura coordinata dell'art. 29, comma 1, e dell'art. 76, comma 2-bis, del d.lgs. n. 50/2016, potrebbe ingenerarsi negli operatori il dubbio sulla facoltà dell'impugnazione delle altrui ammissioni a decorrere dalla comunicazione individuale. Inoltre, l'abrogazione delle norme sul rito superspeciale ha determinato la soppressione della previsione riguardante l'inammissibilità dei ricorsi avverso i provvedimenti, inseriti nella serie procedimentale, non immediatamente lesivi. Infine, un'ipotesi in cui permane la necessità dell'immediata impugnazione del provvedimento recante le ammissioni ed esclusioni attiene alla corretta determinazione delle medie, rilevanti per il calcolo della soglia di anomalia. In base all'art. 95, comma 15, del d.lgs. n. 50/2016, “Ogni variazione che intervenga, anche in conseguenza di una pronuncia giurisdizionale, successivamente alla fase di ammissione, regolarizzazione o esclusione delle offerte non rileva ai fini del calcolo di medie nella procedura, né per l'individuazione della soglia di anomalia delle offerte”. Ne discende che la parte interessata alla corretta formulazione delle medie ha l'onere di impugnare immediatamente il provvedimento che determina le ammissioni e le esclusioni, senza attendere l'intervenuta aggiudicazione. In mancanza di impugnazione, la definizione delle medie resta cristallizzata.

La giurisprudenza amministrativa ha precisato che l'abrogazione del rito in esame per effetto del cd. “Sblocca cantieri” si applica alle procedure di gara già avviate e ancora in corso, avendo l'art. 1, comma 23, l. n. 55 del 2019 fatto riferimento “ai processi” iniziati dopo la data di entrata in vigore della legge di conversione e non agli atti delle procedure di affidamento, secondo quanto previsto dalle regole generali dell'art. 120 (Cons. St. V, n. 7669/2020) . La sezione ha, inoltre, evidenziato che l'abrogazione del rito comporta la riespansione delle regole generali sull'interesse ad impugnare gli atti delle procedure di affidamento di contratti pubblici applicate prima dell'introduzione del rito super-speciale, secondo cui è con la definitiva manifestazione di volontà dell'amministrazione nelle forme tipiche degli atti autoritativi previsti dalla legge che è data, in concreto, azione in giudizio a tutela degli interessi legittimi e dei diritti soggettivi dell'interessato e in vista di un risultato utile correlato ad un bene della vita.

La giurisprudenza ha ancora chiarito che la disposizione abrogativa, nella parte in cui ha previsto che il nuovo regime si applica “ai processi iniziati dopo la data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto”, non determina la nuova decorrenza di un termine già definitivamente spirato, ma intende consentire l’applicazione dello jus superveniens anche nei processi promossi dopo la sua entrata in vigore ma solo ove tale termine sia ancora pendente, sicché solo in tale ipotesi sarebbe possibile far valere i vizi degli atti di ammissione (non ancora “inoppugnati”) in occasione della contestazione dell’atto finale di aggiudicazione definitiva (Cons. St., III, n. 4824/2020).

Bibliografia

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