Decreto legislativo - 2/07/2010 - n. 104 art. 124 - Tutela in forma specifica e per equivalente 1

Raffaele Tuccillo

Tutela in forma specifica e per equivalente 1

 

1. L'accoglimento della domanda di conseguire l'aggiudicazione e di stipulare il contratto è comunque condizionato alla dichiarazione di inefficacia del contratto ai sensi degli articoli 121, comma 1, e 122. Se non dichiara l'inefficacia del contratto, il giudice dispone il risarcimento per equivalente del danno subito e provato. Il giudice conosce anche delle azioni risarcitorie e di quelle di rivalsa proposte dalla stazione appaltante nei confronti dell'operatore economico che, con un comportamento illecito, ha concorso a determinare un esito della gara illegittimo.

2. La condotta processuale della parte che, senza giustificato motivo, non ha proposto la domanda di cui al comma 1, o non si è resa disponibile a subentrare nel contratto, è valutata dal giudice ai sensi dell'articolo 1227 del codice civile.

3. Ai sensi dell'articolo 34, comma 4, il giudice individua i criteri di liquidazione del danno e assegna un termine entro il quale la parte danneggiante deve formulare una proposta risarcitoria. La mancata formulazione della proposta nel termine assegnato o la significativa differenza tra l'importo indicato nella proposta e quello liquidato nella sentenza resa sull'eventuale giudizio di ottemperanza costituiscono elementi valutativi ai fini della regolamentazione delle spese di lite in tale giudizio, fatto salvo quanto disposto dall'articolo 91, primo comma, del codice di procedura civile.

[1]  Articolo sostituito dall'articolo 209, comma 1, lettera d) del D.Lgs. 31 marzo 2023, n. 36, con efficacia a decorrere dal 1° luglio 2023, come stabilito dall'articolo 229, comma 2. Per le disposizioni transitorie vedi l'articolo 225 D.Lgs. 36/2023 medesimo.

Inquadramento

La disciplina contenuta negli artt. 121 – 125 procede, tra l'altro, a stabilire regole particolari applicabili alle controversie relative alle procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi e forniture, con particolare riferimento alla sorte del contratto a seguito dell'annullamento dell'aggiudicazione e alle conseguenti forme di tutela. L'art. 124, in particolare, individua i rapporti tra le varie domande astrattamente proponibili dal soggetto leso.

Presupposto per l'accoglimento della domanda di conseguire l'aggiudicazione e il contratto, da parte del ricorrente, è che questo sia dichiarato inefficace ai sensi degli artt. 121 e 122. Nel caso in cui il giudice ritenga di non dichiarare l'inefficacia del contratto, disporrà il risarcimento del danno per equivalente. La mancata proposizione della domanda di conseguire l'aggiudicazione e il contratto o il non rendersi disponibile a subentrare nel contratto, senza giustificato motivo, è valutata dal giudice ai sensi dell' art. 1227 c.c., in tema di concorso colposo del debitore.

Il d.lgs. n. 36/2023 ha apportato alcune importanti modifiche alla disposizione in esame  prevedendosi l'estensione della cognizione del giudice amministrativo anche alle azioni risarcitorie e all'azione di rivalsa proposte dalla stazione appaltante nei confronti dell'operatore economico che, violando i doveri di buona fede e correttezza, ha concorso a determinare un esito della gara illegittimo.   Il nuovo comma 3 risponde all'esigenza di adattare alle specificità del giudizio in materia di appalti il meccanismo di liquidazione del danno previsto dall'art. 34, comma 4, del decreto legislativo 2 luglio 2010, n.104.

Tutela in forma specifica

Si tratta di un'azione che sembra da ricomprendere all'interno del genus dell'azione di adempimento ed ha carattere tipico in forza della espressa disciplina legislativa che introduce una deroga rispetto alla disciplina generale ricavabile dagli artt. 30, comma 1, e 34, lett. c), (Simonetti,Il giudizio risarcitorio nel processo amministrativo; Simonetti,Tutela in forma specifica e per equivalente nelle controversie relative all'affidamento dei contratti pubblici; Caringella).

Si osserva che l'azione in questione non possiede l'elemento integrativo posto a base dell'azione risarcitoria e consistente nella sussistenza di un danno. Il risarcimento del danno richiede la sussistenza di un danno prodotto da un comportamento colpevole dell'agente, da risarcire attraverso una prestazione diversa e ulteriore rispetto a quella originaria. Secondo un orientamento la reintegrazione in forma specifica rimane un rimedio risarcitorio, ossia una forma di reintegrazione dell'interesse del danneggiato mediante una prestazione diversa e succedanea rispetto al contenuto del rapporto obbligatorio e non va confusa né con l'azione di adempimento (diretta ad ottenere la condanna del debitore all'adempimento dell'obbligazione), né con il diverso rimedio dell'esecuzione in forma specifica quale strumento per l'attuazione coercitiva del diritto e non mezzo di rimozione diretta delle conseguenze pregiudizievoli (Cons. St. VI, n. 2622/2008). La giurisprudenza maggioritaria si è espressa in conformità con tale prospettiva, escludendo che con il menzionato istituto sia stata introdotta nel processo amministrativo un'azione di adempimento. Il legislatore ha, infatti, inserito l'inciso anche attraverso la reintegrazione in forma specifica all'interno della disposizione che prevede che il giudice amministrativo dispone il risarcimento del danno ingiusto, con la conseguenza che contrasta con il dato letterale ogni interpretazione che ponga l'istituto al di fuori di un'alternativa risarcitoria. Peraltro, quando il legislatore ha voluto configurare la possibilità, da parte del giudice amministrativo, di ordinare un facere all'amministrazione, lo ha fatto espressamente come nell'ipotesi di cui all' art. 25 della l. n. 241 del 1990.

Il comportamento della parte che impugna l'aggiudicazione definitiva e chiede l'accertamento dell'inefficacia del contratto, di fatto, impedisce la formazione del danno e, chiedendo il subentro nell'esecuzione dell'appalto, ottiene l'adempimento degli obblighi derivanti dalla disciplina di gara. In linea di principio, la reintegrazione in forma specifica si concreta pur sempre nel ripristino di una situazione lesa e non nella soddisfazione della pretesa del privato attraverso il successivo esercizio dell'azione amministrativa, come avviene per la condanna all'adempimento o all'esecuzione in forma specifica. Pertanto, il risarcimento in forma specifica nei confronti dell'amministrazione sarebbe possibile solo laddove il privato lamenti una lesione ad un interesse legittimo oppositivo. La violazione di un interesse legittimo pretensivo richiederebbe necessariamente l'esperimento di un'azione di adempimento, tra le quali deve essere annoverata anche l'ipotesi descritta dall'art. 124

Il presupposto applicativo della tutela in forma specifica è rappresentato dalla dichiarazione di inefficacia del contratto ai sensi degli artt. 121 e 122, il che richiede, in una prospettiva processuale, la contestuale proposizione della domanda di annullamento dell'aggiudicazione e di inefficacia del contratto (Cianflone, Giovannini; Caringella). In caso di rigetto della domanda di dichiarazione di inefficacia del contratto, residua spazio per la sola tutela risarcitoria per equivalente.

Nel sistema delineato dal legislatore, lo strumento dell'inefficacia del contratto appare strettamente dipendente dall'annullamento dell'aggiudicazione con l'ulteriore conseguenza che, ove la sentenza appellata venisse riformata con riferimento al capo dell'annullamento dell'aggiudicazione, cadrebbe anche il capo da esso dipendente (Cons. St. III, n. 3243/2011). Ne discende che, in base all'art. 124, l'accoglimento della domanda di conseguire l'aggiudicazione e il contratto è condizionato alla dichiarazione di inefficacia del contratto e la mancata proposizione della domanda di annullamento dell'aggiudicazione preclude il riconoscimento del risarcimento del danno in forma specifica e per equivalente pecuniario, in quanto la condotta processuale della parte che, senza giustificato motivo, non ha proposto la domanda volta a conseguire l'aggiudicazione deve essere valutata dal giudice ai sensi dell' articolo 1227 c.c. Il ricorrente che limita, quindi, la propria domanda all'annullamento del solo provvedimento che l'aveva escluso dalla gara senza impugnare il provvedimento di aggiudicazione medio tempore intervenuto, non ha diritto al risarcimento dei danni subiti (Cons. St. V, n. 3910/2016). L'accoglimento della domanda di conseguire l'aggiudicazione presuppone, a norma dell'art. 124, la dichiarazione di inefficacia del contratto e, in mancanza di essa, il contratto deve ritenersi valido ed efficace pur in presenza di annullamento dell'aggiudicazione (Cons. St. III, n. 6638/2011). Nello stesso senso, anche qualora il ricorrente abbia proposto una domanda diretta a ottenere la riedizione della gara, la dichiarazione di inefficacia del contratto costituisce un presupposto indispensabile per la realizzazione dell'interesse del ricorrente.

Muovendo dalla necessaria istanza di parte al fine di ottenere la dichiarazione di inefficacia, secondo un orientamento, la relativa domanda deve essere formulata nello stesso giudizio di annullamento, con la conseguente necessaria simultaneità delle pronunce costitutive incidenti sull'aggiudicazione e sul contratto. Il diverso orientamento sarebbe incompatibile con la ratio acceleratoria del nuovo rito e consentirebbe la proposizione della domanda entro il termine ordinario di prescrizione. In questo senso, la giurisprudenza, nella fase di transito dal passaggio dal vecchio al nuovo regime, ha evidenziato che nelle gare d'appalto, nell'ambito dei giudizi introdotti dopo l'entrata in vigore del d.lgs. n. 53/2010, l'impresa ricorrente, in sede di impugnazione dell'atto di aggiudicazione, deve chiedere anche la pronunzia di inefficacia del contratto e di subentro nello stesso, mentre, nel caso in cui l'azione di annullamento sia stata introdotta precedentemente al d.lgs. n. 53/2010, resta fermo il potere del giudice di accertare in sede di ottemperanza l'inefficacia del contratto, tenendo conto dell'effettiva possibilità per il ricorrente di conseguire l'aggiudicazione e di subentrare nel rapporto (Cons. St. IV, n. 5725/2013; Cons. St. V, n. 4067/2012).

Sul punto, si deve segnalare l'orientamento giurisprudenziale che consente la proposizione della domanda di subentro e di dichiarazione di inefficacia del contratto, per la prima volta, in sede di ottemperanza. Avendo il legislatore espressamente attribuito al giudice dell'ottemperanza la cognizione della pretesa a conseguire l'aggiudicazione dell'appalto in termini di risarcimento in forma specifica, non può dubitarsi che la cognizione dello stesso si estenda, in tal caso, anche all'accertamento costitutivo della relativa condizione, data dall'inefficacia del contratto a séguito dell'annullamento dell'aggiudicazione, disposto nella precedente fase di cognizione. La tutela risarcitoria in forma specifica si realizza con la domanda di caducazione del contratto d'appalto concluso in attuazione della gara svoltasi con procedura illegittima, trattandosi di condizione logica e necessaria al fine della soddisfazione dell'interesse del ricorrente (in questo senso: T.A.R. Calabria (Reggio Calabria), n. 1204/2015; Cons. St. V, n. 4752/2013; Cons. St. III, n. 6638/2011).

Peraltro, la tutela in forma specifica potrà essere disposta solo laddove l'attività compiuta dall'amministrazione permetta di identificare il soggetto a cui spetta l'affidamento una volta annullata l'aggiudicazione. In mancanza, residuando in capo alla pubblica amministrazione un potere di scelta discrezionale, tale forma di tutela non potrà essere disposta, secondo il limite generale previsto per l'azione di adempimento all'art. 31, comma 3, come richiamato dall'art. 34, lett. c).

Per quanto concerne i rapporti tra le varie azioni esperibili, si osserva in giurisprudenza che all'annullamento del provvedimento di aggiudicazione di un contratto pubblico di appalto consegue l'accoglimento della domanda principale di risarcimento in forma specifica di subentro della ricorrente nel contratto, che potrà avere concreta efficacia dopo la verifica da parte della stazione appaltante sia del possesso in capo alla ricorrente dei requisiti di ammissione alla gara che della congruità della sua offerta economica. Dall'accoglimento della domanda risarcitoria in forma specifica discende l'improcedibilità della domanda di risarcimento finalizzata al ristoro del danno curriculare (T.A.R. Basilicata, n. 590/2016).

Risarcimento del danno

Gli artt. 121 ss. prevedono una serie di ipotesi nelle quali il giudice deve o può dichiarare l'inefficacia del contratto illegittimamente aggiudicato e disporne l'attribuzione in favore del ricorrente, precisando all'art. 124 che, se il giudice non dichiara l'inefficacia del contratto, dispone il risarcimento del danno per equivalente. Ne discende che il rimedio ha natura sussidiaria e residuale rispetto alla tutela in forma specifica e deve essere in grado di assicurare una tutela effettiva della situazione del ricorrente (Giovagnoli). La ratio della disposizione sembra ispirata ad esigenze di contenimento della spesa pubblica, in quanto la stazione appaltante potrebbe ritrovarsi a sopportare due volte la spesa necessaria all'esecuzione dell'appalto, qualora fosse lasciata piena libertà al ricorrente di scegliere il risarcimento per equivalente piuttosto che l'azione di adempimento.

In ogni caso, la disposizione non può essere interpretata nel senso che la mancata condanna all'adempimento costituisca un presupposto necessario per ottenere il risarcimento del danno, il quale infatti ben potrebbe aggiungersi all'aggiudicazione nel caso in cui la tutela in forma specifica non sia idonea ad evitare il prodursi di un danno ulteriore. L'ordinamento giuridico europeo si limita ad affermare che ai soggetti lesi è riconosciuto il diritto al risarcimento del danno purché sussistano tre concorrenti condizioni: la norma comunitaria violata sia preordinata ad attribuire diritti al soggetto leso; la violazione sia sufficientemente qualificata; esista un nesso di causalità tra la violazione della norma comunitaria e il danno subito dai soggetti lesi.

Il legislatore interno, in conformità con la prospettiva seguita dal legislatore europeo, non ha disciplinato in maniera analitica l'istituto limitandosi a prevedere i soli profili inerenti la scelta tra privazione degli effetti del contratto e mantenimento in vita dello stesso, configurando la tutela per equivalente come subordinata alla mancata privazione degli effetti del contratto. La preferenza accordata alla tutela in forma specifica emerge dal secondo comma dell'art. 124 il quale esclude il risarcimento per equivalente in caso di mancata proposizione della domanda di conseguire l'aggiudicazione e il contratto o di subentrare nell'esecuzione dello stesso.

Il sistema del risarcimento del danno da mancata aggiudicazione sembra tradursi in un microsistema rispetto al sistema del risarcimento del danno derivante dal comportamento della pubblica amministrazione, generalmente previsto dall'art. 30 (Simonetti,Il giudizio risarcitorio nel processo amministrativo). In linea teorica, occorre distinguere due diverse forme di responsabilità della stazione appaltante.

Una prima forma di responsabilità si riscontra nell'ipotesi in cui la violazione commessa nel corso della procedura di affidamento sia qualificabile come una condotta scorretta che prescinde dall'adozione di un atto illegittimo ed è da intendersi come precontrattuale. Ipotesi tipiche di responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione si riscontrano in caso di interruzione ingiustificata delle trattative con violazione dell'affidamento della controparte o di annullamento in autotutela dell'aggiudicazione dopo aver ingenerato nell'aggiudicatario un legittimo affidamento sulla conclusione del contratto. In conformità con l'orientamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità nei rapporti tra privati, in caso di responsabilità precontrattuale, il danno risarcibile va limitato all'interesse contrattuale negativo che comprende le spese sopportate per la partecipazione alla gara e la perdita delle occasioni di lavoro alternative, purché sia fornita la prova dei danni subiti. È invece escluso il risarcimento del cosiddetto interesse positivo, cioè dei vantaggi che sarebbero derivati in caso di stipulazione ed esecuzione del contratto.

Una seconda forma di responsabilità si riscontra nell'ipotesi in cui la stazione appaltante, violando le regole dell'evidenza pubblica, aggiudichi la gara a un concorrente che non ne aveva titolo. In tale ultimo caso vi è la violazione di un interesse legittimo del concorrente derivante dalla violazione delle nome poste a tutela anche di interessi pubblici.

Per approfondimenti si rinvia al commento dell'art. 30.

Onere della prova

Il risarcimento del danno da mancata aggiudicazione richiede la prova, oltre che della illegittimità dell'aggiudicazione, della ingiustizia del danno la quale, a sua volta, presuppone la spettanza del bene della vita perduto e, quindi, la certezza dell'aggiudicazione o la ragionevole probabilità di conseguirla, talvolta intesa in termini di chance. L'espresso riferimento all'onere probatorio consente di rinviare al disposto dell' art. 2697 c.c., con la conseguente necessità per il ricorrente di fornire la prova all'interno del giudizio di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie, compreso il danno subito in tutte le sue voci, derivandone, in difetto, il rigetto della domanda proposta (Caringella; Chieppa-Giovagnoli; Cianflone, Giovannini).

Così, come da costante orientamento giurisprudenziale, alla carenza probatoria non può supplire la richiesta di consulenza tecnica d'ufficio, disciplinata dall'art. 67, che ha la funzione di fornire all'attività valutativa del giudice l'apporto di cognizioni tecniche da lui non possedute, ma utili anche a verificare l'attendibilità delle prove fornite dall'interessato, ma non ad esonerare quest'ultimo dall'onere di provare i fatti posti a base delle proprie richieste (Cons. St. VI, n. 5864/2009).

Muovendo da queste premesse, l'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (Cons. St.Ad. plen., n. 2/2017) ha ritenuto che, nel caso di mancata aggiudicazione, il danno conseguente al lucro cessante si identifica con l'interesse c.d. positivo, che ricomprende sia il mancato profitto (che l'impresa avrebbe ricavato dall'esecuzione dell'appalto), sia il danno c.d. curricolare (ovvero il pregiudizio subìto dall'impresa a causa del mancato arricchimento del curriculum e dell'immagine professionale per non poter indicare in esso l'avvenuta esecuzione dell'appalto). Tuttavia, spetta, all'impresa danneggiata (Cons. St. V, n. 2184/2017 ; in senso conforme Cons. St. V, n. 4272/2021; T.A.R. Sicilia, Catania, n. 2424/2020) offrire, senza poter ricorrere a criteri forfettari, la prova rigorosa dell'utile che in concreto avrebbe conseguito, qualora fosse risultata aggiudicataria dell'appalto, poiché nell'azione di responsabilità per danni il principio dispositivo opera con pienezza e non è temperato dal metodo acquisitivo proprio dell'azione di annullamento e la valutazione equitativa, ai sensi dell' art. 1226 c.c., è ammessa soltanto in presenza di situazione di impossibilità — o di estrema difficoltà — di una precisa prova sull'ammontare del danno. Il metodo acquisitivo, infatti, intanto si giustifica in quanto sussista la necessità di equilibrare l'asimmetria informativa tra amministrazione e privato la quale contraddistingue l'esercizio del pubblico potere ed il correlato rimedio dell'azione di impugnazione, mentre non si riscontra in quella di risarcimento dei danni, in relazione alla quale il criterio della vicinanza della prova determina il riespandersi del principio dispositivo sancito in generale dall' art. 2697, comma 1, c.c. Il mancato utile spetta nella misura integrale, in caso di annullamento dell'aggiudicazione impugnata e di certezza dell'aggiudicazione in favore del ricorrente, solo se il ricorrente dimostri di non aver utilizzato o potuto altrimenti utilizzare maestranze e mezzi, in quanto tenuti a disposizione in vista della commessa. In difetto di tale dimostrazione, può presumersi che l'impresa abbia riutilizzato o potuto riutilizzare mezzi e manodopera per altri lavori, a titolo di aliunde perceptum vel percipiendum.

In ogni caso, la prova sulla quantificazione del danno può essere raggiunta anche mediante presunzioni, per la configurazione delle quali non occorre che l'esistenza del fatto ignoto rappresenti l'unica conseguenza possibile di quello noto, secondo un legame di necessarietà assoluta ed esclusiva, ma è sufficiente che dal fatto noto sia desumibile univocamente quello ignoto, alla stregua di un giudizio di probabilità basato sull'id quod plerumque accidit, sicché il giudice può trarre il suo libero convincimento dall'apprezzamento discrezionale degli elementi indiziari prescelti, purché dotati dei requisiti legali della gravità, precisione e concordanza, mentre non può attribuirsi valore probatorio ad una presunzione fondata su dati meramente ipotetici (Cass. sez. lav., n. 2632/2014). Ne discende che va esclusa la pretesa di ottenere l'equivalente del 10% dell'importo a base d'asta, sia perché detto criterio esula storicamente dalla materia risarcitoria, sia perché non può essere oggetto di applicazione automatica ed indifferenziata (non potendo formularsi un giudizio di probabilità fondato sull'id quod plerumque accidit secondo il quale, allegato l'importo a base d'asta, può presumersi che il danno da lucro cessante del danneggiato sia commisurabile al 10% del detto importo). Anche per il danno curricolare il creditore deve offrire una prova puntuale del nocumento che asserisce di aver subito (il mancato arricchimento del proprio curriculum professionale), quantificandolo in una misura percentuale specifica applicata sulla somma liquidata a titolo di lucro cessante (Cons. St.Ad. plen., n. 2/2017).

Elemento oggettivo

Dal punto di vista oggettivo, ai fini del risarcimento del danno, anche nel settore degli appalti pubblici devono sussistere la condotta illegittima, il danno ingiusto e il nesso causale tra la condotta e la lesione subita (Cons. St. V, n. 6450/2014).

La condotta illegittima si sostanzia nell'adozione da parte dell'amministrazione di un provvedimento illegittimo. L'illegittimità costituisce una condizione necessaria ma non sufficiente ai fini del risarcimento del danno potendosi riconoscere la predetta tutela soltanto laddove vi sia stata la lesione dell'interesse al bene della vita al quale è correlato l'interesse del ricorrente e, quindi, il riconoscimento della tutela risarcitoria postula che la condotta abbia determinato la lesione o la perdita del bene della vita. Ne discende che la ricorrente dovrà fornire la prova, sulla base di un giudizio probabilistico, della spettanza dell'aggiudicazione della gara, laddove l'amministrazione avesse agito legittimamente. Il nesso di causalità tra violazione e danno deve essere accertato mediante un giudizio prognostico di tipo controfattuale e sussiste tutte le volte in cui eliminando dalla serie causale l'attività illegittima della pubblica amministrazione il danno non si sarebbe verificato (Caringella; Chieppa-Giovagnoli; Cianflone, Giovannini).

Elemento soggettivo

In linea teorica generale, la giurisprudenza (Cass. S.U., n. 500/1999) ha ritenuto che, ai fini della configurabilità della responsabilità della pubblica amministrazione, sia comunque necessaria la colpa non del singolo funzionario agente, ma della pubblica amministrazione intesa come apparato, da ricondursi alla violazione dei canoni di imparzialità, correttezza e buona amministrazione. La colpa non può essere ritenuta esistente in re ipsa, cioè non può ritenersi derivante dalla mera illegittimità dell'atto, ma è da accertarsi in concreto alla luce della condotta tenuta dall'amministrazione ed è da valutarsi in relazione ai parametri generali dell'attività amministrativa e in ragione dell'interesse giuridicamente protetto di chi instaura un rapporto con l'amministrazione (Cons. St. VI, n. 1983/2011). L'onere di provare la colpa dell'amministrazione, incombente sul danneggiato, può essere assolto attraverso prove indirette e adeguate semplificazioni probatorie consentite dall'ordinamento processuale e, in particolare, mediante lo strumento della presunzione; l'accertata illegittimità dell'atto può rappresentare, nella normalità dei casi, l'indice, grave, preciso e concordante, della colpa dell'amministrazione. In base a questa ricostruzione, la colpa dell'amministrazione può essere ragionevolmente desunta da indici significativi, quale l'accertata illegittimità dell'atto amministrativo, atteso che la colpa costituisce un effetto della riscontrata illegittimità in base a un apprezzamento di frequenza statistica. Si tratta, tuttavia, di una presunzione relativa, in quanto è fatta salva la possibilità per l'amministrazione di fornire la prova contraria dell'assenza di colpa indicando ipotesi di errore scusabile, quali la formulazione incerta delle norme applicate, le oscillazioni interpretative della giurisprudenza, la rilevante complessità del fatto, i comportamenti di altri soggetti (Cons. St. VI, n. 3602/2008).

La Corte di Giustizia dell'Unione europea è però intervenuta sulla materia degli appalti pubblici escludendo la necessità dell'elemento soggettivo ai fini della tutela risarcitoria per equivalente (Corte giustizia UE, III, 30 settembre 2010, C-314/09; Corte giustizia CE, 14 ottobre 2004, C-275/03). La dir Cee 89/665/Cee, che coordina le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative all'applicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di lavori, deve infatti essere interpretata nel senso che osta ad una normativa nazionale, la quale subordini il diritto a ottenere il risarcimento del danno per violazione della disciplina sugli appalti pubblici, al carattere colpevole di tale violazione. In altri termini, il giudice europeo sembra concepire il risarcimento del danno da mancata aggiudicazione come necessaria alternativa alla tutela in forma specifica: il riconoscimento della tutela per equivalente in favore dell'operatore pretermesso non potrebbe, quindi, essere messo a repentaglio da un meccanismo probatorio della colpevolezza della stazione appaltante che, seppur alleggerito grazie al ricorso alle presunzioni semplici, lascia comunque aperta la possibilità per l'amministrazione di provare la scusabilità dell'errore. In sostanza, la regola della irrilevanza della colpa trova applicazione anche nella tutela risarcitoria per equivalente, in quanto strumento succedaneo alla tutela in forma specifica e, quindi, sottoposto alle medesime condizioni applicative (Cons. St. III, n. 5612/2013). Il rimedio risarcitorio può costituire un'alternativa procedurale compatibile con il principio di effettività, sotteso all'obiettivo di efficacia dei ricorsi perseguito dalla citata direttiva, soltanto a condizione che la possibilità di riconoscere un risarcimento in caso di violazione delle norme sugli appalti pubblici non sia subordinata alla constatazione dell'esistenza di un comportamento colpevole tenuto dall'amministrazione aggiudicatrice (Corte giustizia UE, III, 30 settembre 2010, C-314/09). Le conclusioni cui è pervenuta la giurisprudenza europea sono generalmente giustificate alla luce del carattere sussidiario o secondario della tutela per equivalente rispetto a quella in forma specifica, tenendo cioè presente che tale rimedio è subordinato all'impossibilità totale o parziale di correggere il potere amministrativo (Cons. St. V, n. 966/2013).

Anche se si osserva che le conclusioni alle quali è pervenuta la giurisprudenza europea, in quanto giustificate dall'alternatività del risarcimento per equivalente alla tutela in forma specifica, sembrano poter trovare applicazione solo nelle ipotesi in cui il risarcimento del danno sia alternativo all'annullamento degli atti di gara, non più possibile. Al contrario, quando l'azione risarcitoria è proposta in via autonoma senza chiedersi l'annullamento che sarebbe ancora possibile o per i danni ulteriori non soddisfatti mediante l'annullamento degli atti di gara sarebbe necessario fornire la prova della colpa.

La responsabilità della stazione appaltante da mancata aggiudicazione assume pertanto natura oggettiva, in quanto il diritto al risarcimento del danno per equivalente non è subordinato all'esistenza e alla prova del carattere colposo della violazione perpetrata dall'amministrazione (Cons. St. VI, n. 4115/2015; T.A.R. Lazio (Latina), n. 23/2015; T.A.R. Lazio (Roma), n. 8208/2013). La vigente normativa europea che regola le procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi non consente ad una normativa nazionale di subordinare il diritto ad ottenere un risarcimento, a motivo di una violazione della disciplina sugli appalti pubblici da parte di un'amministrazione aggiudicatrice, al carattere colpevole di tale violazione.

La regola europea introdotta in tema di appalti pubblici non va circoscritta ai soli appalti comunitari, ma deve estendersi, in quanto principio generale di diritto europeo in materia di effettività della tutela, a tutto il campo degli appalti pubblici, nei quali i principi del diritto europeo hanno diretta rilevanza e incidenza, anche in considerazione dell'espresso richiamo che ad essi fa il Codice dei contratti pubblici (Cons. St. III, n. 3437/2013, con riferimento al codice previgente).

Domanda di parte

L'art. 124, a differenza dell' art. 245-quinquies, d.lgs. n. 163/2006, non richiede espressamente la domanda di parte ai fini della concessione della tutela risarcitoria per equivalente.

Secondo un primo orientamento, deve tuttavia ritenersi che sia sempre necessaria la domanda di parte ai fini del riconoscimento del diritto al risarcimento del danno in virtù del principio generale di cui all' art. 112 c.p.c. Il giudice non potrebbe quindi disporre il risarcimento del danno per equivalente nel caso in cui la domanda del ricorrente abbia ad oggetto la sola tutela in forma specifica. A tale conclusione si può pervenire argomentando da alcuni riferimenti normativi: l'art. 32 nella parte in cui consente la conversione dell'azione sulla base degli elementi sostanziali dedotti in giudizio; l'art. 34 che prevede che il giudice in caso di accoglimento del ricorso, nei limiti della domanda, condanna al pagamento di una somma di denaro anche a titolo di risarcimento del danno.

Secondo una diversa ricostruzione, invece, occorre escludere la necessità di una domanda di parte muovendo dall'art. 124, come interpretato dalla giurisprudenza europea. In particolare, la tutela per equivalente non ha natura risarcitoria in senso stretto, ma compensativa; ne deriva che il diritto al risarcimento del danno, in quanto necessaria conseguenza della conservazione (totale o parziale) degli effetti del contratto, potrebbe essere disposto d'ufficio dal giudice. Un ulteriore argomento a sostegno del potere ufficioso del giudice viene individuato nel disposto dell' art. 2058, comma 2, c.c., secondo cui il giudice può disporre che il risarcimento avvenga solo per equivalente, se la reintegrazione in forma specifica risulta eccessivamente onerosa per il debitore. L'applicazione della regola richiede tuttavia che si qualifichi la domanda di subentro nell'esecuzione del contratto, come un'azione risarcitoria per reintegrazione in forma specifica. In questo modo, la domanda di reintegrazione avrebbe una portata più ampia rispetto alla domanda di risarcimento del danno per equivalente, in termini di continenza. Non vi sarebbe pertanto alcuna violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato di cui all' art. 112 c.p.c. qualora il giudice, non accogliendo integralmente la domanda di subentro nel contratto, si limitasse a disporre il risarcimento per equivalente. La qualificazione dell'azione di cui all'art. 124 come azione di adempimento impedisce l'operatività della conversione dell'azione di cui all' art. 2058, comma 2, c.c., con la conseguenza che il giudice non potrebbe pronunciarsi d'ufficio sul risarcimento del danno per equivalente qualora il ricorrente, pur proponendo domanda di subentro, non formuli domanda di risarcimento del danno.

Rapporti tra azione di annullamento e azione risarcitoria

L'art. 124, comma 2, pone una regola diretta a descrivere il rapporto tra tutela in forma specifica e tutela per equivalente. La disposizione individua la fattispecie di una norma e rinvia per la concreta determinazione dell'effetto giuridico all' art. 1227 c.c. Più in particolare, la fattispecie della norma è la condotta processuale della parte che, senza giustificato motivo, non propone la domanda di conseguire l'aggiudicazione e il contratto o non si rende disponibile a subentrare nel contratto. L'effetto giuridico è descritto, per rinvio, dall' art. 1227 c.c. ed è rappresentato dal fatto che il risarcimento dei danni non è dovuto.

La disposizione, oltre a collegarsi con l' art. 1227 c.c., si caratterizza per una peculiarità applicativa in relazione all'art. 30, comma 3, con il quale il legislatore, nel determinare il risarcimento dei danni dovuto al danneggiato, prevede che il giudice deve escludere i danni che si sarebbero potuti evitare usando l'ordinaria diligenza, anche attraverso l'esperimento degli strumenti di tutela previsti. Il legislatore introduce, quindi, una peculiare previsione per le controversie in materia di appalti pubblici attribuendo espressa rilevanza alla condotta processuale della parte; il riferimento a una specifica categoria di condotte processuali non esclude, pertanto, che possano trovare applicazione anche in tale materia sia l' art. 30, comma 3, che l'art. 1227 c.c. per i fatti non sussumibili nella fattispecie di cui al 124, comma 2.

Pertanto, in applicazione dell' art. 1227 c.c., la giurisprudenza ha ritenuto che può presumersi, iuris tantum, che l'impresa abbia riutilizzato mezzi e manodopera per altri lavori ovvero che avrebbe potuto riutilizzarli, usando l'ordinaria diligenza, dovuta ex art. 1227 c.c., al fine di non concorrere all'aggravamento del danno; conseguentemente, il mancato utile spetta nella misura integrale, in caso di certezza dell'aggiudicazione in favore dell'impresa ricorrente, solo se questa dimostri (anche mediante le risultanze delle scritture contabili) di non aver utilizzato o potuto altrimenti utilizzare maestranze e mezzi in quanto tenuti a disposizione in vista della commessa; in difetto di tale dimostrazione, la liquidazione del danno da mancato utile deve essere ridotta, a titolo di aliunde perceptum vel percipiendum, di una percentuale equitativamente determinata (Cons. St.Ad. plen., n. 2/2017). La norma è stata posta alla base del consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui, di regola (e salvo casi particolari), non costituisce comportamento ragionevole immobilizzare tutti i mezzi dell'impresa, nelle more del giudizio e nell'attesa dell'aggiudicazione, essendo invece ragionevole che l'impresa si attivi per svolgere altre attività. Da tale assunto deriverebbe la legittimità della detrazione dal risarcimento del danno (di norma nella misura del 50%) sia dell'aliunde perceptum, sia dell'aliunde percipiendum mediante ordinaria diligenza.

La peculiarità del principio del duty to mitigate damages codificato nel codice del processo amministrativo è data dal fatto che, a differenza del codice civile, viene attribuita espressa rilevanza alla condotta di carattere processuale del danneggiato – seppur con formule e modalità differenti nell'art. 30 e nell'art. 124 –, che è invece esclusa per giurisprudenza costante nei rapporti tra privati (Cass. n. 16530/2004).

Pregiudizialità o autonomia

La necessità di impugnare il provvedimento lesivo per accedere alla tutela risarcitoria è stata variamente giustificata sia in chiave di diritto processuale, che in chiave di diritto sostanziale.

Con riferimento al diritto processuale, l'esigenza di esperire previamente l'azione di annullamento è stata giustificata sulla base dell'idea per la quale il giudice amministrativo non è dotato del potere di disapplicare il provvedimento illegittimo, come accade davanti al giudice ordinario, con la conseguenza che l'azione risarcitoria promossa senza l'azione di annullamento del provvedimento lesivo dovrebbe considerarsi inammissibile.

Con riferimento al diritto sostanziale, invece, il previo esperimento dell'azione di annullamento è stato giustificato dall'esigenza di impedire il venir meno di alcuni elementi costituitivi della responsabilità da fatto illecito. In particolare, il mancato esperimento dell'azione di annullamento sarebbe idoneo ad eliminare l'antigiuridicità del fatto, atteso il principio della presunzione di legittimità degli atti amministrativi, e, al tempo stesso, farebbe venir meno il nesso di causalità giuridica ai sensi dell' art. 1227, comma 2, c.c., per concorso colposo del creditore nella produzione del danno, che egli avrebbe potuto evitare se, usando l'ordinaria diligenza, avesse impugnato l'atto lesivo.

La pregiudiziale di annullamento è stata in passato anche espressamente codificata, mediante l' art. 13, comma 2, della l. n. 142/1992, in tema di appalti pubblici, secondo il quale la domanda di risarcimento è proponibile dinanzi al giudice ordinario da chi ha ottenuto l'annullamento dell'atto lesivo con sentenza del giudice amministrativo. Tale disposizione subordinava e condizionava la tutela risarcitoria all'utile esperimento dell'azione di annullamento del provvedimento lesivo ma esclusivamente nel settore degli appalti pubblici. Dopo un articolato dibattito giurisprudenziale e dottrinale, il problema della pregiudiziale amministrativa è stato parzialmente risolto dal legislatore del codice del processo amministrativo.

Con gli artt. 30 e 124 legislatore sembra mostrare adesione al principio di autonomia tra domanda di annullamento e di risarcimento del danno in una prospettiva processuale, per poi, tuttavia, procedere a un recupero della pregiudizialità in una prospettiva sostanziale, cosiddetta pregiudizialità temperata (Caringella).

Pertanto, la mancata proposizione della domanda di annullamento, non preclude la possibilità di esperire una domanda diretta a ottenere il risarcimento del danno; il legislatore esclude qualsiasi rilevanza processuale tra le due azioni. Permane, tuttavia, una rilevanza sostanziale, potendo l'omessa attivazione della tutela caducatoria ripercuotersi sul risarcimento del danno o sulla entità di questo (Cons. St. V, n. 4272/2016; T.A.R. Toscana (Firenze), n. 535/2020). L'eventuale pronuncia del giudice non si tradurrà nell'inammissibilità della domanda, ma nel suo rigetto. La mancata proposizione della domanda di annullamento dell'aggiudicazione preclude in radice il riconoscimento del danno per equivalente pecuniario. Ai sensi del comma 2 dell'art. 124, la condotta processuale della parte che, senza giustificato motivo, non ha proposto la domanda volta a conseguire l'aggiudicazione, nonché la domanda volta ancora più a monte a contestare l'aggiudicazione disposta in favore di altri, all'evidente fine di coltivare la sola opzione del ristoro per equivalente pecuniario, è valutata dal giudice ai sensi dell' art. 1227 c.c., in quanto, laddove il ricorrente — invece di limitare la propria domanda di giustizia al solo provvedimento di esclusione dalla gara — avesse esteso l'impugnativa anche al provvedimento di aggiudicazione medio tempore disposto in favore di altra impresa, avrebbe con ogni verosimiglianza potuto escludere in radice la ritrazione dei danni conseguenti alla mancata esecuzione dell'appalto, non potendosi qui ammettere il ristoro di un pregiudizio (il danno rinveniente dalla mancata stipula ed esecuzione del contratto) che lo stesso ricorrente ha contribuito in modo determinante a cagionare mercé la mancata attivazione degli strumenti di tutela espressamente indicati dall'art. 124 (Cons. St. V, n. 3910/2016).

Si tratta di una prospettiva alla quale aveva già manifestamente aderito la giurisprudenza amministrativa anche per fatti accaduti in un momento anteriore rispetto all'entrata in vigore del codice del processo amministrativo, facendo diretta applicazione dell' art. 1227 c.c. alle controversie aventi ad oggetto domande risarcitorie per lesione di interessi legittimi ( Cons. St.Ad. plen., n. 3/2011). Secondo la giurisprudenza, l'interessato può chiedere la condanna dell'amministrazione al risarcimento del danno senza aver impugnato l'atto dal quale tale danno è derivato. Peraltro, il giudice può, ai sensi dell' art. 1227, comma 2, c.c., escludere la risarcibilità dei danni che sarebbero stati presumibilmente evitati in caso di tempestiva reazione nei confronti del provvedimento potenzialmente lesivo sia in via giudiziale, con l'impugnazione dinanzi al giudice amministrativo del provvedimento, che in via amministrativa, con la richiesta di autotutela.

Ciò premesso, occorre rilevare che: per il codice civile la condotta processuale appare inidonea a integrare gli elementi della fattispecie di cui all' art. 1227, comma 2, c.c.; per l'art. 30, comma 3, la condotta processuale può assumere rilevanza, in considerazione del riferimento testuale agli strumenti di tutela previsti; per l'art. 124, comma 2, il risarcimento del danno deve essere senz'altro escluso nel caso in cui il ricorrente non si renda disponibile a subentrare nel contratto o non abbia proposto la domanda di conseguire l'aggiudicazione, salvo giustificato motivo. In sostanza, i presupposti logici della disposizione appaiono invertirsi: il verificarsi della fattispecie comporta l'esclusione del risarcimento; il giustificato motivo consente di escludere l'applicabilità della disposizione. Il legislatore subordina la richiesta risarcitoria a tre azioni giudiziarie che deve intraprendere il ricorrente: l'azione di annullamento dell'aggiudicazione; l'azione di accertamento dell'inefficacia del contratto di appalto; l'azione di condanna al subentro nell'esecuzione del contratto.

Più in particolare, ai sensi dell'art. 30, comma 3, nel determinare il risarcimento, il giudice valuta tutte le circostanze di fatto e il comportamento complessivo delle parti e, comunque, esclude il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l'ordinaria diligenza, anche attraverso l'esperimento degli strumenti di tutela previsti. Di conseguenza, l'azione risarcitoria può considerarsi autonoma rispetto all'eventuale azione di annullamento, ma l'incidenza del mancato esperimento di quest'ultima nella causazione del danno va valutata secondo un giudizio causale di tipo ipotetico. Con particolare riferimento all'azione risarcitoria in materia di appalti pubblici, l'art. 124 prevede che la condotta processuale della parte che, senza giustificato motivo, non ha proposto la domanda di dichiarazione di inefficacia del contratto sottoscritto, o non si è resa disponibile a subentrare nel contratto, è valutata dal giudice ai sensi dell' art. 1227 c.c. Di conseguenza, nel rito speciale degli appalti pubblici, non sarebbe tanto l'azione di annullamento dell'aggiudicazione illegittima a produrre un effetto pregiudiziale paralizzante dell'azione risarcitoria, ma sarebbe l'omessa richiesta di dichiarazione di inefficacia o di subentro nell'esecuzione dell'appalto che si porrebbe come condotta valutabile ai fini risarcitori. Infatti, al fine di operare una corretta analisi che indaghi la sussistenza o meno della pregiudiziale amministrativa in materia di appalti pubblici, non si può prescindere dall'individuazione analitica della tipologia delle domande (annullamento dell'aggiudicazione, inefficacia del contratto, subentro) che possono essere proposte dal ricorrente e delle correlative pronunce che il giudice può emettere.

Qualche dubbio può prospettarsi sulle connessioni esistenti tra la disciplina della pregiudiziale amministrativa e il rito superaccelerato in tema di ammissioni ed esclusioni previsto dall'art. 120, commi 2 bis e 6 bis, secondo il quale l'omessa impugnazione della lista degli ammessi preclude la facoltà di far valere l'illegittimità derivata dei successivi atti delle procedure di affidamento, anche con ricorso incidentale. Tale disciplina è suscettibile di determinare due alternative ricostruzioni ermeneutiche. Secondo un primo orientamento, l'omessa impugnazione della lista degli ammessi precluderebbe soltanto la possibilità di ottenere l'aggiudicazione e la conseguente sottoscrizione del contratto, facendo salva la possibilità di ottenere il risarcimento del danno per equivalente. In base ad un'alternativa ricostruzione, l'omessa impugnazione della lista degli ammessi precluderebbe in radice la possibilità di ottenere il risarcimento del danno per equivalente, perché la specialità del principio della presunzione di interesse a ricorrere serve ad anticipare la tutela e non a comprimerla.

Natura giuridica

Secondo l'impostazione tradizionale, la regola del duty to mitigate damages rinviene la propria giustificazione teorica nel dovere di correttezza e nel canone generale di buona fede oggettiva che riguarda non solo le relazioni tra privati ma anche i rapporti tra privati e pubblica amministrazione. Si tratterebbe, quindi, di una regola diretta a rendere concreto il dovere di solidarietà sociale di cui all' art. 2 Cost., il quale impone di salvaguardare l'utilità della controparte nei limiti di un apprezzabile sacrificio del soggetto leso (Bianca). Ciò significa che la totale o parziale imputazione del danno al danneggiato è un risultato conseguente alla responsabile violazione di un impegno di solidarietà.

Il codice del processo amministrativo riconosce, pertanto, che la condotta omissiva, contraria al principio di buona fede e al parametro della diligenza richiesto al soggetto leso, che consenta la produzione di danni che altrimenti sarebbero stati evitati secondo il canone della causalità civile imperniato sulla probabilità relativa, fa venir meno, in tutto o in parte, il nesso causale che deve legare la condotta antigiuridica con le conseguenze dannose risarcibili (Cass.S.U., n. 577/2008).

Originariamente, la dottrina civilistica aveva inquadrato l'istituto nella teoria della compensazione delle colpe (Pacchioni). Tuttavia, con la codificazione del 1942 e l'evoluzione che ha caratterizzato la nozione di nesso di causalità, l'istituto è stato ritenuto incidente sul rapporto di causalità (Cattaneo).

Più in particolare, secondo la prevalente giurisprudenza, il primo e il secondo comma dell' art. 1227 c.c. atterrebbero a due diversi stadi di rilevanza del nesso di causalità: mentre il primo comma dell' art. 1227 c.c. si riferirebbe al nesso di causalità materiale, cioè al rapporto di derivazione tra il fatto e il danno evento; il secondo comma dell' art. 1227 c.c. si riferirebbe al rapporto tra danno evento e danno conseguenza, incidendo quindi sul cosiddetto nesso di causalità materiale. In pratica il secondo comma postula che il comportamento del danneggiante sia stato la causa unica efficiente dell'evento mentre il danno ascritto al danneggiato coincide con le ulteriori conseguenze non evitate con l'uso della normale diligenza. A queste conclusioni perviene anche la giurisprudenza amministrativa precisando che l'omissione del danneggiato recide il nesso di causalità tra condotta antigiuridica e danno conseguenza ( Cons. St.,Ad. plen., n. 3/2011).

Eccezione di parte o rilevabilità d'ufficio

Muovendo dalla diversa rilevanza causalistica tra il primo e il secondo comma dell' art. 1227 c.c. la giurisprudenza civile giunge a conclusioni differenti con riferimento alla rilevabilità d'ufficio o alla necessaria eccezione di parte del comportamento attivo di cui al primo comma e di quello omissivo di cui al secondo comma. Così, mentre le ipotesi sussumibili all'interno del primo comma sono rilevabili d'ufficio dal giudice (Cass. III, n. 9241/2016), quelle di cui al secondo comma descrivono eccezioni in senso stretto e richiedono la necessaria eccezione di parte, trattandosi della deduzione della violazione di un autonomo dovere giuridico, espressione dell'obbligo di comportarsi secondo buona fede, con l'ulteriore precisazione che il debitore deve fornire la prova che il creditore avrebbe potuto evitare i danni di cui chiede il risarcimento usando l'ordinaria diligenza (Cass. III, n. 15750/2015).

La giurisprudenza amministrativa sembra, invece, orientata nel senso della rilevabilità d'ufficio dell'omissione del danneggiato. In particolare, sulla base di principi già desumibili dal quadro normativo precedente ed oggi recepiti dall'art. 30, comma 3, il giudice amministrativo è chiamato a valutare, senza necessità di eccezione di parte ed acquisendo anche d'ufficio gli elementi di prova all'uopo necessari, se il presumibile esito del ricorso di annullamento e dell'utilizzazione degli altri strumenti di tutela avrebbe, secondo un giudizio di causalità ipotetica basato su una logica probabilistica che apprezzi il comportamento globale del ricorrente, evitato in tutto o in parte il danno. Un rilievo significativo è destinato ad assumere l'utilizzo del mezzo di prova delle presunzioni exartt. 2727 ss. c.c., che consente di valutare se l'apprezzamento dell'illegittimità dell'atto operato in sede risarcitoria avrebbe portato anche all'annullamento dello stesso, in modo da impedire, alla luce anche delle misure provvisorie adottabili in corso di giudizio o ante causam, di mitigare o ridurre il danno (T.A.R. Campania (Napoli), n. 381/2016; Cons. St. V, n. 6450/2014; Cons. St.Ad. plen., n. 3/2011). Il tenore letterale dell'art. 124 e la predeterminazione dei fatti rilevanti da parte del legislatore sembrano costituire ulteriori argomenti giustificativi della rilevabilità d'ufficio dell'omissione del danneggiato.

Elementi costitutivi e casistica

La fattispecie della norma è complessa richiedendo di accertare la diligenza richiesta al danneggiato e il nesso di causalità. Più in particolare, sotto il profilo della diligenza, occorre valutare in concreto quale sia il comportamento astrattamente esigibile dal danneggiato e, quindi, valutare se un tale comportamento non ecceda i limiti di un apprezzabile sacrificio. Il nesso di causalità richiede di svolgere un giudizio prognostico di tipo controfattuale diretto a verificare se il comportamento diligente richiesto avrebbe evitato un determinato tipo di danno (Bianca).

La diligenza si fonda sul canone generale di buona fede e correttezza dell'amministrazione e nel suo ambito applicativo è possibile individuare numerosi parametri applicativi, quali il decorso del tempo, la professionalità del debitore e del creditore, l'aleatorietà del risultato della condotta e i relativi costi.

La giurisprudenza ha ritenuto integrata la fattispecie di cui all'art. 30, comma 3, in caso di mancata tempestiva attivazione del rito del silenzio e di mancata richiesta di anticipazione della data fissata per la camera di consiglio prevista per la trattazione di un procedimento cautelare (T.A.R. Puglia (Bari), n. 1358/2016). Si trattava di un candidato escluso da un concorso pubblico e ammesso con riserva alle prove dal giudice amministrativo mediante ordinanza cautelare pubblicata nella stessa data di celebrazione della prova cui con la stessa era ammesso. Evidenzia la giurisprudenza amministrativa che il ricorrente era a conoscenza da tempo della data delle prove concorsuali e della camera di consiglio e il non essersi attivato per chiedere al Presidente l'anticipazione della camera di consiglio o la misura cautelare monocratica costituiscono omissioni rilevanti ai sensi dell'art. 30, comma 3. Di recente, la giurisprudenza amministrativa ha ritenuto integrata la fattispecie in caso di mancata proposizione di una domanda cautelare (Cons. St. III, n. 2564/2025). Al contrario, è stata ritenuta non idonea a integrare l'omissione rilevante ai fini dell'esclusione del risarcimento del danno, l'omessa escussione della garanzia fideiussoria da parte della pubblica amministrazione, in esito alla infruttuosa scadenza dei singoli ratei di pagamento o l'omesso svolgimento dell'attività sollecitatoria del pagamento presso il debitore principale (Cons. St., Ad. plen., n. 24/2016).

La mancata proposizione delle domande indicate all'art. 124 comporta il rigetto della domanda risarcitoria. Infatti, a prescindere da ogni valutazione circa il merito delle doglianze (rilevanti ai fini della qualificazione dell'ingiustizia del danno), la mancata rituale proposizione dell'azione caducatoria osta al ristoro patrimoniale, secondo quanto previsto dagli artt. 30, comma 3, e 124, comma 2 (T.A.R. Lazio (Roma), n. 11127/2017; T.A.R. Lazio (Roma), n. 6576/2015). Quindi, la mancata azione volta a ottenere l'aggiudicazione o la mancata disponibilità al subentro nel contratto, anche nei suoi aspetti residuali, conduce, di norma, alla valutazione regolata dall'art. 124, comma 3, ai sensi del quale il risarcimento del danno va escluso (T.A.R. Sicilia (Catania), n. 121/2014).

Con specifico riferimento all'art. 124, comma 2, la giurisprudenza, talvolta, ha ritenuto che non sia sufficiente l'invito e la messa in guardia dell'amministrazione sull'ingiustizia dei danni che l'atto possa causare, né basti esperire un rimedio gerarchico interno, ma occorra una vera e propria domanda di giustizia (Cons. St., n. 1983/2011). Il Consiglio di Stato (Cons. St. VI, n. 4283/2015) ha riformato una sentenza di primo grado con la quale la domanda risarcitoria era stata rigettata sul presupposto che, pur avendo ottenuto l'annullamento dell'aggiudicazione, la danneggiata non aveva esperito l'azione di ottemperanza, facendo riferimento a una sorta di pregiudiziale di ottemperanza. Il giudice di secondo grado ha ritenuto non rientrare nell'ordinaria diligenza, l'esigenza di esperire un giudizio di ottemperanza.

In ogni caso, l'omissione del danneggiato non esclude automaticamente il risarcimento di tutti i danni da questi subiti, ma solo di quelli causalmente connessi con l'omissione, sulla base di un giudizio controfattuale. La giurisprudenza ha quindi ritenuto (T.A.R. Liguria, n. 191/2016) che, in caso di accoglimento della domanda di risarcimento del danno proposta dalla seconda classificata di una gara d'appalto annullata, relativamente alla misura dello stesso, il collegio deve necessariamente valorizzare la circostanza che la ricorrente abbia rinunciato alla domanda di subentro nel contratto, comportamento che costituisce, ai sensi dell'art. 124 e, più in generale, ai sensi dell'art. 30, una condotta che il giudice deve valutare. La condotta integrante la rinuncia al subentro appare tale da escludere il risarcimento dell'interesse positivo. Il risarcimento dovrà, pertanto, essere limitato all'interesse negativo da intendersi come comprensivo dei costi sostenuti dalla ricorrente per la predisposizione della offerta e per la partecipazione alla gara.

Si possono, tuttavia, anche immaginare ipotesi in cui l'azione risarcitoria o la domanda di dichiarazione di inefficacia del contratto e di subentro non risultino utili al fine di evitare il danno sofferto, il cui accertamento è necessariamente rimesso a una valutazione casistica. Così, ad esempio, in base all'art. 121, comma 5, l'inefficacia del contratto non trova applicazione nel caso in cui la stazione appaltante abbia attivato la procedura di trasparenza preventiva. In queste ipotesi (ma alle stesse conclusioni può pervenirsi in ipotesi di contratto ad esecuzione istantanea), l'azione di annullamento non potrebbe condurre alla dichiarazione di inefficacia del contratto. Ne discende che il ricorrente non avrebbe potuto evitare il danno neanche mediante l'esperimento degli strumenti di tutela previsti. L'ipotesi potrebbe astrattamente essere sussunta nella fattispecie del giustificato motivo richiamata dall'art. 124 che consente di ammettere comunque il ricorrente alla tutela risarcitoria. Ne discende che nesso di causalità e diligenza vanno esaminate ed accertate in concreto.

Voci di danno risarcibili

Il risarcimento per equivalente comporta la monetizzazione da parte del giudice amministrativo del pregiudizio subito dall'interessato. Esso si compone della perdita subita e del mancato guadagno ( art. 1223 c.c.); si estende al danno imprevedibile solo qualora derivi da un comportamento doloso ( art. 1225 c.c.); nell'impossibilità di una quantificabilità certa, è suscettibile di liquidazione in via equitativa ( art. 1226 c.c. richiamato anche dall' art. 2056 c.c.). È da ricordare che, a norma dell'art. 34, comma 4, in caso di condanna pecuniaria, il giudice può, in mancanza di opposizione delle parti, stabilire i criteri in base ai quali il debitore deve proporre a favore del creditore il pagamento della somma dovuta. Se le parti non giungono ad un accordo o non adempiono agli obblighi derivanti dall'accordo concluso, l'interessato può agire tramite il giudizio di ottemperanza per la determinazione della somma (Cianflone, Giovannini). Il danno emergente consiste nei costi sopportati per la partecipazione alla gara ed è ritenuto risarcibile autonomamente rispetto al mancato utile solo in caso di illegittima esclusione dall'appalto. Il lucro cessante comprende, secondo l'elaborazione giurisprudenziale, sia il mancato utile, sia il danno all'immagine professionale dell'impresa e la perdita di ulteriori occasioni favorevoli.

Prima del d.lgs. n. 53/2010 veniva sovente utilizzato il criterio legale che quantifica l'utile di impresa nella misura del 10% del valore dell'appalto in base all' art. 345 della l. n. 2248/1865, all. F, norma comunemente considerata espressiva del criterio generale di quantificazione del profitto nei contratti stipulati con l'amministrazione (Cons. St. V, n. 7346/2004). Si è poi evidenziato che tale criterio ha una rilevanza solo presuntiva ed è suscettibile di essere disatteso ove emerga una misura differente, superiore o inferiore, di utile (Cons. St. V, n. 2143/2009).

Il criterio in questione è tuttavia desunto da disposizioni in tema di lavori pubblici che riguardano istituti differenti dal risarcimento per mancato utile, con la conseguenza che un'applicazione del criterio a fattispecie diverse da quelle che lo stesso è destinato a regolare appare priva di adeguata giustificazione e idoneo ad aggirare l'onere della prova gravante sul concorrente ai sensi dell' art. 2697 c.c. Ne discende la necessità, secondo il prevalente e più recente orientamento giurisprudenziale, di fornire la prova del danno subito anche in relazione al lucro cessante ( Cons. St.,Ad. plen.n. 2/2017). Si ritiene, inoltre, che dal danno quantificato nel mancato utile vada detratto l'aliunde perceptum el'aliunde percipiendum, in quanto il concorrente danneggiato deve dimostrare di non aver potuto utilizzare mezzi e maestranze rimasti a disposizione della stazione appaltante per l'espletamento di altri servizi (Cons. St. V n. 6453/2014). Per quanto concerne la ripartizione dell'onere probatorio, spetta all'impresa l'onere di provare l'assenza dell'aliunde perceptum, in considerazione della presunzione secondo cui l'imprenditore, specie se in forma societaria, normalmente non rimane inerte in caso di mancata aggiudicazione di un appalto ma si procura prestazioni contrattuali alternative dalla cui esecuzione trae utili (Cons. St. VI, n. 2751/2008).

Danno da mancata aggiudicazione

Il danno da mancata aggiudicazione è, quindi, risarcibile con riguardo al mancato utile, ovvero al risultato netto patrimoniale che il soggetto danneggiato avrebbe conseguito per effetto dell'aggiudicazione negatagli (interesse positivo) perché illegittimamente disposta in favore di altro concorrente o per illegittima esclusione dell'impresa dalla procedura. Nel caso di mancata aggiudicazione, il danno conseguente al lucro cessante si identifica con l'interesse positivo, che ricomprende sia il mancato profitto (che l'impresa avrebbe ricavato dall'esecuzione dell'appalto), sia il danno c.d. curricolare (ovvero il pregiudizio subìto dall'impresa a causa del mancato arricchimento delcurriculume dell'immagine professionale per non poter indicare in esso l'avvenuta esecuzione dell'appalto) ( Cons. St.,Ad. plen.n. 2/2017). Ai fini del risarcimento del mancato utile è necessario che sia provato specificamente l'utile economico che sarebbe derivato al ricorrente dall'esecuzione del contratto; ed infatti, secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale, il criterio forfetario dell'utile pari al 10% dell'offerta formulata dall'impresa ha carattere meramente presuntivo e non può dispensare dall'onere probatorio gravante sull'impresa (Cons. St.Ad. plen.n. 2/2017; Cons. St. V, n. 3220/2014).

Per quanto riguarda il danno curricolare, costituito dalla perdita della possibilità di incrementare il proprio curriculum professionale (più in particolare è da correlare al fatto che la mancata aggiudicazione dell'appalto ha impedito al concorrente di eseguire un lavoro di particolare rilievo e, quindi, di partecipare a gare di appalto di una determinata categoria), la giurisprudenza ha chiarito che l'aggiudicazione della commessa pubblica, al di là del ricavi diretti conseguenti all'esecuzione del contratto, accresce la capacità della impresa di competere sul mercato; tale effetto si sostanzia in un vantaggio economicamente valutabile la cui perdita, per effetto della illegittima procedura di gara, è suscettibile di ristoro a titolo di lucro cessante. Anche per tale voce di danno il ricorrente è gravato dall'onere di fornire la prova dell'an debeatur e del quantum debeatur. In ordine all'an, secondo un primo orientamento (Cons. St. VI, n. 4115/2015), il ricorrente non sarebbe gravato da un rigoroso onere probatorio in quanto il danno curricolare sarebbe conseguenza automatica della impossibilità di eseguire l'appalto; altra parte della giurisprudenza (Cons. St. V, n. 3769/2015) ritiene invece che sia sempre necessario fornire la prova specifica dei presupposti del danno. L'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato ( Cons. St.,Ad. plen.n. 2/2017) ha precisato che anche per il danno curricolare il creditore deve offrire una prova puntuale del nocumento che asserisce di aver subito (il mancato arricchimento del proprio curriculum professionale), quantificandolo in una misura percentuale specifica applicata sulla somma liquidata a titolo di lucro cessante.

La giurisprudenza amministrativa ha, di regola, escluso la risarcibilità delle spese sostenute dall'operatore economico per la partecipazione alla gara (Cons. St. VI, n. 3728/2015; Cons. St. IV, n. 1708/2015). La ratio risiede nel principio secondo cui mediante il risarcimento non può farsi conseguire al ricorrente un beneficio maggiore rispetto a quanto avrebbe ottenuto dall'aggiudicazione della commessa sul rilievo che, nel caso di vittoria della gara, i costi di partecipazione non sarebbero rimborsati all'impresa.

Per quanto concerne il danno all'immagine professionale, secondo un orientamento professionale, tale voce di danno è risarcibile solo si vi sia la prova specifica che l'esclusione ha recato un nocumento all'immagine, alla professionalità o all'esperienza dell'impresa (Cons. St. V, n. 478/2007). Secondo una diversa ricostruzione, in tema di pubblici appalti, il danno all'immagine professionale è configurabile solo a fronte dell'annullamento di un provvedimento di esclusione dalla gara reso per carenza di requisiti idonei a incidere sull'onorabilità dell'impresa (Cons. St. V n. 2143/2009).

Inoltre, grava sempre sul ricorrente l'onere di dimostrare la certezza dell'aggiudicazione, ovvero la sicura spettanza della commessa pubblica nel caso in cui la stazione appaltante avesse agito correttamente. Nelle diverse ipotesi in cui non vi sia certezza circa il conseguimento dell'aggiudicazione in capo al ricorrente, ma sussista una ragionevole probabilità di successo, il danno risarcibile non è quello da mancata aggiudicazione della gara bensì è quello da c.d. perdita di chance (Cianflone, Giovannini).

La prova sulla quantificazione del danno può essere raggiunta anche mediante presunzioni.

Illegittima esclusione del concorrente e chance

Qualora in relazione alla illegittimità dell'operato dell'amministrazione sia accertato che l'interessato avesse titolo per partecipare alla procedura dalla quale sia stata escluso, il risarcimento per equivalente va determinato secondo il criterio del valore dellachanceperduta, valore il quale è positivamente rilevabile allorché, secondo un giudizio prognostico, la probabilità di successo abbia seria consistenza ovvero quando essa si presenti, secondo una valutazione statistica, maggiore del cinquanta per cento. In tal caso, infatti, la chance non costituisce una mera aspettativa di fatto ma un vero e proprio diritto attuale. L'ammissibilità del risarcimento della chance è stata implicitamente sancita dal legislatore per effetto delle modifiche apportate all' art. 245-bis d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, a seguito della trasposizione delle relativa disciplina nel Codice del processo amministrativo. La norma previgente prevedeva che il risarcimento potesse essere riconosciuto a favore del solo concorrente avente titolo all'aggiudicazione e sembrava pertanto escludere la possibilità di accordare tutela alla perdita di chance; l'attuale art. 124 non contiene più la suddetta limitazione con ciò aprendo la strada alla risarcibilità anche della sola perdita della possibilità di ottenere l'aggiudicazione (Caringella). Il danno da perdita di chance esula dalla categoria dei danni futuri ossia quei danni che si prevedono doversi verificare in un tempo successivo a quello in cui il danneggiato fa valere la sua pretesa, in quanto costituisce un danno attuale, presente e costituito dalla lesione della possibilità di conseguire il risultato favorevole.

Il danno da perdita di chance può derivare sia da responsabilità contrattuale che extracontrattuale e si identifica con la perdita della possibilità di conseguire un risultato utile, non con la perdita di quel risultato, ma richiede che siano stati posti in essere concreti presupposti per la realizzazione del risultato sperato. Il concorrente che ha subito un danno di tal guisa può chiederne il ristoro o mediante la ripetizione dell'occasione perduta o per equivalente monetario. In ipotesi di risarcimento per equivalente, ove il danno non possa essere provato nel suo preciso ammontare, si ammette il ristoro della chance in via equitativa, con la tecnica dell'utile conseguibile, diminuito di una percentuale. Tuttavia, nel processo amministrativo, nei limiti in cui è possibile, la chance è risarcita mediante ripetizione dell'occasione perduta e, quindi, in caso di procedure ad evidenza pubblica mediante il rinnovo della procedura concorsuale (sul tema si veda Lotti).

Il concetto di chance è stato utilizzato o in funzione del ragionamento eziologico (Cons. St. IV, n. 6987/2011), nel senso che al fine di ritenere provato il nesso causale tra la violazione e la perdita subita è sufficiente un indice probabilistico almeno pari al 50% delle possibilità di ottenimento dell'aggiudicazione, ovvero in chiave ontologica (Cons. St. VI, n. 1443/2010), come bene giuridico autonomo, con la conseguenza che la perdita della possibilità di ottenere il risultato sperato viene risarcita non già in termini di lucro cessante, bensì come danno emergente (in quanto posta attuale del patrimonio). Un orientamento assunto dal Consiglio di Stato (Cons. St. V, n. 1099/2015) tende a ricostruire in chiave unitaria il concetto di chance al fine di superare la distanza tra le predette tesi, tendendo a fare riferimento a una doppia valenza della chanceSul tema la giurisprudenza amministrativa ha analizzato la tematica della risarcibilità della chance, considerata ormai dalla giurisprudenza civile e amministrativa una posizione giuridica autonomamente tutelabile, “morfologicamente intesa come evento di danno rappresentato dalla perdita della possibilità di un risultato più favorevole (e in ciò distinta dall’elemento causale dell’illecito, da accertarsi preliminarmente e indipendentemente da essa)”, purché ne sia provata una consistenza probabilistica adeguata e nella quale può quindi essere ricondotta la pretesa risarcitoria connessa al regime tariffario incentivante di cui la società ricorrente chiede il ristoro per equivalente (Cons. St., Ad. plen. n. 7/2021).

In particolare, affinché un'occasione possa assumere rilevanza giuridica è necessario che sussista una rilevante probabilità di successo e non una mera possibilità statisticamente non rilevante di ottenere un dato risultato (rilevanza eziologica). Assume rilievo a tale scopo la distinzione tra probabilità di riuscita (chance risarcibile) e mera possibilità di conseguire il bene della vita (chance irrisarcibile) da individuarsi in base alla teoria probabilistica (Caringella). Una volta riconosciuta la valenza eziologica della chance e, quindi, la sussistenza del nesso di causalità, l'ammontare del risarcimento del danno deve essere determinato in relazione alle concrete possibilità di conseguimento dell'aggiudicazione e, quindi, con una diminuzione percentuale rispetto al risarcimento dell'intero (rilevanza ontologica).

Secondo la giurisprudenza (Cons. St. V, n. 762/2016), in linea di principio, per danno da perdita di chance deve intendersi la lesione della concreta occasione di conseguire un determinato bene, occasione che non è mera aspettativa di fatto, ma entità patrimoniale a sé stante, giuridicamente ed economicamente suscettibile di autonoma valutazione. Il danno da perdita di chance può essere ravvisato e risarcito solo con specifico riguardo al grado di probabilità che in concreto il richiedente avrebbe avuto di conseguire il bene della vita e, cioè, in ragione della maggiore o minore probabilità dell'occasione perduta, con conseguente necessità di distinguere fra probabilità di riuscita, che va considerata quale chance risarcibile, e mera possibilità di conseguire l'utilità sperata, da ritenersi chance irrisarcibile. Il ricorrente ha l'onere di provare gli elementi atti a dimostrare, pur se solo in modo presuntivo e basato sul calcolo delle probabilità, la possibilità concreta che egli avrebbe avuto di conseguire il risultato sperato, atteso che la valutazione equitativa del danno, ai sensi dell' art. 1226 c.c., presuppone che risulti comprovata l'esistenza di un danno risarcibile; in particolare, la lesione della possibilità concreta di ottenere un risultato favorevole presuppone che sussista una probabilità di successo almeno pari al 50 per cento, poiché, diversamente, diventerebbero risarcibili anche mere possibilità di successo, statisticamente non significative (Cons. St. III, n. 559/2016; T.A.R. Campania (Napoli), n. 689/2012).

Resta fermo che il risarcimento della chance è escluso tutte le volte in cui a seguito dell'annullamento ad opera del giudice degli atti di gara, l'amministrazione debba procedere alla rinnovazione della procedura, poiché in casi siffatti la pronuncia caducatoria restituisce in forma specifica al ricorrente la possibilità di conseguire l'aggiudicazione.

La giurisprudenza ha osservato che in un appalto pubblico la chance di vittoria dell'impresa illegittimamente esclusa deve, ove possibile, essere ristorata in forma specifica, mediante il rinnovo delle operazioni di gara. Rinnovo che, talvolta, la giurisprudenza ritiene di svolgere, virtualmente, a prescindere dalla possibilità concreta di eseguire il contratto. Se all'esito del rinnovo l'impresa risulti vincitrice ma non possa aggiudicarsi l'appalto perché lo stesso, nel frattempo, è stato già eseguito, sarà dovuto il risarcimento per equivalente, sia del danno emergente che del lucro cessante (Cons. St. VI, n. 4435/2002). In altre occasioni, la giurisprudenza svolge una valutazione probabilistica e presuntiva in ordine alla possibilità che aveva il ricorrente di risultare vincitore e sulla base della probabilità di vittoria viene quantificato proporzionalmente il danno risarcibile. 

Di recente, il Consiglio di Stato (Cons. St. IV, 2907/2018) ha ritenuto che il danno da perdita di chance richieda una rilevante probabilità del risultato utile frustrata dall’agire illegittimo dell’amministrazione, non identificabile nella perdita della semplice possibilità di conseguire il risultato sperato, bensì nella perdita attuale di un esito favorevole, anche solo probabile, se non addirittura la prova certa di una probabilità di successo almeno pari al cinquanta per cento o quella che l’interessato si sarebbe effettivamente aggiudicato il bene della vita cui aspirava.

La questione della risarcibilità del danno da perdita di chance, con particolare riferimento alle tesi ontologica ed eziologica, è stata oggetto di un’ordinanza di rimessione all’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato (Cons. St. V, 118/2018), la quale, tuttavia, con ordinanza (Cons. St., Ad. Plen., 7/2018) ha restituito gli atti alla sezione rimettente perché, a causa della decisione di aspetti pregiudicanti della fattispecie (in particolare nesso di causalità, consistenza della chance di aggiudicazione, ricorso alla figura della gara virtuale) già compiuto dalla sezione, sarebbe stato precluso all’Adunanza plenaria l’esame incondizionato della questione deferita.

Vizi formali

Qualora l'illegittimità dell'operato dell'amministrazione consegua ad un vizio di carattere formale (ad esempio al difetto di motivazione di un atto) o procedimentale (quale la mancanza dell'acquisizione di un parere dovuto), il risarcimento dipenderà dall'esito della rideterminazione amministrativa che, eventualmente, al solo scopo in questione, dovrà essere assunta emendata dell'irregolarità riscontrata. Pertanto, il risarcimento sarà negato — salvo le eventuali spese rese necessarie dalla rinnovazione dell'atto o del procedimento — ove venga riscontrato che il vizio non abbia comportato pregiudizi sostanziali né sotto il profilo della mancata aggiudicazione dovuta né sotto quello della perdita di chance (Cons. St. V, n. 675/2015; Cons. St. III, n. 302/2015).

Nel processo amministrativo avente ad oggetto l'esito di gare pubbliche la domanda di risarcimento dei danni presuppone la sussistenza non solo dell'illegittimità del comportamento dell'amministrazione, ma anche del danno ingiusto e, quindi, della lesione del bene della vita, situazione questa che non ricorre nel caso in cui l'annullamento giurisdizionale del provvedimento impugnato è stato disposto solo per l'accertata illegittima composizione della commissione valutatrice, in quanto priva di componenti sufficientemente qualificati sotto il profilo tecnico-professionale e capaci di formulare giudizi comparativi attendibili; la funzione svolta da una commissione di gara composta in modo difettoso va infatti considerata espressione di poteri non ancora esercitati nell'accezione di cui all'art. 34, sicché a fronte di essa non è ipotizzabile l'azione risarcitoria, ove il bene della vita che si assume leso sia l'aggiudicazione della gara, potendo in limine ipotizzarsi la violazione della mera chance all'aggiudicazione della gara e non dare ingresso a un'azione risarcitoria per equivalente che presuppone la regolarità della procedura di gara e l'accertamento della spettanza dell'aggiudicazione alla parte ricorrente (Cons. St. V, n. 4499/2015).

Responsabilità precontrattuale

Nei casi in cui si configuri in capo all'amministrazione una responsabilità di tipo precontrattuale, la definizione del risarcimento andrà effettuata secondo i canoni enunciati in riferimento all' art. 1337 c.c. e il pregiudizio risarcibile sarà, quindi, costituito dal ristoro del mero interesse negativo, comprensivo delle spese inutilmente sostenute in previsione della conclusione del contratto nonché delle perdite sofferte per non aver usufruito di ulteriori occasioni e non anche dei danni che si sarebbero evitati o dei vantaggi che si sarebbero conseguiti con la stipulazione e l'esecuzione del contratto (Cons. St. V, n. 1904/2016; Cons. St. III, n. 1839/2015).

Bibliografia

Bianca, Diritto civile, 5. La responsabilità, Milano, 1994; Caringella,Manuale di diritto amministrativo, Roma, 2016; Cattaneo, Il concorso di colpa del danneggiato, in Riv. dir. civ. 1967, I, 460 ss.;Chieppa-Giovagnoli, Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2016; Cianflone, Giovannini, L'appalto di opere pubbliche, I, Milano, 2021; Follieri, L’ubi consistam della perdita di chance nel diritto amministrativo, 2022, in giustizia-amministrativa.it; Giovagnoli, Tutela in forma specifica e tutela per equivalente dell'interesse all'aggiudicazione, in Urb. app., 2011, 398 ss.; Lotti, Il risarcimento del danno da perdita di chance, in AA.VV., Il Libro della Giustizia Amministrativa 2021, a cura dell’Ufficio studi, massimario e formazione, Torino, 2021, 412 ss.; Pacchioni, Della cosiddetta compensazione delle colpe, in Riv. dir. comm. pen. obbl. 1910, II, 1032 ss.; Simonetti, Il giudizio risarcitorio nel processo amministrativo, in AA. VV., Il nuovo diritto processuale amministrativo, a cura di G.P. Cirillo, in Trattato di diritto amministrativo, diretto da G. Santaniello, Padova, 2014, 559 ss.; Simonetti,Tutela in forma specifica e per equivalente nelle controversie relative all'affidamento dei contratti pubblici, in Nuova giur. civ. comm. 2013, 12, 669 ss.

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