Comparsa di costituzione compagnia di assicurazione in tema di risarcimento danno morale catastrofaleInquadramentoLa compagnia assicuratrice di un veicolo investitore si costituisce nel giudizio instaurato, anche per conto dei figli minorenni, dai genitori di una ragazza deceduta a distanza di pochi giorni da un incidente stradale, deducendo l'inconfigurabilità del danno morale cd. catastrofale in considerazione dello stato comatoso irreversibile nel quale la vittima, sin dal momento del sinistro ed ininterrottamente fino all'intervenuto decesso, è rimasta. FormulaTRIBUNALE DI .... COMPARSA DI COSTITUZIONE E RISPOSTA [1] Nell'interesse di: ...., P.I. ...., in persona dell'Amministratore Unico Sig. ...., nato a .... il ...., C.F. ...., [2] con sede legale in ...., alla via .... n. ...., elettivamente domiciliato in ...., alla via ....n. ...., presso lo studio dell'Avv. ...., C.F. ...., che lo rappresenta e difende, giusta procura a margine/in calce al presente atto, con dichiarazione di voler ricevere le comunicazioni, ai sensi dell' art. 125, comma 1, c.p.c. e dell'art. 136, comma 3, c.p.c., al seguente numero di fax ...., oppure tramite PEC .... [3]; -convenuta- CONTRO Sig. ...., nato a .... il ...., C.F. ...., e Sig. ...., nato a ....il ...., C.F. ...., elettivamente domiciliati in ...., alla via ....n. ...., presso lo studio dell'Avv. ...., che li rappresenta e difende, in virtù di procura in calce/a margine dell'atto di citazione; -attori- * * * PREMESSO CHE Con atto di citazione ritualmente notificato il ...., .... e ...., anche quali genitori esercenti la potestà sui figli minori .... e ...., hanno citato, innanzi al Tribunale di ...., .... e la .... Assicurazioni, per ottenere il risarcimento dei danni per la morte del proprio figlio, ...., verificatasi a causa di un incidente stradale avvenuto mentre egli percorreva la strada ...., diretto verso la via ...., a bordo di un ciclomotore, incidente causato, a loro dire, dal tamponamento da parte dell'auto condotta dal proprietario .... ed assicurata per la r.c.a. con la detta compagnia assicuratrice, che procedeva a velocità elevata superiore ai limiti prescritti; deducevano che il giovane .... riportava una frattura cranica, a seguito della quale decedeva dopo dieci giorni di coma. Con il presente atto, la .... Assicurazioni si costituisce in giudizio e chiede l'integrale rigetto della domanda attorea per i seguenti motivi in DIRITTO [4] In primo luogo, si contesta la ricostruzione del sinistro posta a base della domanda, atteso che è stato il minore ...., provenendo da una traversa, a tagliare la strada al .... senza che questi potesse fare nulla per evitare lo scontro, per cui deve essere quanto meno riconosciuto il concorso di colpa della vittima. Gli attori chiedono, tra l'altro, il risarcimento per il pretium doloris sofferto dal congiunto proprio quando la gravità della lesione infetta presentava una incisività talmente grave da annientare la sensibilità della persona offesa. Tuttavia, essendo il giovane .... rimasto in stato di incoscienza dal momento dello scontro fino alla morte, non è configurabile in capo allo stesso un danno morale consistente in una sofferenza transeunte determinata dal trauma. Infatti, nei .... giorni intercorsi tra l'incidente e la morte, il giovane non ha mai ripreso conoscenza ed è passato dal quarto al settimo grado di coma, senza conseguire alcun miglioramento sia pure temporaneo, tanto che allo stesso non è stato liquidato il danno biologico. Secondo la giurisprudenza di legittimità in materia di cosiddetto danno catastrofale, quest'ultimo rientra nell'unitaria categoria di danno non patrimoniale, secondo i principi espressi dalla sentenza Cass. S.U. n. 26972/2008, e si sostanzia nel risarcimento della sofferenza patita dalla vittima nel periodo breve che precede la morte in cui essa ha la possibilità di rendersi conto della gravità del proprio stato e dell'approssimarsi della morte. Tale danno è diverso da quello rivendicabile iure hereditatis dai congiunti della vittima dell'illecito, poi rivelatosi mortale, per avere il medesimo sofferto, per un considerevole lasso di tempo, una lesione della propria integrità psico-fisica costituente un autonomo danno “biologico”, accertabile con valutazione medico legale, tenendo sempre presente che tali denominazioni servono solo per identificare vari aspetti dell'unitario danno non patrimoniale. Il danno catastrofale, da intendersi come danno morale spettante iure hereditatis, può essere trasmesso agli eredi solo a condizione che sia entrato nel patrimonio del defunto, vale a dire che egli abbia patito quella sofferenza determinata dall'accorgersi della vicina fine della vita. Infatti, la giurisprudenza della Suprema Corte ha affermato che, in caso di morte che segua le lesioni dopo breve tempo, la sofferenza patita dalla vittima durante l'agonia è autonomamente risarcibile non come danno biologico, ma come danno morale iure hereditatis, a condizione però che la vittima sia stata in condizione di percepire il proprio stato, mentre va esclusa anche la risarcibilità del danno morale quando all'evento lesivo sia conseguito immediatamente lo stato di coma e la vittima non sia rimasta lucida nella fase che precede il decesso ( Cass. III, n. 28423/2008). Nella specie, il giovane .... è stato costantemente in coma per il breve periodo di sopravvivenza e, di conseguenza, non ha potuto patire quella sofferenza derivante dalla coscienza della prossima morte di cui oggi gli eredi chiedono il risarcimento. Tanto premesso e considerato, ...., rappresentato e difeso come in epigrafe, rassegna le seguenti CONCLUSIONI Voglia l'On.le Tribunale adito, disattesa ogni contraria istanza, eccezione, richiesta e conclusione, in via principale, rigettare la domanda di risarcimento proposta dall'attore e, in via subordinata, previo riconoscimento del concorso di colpa, ridurre in proporzione l'entità del risarcimento ex adverso preteso. Con vittoria di spese e compensi. IN VIA ISTRUTTORIA Formulando sin d'ora ogni più ampia riserva di articolazione dei mezzi istruttori [5], nei termini di cui all' art. 183, comma 6, nn. 2 e 3, c.p.c., si offrono in comunicazione, mediante deposito, i seguenti documenti: 1. atto di citazione notificato il .... 2. perizia medico legale del Dott. .... [6] 3. .... [7] PROCURA [8] Io sottoscritto ...., nato a ...., il ...., conferisco procura all'Avv. ...., affinché mi rappresenti e difenda nel giudizio di imputazione di cui al presente atto. Dichiaro altresì di avere ricevuto informativa exd.lgs. n. 28/2010, così come novellato a seguito della conversione del d.l. n. 69/2013, relativamente ai procedimenti per i quali è obbligatorio esperire il tentativo di mediazione e relativamente ai benefici fiscali connessi con tale procedimento, nonché di aver ricevuto l'informativa ai sensi degli artt. 2 e ss. del d.l. 13 settembre 2014, n. 132, convertito con modifiche dalla l. 10 novembre 2014 n. 162, della possibilità di ricorrere alla convenzione di negoziazione assistita da uno o più avvocati disciplinata dagli art. 2 e ss. del suddetto d.l. Eleggo domicilio, ai fini del presente giudizio, presso il suo studio professionale in ....alla via ...., e gli conferisco, altresì, ogni più ampia facoltà di legge. Acconsento, infine, al trattamento dei dati personali per l'espletamento del mandato conferito, ai sensi del d.lgs. n. 196/2003. Luogo e data .... Firma .... È vera ed autentica la firma del Sig. .... Firma Avv. .... Il convenuto deve costituirsi a mezzo del procuratore, o personalmente nei casi consentiti dalla legge, almeno settanta giorni prima dell'udienza di comparizione fissata nell'atto di citazione, depositando in cancelleria il proprio fascicolo contenente la comparsa di cui all'articolo 167 con la copia della citazione notificata, la procura e i documenti che offre in comunicazione. Per la disciplina transitoria v. art. 35 d.lgs. n. 149/2022, come sostituito dall' art. 1, comma 380, lettera a), l. 29 dicembre 2022, n. 197 , che prevede che : "1. Le disposizioni del presente decreto, salvo che non sia diversamente disposto, hanno effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data. Ai procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023 si applicano le disposizioni anteriormente vigenti" . In tutti gli atti introduttivi di un giudizio e in tutti gli atti di prima difesa devono essere indicati le generalità complete della parte, la residenza o sede, il domicilio eletto presso il difensore ed il C.F., oltre che della parte, anche dei rappresentanti in giudizio ( art. 23, comma 50, d.l. 6 luglio 2011, n. 98, conv., con modif., dalla l. 15 luglio 2011, n. 111). [2] L'indicazione del codice fiscale dell'avvocato è prevista, oltre che dall' art. 23, comma 50, d.l. n. 98/2011, conv. con modif. dalla legge n. 111/2011, dall'art. 125, comma 1, c.p.c., come modificato dall' art. 4, comma 8, d.l. n. 193/2009 conv. con modif. dalla legge n. 24/2010. [3] A partire dal 18 agosto 2014, gli atti di parte, redatti dagli avvocati, che introducono il giudizio o una fase giudiziale, non devono più contenere l'indicazione dell'indirizzo di PEC del difensore: v. art. 125 c.p.c. e art. 13, comma 3 bis, d.P.R. n. 115/2002, modificati dall' art. 45-bis d.l. n. 90/2014 conv., con modif., dalla legge n. 114/2014. L'indicazione del numero di fax dell'avvocato è prevista dall' art. 125 c.p.c. e dall'art. 13, comma 3-bis, d.P.R. n. 115/2002, modificati dall' art. 45-bis d.l. n. 90/2014, conv. con modif., dalla legge n. 114/2014. Ai sensi dell'art. 13, comma 3-bis, d.P.R. cit., «Ove il difensore non indichi il proprio numero di fax ...ovvero qualora la parte ometta di indicare il codice fiscale .... il contributo unificato è aumentato della metà». [4] Ove ne sussista la necessità, il convenuto può sollevare eccezioni di rito, ad es. rilevando il mancato esperimento della mediazione obbligatoria prevista dal d.lgs.. n. 28/2010 o della negoziazione assistita prevista dal d.l. n. 132/2014, le quali costituiscono condizioni di procedibilità. [5] La comparsa di risposta deve contenere l'indicazione dei mezzi di prova di cui il convenuto intende valersi e i documenti che offre in comunicazione. Tuttavia, l'onere di indicare i mezzi di prova e i documenti non è sancito a pena di decadenza, in ragione della previsione di cui all' art. 183, comma 6, c.p.c. [6] Affinché vi sia un danno morale catastrofale è necessario provare, tramite documentazione medico legale, oltre che il decesso sia avvenuto immediatamente, ovvero in un lasso temporale di pochi secondi, che la vittima sia rimasta in cd. “lucida agonia”. [7] Indicare gli altri documenti che, in base alla vicenda del caso di specie, si offrono in comunicazione. [8] La procura può essere apposta in calce o a margine del ricorso ( art. 83 c.p.c.). Può anche trattarsi di una procura generale alle liti, i cui estremi vanno in tal caso menzionati. In questo caso è preferibile produrre copia della procura. CommentoIl danno morale catastrofico (o catastrofale) In caso di lesione che abbia portato a breve distanza di tempo ad esito letale, sussiste in capo alla vittima che abbia percepito lucidamente l'approssimarsi della morte, un danno biologico di natura psichica, la cui entità non dipende dalla durata dell'intervallo tra lesione e morte, bensì dell'intensità della sofferenza provata dalla vittima dell'illecito ed il cui risarcimento può essere reclamato dagli eredi della vittima ( Cass. sez. lav., n. 1072/2011; Cass. III, n. 3260/2007; Cass. III, n. 4783/2001, in maniera incisiva fa riferimento alla «presenza di un danno “catastrofico” per intensità a carico della psiche del soggetto che attende lucidamente l'estinzione della propria vita»). Pertanto, nell'ipotesi in cui la vittima sia rimasta lucida durante l'agonia (in consapevole attesa della fine), in caso di morte istantanea o senza che sia maturato un apprezzabile lasso di tempo tra le lesioni ed il decesso, è riconoscibile jure hereditatis il solo danno cd. morale nella sua nuova più ampia accezione. Trattasi del danno cd. o da morte immediata, ricondotto nella dimensione del danno morale, inteso nella sua più ampia accezione, come sofferenza della vittima che lucidamente assiste allo spegnersi della propria vita (v. Cass. n. 458/2009; v. anche Cass. n. 8360/2010, e Cass. n. 13672/2010). Cass. III, n. 28423/2008, ha precisato che, in caso di morte che segua le lesioni dopo breve tempo, la sofferenza patita dalla vittima durante l'agonia è autonomamente risarcibile non come danno biologico, ma come danno morale jure hereditatis, a condizione però che la vittima sia stata in condizione di percepire il proprio stato, mentre va esclusa anche la risarcibilità del danno morale quando all'evento lesivo sia conseguito immediatamente lo stato di coma e la vittima non sia rimasta lucida nella fase che precede il decesso (v. in tal senso anche Cass., n. 7632/2003; Cass. n. 11601/2005; Cass. n. 17177/2007; Cass. n. 3260/2007, cit.; Cass. III, n. 6946/2007, ha configurato un danno catastrofale in una fattispecie in cui la vittima di un incidente stradale era sopravvissuta per circa due ore, nel caso in cui questi, in condizioni di lucidità mentale, aveva atteso soccorsi che erano arrivati in ritardo ed aveva sentito venir meno la propria vita). Pertanto la morte che segua le lesioni fisiche dopo breve tempo determina una sofferenza psichica (di massima intensità, anche se di durata contenuta) che, non essendo suscettibile di degenerare in danno biologico (in ragione del limitato intervallo di tempo), non può che essere risarcita solo come danno morale (Cass. n. 3357/2010). In definitiva, nel caso di lesioni fisiche alle quali sia seguita dopo breve tempo la morte (danno tanatologico), il giudice non potrà riconoscere e liquidare (jure hereditario ai congiunti superstiti) il danno alla salute, ma solo la sofferenza psichica provata dalla vittima e sempre che quest'ultima sia rimasta lucida durante l'agonia (cfr. Trib. Isernia 4 gennaio 2010; Cass. n. 6754/2011; Cass. n. 19133/2011). Una interpretazione ampia sembra avallare Cass. III, n. 26727/2018, nel momento in cui, in un caso di morte cagionata da un illecito, ha affermato che nel periodo di tempo interposto tra la lesione e la morte ricorre il danno biologico terminale, cioè il danno biologico stricto sensu (ovvero danno al bene "salute"), al quale, nell'unitarietà del genus del danno non patrimoniale, può aggiungersi un danno morale peculiare improntato alla fattispecie ("danno morale terminale"), ovvero il danno da percezione, concretizzabile sia nella sofferenza fisica derivante dalle lesioni, sia nella sofferenza psicologica (agonia) derivante dall'avvertita imminenza dell'exitus, se nel tempo che si dispiega tra la lesione ed il decesso la persona si trovi in una condizione di "lucidità agonica", in quanto in grado di percepire la sua situazione ed in particolare l'imminenza della morte, essendo quindi irrilevante, a fini risarcitori, il lasso di tempo intercorso tra la lesione personale ed il decesso nel caso in cui la persona sia rimasta "manifestamente lucida". Nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza impugnata che aveva escluso il diritto al risarcimento del danno, e, quindi, la conseguente trasmissibilità iure hereditatis, rappresentato dall'agonia, sia sotto il profilo strettamente biologico che sotto quello psicologico-morale, nonostante la lucidità del soggetto, peraltro medico, manifestata dalla descrizione da parte sua della dinamica del sinistro ai sanitari del pronto soccorso. La persona ferita che non muoia immediatamente può acquistare e trasmettere agli eredi il diritto al risarcimento sia del danno biologico temporaneo - che di regola sussiste solo per sopravvivenze superiori alle 24 ore e deve essere accertato senza riguardo alla circostanza se la vittima sia rimasta o meno cosciente - sia del danno non patrimoniale consistito nella formido mortis , che andrà verificato di caso in caso e che ricorrerà esclusivamente ove la vittima abbia avuto la consapevolezza della propria sorte e della morte imminente. Chiunque riporti delle lesioni personali causate dal fatto doloso o colposo altrui - siano esse causate da un incidente o da un incidente chirurgico programmato di esito infausto - sopravviva all'evento per un certo periodo di tempo, e poi muoia a causa delle lesioni sofferte, può riportare un danno non patrimoniale . Esso può teoricamente manifestarsi in due modi, ferma restando la sua unitarietà quale concetto giuridico. Il primo è il pregiudizio derivante dalla lesione della salute , il secondo è costituito dal turbamento e dallo spavento derivanti dalla consapevolezza della morte imminente . Ambedue questi pregiudizi hanno natura non patrimoniale, come non patrimoniali sono tutti i pregiudizi che investono la persona in sé e non il suo patrimonio. Quel che li differenzia non è la natura giuridica, ma la consistenza reale: infatti il primo (danno biologico o da lesione della salute) ha fondamento medico legale, consiste nella forzosa rinuncia alle attività quotidiane durante il periodo della invalidità e sussiste anche quando la vittima sia stata incosciente. Il secondo, ovvero il danno morale in senso stretto, o danno da patema d'animo, o danno morale soggettivo, non ha fondamento medico legale, consiste in un moto dell'animo e sussiste solo quando la vittima sia stata cosciente e consapevole (Cass. n. 16272/2023). Lo stato comatoso Cass. n. 79/2010, ha sostenuto che la persona ridotta in coma a causa di un incidente stradale è “sostanzialmente deceduta” e, quindi, non ha diritto al risarcimento del danno biologico e morale ( Cass. n. 28423/2008; Cass. n. 6754/2011, cit.). Per Trib. Monza II, 12 dicembre 2013, all'evento morte è pienamente equiparabile la sopravvenienza di uno stato comatoso profondo, poiché idoneo a determinare la cessazione della consapevolezza della criticità delle proprie condizioni cliniche e del rischio per la propria sopravvivenza. È, peraltro, a dubitarsi che, in caso di morte quasi immediata, la vittima, qualora versi in stato di coma, non sia sempre nelle condizioni di percepire l'imminente tragica fine cui sta andando incontro. Lo stato di coscienza è un'entità complessa, potendosi comunemente distinguere: a) il coma; b) lo stato vegetativo; c) la morte cerebrale. Già in passato la Suprema Corte (Cass. III, n. 1203/1965) aveva affermato che non può ritenersi che il danno non patrimoniale si verificherebbe solo in dipendenza di sofferenze fisiche e morali, delle quali il paziente sia ben conscio, e non anche per sofferenze e decadimenti fisici e psichici di cui chi li subisce non si renda esattamente conto. La condizione di coma è sempre temporanea, poiché nell'evoluzione clinica o la persona muore oppure passa ad un'altra condizione, in genere definita come stato vegetativo. Quando si parla di coma e anche di stato vegetativo, la definizione più comune prevede il concetto di assenza di coscienza. Tuttavia, pur partendo dalla considerazione per cui il tronco dell'encefalo è quasi invariabilmente interessato nel trauma cranio encefalico, studi di risonanza funzionale di recente portati avanti hanno evidenziato come anche in condizioni di coma o di stato vegetativo la corteccia cerebrale funziona, sia pure in maniera non sempre fisiologica. In definitiva, in una visione moderna, resterebbero in siffatta evenienza operativi dei sistemi di base che regolano l'attenzione, la memoria, le funzioni esecutive ed il sistema sensitivo motorio in generale. Basti pensare che, se è vero che nello stato vegetativo la persona è incosciente (non comunicando e non producendo alcun movimento volontario), è altrettanto vero che, a differenza del coma, in alcuni momenti il paziente apre gli occhi e conserva un maggior numero di riflessi (respirazione, deglutizione). Lo stato di minima coscienza viene, poi, considerato una possibile evoluzione dello stato comatoso, in alternativa allo stato vegetativo: il paziente presenta alcune reazioni riproducibili, diverse dai riflessi (gesti, vocalizzi, sguardi...), le quali, peraltro, rimangono minime e variabili, rendendone difficile il riconoscimento. A ben vedere, allora, solo in caso di “morte encefalica” o di “morte cerebrale”, piuttosto che di “coma irreversibile” (o di “coma stadio 4”), si realizza uno stato diverso, irreversibile, perché il sangue non affluisce più al cervello. Del resto, occorrerebbe stabilire non se in uno stato di coma la vittima sia cosciente, ma se avverta o meno il dolore. Seri dubbi possono nutrirsi per l'ipotesi cd. border line di persona priva di sensi, indotta in coma farmacologico. In presenza di uno stato di lucidità (che difetta non solo nel caso di coma, ma anche se la persona è svenuta e, quindi, non in grado di avvertire la sofferenza), l'entità del danno morale non dipende dalla durata dell'intervallo di tempo tra lesione e morte, bensì dall'intensità della sofferenza patita dalla vittima dell'illecito nel, sia pur breve, lasso di tempo delle residue speranze di vita. E' opportuno evidenziare che, nel caso di danno da lucida agonia, è irrilevante, a differenza del danno biologico cd. Terminale (alla cui formula si rinvia), l'elemento ‘tempo'. A tal riguardo, di recente Cass. VI-3, n. 23153/2019 ha ribadito (cfr. Cass. n. 15350/2015) che alla vittima può essere risarcita la perdita di un bene avente natura non patrimoniale nella misura in cui ella sia ancora in vita e che «nella vicenda acquisitiva del diritto alla reintegrazione della perdita subita, la capacità giuridica è riconoscibile soltanto in favore di un soggetto esistente»; conseguentemente, afferma la Corte, i danni non patrimoniali risarcibili alla vittima, trasmissibili jure hereditatis, sono i seguenti. - danno biologico (c.d. danno terminale, dunque la lesione del bene della salute) - consistente nei postumi invalidanti che caratterizzano il periodo intercorrente tra l'evento lesivo e il decesso - per la configurabilità del quale è necessario il protrarsi di un apprezzabile lasso di tempo, da accertarsi nel caso concreto, trattandosi di danno conseguenza (ex multis, Cass. n. 1877/2006; Cass. n. 15491/2014). - danno morale c.d. soggettivo (c.d. catastrofale o da lucida agonia), consistente nella sofferenza sopportata dalla vittima nel comprendere l'inevitabilità della fine imminente. Trattandosi di danno-conseguenza, l'accertamento dell'an presuppone «la prova della cosciente e lucida percezione dell'ineluttabilità della fine» (i precedenti citati sono numerosi: Cass. n. 6754/2011, Cass. n. 7126/2013, Cass. n. 13537/2014). Dunque, se da orientamento costante è prevista, ai fini del riconoscimento del danno jure hereditatis, la necessità che il decesso non si sia verificato immediatamente o dopo brevissimo tempo, in quanto viene meno il soggetto cui sia riferibile il danno e al cui patrimonio sia acquisibile il credito risarcitorio, nella fattispecie concreta esiste un certo lasso di tempo tra l'evento e il decesso «la persona è inserita nel sistema giuridico come soggetto “capace” di essere titolare di diritti (mantenendo la capacità giuridica, ex art. 2) con la sussistenza di un danno rapportato alla durata del tempo che separa la lesione – inferita a soggetto titolare di capacità giuridica - dalla morte, evento che, giuridicamente, sopprime la capacità giuridica». Nell'intervallo di tempo tra la lesione ed il decesso sussiste sempre un danno biologico strictu sensu inteso, al quale può aggiungersi un danno morale dato dalla consapevolezza dell'imminente decesso. La Corte afferma di volere dare continuità all'orientamento giurisprudenziale espresso di recente dalla sentenza n. 26727/2018, e cioè di voler dare rilievo all'elemento della lucidità e dunque alla risarcibilità di entrambi gli aspetti del danno, quello biologico e quello psicologico-morale e sottolinea, infine, come nel caso di specie due ore e mezza non integrano l'assenza di tempo indicato dalla citata sentenza delle Sezioni Unite del 2015. I criteri di liquidazione del danno catastrofale Dovendo in questo caso il danno morale essere sganciato dal danno biologico (il quale, d'altra parte, in siffatta evenienza non potrebbe essere riconosciuto), per garantire il risarcimento integrale, occorrerebbe (pur applicando il criterio equitativo) considerare che in tal caso la sofferenza è massima (nel caso di morte la gravità del fatto è verosimilmente elevatissima ed il periodo di sopravvivenza, sebbene limitato nel tempo, consente al fatto illecito di produrre buona parte degli effetti pregiudizievoli sotto il profilo del danno morale soggettivo). In particolare, i giudici, nella liquidazione del danno catastrofico, non possono rifarsi a meri criteri tabellari, ma devono prendere in considerazione “l'enormità” del pregiudizio subito dalla vittima deceduta ( Cass. III, n. 13198/2015). A differenza del danno biologico da morte, quello morale - a parità di tempo di sopravvivenza - si realizza in misura necessariamente superiore, proprio a causa della natura tendenzialmente temporanea di tale voce di danno che, in quanto tale, spiega i suoi effetti in uno spazio temporale più limitato. Il fattore tempo non è, peraltro, del tutto irrilevante, atteso che, anche in tema di danno morale, il giudice deve valutare con attenta motivazione la rilevanza del lasso di tempo intercorrente tra la lesione e l'avvenuta morte, onde apprezzare la trasmissibilità iure hereditatis del diritto della vittima al risarcimento del danno morale (inteso nella sua nuova e più ampia accezione, come sofferenza psichica di particolare intensità, anche se di breve durata, da parte di chi abbia atteso lucidamente la fine della propria vita; Cass. III, n. 26505/2009). Pertanto, nel danno psichico non è solo il fattore durata a determinare la patologia, ma è la stessa intensità della sofferenza e della disperazione (così Cass., n. 4783/2001). In ordine al criterio di calcolo del danno morale catastrofico, si fronteggiano tre indirizzi, accomunati dal rilievo per cui il periodo di sopravvivenza, sebbene limitato nel tempo, consente al fatto illecito di produrre buona parte degli effetti pregiudizievoli. Un primo, riconducibile ad una parte della giurisprudenza di merito ( Trib. Milano, 15 giugno 2000, e Trib. Milano, 20 marzo 2000, n. 3482), lo quantifica in una misura oscillante tra una volta e mezzo e tre volte il danno biologico jure hereditatis. Lo stesso criterio è stato sostanzialmente adottato in Puglia, laddove il danno morale in oggetto viene determinato in una misura che va da due a tre volte il valore riferito al danno biologico da morte. Un secondo orientamento, espresso dalla Suprema Corte (Cass. III, n. 475/1999; Cass. III, n. 10725/2000; Cass. III, n. 4242/2003; Cass. III, n. 7379/2003; Cass. III, n. 10996/2003; Cass. III, n. 10035/2004), lo esprime in un valore che va da 1/3 alla metà del danno alla salute complessivo (peraltro, Cass. n. 1072/2011, cit., ha riconosciuto il danno catastrofale jure successionis nella misura del 100% del danno biologico terminale). I d.P.R. n. 37/2009 (dettato in tema di infermità riportate dal personale impiegato nelle missioni militari all'estero) e d.P.R. n. 181/2009, (in tema di danno biologico e morale a carico delle vittime del terrorismo), peraltro, fissano (cfr. la formula dedicata al danno morale in senso stretto) il limite massimo di quantificazione del danno morale in una misura pari ai due terzi del valore percentuale del danno biologico. È chiaro, però, che in ordine a tale pregiudizio, in difetto di indicazioni normative, la liquidazione equitativa gioca un ruolo predominante, connotando il terzo indirizzo. Dovendo ora il danno morale, nel caso di morte dopo breve tempo, essere sganciato dal danno biologico (il quale, d'altra parte, in siffatta evenienza non potrebbe essere riconosciuto), per garantire il risarcimento integrale occorrerebbe (pur applicando il criterio equitativo) considerare che in tal caso la sofferenza è massima, valorizzando, a mò di parametri, l'età della vittima, i giorni di agonia, l'entità delle lesioni (id est, la presumibile intensità del dolore patito). In un caso in cui l'evento morte era intervenuto a distanza di tempo (7 ore) dal sinistro e per circa tre ore la vittima era rimasta cosciente, in condizioni di percepire con lucidità le sue gravissime condizioni di salute e l'imminenza della morte, Trib. Milano X, 14 gennaio 2009, n. 449, ha liquidato, in via equitativa, per tale voce di danno la somma di 15.000 Euro in valore attuale. Nel senso che in siffatta evenienza il giudice di merito deve apprezzare la peculiarità del fatto specifico e provvedere alla conseguente liquidazione necessariamente ancorata a criteri equitativi, v. Cass. III, n. 17177/2007. La valutazione equitativa deve, in ogni caso, tener conto dell'intensità del vincolo familiare, della (eventuale) situazione di convivenza e di ogni ulteriore utile circostanza, quali la consistenza più o meno ampia del nucleo familiare, le abitudini di vita, l'età della vittima e dei singoli superstiti e le esigenze di questi ultimi rimaste compromesse. Gli attori, agendo in qualità di eredi, potranno chiedere il risarcimento dei danni nei limiti delle quote loro spettanti secondo la disciplina codicistica in materia di successione legittima. È richiesto che gli istanti si trovassero in significativo rapporto con il danneggiato ( Cass. n. 65/1989; Cass. n. 60/1991; Cass. n. 4852/1999). L'Osservatorio di Milano di recente ha delimitato temporalmente il danno terminale (inteso omnicomprensivamente), il quale, per sua stessa definizione, si produce in un arco temporale limitato. A seguito di un'analisi effettuata su un campione statisticamente rilevante di pronunce giurisprudenziali, avendo appurato che la morte di un soggetto che percepisce l'imminenza della propria morte sopravviene, nella maggioranza dei casi, entro 7 giorni dall'evento lesivo, ha stabilito un limite di 100 giorni entro il quale tale pregiudizio potrà essere riconosciuto e risarcito. Decorso tale termine di 100 giorni senza il verificarsi del decesso, si può presumere che la vittima non patisca più per una lucida agonia da morte imminente; sarà allora possibile provare la sussistenza del danno biologico temporaneo, che già consente una personalizzazione fino al 50% in relazione alle particolari sofferenze soggettive. La percezione della morte assume rilevanza anche in riferimento alla sussistenza di un limite temporale minimo a partire dal quale si può parlare di danno terminale: esso non è stato individuato in misura convenzionale, ma è lasciato alla prudente valutazione del giudice, sottolineando che deve comunque trattarsi di “un apprezzabile lasso di tempo” affinché la coscienza elabori e rappresenti l'evento morte. Altro aspetto tenuto in considerazione è la consapevolezza da parte del soggetto della fine incombente. Atteso, infatti, che il danno terminale è danno conseguenza e non danno in re ipsa, è proprio la percezione consapevole della morte (e l'immensa sofferenza che ne deriva) il presupposto per consentire il risarcimento del pregiudizio. Sulla base di queste premesse, il Gruppo 4 ha dunque elaborato una tabella con curva risarcitoria decrescente. Essa è caratterizzata dal c.d. “pozzetto” per i primi tre giorni di sopravvivenza, in relazione al quale il giudice può decidere di liquidare, con una somma fino ad Euro 50.000,00, il danno subito in siffatto arco temporale, tenendo conto delle peculiarità del caso concreto e delle prove fornite dalle parti; per i giorni successivi seguono, poi, poste risarcitorie assai più ridotte che vanno dai 1.000,00 Euro del quarto giorno fino ai 98,00 Euro del centesimo giorno per un quantum totale pari a circa Euro 110.000,00 (oltre la possibile personalizzazione). Dal 101° giorno, sarà liquidato esclusivamente il danno biologico temporaneo. Di recente, la Terza Sezione della S.C. sembra essere pervenuta alla convinzione che il danno (morale) catastrofale e quello (biologico) terminale siano cumulabili. Invero, è stato affermato (Cass. III, n. 16592/2019) che il danno catastrofale è comprensivo sia di un danno biologico da invalidità temporanea totale (sempre presente e che si protrae dalla data dell'evento lesivo fino a quella del decesso) sia di una componente di sofferenza interiore psichica di massimo livello (danno catastrofale in senso stretto), correlata alla consapevolezza dell'approssimarsi della fine della vita, che deve essere misurata secondo criteri di proporzionalità e di equità che tengano conto della sua particolare rilevanza ed entità. Pertanto, mentre nel primo caso la liquidazione può ben essere effettuata sulla base delle tabelle relative alla invalidità temporanea, nel secondo caso risulta integrato un danno non patrimoniale di natura del tutto peculiare, che comporta la necessità di una liquidazione che si affidi ad un criterio equitativo – denominato puro, ancorchè sempre puntualmente correlato alle circostanze del caso – che sappia tenere conto della enormità del pregiudizio sofferto a livello psichico in quella determinata circostanza. Ai fini della sussistenza del danno catastrofale, la durata di tale consapevolezza non rileva ai fini della sua oggettiva configurabilità, ma per la sua quantificazione secondo criteri di proporzionalità ed equità. Le nuove tabelle Tribunale Milano Sulla base di quanto emerso dai lavori dell'Osservatorio, si suggerisce l'individuazione di un numero massimo di giorni (allo stato individuato, convenzionalmente, in 100), al di là del quale il danno terminale non può prolungarsi, tornando ad esser risarcibile il solo danno biologico temporaneo ordinario. Si è ritenuto di porre quale criterio di base la regola, sostenuta dall'esperienza medico legale, secondo la quale il danno tende a decrescere col passare del tempo, dal momento che la massima sofferenza è percepita nel periodo immediatamente successivo all'evento lesivo per poi scemare nella fase successiva. Si è ritenuto di prevedere che nei primi tre giorni di danno terminale il giudice possa liquidare il danno muovendosi liberamente secondo la propria valutazione personalizzata ed equitativa, ma nel rispetto di un tetto massimo convenzionalmente stabilito in 30.000,00 euro, non ulteriormente personalizzabile. A partire dal quarto giorno, la valutazione giornaliera del danno sarà comunque personalizzabile, in relazione alle circostanze del caso concreto e del particolare sconvolgimento che risulti di volta in volta provato. Si propone che tale personalizzazione non superi il limite del 50%. Il valore del quarto giorno è stato individuato in 1.000,00 euro, mentre la progressiva diminuzione giornaliera è stata calcolata, con i necessari arrotondamenti, in modo tale da giungere, alla fine del periodo, ad un valore (98,00 euro) pari a quanto pro die stabilito dalla Tabella per il danno biologico temporaneo standard (98,00 euro). Di danno terminale non può parlarsi, se la morte sia stata immediata o sia avvenuta a brevissima distanza di tempo. Occorre, dunque, che tra lesioni e decesso intercorra comunque un lasso temporale minimo non convenzionalmente individuabile, ma comunque apprezzabile (affinché la coscienza elabori e rappresenti il rischio di morte). La consapevolezza della fine vita da parte della vittima è, dunque, un presupposto necessario affinché possa esservi il risarcimento del danno terminale, che non potrà dirsi esistente, ad esempio, nel caso in cui nel tempo intercorso prima del decesso la vittima stessa abbia versato in stato di incoscienza. I valori espressi nella Tabella e corrispondenti all'ammontare del risarcimento base liquidabile in funzione del numero di giorni (da quattro a cento) della sofferenza terminale, sono da intendersi come aggiuntivi rispetto a quanto riconosciuto (entro il tetto massimo di 30.000,00 euro) in via di equità per i primi tre giorni di danno. Così, a titolo di esempio, a fronte di un (comprovato) danno terminale protrattosi per 10 giorni, il Giudice potrà anzitutto valorizzare equitativamente i primi tre giorni di sofferenza liquidando una somma determinata entro il tetto massimo di euro 30.000,00 (non ulteriormente personalizzabile). A tale valore, equitativamente determinato entro quel limite, sarà da aggiungere l'importo indicato in tabella in corrispondenza del decimo giorno di sofferenza terminale, pari ad euro 6.803,00. Importo, tale ultimo, aumentabile del 50% in via di personalizzazione (qualora allegati e provati i fatti che la sostengono). E quindi: • danno liquidabile per i primi 3 giorni: fino a 30.000 euro + • danno liquidabile dal giorno 4 al giorno 10: da 6.803 a (+ 50%) 10.204,5 euro • valore massimo liquidabile 30.000 + 10.204,5 = 40.204,5 euro. La prova del danno catastrofale Sul piano probatorio, non si accoglie la domanda risarcitoria del danno morale e catastrofico iure hereditatis, in difetto di elementi atti a sostenere che la vittima percepiva quanto stava accadendo. Occorre, naturalmente, considerare che la prova di tale danno non potrà essere fornita dall'interessato, ormai deceduto, con conseguenti maggiori difficoltà da parte dell'erede nel dimostrare uno stato soggettivo personalissimo della persona mancata. Lo stato di coscienza della vittima prima del decesso dovrà, di regola, essere provato attraverso le risultanze del referto medico. Perciò, in assenza di prova della sussistenza di uno stato di coscienza nel breve intervallo tra il sinistro e la morte, la lesione del diritto alla vita non è suscettibile di risarcimento ed ai congiunti spetta il solo risarcimento conseguente alla lesione della possibilità di godere del rapporto parentale con la persona defunta in tutte le sue possibili modalità attuative ( Cass. n. 8828/2003). Spetta al giudice, in base ai referti medici ed alle prove testimoniali accertare anzitutto lo stato di lucidità della vittima prima della morte e, in base alla gravità della lesione, trarne le conseguenze, traducibili in termini pecuniari, delle sofferenze non solo fisiche, ma anche psicologiche, patite nell'arco temporale tra la lesione e la morte. |