Memoria difensiva per danno da lesione del diritto all'immagine della P.A..

Maria Carolina De Falco
aggiornato da Maurizio Tarantino

Inquadramento

Al pari delle altre persone giuridiche ed enti collettivi dotati di autonomia soggettiva (cfr. Cass. III, n. 12929/2007), anche la Pubblica Amministrazione è titolare di un diritto all'immagine, ricompreso nei diritti della personalità lato sensu intesi, degno di essere tutelato e risarcito in caso di lesione.

Quanto al danno all' immagine - posta la pacifica riferibilità dello stesso quale danno non patrimoniale anche alle persone giuridiche (cfr. Cass. III, n. 12929/2007)– la giurisprudenza di legittimità ritiene che sia configurabile come lesione alla reputazione derivante dalla diminuzione della considerazione da parte dei consociati in genere, o di settori o categorie di essi con le quali l'ente interagisca, allorquando l'atto lesivo che determina la proiezione negativa sulla reputazione dell'ente sia immediatamente percepibile dalla collettività o da terzi. (cfr.Cass. I, n. 18082/2013).

Il sistema, però, è stato delineato prima dalla l. n. 97/2001 e successivamente dal d.l. n. 78/2009 convertito nella l. n. 102/2009, che impone limiti e condizioni di procedibilità alla domanda risarcitoria la cui iniziativa spetta al Procuratore presso la Corte dei Conti e come sede naturale ha proprio tale ultima giurisdizione speciale.

Con la presente memoria di costituzione, il dipendente pubblico condannato in via definitiva per concussione, si difende dinanzi alla Corte dei Conti a seguito dell'iniziativa risarcitoria promossa dal Procuratore presso la Corte medesima, eccependo in via preliminare l'irregolarità della notifica avvenutaex art. 143 c.p.c., e nel merito la prescrizione quinquennale dell'azione erroneamente fatta decorrere dal passaggio in giudicato della sentenza e non dal rinvio a giudizio.

Contesta, altresì, il difetto di prova nell' an e nel quantum del danno all'immagine asseritamente cagionato.

Formula

CORTE DEI CONTI DI .... [1]

MEMORIA DIFENSIVA

PER

Il Sig..... C.F. ....[2], nato in .... il .... ed ivi residente alla Via .... n. .... rappresentato e difeso dall'Avv. .... (C.F. ....), con domicilio eletto in .... alla via .... n. .... presso lo studio dell'Avv. .... giusta procura in calce al presente atto e reso su foglio separato, dichiarando di voler ricevere tutte le comunicazioni e gli avvisi di cui agli artt. 133 comma 3, 134 comma 3, 170 comma 4 e 176 comma 2 c.p.c., anche al seguente numero di fax .... ovvero al seguente indirizzo di PEC ....@.... [3].

-convenuto

CONTRO

Il Ministero del .... in persona del Ministro .... con sede in .... alla Piazza .... n. ...., rappresentato e difeso dal Procuratore dello Stato, Avv..... ed elettivamente domiciliato presso l'Avvocatura dello Stato di....;

-attore

FATTO

Con atto di citazione depositato in data .... il Procuratore Regionale presso la Sezione Giurisdizionale della Corte dei conti di .... conveniva in giudizio il Sig. .... chiedendo la condanna dello stesso al pagamento in favore dell'Erario dell'importo di Euro .... a titolo di danno all'immagine alla Pubblica Amministrazione.

Con sentenza n. .... del .... conclusosi in secondo grado innanzi alla Corte di appello di .... il Sig. .... veniva condannato a .... per i reati di concussione ed abuso d'ufficio;

Secondo il Tribunale penale di .... il Sig. .... all'epoca Dirigente del Commissariato di P.S. di .... avrebbe ingiustamente costretto il Sig.....a ripetute ed immotivate convocazioni presso il Commissariato in quanto coinvolto in un omicidio avvenuto anni addietro, il cui procedimento era stato archiviato nel .....

Con il presente atto si costituisce in giudizio il Sig. .... chiedendo il rigetto della condanna per i seguenti motivi di

DIRITTO

Preliminarmente si solleva la nullità dell'atto di citazione.

E' di palmare evidenza l'irregolarità della notifica che è stata effettuata nel dicembre del .... ai sensi dell'art. 143 c.p.c. periodo nel quale l'interessato era residente nel comune di ...., per poi trasferirsi nel comune di .... a far data dal ..... (v. all. n.3: certificato di residenza).

Per tali ragioni è palese la mancanza dei presupposti legittimanti la notificazione con le modalità previste dall'art. 143 c.p.c.

Va ulteriormente evidenziata l'eccezione di prescrizione poiché il termine per l'esercizio dell'azione è stato fatto coincidere con il passaggio in giudicato della sentenza della Cassazione in data .... mentre in caso di danno erariale connesso ad un procedimento penale il termine di prescrizione inizia per giurisprudenza pacifica dalla data del rinvio a giudizio, che nel caso di specie risale al .... mentre l'atto di citazione è stato notificato l'.... per cui il termine di prescrizione quinquennale risulta ampiamente decorso;

Deve essere ulteriormente contestata l'entità della condanna, in quanto il Procuratore regionale non avrebbe assolto l'onere di dimostrare la sussistenza del danno da disservizio e da immagine.

A tal proposito Il Sig. .... ricorda, in primo luogo, il tardivo deposito dei documenti in giudizio da parte della Procura regionale, che avrebbe in tal modo compromesso il diritto di difesa, costituzionalmente garantito

*******

Per tali ragioni, si chiede che l'Ecc.mo Tribunale adìto Voglia, respinta ogni contraria istanza, eccezione e difesa, accogliere le seguenti

CONCLUSIONI

- accertare e dichiarare l'inammissibilità della domanda attorea per tutti i motivi suddetti, rigettando la stessa;

Con vittoria di spese, diritti ed onorari di causa, oltre Iva e Cpa come per legge.

Inoltre, al momento dell'iscrizione della causa a ruolo, si offriranno in comunicazione i seguenti documenti:

1) procura ad litem;

2) sentenza tribunale Penale di .... del ....;

3) certificato di residenza;

Con riserva di ulteriormente articolare ed istruire la controversia, anche all'esito del contegno processuale di controparte.

Si dichiara, infine, ai soli fini del contributo unificato, che il valore del presente giudizio è indeterminato, pertanto, il contributo unificato dovuto è pari ad Euro .....

Luogo e data....

Firma Avv.....

PROCURA AD LITEM

Il Sig. .... n.q di legale rapp.te p.t. della società .... (P.I. ....), con sede legale in .... alla via .... informato ai sensi dell'art. 4, comma 3, del d.lgs. n. 28/2010 della possibilità di ricorrere al procedimento di mediazione ivi previsto e dei benefici fiscali di cui agli artt. 17 e 20 del medesimo decreto, con la presente conferisco incarico all'Avv. .... (C.F. ....) a rappresentarmi e difendermi nel giudizio da promuovere dinanzi al Tribunale di .... ivi comprese le fasi esecutive e di impugnazione che da questo conseguono, con ogni più ampia facoltà di legge; a tal uopo conferisco, altresì, al nominato procuratore ogni facoltà di legge, comprese quelle di conciliare, incassare, quietanzare, rinunziare e transigere, con promessa di rato e fermo del suo operato; lo autorizzo, infine, al trattamento dei miei dati personali, conformemente alle norme del d.lgs. n. 196/2003 e limitatamente alle finalità connesse all'esecuzione del presente mandato. Eleggo domicilio presso il suo studio in .... alla via .... n. .....

Luogo e data....

Sig. ....

E' autentica

Firma Avv. ....

[1] L. n. 97/2001 e successivamente dal d.l n. 78/2009 convertito nella l. n. 102/2009, prevede che – a determinate condizioni- l'iniziativa risarcitoria in favore della P.A. contro il dipendente che sia stato condannato in via definitiva per alcuni reati spetti al Procuratore presso la Corte dei Conti e, come sede naturale, abbia proprio tale ultima giurisdizione speciale.

[2] In tutti gli atti introduttivi di un giudizio e in tutti gli atti di prima difesa devono essere indicati le generalità complete della parte, la residenza o sede, il domicilio eletto presso il difensore ed il codice fiscale, oltre che della parte, anche dei rappresentanti in giudizio (art. 23, comma 50, d.l. 6 luglio 2011, n. 98, conv., con modif., dalla l. 15 luglio 2011, n. 111). L'indicazione del codice fiscale dell'avvocato è prevista, oltre che dall'art. 23, comma 50, d.l. n. 98/2011, conv. con modif. dalla legge 111/2011, dall'art. 125, comma 1, c.p.c., come modificato dall'art. 4, comma 8, d.l. n. 193/2009 conv. con modif. dalla legge n. 24/2010.

[3] A partire dal 18 agosto 2014, gli atti di parte, redatti dagli avvocati, che introducono il giudizio o una fase giudiziale, non devono più contenere l'indicazione dell'indirizzo di PEC del difensore: v. art. 125 c.p.c. e art. 13, comma 3 bis, d.P.R. n. 115/2002, modificati dall'art. 45 bis d.l. n. 90/2014 conv., con modif., dalla legge 114/2014.

L'indicazione del numero di fax dell'avvocato è prevista dall'art. 125 c.p.c. e dall'art. 13, comma 3 bis, d.P.R. n. 115/2002, modificati dall'art. 45 bis d.l. n. 90/2014, conv. con modif., dalla legge 114/2014. Ai sensi dell'art. 13, comma 3 bis, d.P.R. cit., «Ove il difensore non indichi il proprio numero di fax ...ovvero qualora la parte ometta di indicare il codice fiscale .... il contributo unificato è aumentato della metà».

Commento

Brevi cenni normativi. La sentenza della Corte Costituzionale n. 335/2010 e la tenuta del sistema.

L'art. 7 l. n. 97/2001 (di recente abrogato dalla dall'articolo 4, comma 1, lett. g), dell'all. 3, d.lgs. 26 agosto 2016, n. 174), prevedeva che “La sentenza irrevocabile di condanna pronunciata nei confronti dei dipendenti indicati nell'articolo 3 per i delitti contro la pubblica amministrazione previsti nel capo I del titolo II del libro secondo del codice penale è comunicata al competente procuratore regionale della Corte dei Conti affinché promuova entro trenta giorni l'eventuale procedimento di responsabilità per danno erariale nei confronti del condannato. Resta salvo quanto disposto dall'articolo 129 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, approvate con decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271”.

La norma in questione circoscriveva il danno della P.A. alle ipotesi di danno erariale (di natura patrimoniale), commesso dal dipendente condannato in via definitiva, esclusivamente per la commissione di reati contro la Pubblica Amministrazione (capo I, titolo II del libro II del codice penale) e, dunque, l'esperibilità della relativa azione dinanzi alla Corte dei Conti era rimessa all'iniziativa del Procuratore Regionale della Corte dei Conti.

La tormentata vicenda dell'art. 17, comma 30 ter, d.l. 1 luglio 2009 n. 78 è iniziata con la stessa conversione in legge del detto decreto. La legge di conversione con modificazioni 3 agosto 2009 n. 102, infatti, è stata a sua volta modificata lo stesso giorno 3 agosto dal d.l. n. 103/2009, convertito in l. 3 ottobre 2009 n. 141, e la norma è stata subito denunciata, da più sezioni regionali e dalla prima sezione giurisdizionale centrale di appello della Corte dei Conti, per sospetto contrasto con gli art. 2,3,24,25,54,77,81,97,103,111 e 113 Cost., in ragione delle rilevanti limitazioni che essa pone all'esercizio dell'azione di responsabilità amministrativa per danno all'immagine della pubblica amministrazione.

Spartiacque del sistema di risarcimento del danno all'immagine della Pubblica Amministrazione e decisione che, di fatto, ha affermato la tenuta del sistema, è stata la sentenza della Corte Cost. n. 355/2010 che, nel dichiarare infondate o inammissibili le dette questioni, ha, tra l'altro, evidenziato che la norma poneva un limite alla esperibilità dell'azione di responsabilità amministrativa per danno all'immagine, subordinandola alla avvenuta condanna del pubblico dipendente in sede penale per gli specifici reati in essa considerati.

Il detto limite, però, non si risolveva in una sottrazione della materia alla giurisdizione della Corte dei Conti, risultandone, al contrario, confermata la sua esclusiva competenza al riguardo (principio ribadito di recente anche dalla stessa Corte dei Conti III, 31 marzo 2020, n. 66 per cui “L'introduzione del codice di giustizia contabile, in particolare del suo articolo 51 comma 7, e la contestuale abrogazione dell'art. 7 l. n. 97/2001 non hanno modificato il regime di proponibilità dell'azione risarcitoria per danno d'immagine alla p.a. ex art. 17, comma 30-ter, d.l. 78/2009, la quale continua ad essere proponibile solo per i danni causati dai delitti commessi dai pubblici ufficiali contro la p.a. di cui al Libro II, Titolo II, Capo I, del codice penale).”.

La Corte, tra le altre importanti massime estraibili dalla sentenza, ha anche significativamente affermato che “Per quanto attiene specificamente alla responsabilità per violazione dell'immagine dell'ente pubblico, deve rilevarsi che il relativo danno, in ragione della natura della situazione giuridica lesa, ha valenza non patrimoniale e trova la sua fonte di disciplina nell'art. 2059 c.c.. D'altra parte, il riferimento, contenuto nella giurisprudenza della Corte dei Conti, alla patrimonialità del danno stesso - in ragione della spesa necessaria per il ripristino dell'immagine dell'ente pubblico - deve essere inteso come attinente alla quantificazione monetaria del pregiudizio subito e non alla individuazione della natura giuridica di esso. Né può ritenersi che l'inquadramento della responsabilità per la lesione del diritto all'immagine dell'ente pubblico nell'ambito della responsabilità amministrativa, devoluta alla giurisdizione contabile della Corte dei Conti, possa condurre ad una diversa qualificazione della peculiare forma di responsabilità disciplinata dalla norma ora censurata. Nondimeno, deve rilevarsi che la responsabilità amministrativa presenta una struttura ed una funzione diverse da quelle che connotano la comune responsabilità civile. Non si può, pertanto, lamentare la violazione dell'art. 2 Cost., evocando l'elaborazione giurisprudenziale che ha avuto riguardo a tale forma di responsabilità per violazione di diritti costituzionalmente protetti della persona umana. Identificato, infatti, il danno derivante dalla lesione del diritto all'immagine della p.a. nel pregiudizio recato alla rappresentazione che essa ha di sé in conformità al modello delineato dall'art. 97 Cost., è sostanzialmente questa norma costituzionale ad offrire fondamento alla rilevanza di tale diritto. Né varrebbe richiamare, data la specialità della relativa norma e la ratio che ne ha giustificato l'introduzione nel sistema, quanto stabilito dall'art. 69 d.lgs. 27 ottobre 2009 n. 150, il quale riconosce la possibilità, ricorrendo i presupposti specificamente ivi contemplati, di condannare il dipendente al risarcimento dei danni all'immagine subiti dall'amministrazione di appartenenza in conseguenza di sue assenze ingiustificate dal lavoro. Quanto esposto non significa che non sia possibile riconoscere l'esistenza di diritti "propri" degli enti pubblici e conseguentemente ammettere forme peculiari di risarcimento del danno non patrimoniale nel caso in cui i suddetti diritti vengano violati. Ma tale riconoscimento deve necessariamente tenere conto della peculiarità del soggetto tutelato e della conseguente diversità dell'oggetto di tutela, rappresentato dall'esigenza di assicurare il prestigio, la credibilità e il corretto funzionamento degli uffici della p.a. In questa prospettiva, non è manifestamente irragionevole ipotizzare differenziazioni di tutele, che si possono attuare a livello legislativo, anche mediante forme di protezione dell'immagine dell'amministrazione pubblica a fronte di condotte dei dipendenti, specificamente tipizzate, meno pregnanti rispetto a quelle assicurate alla persona fisica. Sulla base delle suindicate considerazioni, la norma censurata non può ritenersi in contrasto con l'art. 2 Cost., in quanto la peculiarità del diritto all'immagine della p.a., unitamente all'esigenza di costruire un sistema di responsabilità amministrativa in grado di coniugare le diverse finalità prima richiamate, può giustificare una altrettanto particolare modulazione delle rispettive forme di tutela” (cfr. sul sistema del danno non patrimoniale Cass. I, n. 233/2003; Cass. S.U., n. 184/1986; Cass. S.U., n. 26972/2008).

Il sistema è stato ritenuto conforme alla Costituzione anche sotto il profilo della necessità che la condanna del dipendente passi in giudicato prima dell'eventuale iniziativa giudiziaria del Procuratore Generale (cfr. Corte cost. n. 219/2011); ugualmente da ultimo Corte Cost. n. 191/2019).

Infine, da ultimo, l'art. 1 l. n. 190/2012 comma 62 ha stabilito che all'art. 1 l. n. 20/1994 dopo il comma 1-quinquies siano aggiunti i seguenti commi: “1-sexies. Nel giudizio di responsabilità, l'entità del danno all'immagine della pubblica amministrazione derivante dalla commissione di un reato contro la stessa pubblica amministrazione accertato con sentenza passata in giudicato si presume, salva prova contraria, pari al doppio della somma di denaro o del valore patrimoniale di altra utilità illecitamente percepita dal dipendente. 1-septies. Nei giudizi di responsabilità aventi ad oggetto atti o fatti di cui al comma 1-sexies, il sequestro conservativo di cui all'art. 5, comma 2, d.l. 15 novembre 1993, n. 453, convertito, con modificazioni, dalla l. 14 gennaio 1994, n. 19, è concesso in tutti i casi di fondato timore di attenuazione della garanzia del credito erariale” (cfr. infra in ordine alla misura del danno).

Si è, così, concluso che il legislatore non ha inteso prevedere una limitazione della giurisdizione contabile a favore di altra giurisdizione e, segnatamente, di quella ordinaria, ma ha circoscritto oggettivamente i casi in cui è possibile, sul piano sostanziale e processuale, chiedere il risarcimento del danno in presenza della lesione dell'immagine dell'amministrazione imputabile a un dipendente di questa, sicché al di fuori delle ipotesi tassativamente previste, non è configurabile siffatto tipo di tutela risarcitoria.

Giurisdizione. Condizione di procedibilità. Procedimento. Prescrizione.

La giurisdizione, in ordine al danno cagionato all'immagine della P.A. da un proprio dipendente spetta, in definitiva, alla Corte dei Conti.

Quanto agli ulteriori presupposti richiesti dalle menzionate norme, costituiscono, come chiarito dalla Suprema Corte di Cassazione a Sezioni Unite in più occasioni, esclusivamente condizioni di procedibilità dell'azione.

Invero, “In tema di responsabilità contabile, la norma dell'art. 17, comma 30-ter, d.l. n. 78/2009, conv., con modif., dalla l. n. 102/2009 - che ha circoscritto la possibilità del P.M. presso il giudice contabile di agire per il risarcimento del danno all'immagine di enti pubblici (pena la nullità degli atti processuali computi) ai soli fatti costituenti delitti contro la P.A., accertati con sentenza passata in giudicato - introduce una condizione di mera proponibilità dell'azione di responsabilità davanti al giudice contabile (incidente, dunque, sui soli limiti interni della sua giurisdizione) e non una questione di giurisdizione, posto che ad incardinare la giurisdizione della Corte dei Conti è necessaria e sufficiente l'allegazione di una fattispecie oggettivamente riconducibile allo schema del rapporto d'impiego o di servizio del suo preteso autore, mentre afferisce al merito ogni problema relativo alla sua effettiva esistenza” (cfr. Cass. S.U., n. 20728/2012; Cass. S.U., n. 25042/2016; Cass. S.U., n. 9188/2012).

Di qui, la Suprema Corte, nel suo massimo consesso, ha fatto conseguire che “Qualora il pubblico impiegato abbia patteggiato la pena ai sensi degli artt. 444 e ss. c.p.p. e la relativa sentenza sia stata resa successivamente all'entrata in vigore della l. n. 475/1999, che ha equiparato la detta pronuncia a quella di condanna, è inammissibile, non trattandosi di superamento dei limiti esterni della giurisdizione del giudice contabile, l'impugnazione davanti alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, della sentenza non definitiva della Corte dei Conti di condanna del detto pubblico dipendente al risarcimento del danno all'immagine e da disservizio subiti dalla P.A.”.

Il termine di prescrizione del diritto è sospeso fino alla conclusione del procedimento penale e la prescrizione ha superato il vaglio della Corte Costituzionale che con la decisione n. 219/2011 ha dichiarato la legittimità costituzionale dell'art. 17, comma 30-ter, periodi secondo e terzo, d.l. n. 78/2009, cit. che ciò ha previsto (sul punto, dunque, risultano infondate le difese del convenuto esercitate nell'atto in commento).

Legittimazione attiva e legittimazione passiva. I danni provocati alle cd. società in house .

La natura del soggetto che procura il danno e quella del soggetto cui il danno è procurato, nonché l'esistenza di un rapporto di servizio tra il reo e l'ente da cui dipende, incidono, innanzitutto, nell'inquadramento della giurisdizione contabile e, poi, nella stessa configurazione del danno all'immagine della P.A..

Invero, è opinione consolidata che “La controversia riguardante l'azione di responsabilità a carico degli amministratori (o dei terzi che hanno concorso con loro nel cagionare il danno) di una società per azioni a partecipazione pubblica anche se maggioritaria o, come nella specie, totalitaria (in capo a più enti), per il danno patrimoniale subito dalla compagine sociale a causa delle condotte illecite di tali soggetti è assoggettata alla giurisdizione del g.o. e non del giudice contabile atteso che, da un lato, l'autonoma personalità giuridica della società porta ad escludere l'esistenza di un rapporto di servizio tra amministratori, sindaci e dipendenti e p.a. e, dall'altro, il danno cagionato dalla "mala gestio" incide in via diretta solo sul patrimonio della società, che resta privato e separato da quello dei soci(Cass. S.U., n. 14655/2011; cfr. sul danno procurato da un dipendente di Poste Italiane s.p.a. (quando era ancora a totale partecipazione pubblica) Corte Conti reg. (Toscana). sez. giurisd., n. 493/2010; Cass. S.U., n. 20941/2011).

Non sono mancate anche autorevoli voci contrarie, secondo cui, “Rientra nella giurisdizione della Corte dei Conti la controversia avente ad oggetto l'azione di responsabilità per danno erariale promossa dalla Procura regionale della Corte dei Conti nei confronti degli amministratori e dei componenti del collegio sindacale di società costituita da enti pubblici, con capitale interamente pubblico, al fine di perseguire finalità proprie di tali enti per i danni arrecati alla medesima società (nella specie, alla società consortile per azioni Trieste Expo Challange 2008) per effetto del pagamento di compensi non dovuti” (Cass. S.U., n. 10063/2011 nonché Corte Conti reg. (Liguria), 14 giugno 2011, n. 153).

A sé è il caso del danno all'immagine della P.A, causato da amministratori e soci di società cd. in house.

Invero, già alcune Corti locali avevano chiarito che l'affidamento da parte di un ente pubblico ad un soggetto esterno da esso controllato della gestione di un servizio pubblico integra una relazione funzionale incentrata sull'inserimento di quest'ultimo nell'organizzazione dell'ente pubblico ed implica, conseguentemente, l'assoggettamento alla giurisdizione della Corte dei Conti per danno erariale, a prescindere dalla natura privatistica dello stesso soggetto e dello strumento contrattuale con il quale si sia costituito ed attuato il rapporto (Corte dei Conti Regione Liguria, 14 giugno 2011 n. 153, secondo cui in caso di danno cagionato a una società per azioni partecipata da un ente pubblico, il problema della giurisdizione va risolto esaminando se la società partecipata sia un soggetto privato, non solo formalmente ma anche sostanzialmente, oppure se la stessa sia un modello organizzatorio di cui la pubblica amministrazione si avvale per il raggiungimento dei suoi fini).

Posizione da ultimo confermata dalla Sezioni Unite della Corte di Cassazione nel 2013 che hanno affermato che “La Corte dei Conti ha giurisdizione sull'azione di responsabilità esercitata dalla Procura della Repubblica presso detta corte quando tale azione sia diretta a far valere la responsabilità degli organi sociali per danni da essi cagionati al patrimonio di una società in house, per tale dovendosi intendere quella costituita da uno o più enti pubblici per l'esercizio di pubblici servizi, di cui esclusivamente tali enti possano esser soci, che statutariamente esplichi la propria attività prevalente in favore degli enti partecipanti e la cui gestione sia per statuto assoggettata a forme di controllo analoghe a quello esercitato dagli enti pubblici sui propri uffici(Cass. S.U., n. 26283/2013; Cass. S.U., n. 5491/2014; Cass. S.U., n. 7177/2014).

Argomentando anche da tali decisioni, si deduce che in mancanza di rapporto di servizio con la P.A. non può ritenersi applicabile la normativa speciale fin qui citata.

Invero, “Il danno subito dalla p.a. per effetto della lesione all'immagine è risarcibile solo qualora derivi dalla commissione di reati, anche comuni, posti in essere da soggetti appartenenti ad una pubblica amministrazione. (Fattispecie in cui la Corte ha escluso la risarcibilità del danno all'immagine arrecato da soggetti privi di qualifiche pubblicistiche all'Agenzia delle entrate in conseguenza della commissione dei reati di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti e di emissione di fatture per operazioni inesistenti)”(Cass. pen. III, n. 5481/2013; ma vedi anche Corte Conti reg. (Lazio), sez. giurisd., n. 1689/2011).

Nella stessa scia, anche se con riguardo ad un caso diverso (opera professionale prestata in favore di un ente pubblico), si pone quella giurisprudenza che assume che “Spetta all'autorità giudiziaria ordinaria la giurisdizione nella controversia avente ad oggetto la responsabilità di un professionista che, incaricato da un Comune di progettare un'opera pubblica, sia stato convenuto dall'ente per il risarcimento dei danni dovuti ad errori e carenze progettuali, agli oneri sostenuti e da sostenere per eliminare i difetti di progettazione, nonché al pregiudizio subito dall'immagine dell'ente” (Cass. S.U., n. 3165/2011).

I reati ai quali è connessa l'azione risarcitoria

In ordine ai delitti per i quali può essere esperita dinanzi alla Corte dei Conti l'azione risarcitoria per danno all'immagine della P.A., la giurisprudenza ha interpretato la limitazione dell'art. 7 della l. n. 97/2001 in maniera ampia.

Ad esempio, “Il principio di cui all'art. 17, comma 30 ter, d.l. 1 luglio 2009 n. 78, a mente del quale le procure della Corte dei Conti possono esercitare l'azione di risarcimento del danno all'immagine per i delitti di cui al Capo I, Titolo II, Libro II, Codice Penale, va applicato comprendendo anche i casi in cui il delitto contro la p.a. non solo sia stato oggetto di specifico accertamento del giudice penale, ma abbia anche formato, nell'ambito del reato complesso, elemento costitutivo di più grave reato. Diversamente, occorrerebbe mettere in dubbio la stessa coerenza costituzionale di una norma che escluda dalla risarcibilità del danno d'immagine i delitti contro la p.a. che siano stati strumentali per la commissione di reati più gravi” (Corte Conti reg., (Umbria), sez. giurisd., n. 11/2016).

Il danno all'immagine è compatibile anche con il delitto solo tentato (cfr. Corte Conti reg., (Sicilia), sez. giurisd., n. 3588/2011).

Da ultimo Corte dei Conti ha affermato che “non è necessaria la presenza di una sentenza penale definitiva di condanna quale condizione di ammissibilità dell'azione di responsabilità per danno alla “nomea” dell'ente pubblico derivante dal fenomeno dei cosiddetti “furbetti del cartellino”. Difatti, la lesione del diritto della persona giuridica pubblica all'integrità della propria immagine è causa di danno non patrimoniale risarcibile sia sotto il profilo della “reputazione” presso i cittadini in genere o più specificamente presso i settori con cui l'ente interagisce, sia sotto il profilo dell'incidenza negativa che il “credito sminuito” può cagionare all'ordinario agire dei sui uffici. Ad affermarlo è la sezione giurisdizionale della regione Sicilia della Corte dei conti, per la quale la lesione del buon nome della Pa resta una ipotesi del tutto speciale di responsabilità amministrativa”, (Corte Conti, (Sicilia) sez. reg. giurisd., 13/01/2021, n.31).

Le condotte integranti l'elemento materiale dell'abrogato reato di abuso d'ufficio sono suscettibili di produrre la lesione dell'immagine della P.A. e, conseguentemente, foriere di responsabilità amministrativa, in quanto «anche in caso di abolitio crimnis, l'azione erariale per il risarcimento del danno all'immagine può essere esercitata in presenza di una sentenza penale di condanna non più impugnabile con mezzi ordinari - quindi integrante a tutti gli effetti la condizione di cui all'art. 17, comma 30-ter, d.l. 78/2009 - qualora sussistano fatti lesivi che abbiano causato un discredito concreto e dimostrabile alla Pubblica amministrazione» (C. conti Toscana 22 gennaio 2025, n. 4).

La natura del danno

Come chiarito dalla Corte Costituzionale, più volte citata, del 2010 L'art. 97 Cost., infatti, impone la costruzione, sul piano legislativo, di un modello di p.a. che ispiri costantemente la sua azione al rispetto dei principi generali di efficacia, efficienza e imparzialità, ma deve escludersi che una modulazione del giudizio di responsabilità, che tenga conto dei diversi interessi in gioco, possa in qualche modo incidere negativamente su tali principi”.

La decisione indicata costituisce momento di riflessione determinante anche con riguardo alla natura del danno all'immagine della P.A.

Invero, prima della stessa era consolidata l'opinione per cui il danno all'immagine di enti pubblici, quale danno c.d. evento, era includibile nella categoria del c.d. danno esistenziale, sanzionabile in base al combinato disposto dell'art. 2043, c.c., 2 e 97, Cost., e non in virtù dell'art. 2059, c.c., che, com'è noto, rinvia ai casi determinati dalla legge.

Se ne deduceva che, per la sua risarcibilità, non fosse necessaria la sussistenza, nemmeno provata in via incidentale, di una fattispecie criminosa (Corte Conti II, n. 176/2004; Corte conti II, 9 ottobre 2003 n. 284; Corte dei Conti sez. riun., n. 10/2003/QM).

Successivamente alla pronuncia indicata, è stato puntualizzato, viceversa, che “Il danno all'immagine della P.A. ha anche natura di danno esistenziale, riconducibile nell'alveo del danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c., trattandosi di un pregiudizio conseguente alla lesione di fondamentali valori inerenti alla persona, anche giuridica, come il diritto alla reputazione, al nome, all'immagine, al prestigio, che rappresentano diritti inviolabili della persona incisa nella sua dignità, preservata espressamente dalla Costituzione (Corte Conti reg., (Piemonte), sez. giurisd., 25 settembre 2014, n. 116).

Esso viene qualificato, salvo poche pronunce in altro senso (Cass. Pen. III, n. 5481/2013), quale danno–evento (cfr. Corte cost. n. 10/2015; Corte cost. n. 133/2016; Corte cost. n. 57/2016), “il quale si sostanzia non già in una deminutio patrimonii, bensì nella violazione di diritti costituzionalmente garantiti intestati alla p.a. nel suo complesso. Tale danno, dunque, non si identifica o si verifica soltanto quando, per ripristinarlo, la p.a. sostiene delle spese, posto che tale pregiudizio si concreta anche nel caso in cui la rottura dell'aspettativa della legalità, imparzialità e correttezza che il cittadino e gli appartenenti all'Ente pubblico si attendono dall'apparato, viene spezzata da illecito comportamento (Corte Conti reg., (Piemonte), sez. giurisd., n. 116/2014).

In altre parole, il danno va ravvisato nella lesione di un interesse, inteso come rapporto tra il soggetto e un bene, e l'immagine esterna della p.a. rientra, senza dubbio, tra tali valori primari protetti dall'ordinamento.

Ad esempio è stato affermato che un danno all'immagine ben può configurarsi nel caso di illecita percezione di somme da parte di pubblici dipendenti e amministratori, specie se in correlazione con diffusi fenomeni di corruzione o concussione (Corte Conti reg., (Lazio), sez. giurisd., n. 983/2005).

La misura del danno

Prima dell'introduzione dell'art. 1, comma 62, l. n. 190/2012, era previsto come metodo di liquidazione del danno all'immagine della P.A. unicamente il metodo equitativo ai sensi dell'art. 1226 c.c., presumendosi l'impossibilità di una prova concreta del danno (Corte Conti I, n. 501/2007) e salva l'ipotesi di spese documentate per l'attività di ripristino del danno.

Si riteneva, infatti, che il danno all'immagine della P.A. fosse da porsi in relazione alla spesa che è stata o che sarebbe necessaria per il ripristino dell'immagine: nel caso in cui, pertanto, dalla documentazione contabile acquisita in atti, risulti che l'amministrazione ha sostenuto costi per porre in essere l'attività di ripristino o ha programmato tale attività, la spesa deve considerarsi precisamente determinata e provata.

Solo alcune decisioni avevano provato a scalfire tale convinzione sulla scorta dell'elaborazione del danno all'immagine, in generale, alle persone giuridiche (cfr. Corte Conti reg. (Lombardia), sez. giurisd., n. 545/2007).

L'art. 1, comma 62, l. n. 190/2012, introduce, invece, un criterio presuntivo di liquidazione del danno corrispondente al “doppio della somma di denaro o del valore patrimoniale di altra utilità illecitamente percepita dal dipendente”.

Tale presunzione è stata inquadrata dalla giurisprudenza contabile come "iuris tantum" tale cioè da non elidere il generale criterio equitativo di cui all'art. 1226 c.c., con la conseguenza per cui “Ai fini della liquidazione del danno all'immagine potrà dunque tenersi conto anche di diversi parametri, quali la reiterazione delle condotte criminose, la gravità dell'illecito, l'entità del danno patrimoniale, il disvalore sociale, il clamor seguito alla condotta delittuosa(Corte Conti, sez. I Centrale d'Appello, 19 novembre 2013, n. 976; Corte Conti, I Centrale d'Appello, 1 settembre 2010, n. 494.; Corte Conti, II Centrale d'Appello, 11 novembre 2010, n. 461; Corte Conti, III Centrale d'Appello, 10 febbraio 2011, n. 132; Corte Conti reg., (Trentino-Alto Adige), sez. giurisd., 29 gennaio 2015).

Dunque, è necessario ai fini della liquidazione del danno all'immagine della P.A. ancora tenere conto dei seguenti criteri: a) della funzione rivestita dal convenuto in seno all'amministrazione di appartenenza; b) dell'ammontare della somma oggetto di concussione ( o di altra forma di appropriazione del dipendente); c) della sussistenza di uno strascico di ricorsi amministrativi o giurisdizionali contro eventuali provvedimenti sanzionatori; d) delle eventuali spese sostenute dall' amministrazione per il ripristino della funzione lesa dall'atto delittuoso (Corte Conti reg. (Sardegna), sez. giurisd., n. 173/2014).

In caso di protratto assenteismo ad esempio è stato affermato che “La notevole frequenza e la disinvoltura con cui il dipendente si assentava dal servizio, con l'abitudine di non timbrare il cartellino, ne denota una condotta assolutamente irregolare per la quale è irrilevante l'esatta indicazione della durata dell'assenza, una volta che il Collegio ritenga che sia superata la soglia minima di rilevanza oltre la quale deve essere risarcito il danno all'amministrazione; pur non potendosi escludere di poter giustificare alcune delle assenze, la sistematicità con cui sono state poste in essere, la loro sommatoria e la durata di alcune di esse, fanno ritenere sussistente il danno da quantificare in via equitativa ex art. 1226 c.c.; il danno all'immagine dell'amministrazione pubblica, da tenersi distinto dal "pretium doloris", si realizza in presenza di illeciti che, pur non rivestendo carattere penale, hanno una tale rilevanza e capacità lesiva, per la loro intrinseca gravità e per il settore pubblico in cui intervengono, da ingenerare una corale disapprovazione sociale ed un diffuso e persistente senso di sfiducia della collettività nell'amministrazione, data la manifesta ed abnorme contrarietà delle condotte realizzate ai canoni della legalità del buon andamento e dell'imparzialità fissati nell'art. 97 Cost.; detto danno determinato da parte del soggetto legato da un rapporto di lavoro, di impiego o di servizio (anche di fatto), che è patrimoniale in senso stretto e discende da responsabilità contrattuale, viene il rilievo unitamente ad altri fondamentali e necessari concomitanti elementi, quali il "clamor" e la risonanza della notizia, e si inquadra nel danno patrimoniale ingiusto per violazione di un diritto fondamentale della persona pubblica inquadrabile nei danni patrimoniali in senso ampio ex art. 2043 c.c. in collegamento con l'art. 2 Cost., non correlato necessariamente alla causazione di un reato e perciò non rientrante nell'ambito di applicazione dell'art. 2059 c.c.; non essendo richiesta la prova delle spese necessarie al ripristino del bene/valore che si riflette sull'immagine pubblica, per la concreta determinazione dell'ammontare dello stesso si può fare ricorso alla valutazione equitativa ai sensi dell'art. 1226 c.c.” (Corte Conti reg. (Umbria), sez. giurisd., n. 100/2009).

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