Comparsa di costituzione in tema di risarcimento danno del tanatologico

Andrea Penta
aggiornata da Francesco Agnino

Inquadramento

In termini estremamente sintetici (rinviando, per approfondimenti, alle formule dedicate al danno morale catastrofale ed al danno biologico terminale), l'attuale impostazione condivisa dai giudici di legittimità è la seguente:

1) se vi è un apprezzabile lasso di tempo (mentre per Cass. n. 458/2009 e Cass. n. 9470/1997 questo presupposto è da escludere in presenza di 3 giorni, per Cass. n. 21976/2007 lo stesso è configurabile in caso di sopravvivenza per sole 24 ore), è possibile riconoscere esclusivamente il danno biologico terminale, anche se la vittima si sia trovata durante l'agonia in stato di coma, poiché la lesione dell'integrità fisica è presente ugualmente sia che la vittima abbia coscienza della lesione sia che non l'abbia (così Cass. n. 3760/2007, Cass. n 8163/2007 e Cass. n 6946/2007; contra Cass. n. 3260/2007, che richiede, invece, che la vittima abbia percepito lucidamente l'approssimarsi della morte);

2) in caso di morte istantanea o dopo breve lasso di tempo, si tende a liquidare il solo danno morale iure hereditatis (c.d. danno catastrofico), a condizione (Cass. n. 6754/2011) che la vittima sia stata in condizione di percepire il proprio stato (escludendolo, pertanto, nell'ipotesi di coma o di persona svenuta);

3) incertezze vi sono, in caso di morte della vittima primaria, per apprezzare il danno iure hereditatis, essendosi la dottrina e la giurisprudenza domandati, quanto al danno biologico c.d. terminale, come debba essere inteso il parametro dell'“apprezzabile lasso di tempo” e, quanto al danno morale c.d. catastrofico (o catastrofale), se abbia ancora senso richiedere che la vittima abbia percepito lucidamente l'approssimarsi della morte.

È evidente come l'applicazione del criterio c.d. cronometrico, con le sue contorsioni, finisca per creare una disparità di trattamento tra gli eredi della vittima deceduta dopo un apprezzabile lasso di tempo dalle lesioni, i quali acquistano iure hereditatis un diritto al risarcimento del danno biologico terminale (che può essere anche di importo considerevole), e gli eredi della vittima deceduta dopo un arco temporale insufficiente a configurare un'effettiva ripercussione delle lesioni sull'integrità psico-fisica, i quali non acquistano un analogo credito risarcitorio. Proprio al fine di superare, sia pure in parte, il vuoto di tutela che in tal modo si determinava, la Cassazione aveva (recte, ha) creato la figura del danno c.d. catastrofale o catastrofico.

Ciò nonostante, al di là della considerazione della estrema difficoltà che può incontrarsi in concreto nell'accertare se la vittima sia rimasta lucida durante l'agonia (Cass. n. 5866/2015), si evidenziava come tale ricostruzione, «pur segnando un progresso sul piano interpretativo», lasciasse «priva di tutela l'ipotesi dell'agonia inconsapevole, peraltro in passato dalla giurisprudenza ritenuta ristorabile» (Cass. n. 1361/2014). Più precisamente, a rigore, in caso di morte immediata o, nell'ipotesi in cui segua dopo un non apprezzabile lasso di tempo, se il de cuius non sia stato cosciente poco prima di morire, sussisterebbero le condizioni per ammettere solo il danno jure proprio da perdita del rapporto parentale.

Tale lacuna appariva ancora più evidente, se solo si considerava che era stata, invece, riconosciuta la risarcibilità del danno non patrimoniale in favore del neonato e del nascituro (Cass. n. 9700/2011).

Cass. III, n. 1361/2014, proprio al fine di colmare l'indicato “vuoto di tutela”, aveva sostenuto che la perdita della vita dovesse essere ristorata a prescindere dalla consapevolezza che il danneggiato ne abbia, anche in caso di morte immediata, senza che assumano, pertanto, rilievo né il presupposto della sopravvivenza per un apprezzabile lasso di tempo successivo alle lesioni mortali né il criterio dell'intensità della sofferenza subìta dalla vittima per la cosciente e lucida percezione dell'ineluttabile sopraggiungere della propria fine.

A fronte di un atto di citazione con il quale il genitore di un ragazzo deceduto istantaneamente all'esito di un incidente stradale propone un giudizio finalizzato ad ottenere il risarcimento del danno non patrimoniale derivante dalla morte immediata, il danneggiato si costituisce in giudizio, evidenziando che la Cassazione, superando un indirizzo minoritario che aveva mostrato un'apertura nel senso della risarcibilità (Cass. n. 1361/2014), ha risolto negativamente il problema delle ristorabilità del danno cd. tanatologico, con la sentenza Cass. S.U., n. 15350/2015.

Formula

TRIBUNALE DI ....

COMPARSA DI COSTITUZIONE E RISPOSTA [1]

PER

...., nato a ...., il ...., C.F. ...., residente in ...., alla via ....n., (ovvero) [Soc. ...., P.I. ....n. ...., in persona dell'Amministratore Unico Sig. ...., nato a .... il ...., C.F. ....] [2], con sede legale in ...., alla via .... n. .... rappresentato e difeso dall'Avv. ...., C.F .... [3] ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in ...., alla via .... n .... [4], giusta procura in calce al presente atto [5]. L'Avv. dichiara di voler ricevere le comunicazioni al numero fax .... [6] e all'indirizzo di posta elettronica certificata .... [7] già comunicato al Consiglio dell'ordine ....

-convenuto-

CONTRO

il Sig. ...., nato a ....il ....C.F ....residente in ...., alla via ....n ...., rappresentato e difeso dall'Avv. ....

-attore-

PREMESSO CHE

Con atto di citazione ritualmente notificato in data ...., il Sig. ....ha convenuto in giudizio ...., al fine di sentirlo condannare al risarcimento del danno non patrimoniale derivante dalla morte immediata [8] di ...., avvenuta a causa di .... [9]

A tal fine l'attore deduceva che .... [10]

Conseguentemente, .... chiedeva la condanna di ....al risarcimento del danno da morte, quantificato, in via equitativa e per equivalente, nella complessiva somma di Euro ....

Con il presente atto, ....si costituisce in giudizio e chiede l'integrale rigetto della domanda attorea per i seguenti motivi in

DIRITTO [11]

1) Sulla irrisarcibilita' del danno da perdita della vita [12]

Si definisce “danno da perdita della vita” o “danno da morte” l'evento costituito dal decesso di una persona, causata da un fatto illecito, quando lo stesso è contestuale all'azione dannosa, ovvero immediatamente successivo ad essa.

Tale danno, inteso come vulnus al bene della “vita”, per la Corte di cassazione pronunciatasi a Sezioni Unite sul punto, Cass. S.U., n. 15350/2015, è intrinsecamente irrisarcibile.

La giurisprudenza di legittimità ha ormai da tempo sostenuto che, con l'uccisione della persona, viene meno la capacità giuridica, cioè l'idoneità ad essere titolari di diritti.

“Se è alla lesione che si rapportano i danni, questi entrano e possono logicamente entrare nel patrimonio del lesionato solo in quanto e fin quando il medesimo sia in vita. Questo spentosi, cessa anche la capacità di acquistare, che presuppone, appunto e necessariamente, resistenza di un subbietto di diritto” (Cass. S.U., n. 3475/1925).

Del resto, il danno da morte immediata cagionata da un illecito è rappresentato dalla perdita del bene giuridico “vita”, che è fruibile solo in natura dal suo legittimo titolare e insuscettibile di essere reintegrato per equivalente (Cass. n. 1633/2000; Cass. n. 7632/2003; Cass. n. 12253/2007).

Ne deriva che il diritto al risarcimento del danno da morte è adespota, nel senso che nel momento in cui si concretizza il pregiudizio, viene a mancare l'unico legittimo titolare.

Inoltre, non essendo il bene “vita” reintegrabile per equivalente, viene a mancare un credito risarcitorio trasmissibile iure hereditatis.

Diverso è il caso in cui il danno di cui si chiede il ristoro è un danno biologico terminale, in quanto la morte segue dopo un lasso di tempo apprezzabile alla lesione causata dall'illecito.

In tale ipotesi, il diritto al risarcimento del danno derivante dalla lesione al bene “salute” si acquisisce al patrimonio del danneggiato e, quindi, è normalmente suscettibile di trasmissione ereditaria.

Queste conclusioni sono, come detto, ora avallate dalla Cass. S.U., n. 15350/2015, la quale, nel confutare l'opposto orientamento, arricchisce le argomentazioni giuridiche a sostegno della irrisarcibilità del danno.

Coerentemente con la matrice riparatoria del sistema (Cass. n. 1704/1997; Cass. n. 12253/2007; Cass. I, n. 1781/2012; Cass. III, n. 6754/2011), che rende risarcibile il solo danno-conseguenza, è evidente che, in tanto un danno-conseguenza può esserci, in quanto il danneggiato sopravviva all'evento e possa percepire, anche se per poco tempo, la conseguenza negativa dell'evento.

Se la morte è immediata, la vittima non ha patito alcuna sofferenza e, quindi, non vi è un pregiudizio risarcibile. Se, invece, tra la lesione causata dall'illecito e la morte è decorso un lasso di tempo apprezzabile (danno biologico terminale) ovvero, pur essendo il decesso stato immediato, la vittima ha percepito l'effetto invalidante alla propria integrità psico-fisica, soffrendo per la consapevolezza della propria imminente fine (danno morale catastrofico), il soggetto patisce un danno-conseguenza risarcibile.

Né può sostenersi, come un orientamento minoritario ha fatto (Cass. III, n. 1361/2014), che, essendo il diritto alla vita la massima espressione del diritto alla salute, la sua lesione vada risarcita in una logica sanzionatoria, anche a prescindere da un pregiudizio concretamente apprezzabile.

Invero, l'ipotizzata eccezione alla regola sarebbe di portata tale da vulnerare la stessa attendibilità del principio e, comunque, sarebbe difficilmente conciliabile con il sistema della responsabilità civile.

Del resto, deve evidenziarsi che la morte non è la massima offesa del bene salute, ma colpisce un bene - la salute - autonomo e distinto.

La giurisprudenza sia costituzionale che di legittimità ha ormai da tempo affermato la distinzione tra i due beni: il diritto alla vita e il diritto alla salute non sono diritti omogenei, tali che il primo possa dirsi quantitativamente maggiore del secondo.

Essi sono diritti ontologicamente e qualitativamente diversi: il diritto alla salute è l'aspirazione all'integrità psicofisica durante l'esistenza; il diritto alla vita riguarda la possibilità dell'esistenza, più che la qualità dell'esistenza (ex multisCorte cost. n. 372/1994; Cass. sez. lav., n. 12326/2009; Cass. III, n. 870/2008; Cass. III, n. 79/2010).

Anche per tale motivo, quindi, non può sostenersi la risarcibilità eccezionale del danno evento, in quanto l'anticipazione del credito risarcitorio al momento dell'evento lesivo finirebbe per sovrapporre il bene giuridico vita al bene salute.

Allo stesso modo, non può ritenersi che l'irrisarcibilità del danno da morte “rimorde alla coscienza sociale” (Cass. III, n. 1361/2004), nel senso che l'inesistenza di una reazione civile in caso di lesione del diritto alla vita non sarebbe socialmente accettabile.

In proposito, Cass. S.U., n. 15350/2015, ha evidenziato l'insussistenza di un vuoto di tutela, attesa l'operatività della sanzione penale, “la cui funzione è quella di soddisfare le esigenze punitive e di prevenzione generale della collettività” e, comunque, la possibilità per i congiunti di agire iure proprio per ottenere il risarcimento dei danni, patrimoniali e non, derivanti dalla morte del congiunto.

Del resto, se si ammettesse il risarcimento del danno da morte iure hereditatis a favore dei congiunti, si incorrerebbe in duplicazioni risarcitorie, essendo i congiunti della vittima già titolari iure proprio di diritti economici e non patrimoniali derivanti dalla morte del congiunto.

Di conseguenza, “pretendere che la tutela risarcitoria sia data anche al defunto corrisponde solo al contingente obiettivo di far conseguire più denaro ai congiunti” (Cass. III, n. 6754/2011).

Alla luce di tali coordinate, la vittima che muore all'istante non matura il diritto al risarcimento del danno da perdita della vita, il quale, pertanto, non si trasmette neppure agli eredi.

Va, pertanto, confutata in toto l'argomentazione giuridica di parte attrice, la quale ha sostenuto che ....

Tanto premesso e considerato, ...., rappresentato e difeso come in epigrafe, rassegna le seguenti

CONCLUSIONI

Voglia l'On.le Tribunale adito, disattesa ogni contraria istanza, eccezione, richiesta e conclusione, rigettare la domanda di risarcimento proposta dall'attore.

Con vittoria di spese e compensi.

IN VIA ISTRUTTORIA

Formulando sin d'ora ogni più ampia riserva di articolazione dei mezzi istruttori [13], nei termini di cui all'art. 183, comma 6, nn. 2 e 3, c.p.c., si offrono in comunicazione, mediante deposito, i seguenti documenti:

1. atto di citazione notificato il ....

2. perizia medico legale del Dott. .... [14]

3. .... [15]

Luogo e data ....

Firma Avv. ....

PROCURA [16]

Io sottoscritto ...., nato a ...., il ...., conferisco procura all'Avv. ...., affiché mi rappresenti e difenda nel giudizio di imputazione di cui al presente atto.

Dichiaro altresì di avere ricevuto informativa exd.lgs.. n. 28/2010, così come novellato a seguito della conversione del d.l. n. 69/2013, relativamente ai procedimenti per i quali è obbligatorio esperire il tentativo di mediazione e relativamente ai benefici fiscali connessi con tale procedimento, nonché di aver ricevuto l'informativa ai sensi degli artt. 2 e segg. del d.l. 13 settembre 2014, n. 132, convertito con modifiche dalla l. 10 novembre 2014 n. 162, della possibilità di ricorrere alla convenzione di negoziazione assistita da uno o più avvocati disciplinata dagli artt. 2 e ss. del suddetto d.l.

Eleggo domicilio, ai fini del presente giudizio, presso il suo studio professionale in .... alla via ...., e gli conferisco, altresì, ogni più ampia facoltà di legge.

Acconsento, infine, al trattamento dei dati personali per l'espletamento del mandato conferito, ai sensi del d.lgs. n. 196/2003.

Luogo e data ....

Sig. ....

È vera ed autentica la firma del Sig. ....

Firma Avv. ....

Il convenuto deve costituirsi a mezzo del procuratore, o personalmente nei casi consentiti dalla legge, almeno settanta giorni prima dell'udienza di comparizione fissata nell'atto di citazione, depositando in cancelleria il proprio fascicolo contenente la comparsa di cui all'articolo 167 con la copia della citazione notificata, la procura e i documenti che offre in comunicazione. Per la disciplina transitoria v.  art. 35 d.lgs. n. 149/2022,  come sostituito dall' art. 1, comma 380, lettera a), l. 29 dicembre 2022, n. 197 ,  che prevede che : "1. Le disposizioni del presente decreto, salvo che non sia diversamente disposto, hanno effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data. Ai procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023 si applicano le disposizioni anteriormente vigenti" .

[2] L'indicazione del codice fiscale dell'avvocato è prevista, oltre che dall'art. 23, comma 50, d.l. 98/2011, conv. con modif. dalla legge n. 111/2011, dall'art. 125, comma 1, c.p.c., come modificato dall'art. 4, comma 8, d.l. 193/2009 conv. con modif. dalla legge n. 24/2010.

[3] L'indicazione del C.F. dell'avvocato è prevista dall'art. 125 c.p.c.

[4] Ai sensi dell'art. 23, comma 50, d.l. 6 luglio 2011, n. 98, conv., con modif., nella l. 15 luglio 2011, n. 111, in tutti gli atti introduttivi di un giudizio, compresa l'azione civile in sede penale e in tutti gli atti di prima difesa devono essere indicati le generalità complete della parte, la residenza o sede, il domicilio eletto presso il difensore ed il codice fiscale, oltre che della parte, anche dei rappresentanti in giudizio.

[5] La procura può essere apposta in calce o a margine del ricorso (art. 83 c.p.c.). Può anche trattarsi di una procura generale alle liti, i cui estremi vanno in tal caso menzionati. In questo caso è preferibile produrre copia della procura.

[6] L'art. 125 c.p.c. prevede che il difensore deve indicare in epigrafe il numero di fax. L'omessa indicazione, come previsto dalla legge n. 111/2011, modificata dalla legge n. 114/2014, comporta l'aumento del contributo unificato della metà.

[7] A partire dal 18 agosto 2014, gli atti di parte, redatti dagli avvocati, che introducono il giudizio o una fase giudiziale, non devono più contenere l'indicazione dell'indirizzo di PEC del difensore: v. art. 125 c.p.c. e art. 13, comma 3-bis, d.P.R. n. 115/2002 modificati dall'art. 45-bis d.l. n. 90/2014 conv., con modif., nella legge n. 114/2014.

[8] Specificare che il decesso è stato immediato, diversamente ricorrendo la distinta fattispecie del danno biologico terminale.

[9] Specificare le circostanze in cui è intervenuto il decesso, avendo cura di descrivere il fatto illecito che ha cagionato la morte.

[10] Ricostruire i fatti posti dall'attore alla base della sua pretesa.

[11] Ove ne sussista la necessità, il convenuto può sollevare eccezioni di rito, ad es. rilevando il mancato esperimento della mediazione obbligatoria prevista dal d.lgs. n. 28/2010 o della negoziazione assistita prevista dal d.l. n. 132/2014, le quali costituiscono condizioni di procedibilità.

[12] Nella comparsa di costituzione e risposta il convenuto deve proporre tutte le sue difese sui fatti posti dall'attore a fondamento della domanda ex art. 167 c.p.c.

[13] La comparsa di risposta deve contenere l'indicazione dei mezzi di prova di cui il convenuto intende valersi e i documenti che offre in comunicazione. Tuttavia, l'onere di indicare i mezzi di prova e i documenti non è sancito a pena di decadenza, in ragione della previsione di cui all'art. 183, comma 6, c.p.c.

[14] Affinché vi sia un danno tanatologico è necessario provare, tramite documentazione medico legale, che il decesso sia avvenuto immediatamente, ovvero in un lasso temporale di pochi secondi.

[15] Indicare gli altri documenti che, in base alla vicenda del caso di specie, si offrono in comunicazione.

[16] La procura può essere apposta in calce o a margine del ricorso (art. 83 c.p.c.). Può anche trattarsi di una procura generale alle liti, i cui estremi vanno in tal caso menzionati. In questo caso è preferibile produrre copia della procura.

Commento

Gli argomenti su cui si reggono gli orientamenti contrario e favorevole al danno tanatologico e la posizione delle Sezioni Unite

Occorre partire da una considerazione: la lesione dell'integrità fisica con esito immediatamente letale non può considerarsi una sotto-ipotesi di lesione della salute, perché la morte non incide sul bene-salute (recte, non costituisce la massima lesione possibile del diritto alla salute), bensì su un bene giuridico ontologicamente diverso, il bene-vita, oggetto di un distinto diritto della persona (Cass. n. 7632/2003; Cass. III, n. 6754/2011; Cass. III, n. 25731/2014).

Il sistema della responsabilità civile è diretto al ristoro di perdite effettivamente risentite dal soggetto, ma in ipotesi di morte immediata a carico della vittima non sono individuabili conseguenze dannose, nel senso che nessuna perdita è risentita dal de cuius che non è più in vita, per cui nessun diritto risarcitorio potrà entrare nel suo patrimonio. Con l'evento della morte, la vittima perde la capacità giuridica e non può, quindi, acquisire un diritto al risarcimento del danno per la lesione del diritto alla vita. In definitiva, posto che, finché il soggetto è in vita, non vi è lesione del suo diritto alla vita, mentre, sopravvenuto il decesso, il morto, in quanto privo di capacità giuridica, non è in condizione di acquistare alcun diritto (Cass. III, n. 10107/2011), il risarcimento finirebbe per assumere, in casi siffatti, un'anomala funzione punitiva.

A fronte di tale (apparentemente assorbente) rilievo, i fautori dell'indirizzo contrario deducono che il diritto al ristoro del danno da perdita della vita - costituendo un'eccezione al principio della risarcibilità dei soli danni-conseguenza - «si acquisisce dalla vittima istantaneamente al momento della lesione mortale, e quindi anteriormente all'exitus» (“sentenza Scarano”), e si trasmette così iure hereditatis. Questo passaggio sembra chiarire che l'evento di danno non è rappresentato dalla morte, bensì dalla lesione dell'integrità fisica cui segue (immediatamente o a breve distanza di tempo) il decesso. In definitiva, durante la vita della vittima si verificherebbe il “danno-evento”, il quale sarebbe l'unico che potrebbe dar vita al risarcimento; che, poi, il “danno-conseguenza” si produca post mortem non sarebbe circostanza idonea ad escludere il risarcimento.

Sul piano naturalistico, anche nell'ipotesi di morte immediata, il decesso costituirebbe sempre una conseguenza della lesione dell'integrità fisica, per cui esisterebbe sempre uno iato temporale tra lesioni e decesso, che consentirebbe l'acquisto da parte della vittima del credito al risarcimento del danno, e la sua trasmissione in via ereditaria, al momento della morte.

Sul punto, il passaggio logico contenuto nella recente sentenza Cass. S.U., n. 15350/2015 appare inequivoco: «E poiché una perdita, per rappresentare un danno risarcibile, è necessario che sia rapportata a un soggetto che sia legittimato a far valere il credito risarcitorio, nel caso di morte verificatasi immediatamente o dopo brevissimo tempo dalle lesioni personali, l'irrisarcibilità deriva ... dalla assenza di un soggetto al quale, nel momento in cui si verifica, sia collegabile la perdita stessa e nel cui patrimonio possa essere acquisito il relativo credito, ovvero dalla mancanza di utilità di uno spazio di vita brevissimo».

Ancor più significativo risulta un successivo argomento: «... a parte che l'ipotizzata eccezione alla regola (rappresentata dal danno-conseguenza) sarebbe di portata tale da vulnerare la stessa attendibilità del principio e, comunque, sarebbe difficilmente conciliabile con lo stesso sistema della responsabilità civile, fondato sulla necessità ai fini risarcitori del verificarsi di una perdita rapportabile a un soggetto, l'anticipazione del momento di nascita del credito risarcitorio al momento della lesione verrebbe a mettere nel nulla la distinzione tra il “bene salute” e il “bene vita” sulla quale concordano sia la prevalente dottrina che la giurisprudenza costituzionale e di legittimità».

D'altra parte, il danno, nella specie, si produce solo con la morte, per cui prima di questa, non risultando perfezionata la fattispecie risarcitoria, non può considerarsi già sorto il relativo credito al risarcimento.

In dottrina, si sostiene, peraltro, che non verrebbero considerate dalla giurisprudenza di legittimità le nozioni scientifiche che ritengono accertato che sussiste sempre un lasso temporale tra la lesione e la morte e durante tale arco di tempo, anche se minimo, il diritto al risarcimento entra nel patrimonio della vittima e diviene suscettibile di essere trasmesso; infatti, la morte conseguente ad una lesione traumatica non sarebbe mai immediata, con le sole eccezioni, peraltro estremamente rare, della decapitazione e dello spappolamento del cervello.

In secondo luogo, secondo l'opposta teoria, anche il ristoro del danno da perdita della vita assumerebbe una funzione compensativa per «l'obiettiva circostanza che il credito alla vittima spettante per la perdita della propria vita a causa dell'altrui illecito accresce senz'altro il suo patrimonio ereditario» (“anche tramite la trasmissione ereditaria del credito la vittima trae vantaggio da esso in quanto il credito viene acquistato da coloro che la vittima ha interesse a beneficiare”).

Tuttavia, l'ammettere la ristorabilità del danno tanatologico finirebbe per assegnare alla responsabilità civile (anche) una funzione sanzionatoria/deterrente, laddove nel nostro ordinamento giuridico il diritto alla vita - che può essere considerato come il primo tra i diritti inviolabili della persona - già riceve ampia tutela attraverso la previsione di sanzioni penali (Cass. III, n. 7632/2003).

Anche in ordine a tale aspetto, la sentenza delle sezioni unite non sembra ammettere repliche: «... la vita è bene meritevole di tutela nell'interesse della intera collettività, ma tale rilievo giustifica e anzi impone, come è ovvio, che sia prevista la sanzione penale, la cui funzione peculiare è appunto quella di soddisfare esigenze punitive e di prevenzione generale della collettività nel suo complesso, ... ma non impone necessariamente anche il riconoscimento della tutela risarcitoria di un interesse che forse sarebbe più appropriato definire generale o pubblico, piuttosto che collettivo, ...».

Tuttavia, la tendenza del legislatore è quella di riconoscere, sempre più di frequente, i danni punitivi. Si pensi, ad es., al codice di procedura civile che ha previsto l'art. 614-bis c.p.c.; all'art. 12 legge sulla stampa; all'art. 8 d.lgs. n. 7/2016 o, addirittura, alla relazione del guardasigilli sull'art. 2059 c.c., per il quale lo stesso danno non patrimoniale assolverebbe ad una funzione punitiva.

Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 21508 del 06/10/2020 ha avuto modo di chiarire che il danno non patrimoniale da perdita della vita non è indennizzabile ex se, senza che con ciò possa ritenersi violato l'art. 2 CEDU sul riconoscimento del "diritto alla vita", in quanto la richiamata norma che, pur di carattere generale e diretta a tutelare ogni possibile componente del bene vita, non detta specifiche prescrizioni sull'ambito ed i modi in cui tale tutela debba esplicarsi, né, in caso di decesso immediatamente conseguente a lesioni derivanti da fatto illecito, impone necessariamente l'attribuzione della tutela risarcitoria, il cui riconoscimento in numerosi interventi normativi ha comunque carattere di specialità e tassatività ed è inidoneo a modificare il vigente sistema della responsabilità civile, improntato al concetto di perdita-conseguenza e non sull'evento lesivo in sé considerato.

In ragione dell'inconfigurabilità di un danno tanatologico, la perdita della vita anticipatamente rispetto a quando si sarebbe verificata per causa non imputabile al responsabile non integra un danno risarcibile per colui che la subisce (invocabile, dunque, iure successionis dai suoi eredi), potendo, invece, configurarsi come pregiudizio da perdita del rapporto parentale, risarcibile iure proprio in favore dei congiunti, rispetto al quale la durata presumibile della residua sopravvivenza della vittima primaria rileva quale parametro per la relativa liquidazione equitativa (Cass. n. 35998/2023, nella specie, la S.C. ha confermato, sul punto, la sentenza di merito che, in un caso in cui l'errore medico aveva determinato la morte anticipata di un sessantatreenne il quale, in considerazione delle pregresse condizioni patologiche, si era accertato sarebbe sopravvissuto, con elevata probabilità, per altri sette anni, aveva liquidato il danno da perdita del rapporto parentale in favore dei suoi congiunti prendendo come riferimento i parametri della tabella di Milano e applicandovi una decurtazione equitativa del trenta per cento, in ragione della minore durata dell'aspettativa di vita residua della vittima rispetto a quella predicabile, per una persona di quell'età, in base alla statistica demografica).

È preferibile uccidere o ferire?

Un dato che sembra accomunare un po' tutte le opinioni che criticano la tesi dell'irrisarcibilità del danno tanatologico è quello per cui la reazione risarcitoria non può essere inversamente proporzionale alla gravità dell'evento lesivo. Riparare la menomazione, anche non grave, e non il decesso significherebbe avallare l'idea paradossale che, da un punto di vista economico, per il responsabile sia più conveniente uccidere che ferire. In particolare, al danneggiante “converrebbe” economicamente la morte immediata, piuttosto che le lesioni gravissime dalle quali derivi la morte a distanza di tempo. Resta, infatti, il rischio di non poter riconoscere alcunché nel caso di morte immediata o che segua dopo un non apprezzabile lasso di tempo dalle lesioni, laddove il de cuius non sia stato cosciente poco prima di morire.

Le sezioni unite, dopo aver ricordato che il principio dell'integrale risarcibilità di tutti i danni non ha copertura costituzionale, hanno escluso la corrispondenza al vero che, «ferma la rilevantissima diversa entità delle sanzioni penali, dall'applicazione della disciplina vigente le conseguenze economiche dell'illecita privazione della vita siano in concreto meno onerose per l'autore dell'illecito di quelle che derivano dalle lesioni personali, essendo indimostrato che la sola esclusione del credito risarcitorio trasmissibile agli eredi, comporti necessariamente una liquidazione dei danni spettanti ai congiunti di entità inferiore».

Come si può vedere analizzando le formule dedicate al danno morale catastrofale ed al danno biologico terminale, l'assunto trova riscontro sul piano pratico.

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