Atto di appello in tema di risarcimento danno biologico terminale

Andrea Penta
aggiornata da Francesco Agnino

Inquadramento

Il danno biologico cd. terminale è risarcibile solo allorché la vittima resta in vita per un “lasso di tempo apprezzabile” (Cass. n. 870/2008, e Cass. n. 458/2009, hanno reputato l'intervallo di tempo tra il sinistro e la morte di tre giorni, rispettivamente, idoneo e inidoneo ad integrare gli estremi di quella fattispecie di danno non patrimoniale). In questa ipotesi può ritenersi entrato a far parte del patrimonio del de cuius il diritto di credito al risarcimento del danno biologico in senso stretto (sotto forma di compromissione dell'integrità psico-fisica) per il tempo che va dal momento della lesione a quello precedente la morte. Tale diritto è trasmissibile agli eredi ed è azionabile in giudizio, iure hereditatis, nei confronti dell'autore dell'illecito e del responsabile civile. Non va, pertanto, riconosciuto il danno biologico da lesioni immediatamente mortali o quasi (v. Cass. n. 8177/2001; conf. Cass. n. 24/2002; Cass. n. 3728/2002; Cass. n. 9620/2003; Cass. n. 4754/2004; Cass. n. 14508/2004; Cass. n. 517/2006). La morte di un soggetto, causata in modo immediato dall'altrui atto illecito, non fa acquistare al defunto – e, quindi, non fa trasmettere agli eredi – né il diritto al risarcimento del danno biologico, né quello al risarcimento del danno per perdita della vita (sul punto, si rinvia alla specifica formula), inconcepibile con riguardo ad un bene insuscettibile di essere reintegrato anche solo per equivalente (Cass. n. 1633/2000).

Peraltro, Cass. III, n. 20915/2016, ha affermato che, in caso di sinistro mortale che abbia determinato il decesso non immediato della vittima, al danno biologico terminale, consistente in un danno biologico da invalidità temporanea totale (sempre presente e che si protrae dalla data dell'evento lesivo fino a quella del decesso) può sommarsi una componente di sofferenza psichica (danno catastrofico o catastrofale).

Il danno in esame va riconosciuto a prescindere dallo stato di lucidità o di coma in cui versava la vittima (Cass. n. 7075/2001, Cass. n. 18305/2003, Cass. n. 18163/2007, Cass. n. 6946/2007; di segno opposto appare Cass. n. 3260/2007, la quale richiede che la vittima abbia percepito lucidamente l'approssimarsi della morte; conf. Cass. III, n. 21976/2007). Già in passato Cass. III, n. 18305/2003, aveva statuito che il danno biologico è risarcibile anche in caso d'incoscienza, poiché la lesione dell'integrità fisica è presente ugualmente sia che la vittima abbia coscienza della lesione sia che non l'abbia; infatti, ciò che conta è l'esistenza della lesione biopsichica, che è un fatto oggettivo, non la conoscenza o la percezione di essa che la vittima possa avere avuto.

In caso di morte della vittima che segua le lesioni dopo breve tempo, la sofferenza patita dalla vittima durante l'agonia è automaticamente risarcibile non come danno biologico, ma come danno morale nella sua ampia accezione (sul punto, si rinvia alla formula dedicata al danno catastrofale); tanto presuppone che sofferenza psichica vi sia stata e, dunque, che la vittima sia stata in condizioni tali da percepire il proprio stato (il che va escluso in caso di coma immediatamente conseguito all'evento dannoso).

Sul piano probatorio, non si accoglie la domanda risarcitoria del danno biologico, morale e catastrofico iure hereditatis, neppure quale invalidità temporanea della vittima e da questi trasmessa agli eredi, in difetto di prova sul lasso temporale intercorso tra fatto e decesso. È evidente che, tanto inferiore è il lasso di tempo tra l'evento e il decesso, tanto minore spazio vi sarà per il consolidamento del danno biologico.

Nel caso di specie i genitori ed il fratello di una ragazza deceduta non immediatamente all'esito di un incidente stradale propongono appello avverso la sentenza di primo grado che, pur riconoscendo la responsabilità esclusiva del convenuto ed il danno da perdita del rapporto parentale, ha escluso il danno biologico cd. terminale in considerazione dell'asserita mancanza di un apprezzabile lasso di tempo tra l'incidente e il decesso.

Formula

CORTE D'APPELLO DI ...

ATTO DI APPELLO 1

Per ...., ...., e ...., residenti in ...., alla via .... n. ...., C.F. .... 2 , elettivamenti domiciliati in ...., alla via .... n. ...., presso lo studio dell'Avv. ...., C.F. .... che li rappresenta e difende in virtù di procura apposta a margine/in calce del presente atto, con dichiarazione di voler ricevere le comunicazioni al fax n. .... o all'indirizzo di PEC .... 3,

- appellanti -

CONTRO

Società ...., P.I. .... con sede legale in .... via... n. ...., in persona dell'Amministratore Unico Dott. ...., difesa dall'Avv. ....;

- appellata -

E

Sig. ...., residente in ...., alla via .... n. ....;

- appellato

avverso la sentenza n.... emessa in data .... dal Tribunale di ...., Giudice dott. ...., e pubblicata il ....

PREMESSO CHE

Con atto di citazione notificato in data ...., i Sigg. ...., .... e .... hanno convenuto in giudizio, innanzi al Tribunale di ...., il Sig. .... e la compagnia assicuratrice della sua autovettura ...., per far dichiarare l'esclusiva responsabilità del primo e far condannare entrambi, in solido, al risarcimento dei danni subìti in conseguenza di un incidente stradale con esito mortale, deducendo che:

- a seguito di un sinistro verificatosi a .... la notte del .... aveva perso la vita la giovane .... che si trovava come trasportata sull'automobile condotta da .... il quale aveva perso il controllo dell'autovettura, uscendo di strada e andando a sbattere contro un palo;

- la responsabilità dell'incidente era da ascriversi in via esclusiva al conducente dell'autovettura .... in quanto ....;

- tanto dedotto, i genitori della vittima, .... e .... nonchè il fratello di lei, .... hanno convenuto davanti al Tribunale di .... il conducente della vettura, la proprietaria, .... e la compagnia assicuratrice della medesima, s.p.a. .... per ottenere il risarcimento dei danni non patrimoniali.

Si è costituita in giudizio la sola compagnia di assicurazioni, formulando generiche contestazione e chiedendo il rigetto dell'avversa domanda, laddove il responsabile civile è rimasto contumace.

Il giudice di primo grado, non essendo contestata la responsabilità, ha condannato i convenuti in solido al pagamento della somma di Euro .... oltre al rimborso delle spese di lite, negando, però, il riconoscimento del danno iure hereditatis biologico terminale, in considerazione del fatto che il decesso era intervenuto a distanza di soli .... giorni dal sinistro.

La sentenza è ingiusta per i seguenti:

MOTIVI

Il Tribunale è incorso nella violazione degli artt. 1223,1226,2043,2056 e 2059 c.c., nella parte in cui ha respinto la richiesta di risarcimento del danno biologico terminale, sebbene fra le lesioni e la morte della vittima siano intercorse oltre ventiquattrore.

Nell'intervallo di tempo intercorso fra l'incidente e il decesso la vittima ebbe a riportare un danno biologico di rilevante entità.

Il giudice di prime cure ha respinto la domanda con la motivazione che il decesso della povera .... era intervenuto allorché i postumi delle lesioni non si erano ancora consolidati, e che la possibilità di procedere alla liquidazione del danno biologico presupporrebbe la sopravvivenza in vita del soggetto leso, con ridotte capacità psicofisiche, al termine del periodo di invalidità temporanea.

In base alla costante giurisprudenza della Suprema Corte, la vittima consegue il diritto al risarcimento del danno biologico cd. terminale in tutti i casi in cui fra il fatto che ha provocato le lesioni ed il decesso sia intercorso un apprezzabile lasso di tempo (cfr., fra le tante, Cass. III, n. 18305/2003).

Il risarcimento della indicata voce di danno, cioè, può essere negato ove il tempo di sopravvivenza non sia considerato apprezzabile, ma non certo per le ragioni indicate dalla sentenza appellata che, letteralmente interpretate, sembrerebbero ammettere il risarcimento nei soli casi in cui il danneggiato sia sopravvissuto, con ridotta capacità psicofisica.

Al contrario, non si può escludere che le lesioni sussistano e siano da ritenere consolidate - per usare i termini del giudice di appello - quando ad esse segua addirittura la morte, ad una apprezzabile distanza di tempo.

In tal caso "il danneggiato acquisisce .... il diritto al risarcimento del danno biologico subito per l'effettiva durata della sua sopravvivenza .... e si tratta di un danno alla salute, che se pure è temporaneo, è massimo nella sua entità ed intensità (cd. danno biologico terminale)" (Cass. n. 18305/2003; Cass. n. 7632/2003).

La sopravvivenza per .... è idonea a configurare un tal tipo di danno, onde detto periodo di tempo è sufficiente ad integrare l'oggettiva configurabilità in capo al danneggiato delle menomazioni dell'integrità fisica in cui si concretizza il danno biologico, ovvero l'acquisizione al patrimonio del diritto al risarcimento di un danno trasmissibile agli eredi.

Parimenti errata è la decisione impugnata nella parte in cui ha escluso il diritto al risarcimento del danno biologico terminale, per il fatto che la vittima, essendo rimasta in stato di incoscienza, non avrebbe avuto la possibilità di percepire i suddetti danni.

La Suprema Corte ha più volte precisato che il danno biologico, quale "... lesione dell'interesse costituzionalmente garantito (art. 32 Cost.) all'integrità fisica e psichica della persona. è presente ugualmente sia che la vittima abbia coscienza della lesione, sia che non l'abbia" (Cass. III, n. 7075/2001; Cass. n. 8177/1994).

Tanto premesso,

.... .... e .... come sopra rappresentati e difesi,

CITANO

La Società .... P.I. n. .... in persona dell'Amministratore Unico Dott. .... ,elettivamente domiciliato presso l'Avv. .... C.F. .... con studio in .... alla via .... n. .... ed il Sig. .... residente in .... alla via .... n. .... a voler comparire dinanzi a codesta Eccellentissima Corte d'Appello…all'udienza del…., ore e locali soliti, Sezione e Consigliere Relatore designandi, con l'invito a costituirsi nel termine di venti giorni prima dell'udienza indicata, ai sensi e nelle forme stabilite dall'art. 166 c.p.c. e a comparire all'udienza indicata innanzi al Collegio o al Consigliere Relatore nominati, con l'avvertimento

  • che la costituzione oltre il suddetto termine implica tutte le decadenze di legge tra cui quelle di cui agli artt. 38,167,168,343 e 345 c.p.c.,
  • che la difesa tecnica mediante avvocato è obbligatoria in tutti i giudizi davanti al tribunale fatta eccezione per i casi previsti dall'articolo 86 o da leggi speciali e
  • che la parte, sussistendone i presupposti di legge, può presentare istanza per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato;

ciò al fine di ivi sentir accogliere, anche nella loro contumacia, le seguenti

CONCLUSIONI

Voglia la Corte d'Appello adita, disattesa ogni contraria istanza, in parziale riforma della sentenza n. ....del Tribunale di .... riconoscere l'ulteriore voce di pregiudizio rappresentata dal danno biologico cd. terminale e, per l'effetto, condannare gli appellati in solido al pagamento, a titolo di risarcimento dei danni, della ulteriore somma di Euro .... oltre interessi e rivalutazione.

Con vittoria di spese e compensi del doppio grado di giudizio.

Si allegano i seguenti documenti.

1) Sentenza n. ....;

2) ....;

Si dichiara che il valore della causa è di Euro....

Luogo e data....

Firma Avv. ....

PROCURA ALLE LITI

Se non apposta a margine

[1] [1] In tutti gli atti introduttivi di un giudizio e in tutti gli atti di prima difesa devono essere indicati le generalità complete della parte, la residenza o sede, il domicilio eletto presso il difensore ed il codice fiscale, oltre che della parte, anche dei rappresentanti in giudizio (art. 23, comma 50, d.l. 6 luglio 2011, n. 98, conv., con modif., dalla l. 15 luglio 2011, n. 111).

[2] [2] L'indicazione del codice fiscale dell'avvocato è prevista, oltre che dall'art. 23, comma 50, d.l. n. 98/2011, conv. con modif. dalla legge n. 111/2011, dall'art. 125, comma 1, c.p.c., come modificato dall'art. 4, comma 8, d.l. n. 193/2009 conv. con modif. dalla legge n. 24/2010.

[3] [3] A partire dal 18 agosto 2014, gli atti di parte, redatti dagli avvocati, che introducono il giudizio o una fase giudiziale, non devono più contenere l'indicazione dell'indirizzo di PEC del difensore: v. art. 125 c.p.c. e art. 13, comma 3-bis, d.P.R. n. 115/2002, modificati dall'art. 45-bis d.l. n. 90/2014 conv., con modif., dalla legge n. 114/2014.

L'indicazione del numero di fax dell'avvocato è prevista dall'art. 125 c.p.c. e dall'art. 13, comma 3-bis, d.P.R. n. 115/2002, modificati dall'art. 45-bis d.l. n. 90/2014, conv. con modif., dalla legge n. 114/2014. Ai sensi dell'art. 13, comma 3-bis, d.P.R. cit., «Ove il difensore non indichi il proprio numero di fax ...ovvero qualora la parte ometta di indicare il codice fiscale .... il contributo unificato è aumentato della metà».

Commento

Il criterio di calcolo del danno biologico terminale

Nell'illecito mortale, nel caso in cui il danneggiato sia deceduto dopo un apprezzabile lasso di tempo dall'evento lesivo, poiché la morte è causata da una lesione dell'integrità fisica, alla vittima spetterà il risarcimento del danno biologico, che corrisponderà al danno da inabilità temporanea (Cass. III, n. 7632/2003). Non è, infatti, in questo caso concepibile un danno da invalidità permanente, che - secondo la medicina legale - insorge solo se, dopo che la malattia ha compiuto il suo decorso, il soggetto leso non sia riuscito a riacquistare l'originaria validità a causa del consolidarsi di esiti permanenti.

La misura del danno dovrà essere determinata in relazione alla effettiva menomazione dell'integrità psicofisica subìta dal soggetto per il periodo di tempo tra il verificarsi delle lesioni ed il sopraggiungere della morte, respingendo l'idea secondo la quale, nel caso in cui il decesso sia causato dalle lesioni, il danno biologico debba essere risarcito "per intero", ossia come se il de cuius fosse vissuto per un tempo pari alle proprie speranze di vita (cfr. Cass. n. 21497/2009; Cass. n. 9620/2003; Cass. n. 2775/2003; Cass. n. 7632/2003).

Il riferimento all'inabilità temporanea consente di ristorare anche la malattia protratta per un brevissimo lasso di tempo (qualche ora), posto che l'invalidità temporanea si calcola su base giornaliera ed è frazionabile. In particolare, nel caso di morte, il danno alla salute raggiunge quantitativamente la misura del 100%, con l'ulteriore fattore "aggravante", rispetto al danno da inabilità temporanea assoluta, che detto danno, se pure temporaneo, ha raggiunto la massima entità ed intensità, senza possibilità di recupero, atteso l'esito mortale. La salute danneggiata non solo non recupera (cioè non "migliora") né si stabilizza, ma degrada verso la morte; quest'ultimo evento rimane fuori dal danno alla salute, ma non la "progressione" verso di esso, poiché durante detto periodo il soggetto leso era ancora in vita (Cass. III, n. 22228/2014).

Peraltro, il danno biologico terminale è un danno nel quale, proprio stante la tendenza ad un aggravamento progressivo, i fattori della personalizzazione debbono valere in grado assai elevato (Cass. III, n. 11003/2003; conf. Cass. n. 1877/2006); esso, pertanto, non può essere liquidato attraverso la meccanica applicazione di criteri contenuti in tabelle che, per quanto dettagliate, nella generalità dei casi sono predisposte per la liquidazione del danno biologico o delle invalidità temporanee o permanenti di soggetti che sopravvivono all'evento dannoso (per Cass. III, n. 7499/2012, la quantificazione equitativa va operata avendo presenti sia il criterio equitativo puro sia il criterio di liquidazione tabellare, purché tali criteri siano dal giudice adeguatamente personalizzati, ovvero adeguati al caso concreto). I giudici, in definitiva, nel liquidare tale voce di danno, tendenzialmente non ne determinano l'ammontare in una somma corrispondente a quella prevista per l'inabilità temporanea assoluta moltiplicata per i giorni di sopravvivenza della vittima, ma procedono ad una peculiare "personalizzazione" dei criteri tabellari.

Occorre partire dalla premessa secondo cui l'evento morte non rileva di per sé ai fini del risarcimento, atteso che la morte (e, cioè, la perdita della vita) è fuori dal danno biologico, poiché il danno alla salute presuppone pur sempre un soggetto in vita; ma è altrettanto vero che nessun danno alla salute è più grave, per entità ed intensità, di quello che, trovando causa nelle lesioni che esitano nella morte, temporalmente la precede (Cass. lav., n. 1072/2011).

In concreto, a titolo meramente esemplificativo, fermo restando che è preferibile il riferimento all'effettiva durata della sopravvenienza, anziché alla speranza media di vita futura (Cass. III, n. 870/2008; nella giurisprudenza di merito, Trib. Cagliari 20 giugno 2006, n. 1871), utilizzando il parametro (che prescinde dall'età) dell'inabilità temporanea assoluta al 100% e adottando i valori del Tribunale di Milano per il 2011 (che individuano una forbice tra Euro 91 ed Euro 136 per ogni giorno di I.T.T. al 100%), nel caso di sopravvivenza per otto giorni, andrebbe riconosciuto l'importo complessivo di 912,00 Euro (partendo da un valore giornaliero della ITT di Euro 136,00).

Per Cass. n. 3549/2004, l'ammontare del danno biologico va commisurato all'inabilità temporanea, tenendo conto, nell'adeguare l'ammontare del danno alle circostanze del caso concreto, del fatto che, se pure temporaneo, tale danno è massimo nella sua entità ed intensità, tanto che la lesione alla salute è così elevata da non essere suscettibile di recupero ed esitare nella morte. Si inseriscono in questo indirizzo anche Cass. n. 19057/2003, e Cass. n. 3766/2005).

Da più parti, però, non si condivide questo orientamento che, in termini apodittici e generici, commisura l'ammontare del diritto iure hereditatis al risarcimento del danno biologico terminale (sofferto da un congiunto deceduto nell'arco temporale compreso fra l'evento ed il momento del decesso) all'inabilità temporanea totale, limitandosi a tener conto, ai fini della sua liquidazione, delle circostanze del caso concreto (Cass. n. 870/2008).

In quest'ottica, la Suprema Corte avalla la tesi che, pur partendo dal valore riconosciuto per la ITT, ne aumenta l'importo in considerazione della peculiarità del pregiudizio da liquidare. In ogni caso, il danno biologico terminale (al pari del danno morale terminale - o catastrofale o catastrofico -) è stato, talvolta, quantificato con applicazione del criterio equitativo c.d. puro (v. Cass. n. 7126/2013, cit.) ovvero, e più frequentemente, muovendo dal dato tabellare dettato per il danno biologico, e procedendo alla relativa personalizzazione (v. Cass. n. 8360/2010). In particolare, la prevalente giurisprudenza adotta, per la liquidazione del danno biologico terminale, il criterio del cd. punto di invalidità, con adeguamento del valore medio di esso alle particolarità della fattispecie, secondo il calcolo cd. tabellare (cfr. Cass. III, n. 8169/2003; Cass. n. 4852/1999; Cass. n. 6873/2000; Cass. n. 5910/2001; Cass. n. 6023/2001; ed altre; cfr. Cass. n. 12408/2011, che adotta come parametro di partenza le tabelle elaborate dal Tribunale di Milano).

Così, Cass. III, n. 23183/2014, ha confermato la sentenza di merito che aveva liquidato in via equitativa, quale danno biologico terminale patito dalla vittima, rimasta in vita sette giorni, la somma di Euro 2.500,00 pro die. Parimenti, Cass. n. 632/2003, ha condiviso la pronuncia di merito che, in applicazione di detto principio, aveva operato una "personalizzazione" degli importi monetari indicati nelle tabelle per l'inabilità temporanea assoluta, aumentandoli da 63.000 lire a 6.250.000 lire (dunque, di ben cento volte) per ciascun giorno di sopravvivenza della vittima.

Occorre dare altresì atto, peraltro, di una parte della giurisprudenza di merito (Tribunale di Roma) che si avvale dei parametri dei giorni permanenti in vita (aspetto dinamico; Euro 1.216,00 per ogni giorno di sopravvivenza per i primi 10 giorni ed un importo decrescente per i giorni successivi fino al 30°, oltre il quale il risarcimento per ogni ulteriore giorno viene fissato in Euro 110,00) e dell'età della vittima (aspetto statico; varia da un massimo di Euro 5.622,00 ad un minimo di Euro 562,00). A prestar adesione a quest'ultima impostazione, a titolo meramente esemplificativo, nel caso di una persona di 42 anni deceduta dopo 15 giorni, andrebbero riconosciuti gli importi di Euro 3.373,00 (fascia d'età) e di Euro 14.450,00 (periodo di sopravvivenza; Euro 12.160,00 + Euro 2.290,00). Nell'avallare questa impostazione, Cass. n. 7632/2003, precisa che occorre tener conto che si tratta di un danno alla salute che, sebbene temporaneo, è massimo nella sua entità ed intensità, tanto che la lesione alla salute è così elevata da non essere suscettibile di recupero ed esitare nella morte (Cass. n. 9959/2006).

Il Tribunale di Verona per il danno biologico “terminale” ha proposto la liquidazione di un multiplo (fino a dieci volte, a titolo orientativo) della somma di euro 60,00 (identificata per ogni giorno di invalidità temporanea totale), con la precisazione che, nel caso in cui la vittima abbia avuto la consapevolezza della morte imminente (lucida coscienza), la liquidazione deve oscillare tra 600,00 e 6.000,00 Euro al giorno.

Da ultimo, la Corte d'appello di Torino, invece, pur osservando che il danno biologico terminale non può essere parificato a quello temporaneo, né può essere motivo di esclusione (o riduzione) del risarcimento lo stato di incoscienza della vittima, utilizza la somma corrisposta per ogni giorno di invalidità temporanea totale e la moltiplica per l'indice medio attribuibile alla durata della sopravvivenza, per l'indice massimo attribuibile all'afflittività della lesione e, infine, per l'indice minimo attribuibile al grado di coscienza. Gli indici oscillano tra il valore di “1” e quello di “8” ed il risultato finale va da ultimo moltiplicato per i giorni di sopravvivenza. Ad esempio, App. Torino, 2 marzo 2007, nel caso di un uomo investito sulle strisce pedonali e deceduto dopo nove giorni di coma, ha liquidato, in favore degli eredi del de cuius (a titolo di danno biologico), una somma pari ad Euro 2.080,00 per ogni giorno di sopravvivenza del leso.

Per App. Napoli, 9 febbraio 2017 n. 589, il criterio di calcolo del danno non patrimoniale iure hereditatis per la morte del congiunto, consiste nel riconoscimento di una somma rapportata non già alla vita media futura della vittima, ma alla vita effettivamente vissuta utilizzando il parametro tabellare della liquidazione a punti per ogni giorno di invalidità assoluta, con opportuno correttivo di congrua personalizzazione. L'ammontare sarà commisurato all'inabilità temporanea, ma la liquidazione dovrà tenere conto, nell'adeguare la stessa alle circostanze del caso concreto, che, se pure temporaneo, tale danno è massimo nella sua entità ed intensità, essendo la lesione alla salute così elevata da non essere suscettibile di recupero ed esitare della morte.

Per quanto concerne i valori adottati con le nuove tabelle approvate dal Tribunale di Milano nel 2018, si rinvia alla formula dedicata al danno catastrofale (o morale terminale).

Di recente, Cass. III,  n. 4146/2019 ha affermato che vita e salute sono beni distinti e, dunque, il pregiudizio subito dalla vittima in caso di morte sul colpo o seguita alle lesioni dopo breve lasso di tempo è la perdita della vita, che non costituisce la massima offesa della salute e che, dunque, non dà luogo a un diritto risarcitorio trasmissibile agli eredi quantificabile a partire dall'ipotesi di una invalidità permanente del 100%. Questo indirizzo si pone consapevolmente in contrasto con altro precedente (cfr. Cass. III,  n. 1361/2014, pronunciatasi in un caso nel quale gli stretti congiunti ed eredi di persona deceduta in un incidente stradale avevano chiesto al responsabile civile e al suo assicuratore della RCA, oltre al ristoro iure proprio dei danni conseguenti alla perdita del proprio caro, anche il risarcimento, jure hereditatis, del danno per la perdita della vita, assumendo che la sopravvivenza di circa trenta minuti fra il trauma e il decesso avesse cristallizzato nel patrimonio del de cuius il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale corrispondente al 100% di invalidità permanentRimuovi tuttee.

Estremamente  chiara è la posizione presa da Cass. III, sentenza 26 giugno 2020, n. 12913, con riferimento ad un sinistro stradale a seguito del quale l'investito, una signora molto anziana, era finita in coma, e dopo 810 giorni di coma aveva perso la vita. La S.C. ha confermato la decisione della Corte d'Appello, la quale aveva rideterminato la quantificazione del danno biologico "jure hereditatis", utilizzando come criterio, anzichè i valori tabellari corrispondenti al grado del 100% di "invalidità permanente" di un soggetto di anni 87, un distinto calcolo, ritenuto più aderente ad esprimere il valore del danno in considerazione della "effettiva durata della vita" della vittima, deceduta ad anni 90: a tal fine ha utilizzato il valore massimo tabellare giornaliero corrispondente alla "inabilità temporanea assoluta" (Euro 145,00: Tabelle milanesi anno 2006, incrementato fino ad euro 150,00 in dipendenza del periodo trascorso dal 2006 fino alla data di elaborazione delle più recenti Tabelle milanesi edite nel 2014), ed ha quindi adeguato detto importo alla peculiarità del caso concreto, tenuto conto della massima "intensità ed entità del danno" della donna rimasta in coma, incrementandolo del 50% (misura massima prevista in Tabella). La Corte d'appello ha poi proceduto alla "aestimatio", moltiplicando tale importo per il numero di 810 giorni in cui era rimasta in vita la danneggiata, detratto le somme già corrisposte agli eredi della danneggiata.

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