Comparsa di risposta per risarcimento del danno causato dall'equipe medica

Emanuela Musi

Inquadramento

Con la comparsa di costituzione in un giudizio per il risarcimento del danno intentato da un paziente nei confronti, tra gli altri, di un infermiere per il malfunzionamento di uno strumento nel corso di un'operazione, l'infermiere chiede il rigetto della domanda attorea nonché di essere garantito per il caso di condanna dal medico a capo dell'equipe che si era occupata dell'operazione.

Formula

TRIBUNALE DI ....

R.G. ....GIUDICE ....UDIENZA ....

COMPARSA DI COSTITUZIONE E RISPOSTA

CON CHIAMATA IN CAUSA DEL TERZO [1]

PER

il Sig. ...., nato a ...., il ...., C.F. .... [2], residente in ...., via ...., rappresentato e difeso, per mandato in calce/a margine del presente atto dall'Avv. ...., C.F. ...., presso il cui studio elettivamente domicilia in ...., via .... Si dichiara di voler ricevere tutte le comunicazioni relative al presente procedimento al fax ...., ovvero all'indirizzo PEC .... [3]

-convenuto-

CONTRO

il Sig. ...., rappresentato e difeso dall'Avv. ....

-attore-

NONCHÉ

Assicurazioni ...., C.F./P.I. ...., in persona del legale rapp.te p.t., con sede legale in ...., via ....

-convenuto-

FATTO

Con ricorso ex art. 702 bis c.p.c. [4] notificato il ...., l'attore conveniva in giudizio il comparente, unitamente alla sua compagnia di assicurazioni, per ivi sentirli condannare al risarcimento dei danni biologici subiti a seguito di un intervento chirurgico di resezione prostatica eseguito in anestesia epiduralica.

In punto di fatto specificava che in data ...., si recava presso l'Ospedale di ...., per sottoporsi al suddetto intervento chirurgico.

Tuttavia, a seguito dello stesso, subiva una grave ustione da contatto a stampo faccia laterale e mediale collo piede sx, con ipoestesia e deficit motorio del piede sinistro e complicazioni nel decorso clinico della lesione, il tutto a causa dell'erroneo posizionamento della piastra del bisturi elettronico in uso dal convenuto, infermiere specializzato.

Con ricorso ex art. 696 bis c.p.c. l'istante aveva adito l'intestato Tribunale al fine di ottenere la nomina di un C.T.U. che, previo esperimento del tentativo di conciliazione, accertasse la natura e l'entità delle lesioni subite nonché il nesso di causalità tra l'evento lesivo e la condotta, imprudente imperita e negligente, con la relativa quantificazione del danno. Tuttavia il tentativo di conciliazione non aveva prodotto alcun effetto. [5]

Tanto premesso in fatto chiedeva il riconosciuto dei seguenti importi a titolo risarcitorio: Euro .... per inabilità temporanea, Euro ....per danno biologico permanente Euro ....per spese mediche.

Il convenuto, costituendosi in giudizio con il presente atto, impugna e contesta tutto quanto riportato nel ricorso perché infondato, in fatto e in diritto, osservando quanto segue, e dichiarando, in via preliminare, di voler chiamare in causa il terzo sotto indicato ai sensi dell'art. 106. c.p.c.

DIRITTO

1. Tanto premesso al punto che precede, sempre in via preliminare e nonostante l'evidente infondatezza della domanda, si chiede di essere autorizzati alla chiamata in causa, ex art. 106 c.p.c., del medico-chirurgo, Dott. ...., nato a ...., il ...., residente in ...., via ...., capo-equipe che ha condotto l'operazione nei confronti del Sig. ....

Invero, il medico, stante la sua posizione apicale nell'ambito dell'equipe chirurgica e comunque quale chirurgo che ha azionato lo strumento operatorio aveva l'obbligo di controllare che il funzionamento dell'apparecchio fosse corretto, rientrando ciò per giunta nelle sue competenze.

La chiamata in causa del medico-chirurgo è pertanto finalizzata a far sì che, nella denegata ipotesi di accoglimento della domanda attorea, il medesimo tenga indenne la convenuta ovvero risponda a titolo di responsabilità concorsuale dal risarcimento del danno da corrispondere.

2. Nel merito si chiede rigettarsi la domanda risarcitoria, poiché infondata in fatto e diritto.

Alla base della responsabilità sanitaria d'equipe operano due principi: il primo è quello dell'affidamento, secondo cui nelle situazioni in cui una pluralità di soggetti operi a tutela del medesimo bene giuridico sulla base di precisi doveri suddivisi tra loro, come accade, appunto, in una equipe di sala operatoria, è opportuno che ogni compartecipe abbia la possibilità di concentrarsi sui compiti affidatigli, confidando sulla professionalità degli altri, della cui condotta colposa non può in linea generale essere chiamato a rispondere. Il secondo è che l'affidamento non opera però in maniera assoluta, per evitare che la mera applicazione dell'affidamento comporti che ogni operatore dell'equipe possa disinteressarsi del tutto dell'operato altrui, con i conseguenti rischi legati a possibili difetti di coordinamento tra i vari operatori: si perviene così all'enunciazione del principio dell'affidamento cosiddetto “relativo” o “temperato”, in base al quale ciascuno degli operatori può essere chiamato a rispondere anche dell'operato degli altri per omesso o inesatto controllo a meno che questo non abbia ad oggetto competenze talmente specialistiche, tali da non poter essere valutate dagli altri operatori. Corollario di quanto detto è che il principio dell'affidamento, anche quando temperato, subisce una restrizione nei casi in cui vi sia un sanitario preposto alla direzione dell'intervento o del trattamento medico d'equipe (è il caso della cosiddetta responsabilità del “capo-equipe”). Ebbene, secondo la giurisprudenza pressoché uniforme il capo-equipe ha sia l'obbligo di agire con la diligenza inerente alla attività a lui individualmente riconducibile sia quello di vigilare costantemente sull'operato dei propri collaboratori. In tal caso il soggetto che svolge funzione di capo-equipe o che, in genere, occupa una posizione apicale, anche in sede civile deve essere chiamato a rispondere dei fatti colposi posti in essere dai collaboratori per una responsabilità da culpa in eligendo o in vigilando, anche in considerazione del fatto che egli, ai sensi dell'art. 1228 c.c., è tenuto a rispondere dell'operato dei collaboratori di cui si serva, in quanto l' art. 1228 c.c. è stato ritenuto applicabile anche al rapporto tra medico operatore ed il personale di supporto [6].

In relazione al caso in esame, ribadendo quanto già affermato al punto che precede, va rilevato che, il dott. Sempronio, quale capo-equipe, stante la sua posizione apicale nell'ambito dell'equipe chirurgica e comunque quale effettivo utilizzatore dell'apparecchio aveva l'obbligo di controllare che il funzionamento dell'apparecchio fosse corretto, rientrando ciò per giunta nelle sue competenze. Per di più, con riferimento al rapporto tra medico ed infermiere, va detto che il principio dell'affidamento non può operare tra tali due soggetti, in quanto la funzione dell'infermiere nel corso dell'intervento è di assistenza del personale medico al quale vanno comunque riferite le attività svolte.

Ne consegue pertanto che alcuna responsabilità può essere ravvisata in capo alla comparente, in quanto per i danni sofferti dal ricorrente è responsabile in via esclusiva il solo dott. Sempronio; invero, seppur la piastra era nella disponibilità dell'infermiere, alla stessa non può essere mosso alcun rimprovero alla luce di quanto sopra evidenziato.

Al massimo ed in via di estremo subordine, va attribuita alla comparente una responsabilità minima e residuale rispetto al capo-equipe.

Tutto ciò premesso la convenuta, come sopra rappresentata, difesa e domiciliata, rassegna le seguenti

CONCLUSIONI

Voglia l'Ecc.mo Tribunale adito, rigettata ogni avversa istanza, domanda ed eccezione, così provvedere:

— in via preliminare, fissarsi ai sensi dell' art. 269 c.p.c., altra udienza per consentire la chiamata in causa dei terzi, ovvero del medico-chirurgo, Dott. ...., nato a ...., il ...., residente in ...., via ....;

— nel merito rigettare la domanda attrice nei confronti della comparente perché priva di ogni fondamento sia in fatto che in diritto;

— nel merito ed in via subordinata, nella denegata ipotesi di accoglimento della domanda attrice, accertare e dichiarare la esclusiva responsabilità del Dott. ....;

— nel merito ed in via subordinata, nella denegata ipotesi di accoglimento della domanda attrice, accertare e dichiarare una responsabilità concorsuale tra l'infermiera ed il capo-equipe, come sopra evidenziato.

Con vittoria di spese ed onorari ed attribuzione in favore del procuratore antistatario.

IN VIA ISTRUTTORIA

Si chiede di essere ammessi alla prova contraria sulle circostanze di fatto ex adverso articolate con gli stessi testi indicati da controparte e con i seguenti propri testi: 1) Sig. ...., residente in ....; 2) Sig. ...., residente in ....

Si allegano i documenti 1), 2), 3), 4) e 5) indicati nella narrativa del presente atto, riservandosi di produrne altri con le memorie di cui all'art. 183, comma 6, c.p.c., la concessione dei cui termini sin da ora viene richiesta.

Luogo e data ....

Firma dell'Avv. ....

PROCURA

[1] In tutti gli atti introduttivi di un giudizio e in tutti gli atti di prima difesa devono essere indicati le generalità complete della parte, la residenza o sede, il domicilio eletto presso il difensore ed il C.F., oltre che della parte, anche dei rappresentanti in giudizio (art. 23, comma 50, d.l. n. 98/2011, conv., con modif., dalla l. n. 111/2011).

[2] L'indicazione del codice fiscale dell'avvocato è prevista, oltre che dall'art. 23, comma 50, d.l. n. 98/2011, conv. con modif. dalla l. n. 111/2011, dall'art. 125, comma 1, c.p.c., come modificato dall'art. 4, comma 8, d.l. n. 193/2009 conv. con modif. dalla l. n. 24/2010. A partire dal 18 agosto 2014, gli atti di parte, redatti dagli avvocati, che introducono il giudizio o una fase giudiziale, non devono più contenere l'indicazione dell'indirizzo di PEC del difensore: v. art. 125 c.p.c. e art. 13, comma 3-bis, d.P.R. n. 115/2002, modificati dall'art. 45-bis d.l. n. 90/2014 conv., con modif., dalla l. n. 114/2014.

[3] L'indicazione del numero di fax dell'avvocato è prevista dall'art. 125 c.p.c. e dall'art. 13, comma 3 bis, d.P.R. n. 115/2002, modificati dall'art. 45-bis d.l. n. 90/2014, conv. con modif., dalla l. n. 114/2014. Ai sensi dell'art. 13, comma 3-bis, d.P.R. cit., «Ove il difensore non indichi il proprio numero di fax ...ovvero qualora la parte ometta di indicare il codice fiscale .... il contributo unificato è aumentato della metà».

[4] Cfr. art. 8, comma 3 l. n. 24/2017.

[5] Cfr. art. 8, comma 1, della l. n. 24/2017.

[6] App. Lecce 1° luglio 2015, n. 455.

Commento

Principi generali

Nel caso in cui l'attività sanitaria sia posta in essere, non da una sola persona, ma da più professionisti sanitari in equipe, in virtù dei principi generali i membri dell'equipe medica che ha effettuato l'intervento rispondono in solido ex art. 2055 c.c. dei danni provocati al paziente, fermo restando il diritto di regresso riconosciuto al singolo che abbia risarcito integralmente il danno nei confronti degli altri membri corresponsabili (art. 2055, commi 2 e 3, c.c.).

In generale, nelle fattispecie in cui vengano in rilievo attività implicanti la partecipazione di più soggetti (o, talvolta, di più strutture), secondo una divisione di competenze e con obblighi diversi, è destinato, altresì, ad operare il principio cd. dell'affidamento che, da un lato, implica che colui che si affida non possa essere automaticamente ritenuto responsabile delle autonome condotte del soggetto cui si è affidato e, dall'altro, che, qualora l'affidante ponga in essere una condotta causalmente rilevante, la condotta colposa dell'affidato non vale ad escludere la responsabilità dell'affidante medesimo. In sostanza, dall'applicazione del menzionato principio discende che la responsabilità non possa essere esclusa allorché colui che si affida sia in colpa per aver violato norme precauzionali o per aver omesso determinate condotte confidando che altri, succedendo nella posizione di garanzia, avrebbero eliminato la violazione ovvero avrebbero posto rimedio alla omissione: nel caso di specie, l'eventuale evento dannoso derivante anche dall'omissione del successore, avrà due antecedenti causali, non potendo la seconda condotta configurarsi come fatto eccezionale o sopravvenuto di per sé sufficiente a produrre l'evento (v. Cass. pen. IV, n. 18568/2005 ove è stata ritenuta responsabile l'intera equipe operatoria per le lesioni provocate al paziente nel cui addome era stata lasciata una pinza). Sul punto si veda, di recente, Cass. pen. IV, n. 50038/2017 ove si precisa che non può invocare il principio di affidamento «l’agente che non abbia osservato la regola precauzionale su cui si innesti l’altrui condotta colposa, perché la sua responsabilità persiste in base al principio di equivalenza delle cause, salva l’affermazione dell’efficacia esclusiva della causa sopravvenuta» eccezionale e imprevedibile.

Si segnala inoltre, da ultimo, Cass. pen. IV n. 30626/2019 secondo cui la verifica deve essere particolarmente attenta qualora di tratti di «ipotesi di lavoro in èquipe e , più in generale, di cooperazione multidisciplinare nell’attività medico-chirurgica, cioè in tutti i casi in cui alla cura del paziente concorrono, con interventi non necessariamente omologabili, sanitari diversi, magari ciascuno con uno specifico compito». Invero, il principio di affidamento, secondo il quale il titolare di una posizione di garanzia, tenuto dunque ad impedire la verificazione di un evento dannoso, può essere esente da responsabilità qualora possa riferirsi esclusivamente alla condotta di altro, contitolare della posizione di garanzia, sulla correttezza del cui operato il primo abbia fatto legittimo affidamento, va contemperato con l’obbligo di garanzia verso il paziente gravante su tutti i sanitari che partecipano contestualmente o successivamente all’intervento terapeutico. Inoltre, il riconoscimento dell’eventuale responsabilità per errore altrui non è illimitato e richiede la verifica del ruolo effettivo svolto dal ricorrente, non essendo possibile ritenere aprioristicamente una responsabilità di gruppo, a maggior ragione se si considera che il posizionamento dei divaricatori non era percepibile nell’immediatezza, e che la sentenza impugnata nulla aveva detto sulla modalità e sull’entità del discostamento dell’operato del medico da quanto previsto dalle linee guida o dalle buone pratiche.

Allorché l'intervento medico si svolga in equipe, ciascun componente è tenuto ad eseguire con il massimo scrupolo le funzioni proprie della specializzazione di appartenenza. Ogni sanitario, oltre che al rispetto dei canoni di diligenza e prudenza connessi alle specifiche mansioni svolte, è tenuto, altresì, ad osservare gli obblighi derivanti dalla convergenza di tutte le attività verso il fine comune unico: ne deriva che ciascun partecipante dell'attività di equipe non potrà esimersi dal conoscere e valutare l'attività precedente o contestuale svolta da altro collega, sia pure specialista in altra disciplina, e dal controllarne la correttezza, se del caso ponendo rimedio ad errori altrui che siano evidenti ovvero rilevabili con l'ausilio delle comuni conoscenze scientifiche del professionista medio.

In particolare, l'obbligo di diligenza che grava su ciascun componente dell'equipe medica concerne non solo le specifiche mansioni a lui affidate, ma anche il controllo sull'operato e sugli errori altrui che siano evidenti e non settoriali, sicchè rientra tra gli obblighi di ogni singolo componente di una equipe chirurgica, sia esso in posizione sovra o sotto ordinata, anche quello di prendere visione, prima dell'operazione, della cartella clinica contenente tutti i dati per verificare la necessità di adottare particolari precauzioni imposte dalla specifica condizione del paziente ed eventualmente segnalare, anche senza particolari formalità, il suo motivato dissenso rispetto alle scelte chirurgiche effettuate ed alla scelta stessa di procedere all'operazione, potendo solo in tal caso esimersi dalla concorrente responsabilità dei membri dell'equipe nell'inadempimento della prestazione sanitaria (in tal senso si veda Cass. III n. 2060/2018).

Individuazione dei soggetti responsabili: casistica

Il primario dell'ospedale è, senz'altro, responsabile del comportamento della sua equipe, in relazione al dovere di vigilanza posto a suo carico dall'art. 7 d.P.R. n. 128/1969 per cui lo stesso risponderà sia del mancato intervento proprio, che dell'operato dei medici sottoposti alla sua direzione e vigilanza (Cass. III, n. 24144/2010). Tuttavia, il primario ospedaliero non può essere giudicato responsabile di ogni evento dannoso che si verifichi in sua assenza nel reparto affidato alla sua responsabilità, non essendo dallo stesso esigibile un controllo continuo ed analitico di tutte le attività terapeutiche che vi si compiono; d'altro canto, il suo dovere di vigilanza del personale sanitario implica, quantomeno, che lo stesso assuma informazioni precise sulle iniziative intraprese (o che intendono intraprendere) gli altri medici, cui il paziente sia stato affidato, e indipendentemente dalla responsabilità degli stessi, con riguardo a possibili e non del tutto imprevedibili eventi, che possano intervenire durante la degenza del paziente in relazione alle sue condizioni, allo scopo di adottare i provvedimenti richiesti da eventuali esigenze terapeutiche (v. così Cass., n. 4058/2005); per approfondimenti cfr. formula su responsabilità del primario o dirigente di struttura complessa.

Si è esclusa, invece, la ricorrenza di una colpa medica (in specie, per imprudenza) nell'ipotesi dei sanitari dell'equipe chirurgica che, di fronte ad un quadro complessivo, nel quale, con valutazione ex ante, siano prospettabili più soluzioni tutte supportate da valutazioni tecniche e cliniche che comportino rischi e benefici, optino per una determinata scelta terapeutica, poi rivelatasi maggiormente produttiva di danno: l'assenza di responsabilità presuppone, tuttavia, che gli stessi siano intervenuti senza omettere alcun passaggio diagnostico o terapeutico e senza sottovalutare i rischi o sovrastimare le proprie capacità o le potenzialità curative dei rimedi approntati (così Pret. Pisa 16 giugno 1998). È stata, in altro caso, ravvisata la responsabilità nella condotta del sanitario posto a capo di un'equipe operatoria allorché lo stesso, venendo meno agli obblighi discendenti dalla posizione di garanzia assunta nei confronti del paziente, dopo l'effettuazione di un delicato intervento chirurgico abbia trasferito la propria posizione di garanzia all'unico medico di guardia che aveva sotto il proprio controllo il reparto di terapia intensiva presso il quale il paziente era ricoverato, omettendo di fornire le necessarie indicazioni terapeutiche e di controllo dei parametri vitali del paziente appena operato e di seguire, eventualmente anche per interposta persona, il decorso post operatorio (v. al riguardo Cass. pen. IV, n. 9739/2004).

È stato, invece, affermato che non risponde per colpa professionale dell'anestesista il chirurgo che abbia operato in equipe avendo l'anestesista fornito prestazioni non sottoposte al controllo di altri specialisti (Trib. Roma 19 ottobre 1989).

La Casa di Cura è stata considerata responsabile nell'ipotesi in cui l'equipe medica che assisteva una partoriente nella nascita di un bambino abbia tenuto una condotta negligente, sia nella fase anteriore, sia in quella immediatamente successiva al parto. Inoltre, in caso di danni al neonato, ne risponde anche il medico ginecologo che non fosse fisicamente presente al momento del parto, se abbia indirizzato la partoriente presso una struttura sanitaria privata carente delle necessarie attrezzature di assistenza e rianimazione neonatale, ovvero se abbia colpevolmente ritardato l'intervento cesareo che, all'esito di un adeguato esame, sarebbe risultato opportuno (Cass. III, n. 2334/2011).

Rilevante, altresì, il profilo attinente al consenso informato, sottolineato da Cass. III, n. 20832/2006: posto che in caso di trattamento sanitario in equipe l'obbligo di informazione si estende alla esplicitazione dei compiti assegnati ai diversi specialisti che vi prendano parte, al fine di assicurare al paziente la piena cognizione delle varie fasi dell'intervento e dei soggetti ai quali ne è affidata l'esecuzione, in caso di intervento sanitario chirurgico (anche solo relativamente) urgente, il consenso consapevole in ordine ai rischi che esso comporta prestato dal paziente che l'ha richiesto si considera implicitamente esteso anche alle operazioni “complementari” (qual è quella di sostegno, durante l'intervento, delle risorse ematiche del paziente) assolutamente necessarie, non sostituibili con tecniche più sicure.

Più di recente, si veda Cass. III n. 26728/2018 ove si valorizza l’importanza del ruolo di ciascun componente della equipe medica con specifico riferimento all’obbligo di fornire al paziente un’adeguata informazione pre operatoria (la responsabilità grava non solo sul capo equipe esecutore dell'operazione ma anche sull'aiuto chirurgo, partecipante ad essa, che abbia in precedenza consigliato al paziente l'esecuzione dell'intervento, in quanto responsabile di non aver assicurato l'informazione dovuta nell'eseguire la propria prestazione consistente nel consigliare l'intervento.

Giova, da ultimo, segnalare che l'anticipato scioglimento dell'equipe chirurgica in ragione della semplicità delle residue attività da compiere o dalla impellente necessità di uno dei componenti dell'equipe di prestare la propria opera professionale per una cura non differibile di altro o altri pazienti è suscettibile di configurare causa di esonero da responsabilità colposa per il medico allontanatosi e che non fosse presente al momento in cui sia stata omessa la dovuta prestazione professionale o sia stato posto in essere l'erroneo intervento da cui sia derivato pregiudizio per il paziente (così v. Cass. pen. IV, n. 22579/2005).

Di contro, quanto alla dilatazione temporale della posizione di garanzia, si veda Cass. pen. IV, n. 22007/2018 secondo cui In tema di colpa medica, nel caso di intervento operatorio svolto in equipe, il chirurgo è titolare di una posizione di garanzia nei confronti del paziente, che non è limitata all'ambito strettamente chirurgico, ma si estende al successivo decorso post-operatorio, con la conseguenza che è ravvisabile la sua responsabilità ove, terminato l'intervento, si sia allontanato senza avere affidato il paziente ad altri sanitari, debitamente edotti, in grado di seguire il decorso post operatorio (In applicazione di tale principio la S.C. ha annullato con rinvio la sentenza che aveva assolto dal reato di omicidio colposo due chirurghi che erano intervenuti in ausilio dei colleghi meno esperti sostituendosi agli stessi nella conduzione dell'intervento, e si erano poi allontanati, con successivo decesso della paziente per non essere stata trasferita in una struttura provvista di rianimazione).

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