Decreto legislativo - 2/07/2010 - n. 104 art. 96 - Impugnazioni avverso la medesima sentenzaImpugnazioni avverso la medesima sentenza
1. Tutte le impugnazioni proposte separatamente contro la stessa sentenza devono essere riunite in un solo processo. 2. Possono essere proposte impugnazioni incidentali, ai sensi degli articoli 333 e 334 del codice di procedura civile. 3. L'impugnazione incidentale di cui all'articolo 333 del codice di procedura civile può essere rivolta contro qualsiasi capo di sentenza e deve essere proposta dalla parte entro sessanta giorni dalla notificazione della sentenza o, se anteriore, entro sessanta giorni dalla prima notificazione nei suoi confronti di altra impugnazione. 4. Con l'impugnazione incidentale proposta ai sensi dell'articolo 334 del codice di procedura civile possono essere impugnati anche capi autonomi della sentenza; tuttavia, se l'impugnazione principale è dichiarata inammissibile, l'impugnazione incidentale perde ogni efficacia. 5. L'impugnazione incidentale di cui all'articolo 334 del codice di procedura civile deve essere proposta dalla parte entro sessanta giorni dalla data in cui si è perfezionata nei suoi confronti la notificazione dell'impugnazione principale e depositata, unitamente alla prova dell'avvenuta notificazione, nel termine di cui all'articolo 451. 6. In caso di mancata riunione di più impugnazioni ritualmente proposte contro la stessa sentenza, la decisione di una delle impugnazioni non determina l'improcedibilità delle altre. [1] Comma modificato dall'articolo 1, comma 1, lettera m), del D.Lgs. 14 settembre 2012, n. 160. Note operative
N. B. Per i termini relativi al ricorso in cassazione, v. sub art. 110 InquadramentoLa disciplina sulle impugnazioni avverso la medesima sentenza si ispira alle previsioni degli artt. 333,334 e 335 c.p.c. e mira a realizzare la unitarietà della decisione di più impugnazioni proposte separatamente nei confronti della stessa sentenza. Viene disciplinata anche l'impugnazione incidentale tardiva, riguardo alla quale si erano registrate oscillazioni della giurisprudenza con riferimento alla applicabilità delle regole del processo civile. Le impugnazioni autonome avverso la medesima sentenzaL'art, 96 chiarisce le modalità di proposizione di più impugnazioni autonome avverso la stessa sentenza. Costituisce principio pacifico quello secondo cui ai sensi dell' art. 333 c.p.c., applicabile anche al giudizio amministrativo, la parte che abbia ricevuto la notificazione dell'appello proposto contro una sentenza ha l'onere di impugnarla in via incidentale se voglia evitare di incorrere nella decadenza nell'ipotesi di mancata riunione dei giudizi, ma ciò non preclude alla parte stessa di proporre un'impugnazione in forma autonoma (Cons. St. IV, n. 3617/2004; Cons. St. IV, n. 1120/2004; Cons. St. IV, n. 1571/2001; Cons. St. VI, n. 5025/2004). Non essendovi nel processo amministrativo una disposizione analoga a quella contenuta nell' art. 332 c.p.c., in presenza di cause scindibili non sussiste un onere per l'appellante di notiziare le altre parti soccombenti, che possono ancora impugnare, dell'avvenuta proposizione di un'impugnazione avverso la sentenza. Di conseguenza, nel processo amministrativo per la parte soccombente di una causa scindibile non si può verificare l'onere di impugnare in forma incidentale, in quanto essa non riceve alcuna notizia della già avvenuta impugnazione della sentenza ad opera di altra parte (Luiso, 904). Resta fermo che l'appello incidentale autonomo, essendo sostenuto da un interesse che non dipende dall'impugnativa principale, deve essere proposto entro sessanta giorni dalla notifica della sentenza, ovvero entro sessanta giorni dalla data di notifica dell'appello principale, se questa sia antecedente alla data di notifica della sentenza di primo grado. La riunione delle impugnazioni autonome avverso la stessa sentenza e le conseguenze della mancata riunioneAi sensi dell' art. 335 c.p.c., tutte le impugnazioni proposte separatamente contro la stessa sentenza debbono essere riunite in un solo processo e proprio per la già descritta assenza nel processo amministrativo di una norma analoga all' art. 332 c.p.c.la riunione di impugnazioni proposte separatamente assicura l'unicità del processo in modo più frequente rispetto a quanto accade nel processo civile. Tuttavia, può accadere che impugnazioni proposte avverso la stessa sentenza non siano riunite. In caso di mancata riunione, era stato ritenuto che ciò non incideva sulla validità della pronuncia relativa al primo ricorso, ma rendeva improcedibili gli altri, atteso che, risultando ormai impossibile il simultaneo processo, si verificava un impedimento all'esame di ulteriori gravami, in ragione della decadenza con la quale l' art. 333 c.p.c., sanziona la prescrizione dell'incidentalità delle impugnazioni successive alla prima ( Cons. St. V, n. 8075/2004; Cons. St. V, n. 2385/2003; Cons. St. n. 1093/2002; Cons. St. IV, n. 442/2000 e Cons. St. IV, n. 125/1993). Il Codice prevede che in caso di mancata riunione di più impugnazioni ritualmente proposte contro la stessa sentenza, la decisione di una delle impugnazioni non determina l'improcedibilità delle altre. Infatti, l' art. 96 comma 1, c.p.a., nel prevedere la riunione dei ricorsi proposti contro la stessa sentenza, ammette che possano essere presentati separatamente nei confronti della stessa decisione diversi appelli principali, oltre che appelli incidentali; pertanto non solo non può costituire motivo di inammissibilità dell'appello la sua eventuale proposizione in via autonoma, purché nel rispetto dei termini processuali, dopo la precedente proposizione di altro appello nei confronti della stessa sentenza, ma non può incidere sulla procedibilità dell'impugnazione nemmeno l'eventuale mancata riunione dei diversi ricorsi proposti e una intervenuta decisione su una o più delle impugnazioni, come si evince dal disposto del comma 6 del cit. art. 96 c.p.a., secondo cui in caso di mancata riunione di più impugnazioni ritualmente proposte contro la stessa sentenza, la decisione di una delle impugnazioni non determina l'improcedibilità delle altre (Cons. St. III, n. 5057/2014). Nella relazione si illustra che per impugnazioni autonome proposte ritualmente si intende l'impugnazione autonoma proposta senza che alla parte impugnante fosse stata previamente notificata l'impugnazione dell'altra parte o delle altre parti. Di conseguenza, solo in questo caso la previa decisione di un ricorso in appello non rende improcedibile l'altro, mentre la decadenza di cui all' art. 333 c.p.c. è prevista per il caso in cui le parti alle quali sia stata notificata l'impugnazione non osservino l'onere di proporre le loro impugnazioni in via incidentale in un unico processo. Deve, tuttavia, ritenersi che a fronte di più impugnazioni autonome, anche non ritualmente proposte, in presenza di una istanza di riunione di una delle parti impugnanti, il giudice debba necessariamente procedere alla riunione e non possa decidere uno solo dei ricorsi. Ciò tanto più se il ricorso in appello è proposto quando non si aveva ancora conoscenza della notificazione dell'altro ricorso; la pendenza dei due ricorsi dovrà essere tempestivamente segnalata al giudice affinché vengano fissati alla stessa udienza. La riunione dei ricorsi è comunque una prerogativa del giudice e, di conseguenza, è inammissibile l'appello proposto contro diverse sentenze, ancorché di analogo contenuto e pronunciate nei confronti della stessa Amministrazione, le quali abbiano definito in primo grado ricorsi che avevano avuto trattazione distinta in separati processi, poiché altrimenti si consentirebbe alla parte di esercitare un potere che l'ordinamento processuale attribuisce unicamente al giudice. Ciò non esclude l'ammissibilità della riunione, disposta dal giudice, di due appelli avverso sentenze distinte, tenuto conto dell'esigenza di simultaneus processus, laddove ciò che viene richiesto al giudice, sia pure per il tramite dell'instaurazione di due distinti giudizi, è innanzi tutto la concreta e precisa configurazione della patologia dell'atto adottato (precisamente: se esso debba essere considerato nullo, in quanto elusivo o violativo di giudicato, ovvero illegittimo per vizi propri e per la prima volta rilevabili) in quanto l'instaurazione di due distinti giudizi – che è conseguenza di una incertezza derivante dallo stesso ordinamento processuale – non elimina la sostanziale unicità di una domanda che presuppone implicitamente la richiesta al giudice, insieme all'esame della natura della patologia dell'atto, della corretta qualificazione della tipologia dell'azione. Il che, come è evidente, non può che avvenire se non attraverso un esame congiunto e comparativo delle due domande, ancorché le stesse introducano – per effetto del sistema processuale vigente – due giudizi tipologicamente distinti, l'uno di cognizione l'altro di ottemperanza ( Cons. St. Ad. plen. n. 2/2013). V. anche il commento all'art. 101, in cui si dà atto dell'orientamento prevalente circa l'inammissibilità dell'appello cumulativamente proposto nei confronti di distinte sentenze (Cons. St. V, n. 5554/2011; Cons. St. IV, n. 6102/2011), e di una apertura della giurisprudenza in senso diverso a condizione che ricorra il requisito soggettivo della identità delle parti e quello oggettivo della comunanza delle questioni o della stretta connessione tra le cause (Cons. St., V, n. 5385/2018). Ai sensi dell' art. 96 del Codice del processo amministrativo va disposta la riunione delle impugnazioni proposte contro la medesima decisione ancorché esse siano di genere differente (Cons. giust. amm. Sicilia, sez. giurisd., 31 dicembre 2010, n. 1546). Nel caso in cui il secondo ricorso non sia improcedibile, spetterà poi al giudice dell'impugnazione accertare se il primo giudicato che si forma sia opponibile agli altri impugnanti, a seconda che essi siano o non siano stati parti in quel giudizio. L' art. 96, comma 6, del codice del processo amministrativo si limita a prevedere che, in caso di mancata riunione di più impugnazioni avverso la stessa sentenza, la decisione di una delle impugnazioni non determina l'improcedibilità delle altre; viene meno però l'interesse all'appello quando l'improcedibilità non deriva dal mero fatto dell'avvenuta decisione degli altri appelli, ma dal contenuto della decisione che fa venire meno l'interesse ad ottenere una analoga statuizione di annullamento della sentenza del T.A.R. (Cons. St. V, n. 7604/2010). L'impugnazione incidentale tempestivaAcquisita notizia dell'avvenuta impugnazione di una sentenza, le altre parti propongono le loro impugnazioni, in via incidentale, nello stesso processo, come avviene nel processo civile ai sensi dell' art. 333 c.p.c. Il carattere principale o incidentale dell'impugnazione non ha nulla a che vedere con la maggiore o minore importanza del capo di sentenza contestato: è principale l'impugnazione proposta per prima, mentre è incidentale quella cronologicamente successiva (Picardi, 406). L'impugnazione incidentale tempestiva interviene quando ancora non si è verificata acquiescenza alla sentenza ed è, quindi, proposta entro i termini ordinari di impugnazioni, come prescritto dal comma 3 dell'art. 96 (sessanta giorni dalla notificazione della sentenza o, se anteriore, sessanta giorni dalla notificazione nei confronti della parte di altra impugnazione). Se la sentenza non è stata notificata, si applica come noto il termine lungo per impugnare, ma la notificazione della prima impugnazione fa scattare (ovviamente solo per le parti a cui l'impugnazione è notificata) il termine breve di sessanta giorni per proporre l'impugnazione incidentale. Il termine lungo per impugnare può essere prolungato in caso di impugnazione incidentale tardiva (v. oltre). In sostanza, una volta decorsi sessanta giorni dal momento in cui si è perfezionata la notificazione dell'impugnazione principale, l'impugnante incidentale perde il potere di impugnare non solo in via incidentale ma anche in via principale, non potendo più essere sostenuta la contraria tesi, accolta da parte della giurisprudenza prima dell'entrata in vigore del c.p.a. (Luiso, 906). L'impugnazione incidentale tardivaL'impugnazione incidentale tardiva è quella proposta dalla parte che ha ricevuto l'impugnazione principale dopo il decorso dei termini per l'impugnazione o dopo aver prestato acquiescenza alla sentenza, a differenza, come già detto, dell'impugnazione incidentale tempestiva, che presuppone il rispetto dei termini per l'impugnazione. La norma persegue lo scopo di agevolare l'accettazione della sentenza: in altri termini, la parte che non ha visto integralmente accolte le proprie conclusioni, ma che tuttavia è per così dire disposta a contentarsi della sentenza pronunciata, non è costretta a proporre sempre e comunque l'impugnazione, ma, attraverso la disposizione in esame, può farlo se l'altra parte lo fa (Liebman, 1964, 282). L'applicabilità nel processo amministrativo delle regole del processo civile sulla impugnazione incidentale tardiva aveva costituito questione altamente controversa. Fino all'entrata in vigore del Codice, l'orientamento prevalente aveva ritenuto che il termine di cui all' art. 37 r.d. 26 giugno 1924, n. 1054, di trenta giorni successivi a quello assegnato per il deposito dell'appello principale, per la notifica dell'appello incidentale, fosse operante solo quando si era in presenza di appello incidentale in senso proprio, ovvero di impugnativa subordinata, condizionata all'accoglimento eventuale dell'appello principale e, pertanto, proposta contro lo stesso capo della sentenza gravato dell'appello principale o contro un capo connesso o dipendente, ma non anche quando si trattava di ulteriore impugnativa rivolta avverso un capo autonomo della sentenza già appellata o a far valere un autonomo interesse. Cfr., fra tutte, Cons. St. IV, n. 6427/2004; Cons. St. n. 8005/2004. Tuttavia tale orientamento, sebbene ancora prevalente, era tutt'altro che unanime, essendo stata sviluppata la tesi dell'ammissibilità dell'appello incidentale tardivo anche avverso capi autonomi di sentenza. Cons. St. V, n. 6736/2002; Cons. St. IV, n. 6848/2000. L'orientamento tradizionale era ancora tralatiziamente allineato con quello che era, fino a prima del 1990, il conforme insegnamento della Corte di Cassazione in tema di impugnazioni incidentali tardive, che venivano ammesse solo se relative allo stesso capo di sentenza gravato in via principale o, al più, ad un capo da esso dipendente o con questo strettamente connesso. Successivamente, la Suprema corte, con il noto reviremant operato da Cass. S.U., n. 4640/1989 — lungamente auspicato e unanimemente sollecitato dalla dottrina processualista e poi seguito da tutta la giurisprudenza ordinaria successiva — ha affermato che l' art. 334 c.p.c., che consente alla parte contro cui è proposta l'impugnazione di esperire impugnazione incidentale tardiva senza subire lo spirare del termine ordinario o la propria acquiescenza, è volto a rendere possibile l'accettazione della sentenza in situazione di reciproca soccombenza purché l'avversario tenga analogo comportamento. Il principio trova applicazione con riguardo a qualsiasi capo della sentenza anche se autonomo rispetto a quello investito dall'impugnazione principale, sempreché l'interesse all'impugnazione incidentale dipenda dalla avvenuta proposizione dell'impugnazione principale. In sede civile è stata quindi superata ogni limitazione oggettiva all'ammissibilità dell'appello incidentale, anche se tardivo, mantenendo invece ferma, ovviamente, la limitazione soggettiva alle sole parti appellanti in via principale. Era già stato rilevato che, posto che non può dubitarsi che il processo amministrativo conosca in certi casi l'appello incidentale tardivo (cioè, in sostanza, un istituto che trova la sua disciplina generale nell' art. 334 c.p.c., oltre che, specificamente per il giudizio amministrativo, nell' art. 37 del r.d. n. 1054/1924, applicabile al giudizio d'appello per il richiamo di cui all' art. 29 l. n. 1034/1971), e stante che in detto art. 37 non si rinviene alcuna configurazione dell'istituto diversa e più restrittiva, almeno per quanto attiene ai suoi limiti oggettivi, rispetto a quella in cui esso è disciplinato dall'art. 334 del codice di rito, è giocoforza concludere che ci si trovi di fronte allo stesso istituto processuale disciplinato dal codice di procedura civile (Cons. giust. amm. Sicilia, 19 ottobre 2005 n. 691; v. anche Cass. III, n. 22883/2004). La ratio, peraltro, è evidente e condivisibile: alla parte, che si sia acquietata accettando il complessivo assetto di interessi conseguente alla sentenza di primo grado, non può disconoscersi la più ampia facoltà, anche nelle forme e nei termini di cui all' art. 334 c.p.c., di contestare tale assetto, per ogni profilo oggettivo di sua soccombenza, allorché un'altra parte, impugnando la sentenza, abbia richiesto nei suoi confronti la modifica di detto assetto; al contrario, in confronto di quelle altre parti che, senza essere parti del giudizio di appello né avvinte necessariamente ad esso dall'inscindibilità del litisconsorzio in sede di gravame, hanno lasciato passare in giudicato la sentenza, è inammissibile proporre, anche in via incidentale, impugnazioni tardive ai sensi dell'art. 334 (che, infatti, non le contempla), essendo ormai definitiva, nei loro con-fronti, la sentenza di primo grado. Sulla questione dell'appello incidentale tardivo sarebbe stata opportuna in passato la devoluzione all'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato; la questione è stata poi risolta dal Codice, che, proprio al dichiarato (nella relazione) scopo di risolvere contrasti di giurisprudenza, prevede che l'impugnazione incidentale tardiva, conformemente alla sua natura di «ritorsione», sia ammessa anche contro capi autonomi della sentenza: essa però, secondo la disciplina propria dell'impugnazione incidentale tardiva, perde efficacia se l'impugnazione principale è dichiarata inammissibile. In sostanza, quindi, con l'impugnazione incidentale proposta ai sensi dell' articolo 334 del codice di procedura civile possono essere impugnati anche capi autonomi della sentenza e l'impugnazione tardiva deve essere proposta dalla parte entro sessanta giorni dalla data in cui si è perfezionata nei suoi confronti la notificazione dell'impugnazione principale e depositata, unitamente alla prova dell'avvenuta notificazione, entro dieci giorni. L'istituto dell'impugnazione incidentale tardiva nel processo amministrativo ( art. 334 c.p.c. e ora art. 96 comma 4, c.p.a.) assume valenza generale e non può essere limitato alle sole ipotesi di appello incidentale c.d. proprio. Infatti, il legislatore del 2010 ha ritenuto di recepire per interno la ratio sottesa alla formulazione dell' art. 334 c.p.c., consentendo in modo espresso la proposizione tardiva anche dell'appello incidentale improprio, pur se ne ha contestualmente affermato la dipendenza dagli esiti dell'impugnazione principale. Cons. St. VI, n. 5434/2011. L' art. 96 c.p.a. disciplina in modo compiuto i termini di proposizione dell'appello incidentale ex art. 333 e 334 c.p.c., stabilendo le seguenti regole: sia l'impugnazione di cui all'art. 333 che quella di cui all' art. 334 c.p.c. possono essere rivolte contro capi autonomi della sentenza, ossia capi che non hanno già formato oggetto dell'impugnazione principale; l'impugnazione incidentale di cui all' art. 333 c.p.c. non è condizionata all'esito di quella principale, nel senso che resta efficace anche se quella principale è dichiarata inammissibile; l'impugnazione incidentale di cui all' art. 334 c.p.c. può essere proposta dalla parte in via subordinata all'accoglimento di quella principale o in via autonoma, ma è comunque condizionata all'esito di quella principale, nel senso che «perde ogni efficacia» se quella principale è dichiarata inammissibile; l'impugnazione incidentale di cui all' art. 333 c.p.c. deve essere «tempestiva», ossia va proposta entro un termine breve decorrente dalla notificazione della sentenza o, se anteriore, dalla notificazione di altra impugnazione, ovvero entro il termine lungo; l'impugnazione incidentale di cui all' art. 334 c.p.c. è tardiva, nel senso che è proponibile entro sessanta giorni dalla notificazione di altra impugnazione, anche se a tale data è decorso il termine breve decorrente dalla notificazione della sentenza o quello lungo decorrente dalla pubblicazione della sentenza; in definitiva, la notificazione di altra impugnazione sortisce l'effetto di rimettere in termini la parte che era decaduta dal termine di impugnazione breve o lungo ( Cons. St.Ad. plen. , n. 24/2011). Con il secondo correttivo al Codice ( d.lgs. 14 settembre 2012, n. 160) è stato esteso a trenta giorni il termine per il deposito dell'impugnazione incidentale tardiva, al posto dei dieci giorni previsti dalla originaria versione dell'art. 96. Ai sensi dell'art. 96, è giustificato lo spostamento del termine per l'impugnazione incidentale «tardiva» anche oltre il decorso del termine lungo, ovviamente per uno spazio massimo di ulteriori sessanta giorni, atteso che l'impugnazione principale non può comunque essere notificata oltre l'ultimo giorno del termine lungo ( Cons. St. Ad. plen. , n. 24/2011). Aderendo alla tesi della natura interpretativa della norma in relazione al contrasto di giurisprudenza esistente, anche per i processi in corso alla data di entrata in vigore del Codice deve ritenersi dovrebbe ammissibile l'impugnazione tardiva già proposta avverso capi autonomi della sentenza. Segue. Il rapporto tra impugnazione principale e impugnazione incidentale tardivaPiù delicata si presenta viceversa la questione per quanto concerne il rapporto tra impugnazione principale e impugnazione incidentale tardiva. Fra le due ipotesi estreme aventi alternativamente ad oggetto una dipendenza assoluta di quest'ultima dalla prima (tanto da precluderne la delibazione nell'ipotesi di rigetto dell'impugnazione principale), ovvero un'altrettanto assoluta autonomia (tale cioè da imporne l'esame in ogni caso), il legislatore ha operato una scelta intermedia ricollegando, come detto, l'inefficacia dell'impugnazione incidentale all'inammissibilità di quella principale, e ciò verosimilmente sulla base dell'accertata mancanza del presupposto in fatto (vale a dire l'esistenza di una valida ed efficace impugnazione principale) idoneo a legittimare sostanzialmente una rimessione in termini, che risulterebbe pertanto (e cioè stante la detta mancanza) del tutto inspiegabile ed irragionevole. L'impugnazione incidentale di cui all' art. 334 c.p.c. può essere proposta dalla parte in via subordinata all'accoglimento di quella principale o in via autonoma, ma è comunque condizionata all'esito di quella principale, nel senso che «perde ogni efficacia» se quella principale è dichiarata inammissibile; l'impugnazione incidentale di cui all' art. 333 c.p.c. deve essere «tempestiva», ossia va proposta entro un termine breve decorrente dalla notificazione della sentenza o, se anteriore, dalla notificazione di altra impugnazione, ovvero entro il termine lungo; l'impugnazione incidentale di cui all' art. 334 c.p.c. è tardiva, nel senso che è proponibile entro sessanta giorni dalla notificazione di altra impugnazione, anche se a tale data è decorso il termine breve decorrente dalla notificazione della sentenza o quello lungo decorrente dalla pubblicazione della sentenza; in definitiva, la notificazione di altra impugnazione sortisce l'effetto di rimettere in termini la parte che era decaduta dal termine di impugnazione breve o lungo (Cons. St. VI, n. 6210/2012). Come riconosciuto quindi dalla citata giurisprudenza, l'impugnazione incidentale tardiva perde effetto se l'impugnazione principale è dichiarata inammissibile, non essendovi ragione di «rimettere in corsa» chi non è soccombente effettivo oppure chi, essendolo, ha perso il potere di impugnare per acquiescenza o per l'avvenuto decorso del termine (Luiso, 907). Alla dichiarazione di inammissibilità dell'impugnazione principale la giurisprudenza ha equiparato quella di improcedibilità: Qualora il ricorso principale per cassazione venga dichiarato improcedibile, l'eventuale ricorso incidentale tardivo diviene inefficace, e ciò non in virtù di un'applicazione analogica dell' art. 334, secondo comma, c.p.c. — dettato per la diversa ipotesi dell'inammissibilità dell'impugnazione principale — bensì in base ad un'interpretazione logico-sistematica dell'ordinamento, che conduce a ritenere irrazionale che un'impugnazione (tra l'altro anomala) possa trovare tutela in caso di sopravvenuta mancanza del presupposto in funzione del quale è stata riconosciuta la sua proponibilità (Cass. n. 2381/2014). La perdita di efficacia della impugnazione incidentale tardiva si verifica anche nel caso in cui l'appello principale e' dichiarato perento (Cons. St. IV, n. 6111/2018). Con la riforma del processo civile attuata con il d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 (entrata in vigore il 28 febbraio 2023) è stato modificato l'art. 334 c.p.c., che ora prevede che l'impugnazione incidentale tardiva perde ogni efficacia se l'impugnazione principale è dichiarata non solo inammissibile, ma anche improcedibile. La modifica consolida anche per il processo amministrativo la tesi interpretativa sopra illustrata e seguita dalla giurisprudenza. Lo stesso effetto non è riconosciuto alla rinuncia alla impugnazione principale in quanto una volta proposta l'impugnazione principale (ammissibile e procedibile) ed esercitato da parte dell'impugnato il proprio autonomo diritto di impugnazione conseguente alla rimessione dei termini normativamente prevista, le due diverse impugnazioni divengono del tutto autonome fra loro ed acquisiscano di fatto una pari dignità (Cass. S.U., n. 8925/2011, secondo cui occorre considerare la funzione deterrente che l'impugnazione incidentale incontestabilmente svolge nei confronti della parte che intenda proporre l'impugnazione principale, tenuto conto della significativa incidenza che può avere, per chi ha in animo di impugnare, la valutazione del rischio riconducibile ad una ipotetica proposizione di un'impugnazione incidentale. L'eliminazione di detto rischio, per effetto del permanere della disponibilità del processo da parte dell'impugnante principale, e ciò in virtù della possibilità che gli sarebbe così riconosciuta di rendere inefficace il ricorso incidentale con la semplice rinuncia a quello principale, finirebbe dunque per determinare, anche per tale verso, uno ingiustificato squilibrio fra la posizione delle parti in causa). BibliografiaLiebman, Manuale di diritto processuale civile, II, Milano, 1984; Liebman, «Parte» o «capo» di sentenza, in Riv. dir. proc. 1964, 52; Luiso, Impugnazioni in generale, in Morbidelli (a cura di), Codice della giustizia amministrativa, Milano, 2015, 889; Picardi, Manuale del processo civile, Milano, 2013. |