Ricorso ex  art. 702-bis c.p.c. per responsabilità del ginecologo

Emanuela Musi

Inquadramento

Con il ricorso ex art. 702 bis c.p.c. una coppia di coniugi che si erano rivolti ad un ginecologo per le indagini prenatali invocano la responsabilità del sanitario per aver omesso di informare ovvero di diagnosticare le gravi malformazioni poi riportate dal nascituro che avrebbero consentito alla gestante di valutare la possibilità della interruzione della gravidanza. Chiedono pertanto il risarcimento dei danni patrimoniali e non derivanti dalla condotta colposa del ginecologo.

Formula

TRIBUNALE DI .... [1]

RICORSO EX ART. 702-bis C.P.C. [2] [3]

PER

il Sig. ...., nato a ...., il ...., C.F. .... [4], e la Sig.ra ...., nata a ...., il ...., C.F. ...., entrambi residenti in ...., via ...., in proprio e nella qualità di esercenti la potestà genitoriale sul minore ...., nato a ...., il ...., C.F. ...., rappresentati e difesi, per mandato in calce/a margine del presente atto, dall'Avv. ...., C.F. ...., presso il cui studio elettivamente domicilia in ...., via .... Si dichiara di volere ricevere tutte le comunicazioni relative al presente procedimento al fax ...., ovvero all'indirizzo PEC .... [5]

CONTRO

il Dott. ...., nato a ...., il ...., residente in ...., via ....,

NONCHÉ

Assicurazioni ...., C.F./P.I. ...., in persona del legale rapp.te p.t., con sede legale in ...., via ....;

PREMESSO CHE

— in data ...., a seguito di specifici esami, dai quali si evinceva lo stato di gravidanza della Sig.ra ...., quest'ultima si recava presso lo studio del dott. Tizio, medico specializzato in ginecologia, per essere assistita (documento 1);

— il dottore, come da prassi, prescriveva tutti gli esami di routine, anche strumentali, onde verificare lo stato di salute del feto (documento 2);

— in particolare il convenuto al .... mese di gestazione prescriveva alla paziente di sottoporsi anche agli esami ecografici (documento 3);

— ciò malgrado, il Dott. .... ometteva di comunicare alla coppia le gravi malformazioni che il feto presentava e che erano già visibili dagli esami ecografici cui la donna si era sottoposta. Infatti, al momento della nascita il piccolo presentava le seguenti malformazioni ....(documento 4);

— successivamente il ginecologo faceva presente alla coppia di non aver provveduto a comunicare agli stessi della presenza delle suddette malformazioni del nascituro in ragione della sua riserva mentale relativa all'obiezione di coscienza. Per tale ragione egli aveva dolosamente taciuto la patologia del feto impedendo alla madre di autodeterminarsi in ordine alla scelta di praticare l'aborto terapeutico, di cui alla l. n. 194/1978;

— con ricorso ex art. 696 bis c.p.c. [6] (documento 5) gli istanti adivano l'intestato Tribunale al fine di ottenere la nomina di un CTU che, previo esperimento del tentativo di conciliazione, accertasse la responsabilità del medico, ovvero del nesso di causalità tra la sua condotta omissiva ed i danni derivanti dalla mancata comunicazione delle malformazioni, nonché determinasse l'ammontare dei danni (documento 6);

— fallito il tentativo di conciliazione il CTU depositava la consulenza medico legale che si produce (documento 7);

— alla luce di tutto quanto sopra esposto appare in modo del tutto manifesto il diritto degli odierni attori ad ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali conseguenti alla grave omissione del medico-ginecologo, che non ha avvertito in tempo utile la coppia delle gravi ed evidenti malformazioni del nascituro, in tal modo precludendo agli stessi anche la possibilità di esercitare i diritti derivanti dalla l. n. 194/1978.

A tal proposito, in via preliminare vale la pena ricordare che, ai sensi dell'art. 7, comma 3 legge n. 24/2017, l'esercente la professione sanitaria risponde del proprio operato ai sensi dell'art. 2043 c.c., salvo che abbia agito nell'adempimento di obbligazione contrattuale assunta con il paziente. Il giudice, nella determinazione del risarcimento del danno, tiene conto della condotta dell'esercente la professione sanitaria ai sensi dell'articolo 5 della presente legge e dell'art. 590-sexies c.p., come introdotto dall'articolo 6 della presente legge.

Orbene relazione al caso di specie è ravvisabile la sussistenza di una condotta dolosa del medico specialista, riconducibile nell'alveo della colpa civilmente rilevante, che si sostanzia nella coscienza e volontà di determinare la nascita di un bimbo con gravi handicap condannato ad una sopravvivenza incerta connotata da gravi problemi di salute lesiva in misura gravissima della salute e della stessa dignità della persona e con conseguenze patrimoniali disastrose per sé e per gli sventurati genitori.

Ai fini della responsabilità dolosa del convenuto è irrilevante la giustificazione della riserva mentale dell'obiezione di coscienza, tra l'altro esternata solo nel corso della causa e non rivelata ai genitori del piccolo.

In tal modo è stato leso il diritto del nascituro alla salute ex art. 32 Cost., nonché quello dei genitori di autodeterminarsi liberamente in ordine al ricorso alla pratica dell'aborto terapeutico.

Ne consegue non solo il diritto degli istanti ad ottenere il risarcimento dei danni per la lesione al diritto alla salute, da quantificarsi secondo quanto stabilito nel corso del procedimento di cui all'art. 696-bis c.p.c., ma anche quello ad ottenere il danno patrimoniale futuro, quale voce autonoma e diversa, conseguente alla grave invalidità subìta dal minore dal momento della nascita.

Tale voce di danno patrimoniale si sostanzia nel rilevante impegno economico addossato ai genitori, considerando e la gravità della invalidità e l'impegno continuo di assistenza ed i sacrifici e le perdite economiche, secondo ragionevoli presunzioni, che proseguirà sino a quando gli istanti sopravvivranno. La prova del danno economico si desume in via presuntiva e secondo un criterio di equità solidale e sociale e non può ridursi ad un modesto obolo temporaneo. Tale danno può essere determinato in via equitativa [7].

Per i motivi sovraesposti, gli istanti come sopra rappresentati, difesi e domiciliati,

CHIEDONO [8]

che codesto Ill.mo Tribunale voglia fissare, ai sensi dell'art. 702 bis, comma 3 c.p.c., con decreto l'udienza di comparizione delle parti, assegnando il termine per la costituzione dei convenuti che deve avvenire non oltre 10 giorni prima dell'udienza, con l'avvertimento che la costituzione oltre il suddetto termine implica le decadenze di cui agli artt. 38 e 167 c.p.c. e che, in difetto di costituzione, si procederà in loro contumacia, per sentir accogliere le seguenti

CONCLUSIONI

Voglia l'Ill.mo Tribunale adito, disattesa ogni contraria istanza, eccezione e deduzione, provvedere come appresso:

— accertare e dichiarare la esclusiva responsabilità ex artt. 1218, 1228 e 2043 c.c. delle convenute per il grave comportamento omissivo tenuto dal dott. Tizio e per l'effetto:

— voglia condannarli in via solidale al risarcimento del danno alla salute quantificato in Euro ...., oltre interessi e rivalutazione come per legge, e dei danni patrimoniali futuri, da determinarsi in via equitativa, con interessi e rivalutazione, come per legge.

Con vittoria di spese, diritti ed onorari ed attribuzione.

IN VIA ISTRUTTORIA

Si allegano i documenti 1), 2), 3), 4) e 5) indicati nella narrativa del presente atto, riservandosi di produrne altri con le memorie di cui all'art. 183, comma 6, c.p.c., la concessione dei cui termini sin da ora viene richiesta.

Ai sensi dell'art. 14 del d.P.R. n. 115/2002 si dichiara che il valore del presente procedimento, secondo le norme del codice di procedura civile, è pari ad Euro ....ed è assoggettato a contributo unificato pari ad Euro ....

Luogo e data ....

Firma ....

PROCURA

[1] In tema di competenza per territorio, ai fini della determinazione dei fori facoltativi alternativamente previsti dall'art. 20 c.p.c. (forum contractus e forum destinatae solutionis), va intesa come 'obbligazione dedotta in giudizio' l'obbligazione nascente dal controverso contratto, sia che di essa si chieda l'adempimento o l'accertamento, quale petitum della domanda giudiziale, sia che di essa venga prospettato l'inadempimento come causa petendi della domanda, mirante a conseguire, per effetto dell'inadempimento stesso, la risoluzione contrattuale ed il risarcimento dei danni. Parimenti, nell'ipotesi di sola richiesta di risarcimento del danno da inadempimento contrattuale, per la determinazione del foro competente deve farsi riferimento non già al luogo ove si è verificato l'inadempimento, ma a quello in cui si sarebbe dovuta eseguire la prestazione rimasta inadempiuta o non esattamente adempiuta, della quale il risarcimento è sostitutivo (vale a dire, quella originaria e primaria rimasta inadempiuta, non quella derivata e sostitutiva), e ciò anche quando il convenuto contesti in radice l'esistenza della obbligazione stessa. Pertanto, per giudice del luogo dove è sorta l'obbligazione non deve intendersi quello del luogo in cui, verificandosi il danno, è sorto il relativo diritto al risarcimento. Il foro stabilito dall'art. 20 c.p.c., per le cause relative a diritti di obbligazione concorre con i fori generali di cui agli art. 18 e 19 c.p.c. e l'attore può liberamente scegliere di adire uno dei due fori generali, oppure il foro facoltativo dell'art. 20 c.p.c. La norma - infatti - stabilisce che per le cause relative a diritti di obbligazione (tra le quali rientrano anche le obbligazioni scaturenti da responsabilità extracontrattuale) è anche competente il giudice del luogo in cui è sorta o deve eseguirsi la obbligazione. In particolare, in tema di obbligazioni nascenti da fatto illecito, l'azione di risarcimento sorge nel luogo in cui l'agente ha posto in essere l'azione produttiva del danno (forum commissi delicti) e in relazione a tale luogo deve essere determinata la competenza territoriale ex art. 20 c.p.c. (Cass. II, n. 13223/2014).

[2] Premesso che la nuova disciplina normativa sulla responsabilità sanitaria ha previsto che dopo l'espletamento dell'ATP le cause di merito debbano essere introdotte con il rito sommario di cognizione, si potrebbe sensatamente ritenere che, instaurando ai fini della procedibilità della domanda il procedimento di mediazione, allora non vi sia più l'obbligo di introduzione della lite ai sensi dell'art. 702-bis c.p.c. (ben potendo optare l'attore per il rito ordinario di cognizione). Ed effettivamente, il legislatore ha previsto il ricorso al rito sommario di cognizione dopo l'ATP in quanto l'atto istruttorio fondamentale è stato già effettuato. E che il necessario impiego della procedura di cui agli artt. 702 bis ss. c.p.c. sia da limitare al solo caso dell'ATP (e non della mediazione), lo si ricava pure dal fatto che l'art. 8, comma 3, del nuovo testo normativo prevede che il ricorso ex art. 702-bis c.p.c. debba essere depositato entro il termine di 90 giorni dal deposito della relazione medica o dalla scadenza del termine perentorio di 6 mesi per l'ultimazione dell'ATP (e ciò a pena di perdita di efficacia della domanda). Tra le materie per le quali è prevista la mediazione obbligatoria vi è, infatti, anche il risarcimento del danno derivante da responsabilità medica. È stata inserita, con la legge n. 98/2013, accanto alla “responsabilità medica” (ossia, tecnicamente, quella afferente il rapporto medico-paziente) anche la “responsabilità sanitaria” (vale a dire, quella della struttura sanitaria indipendente dalle responsabilità del personale medico, come nel caso di insufficienza delle apparecchiature). Il previo accertamento tecnico preventivo a fini conciliativi costituisce condizione di procedibilità della domanda giudiziaria, in alternativa al procedimento di mediazione di cui al d.lgs. n. 28/2010. Per munire di procedibilità la sua domanda l'attore potrà, quindi, scegliere tra ATP e mediazione.

[3] In tutti gli atti introduttivi di un giudizio e in tutti gli atti di prima difesa devono essere indicati le generalità complete della parte, la residenza o sede, il domicilio eletto presso il difensore ed il codice fiscale, oltre che della parte, anche dei rappresentanti in giudizio (art. 23, comma 50, d.l. n. 98/2011, conv., con modif., dalla l. n. 111/2011).

[4] L'indicazione del codice fiscale dell'avvocato è prevista, oltre che dall'art. 23, comma 50, d.l. n. 98/2011, conv. con modif. dalla l. n. 111/2011, dall'art. 125, comma 1, c.p.c., come modificato dall'art. 4, comma 8, d.l. n. 193/2009 conv. con modif. dalla l. n. 24/2010. A partire dal 18 agosto 2014, gli atti di parte, redatti dagli avvocati, che introducono il giudizio o una fase giudiziale, non devono più contenere l'indicazione dell'indirizzo di PEC del difensore: v. art. 125 c.p.c. e art. 13, comma 3-bis, d.P.R. n. 115/2002, modificati dall'art. 45-bis d.l. n. 90/2014 conv., con modif., dalla l. n. 114/2014.

[5] L'indicazione del numero di fax dell'avvocato è prevista dall'art. 125 c.p.c. e dall'art. 13, comma 3-bis, d.P.R. n. 115/2002, modificati dall'art. 45-bis d.l. n. 90/2014, conv. con modif., dalla l. n. 114/2014. Ai sensi dell'art. 13, comma 3-bis, d.P.R. cit., «Ove il difensore non indichi il proprio numero di fax ...ovvero qualora la parte ometta di indicare il codice fiscale .... il contributo unificato è aumentato della metà».

[6] Art. 8, comma 1 l. n. 24/2017.

[7] Cass. III, n. 11364/2014.

[8] Art. 8, comma 3 l. n. 24/2017.

Commento

Premessa

La responsabilità del ginecologo si configura, prevalentemente, in relazione a fattispecie di colpa per omissione, ovverosia incentrate sulla violazione degli obblighi informativi che gravano sullo stesso in ragione delle peculiarità della relativa specializzazione: sussiste, in particolare, a carico del medico - ginecologo l'obbligo di seguire con diligenza la gravidanza delle pazienti che a lui si affidano, avendo egli il dovere di assicurare, attraverso i concordati controlli periodici, nonché interpretando e valorizzando le sintomatologie riferite, o comunque apprese, che la gravidanza possa giungere a compimento senza danni per la madre e per il nascituro. In particolare, nel corso della gravidanza, il ginecologo ha l'obbligo di informare la gestante delle eventuali anomalie del feto, in modo tale da consentire alla gestante di assumere una decisione consapevole in ordine alla possibilità di portare a compimento la gravidanza ovvero di interromperla. Si afferma, in particolare, che l'obbligo del sanitario di informare la gestante degli esami diagnostici che possono essere effettuati in via preventiva al fine di conoscere patologie fetali, idonee ad orientare la scelta tra l'interruzione o la prosecuzione della gravidanza, assume nel rapporto contrattuale un autonomo rilievo rispetto a quello relativo alla verifica degli esiti di esami già effettuati ed alla valutazione della necessità di approfondimenti (rileva, in tal senso, Cass. III, n. 29497/2019, intervenuta nella vicenda originata dalla domanda risarcitoria avanzata da una coppia per i danni occorsi alla loro figlia, nata con malformazioni da infezione da cytoalomegavirus, non diagnosticata, contro il medico ginecologo che aveva assistito la donna durante la gestazione, sul presupposto per cui  questi avrebbe omesso di adeguatamente informare la donna circa la possibilità di effettuare ulteriori accertamenti diagnostici idonei a verificare la presenza del virus. In tale vicenda, la Corte di Cassazione accoglie lo spiegato ricorso, ritenendo accertata una carenza informativa nella condotta del medico che ha pregiudicato incontrovertibilmente la donna nell’esercizio del suo diritto all’autodeterminazione, privandola, di fatto, della possibilità di affrontare in modo consapevole la gravidanza e decidere se sottoporsi o meno ai, seppur invasivi, accertamenti diagnostici, quali amniocentesi, funicolocentesi, villocentesi). Esso, pertanto, se è violato determina in capo al professionista una responsabilità contrattuale che si fonda sulla lesione del diritto all'autodeterminazione a scelte non solo terapeutiche ma anche procreative; dinanzi alla semplice allegazione dell'inadempimento, grava sul sanitario l'onere di aver, invece, provveduto alla dovuta informazione (in tal senso v. Cass. III, n. 24220/2015).

Nondimeno, nella casistica giurisprudenziale (soprattutto penalistica), si rinvengono anche diverse fattispecie di condotte commissive del ginecologo dalle quali sono destinate a derivare conseguenze risarcitorie, specie di natura non patrimoniale: si pensi al caso della erronea esecuzione di una manovra di estrazione del feto che, pur delicata, non implichi la soluzione di problemi di particolare difficoltà e rientri nelle sue normali competenze (cfr. Cass. pen. IV, n. 40703/2016; Cass. pen. IV, n. 30350/2015), ovvero agli atti sessuali compiuti dal ginecologo approfittando della propria posizione.

Sul nesso causale. Cenni e rinvio

La giurisprudenza nega rilevanza (ai fini dell'interruzione del nesso di causalità ai sensi dell'art. 41 c.p.) alla circostanza che la gestante si sia rifiutata di sottoporsi all'amniocentesi - consigliata dai medici dell'ospedale - allorché il medico di fiducia l'avesse rassicurata sulle condizioni normali del feto. In particolare, l'operato del sanitario di fiducia e l'affidamento riposto dalla gestante nella sua diagnosi vengono considerati come fattori condizionanti della scelta della donna, venendo pertanto in rilievo l'inadempimento del ginecologo di fiducia quale antecedente causale dell'evento dannoso (il pregiudizio alla salute psichica della donna). La scelta compiuta dalla donna nel senso di non sottoporsi all'amniocentesi non può avere efficacia esclusiva sopravvenuta in quanto la perdita di chance di conoscere lo stato di salute del nascituro si era già verificata allorché ebbe luogo il rifiuto (Cass. III, n. 243/2017). Per l'accertamento del nesso causale nelle condotte omissive v. formula sul nesso causale in ambito sanitario.

Fattispecie di responsabilità

1. Taglio cesareo ritardato: rinvio a formula su il danno da taglio cesareo ritardato.

2. Reati sessuali. L'attenuante relativa ai casi di minore gravità prevista per i reati sessuali non può essere applicata alla condotta dell'imputato, medico ginecologo, che abbia approfittato, per consumare il reato, del proprio ruolo e delle circostanze di tempo e di luogo favorevoli (rappresentate dall'assenza di altre persone nello studio medico, dalle condizioni di necessaria nudità delle pazienti, dalle modalità di espletamento della visita, nonché dall'affidamento riposto dalle pazienti nei confronti del loro medico): così si è espressa Cass. pen. III, n. 46184/2013, ove si afferma, peraltro, la natura eminentemente sessuale degli atti compiuti dal medico ai danni delle sue pazienti, in ragione della loro obiettiva finalità libidinosa e della loro idoneità a porre in pericolo la libertà delle stesse di autodeterminarsi in relazione alla sfera sessuale. Nel caso di specie, la Corte ha senza dubbio ritenuto che gli atti posti in essere dal ginecologo fossero qualificabili quali autentici «atti sessuali» rilevanti ai sensi dell'art. 609 bis c.p.: in particolare, viene evidenziato come, laddove la condotta illecita del medico si palesi nel corso della visita, la vittima non è nemmeno in grado di acconsentire invalidamente o esprimere un dissenso, in quanto non ha il tempo di rendersi conto dell'altrui sopraffazione (la dottrina li definisce «atti insidiosi» proprio riportando l'esempio di toccamenti o palpeggiamenti abusivi effettuati dal medico durante la visita; Cass. pen. III, n. 43295/2010 per cui sussiste il delitto di violenza sessuale, non solo quando la persona offesa sia messa nell'impossibilità di resistere mediante il ricorso a condotte violente o espressamente minacciose, ma anche quando la volontà contraria della persona sia superata mediante condotte “subdole”, “repentine” o “improvvise”; analogamente, Cass. pen. III, n. 42781/2013, Cass. pen. III, n. 40143/2012). Le medesime ragioni che hanno indotto la Corte a ritenere integrati, nel caso di specie, gli estremi di un atto sessuale penalmente rilevante ai sensi dell'art. 609 bis c.p., hanno motivato altresì la mancata applicazione della circostanza attenuante dei «casi di minore gravità», prevista dal terzo comma della norma in esame: invero, la detta attenuante può essere applicata quando, a partire da una valutazione globale del fatto che comprenda il grado di coartazione esercitato sulla persona offesa, le condizioni fisiche-psichiche della stessa e le caratteristiche psicologiche apprezzate in relazione all'età, la compressione della libertà sessuale della vittima risulti minima, come il danno patito, anche sotto il profilo psichico. Va, pertanto, negata l'attenuante in questione al medico ginecologo che abbia approfittato dell'affidamento riposto dalle pazienti nei suoi confronti, oltre che di circostanze di tempo - e di luogo - particolarmente favorevoli (assenza di altre persone nello studio; necessaria esposizione dei genitali ai fini dell'espletamento della visita). La strumentalizzazione da parte del medico di tale situazione, e delle condizioni di vulnerabilità delle vittime, è invece un elemento su cui porre l'accento per evidenziare una particolare pregnanza del dolo (destinato a spiegare rilievo in campo civilistico ai fini della personalizzazione del risarcimento).

3. Responsabilità per omessa informazione da parte del ginecologo circa le cure prescritte alla paziente prima che la stessa fosse sottoposta ad intervento chirurgico. Il riferimento è a Cass. III, n. 4029/2013: nella specie, era accaduto che una cura contro l'infertilità somministrata dal medico di fiducia aveva provocato un ingrossamento delle ovaie della paziente, ed aveva indotto altri sanitari (operanti presso un nosocomio presso la quale la stessa era stata ricoverata) a rimuoverle chirurgicamente, con un intervento reputato dal giudice di merito non necessario; tuttavia, mentre il giudice di merito ha ritenuto il ginecologo non responsabile dell'errore commesso dai chirurghi, la S.C. ha cassato tale decisione, ritenendo al contrario sussistere un nesso di causa tra la condotta del ginecologo ed il danno finale, in virtù dei principi di cui alla massima). In particolare, si ravvisava una condotta gravemente omissiva e contraria a diligenza del medico di fiducia, poiché questi, oltre ad aver prescritto cure senza dar conto della loro pericolosità, nel consigliare alla paziente il ricovero, non era intervenuto per avvisare i chirurghi delle precauzioni da osservare, né aveva consigliato il trasferimento in una struttura più attrezzata non distante dai luoghi della clinica (nel medesimo senso cfr. Cass. III, n. 2334/2011 ove il ginecologo aveva indirizzato la gestante presso una struttura carente di un centro di rianimazione neonatale). La pronuncia in commento è di particolare rilievo in quanto nella fattispecie la responsabilità del medico di fiducia esula da un suo coinvolgimento nell'ambito del rapporto (contrattuale o da contatto sociale) tra la paziente, da un lato, e la struttura e i medici chirurghi, dall'altro, ed è ricondotta alla violazione di un dovere di garanzia, consistente nell'omessa informazione nei confronti dell'équipe medica incompetente, riguardo alle condizioni della paziente, alle precauzioni da utilizzare, e all'opportunità di un ricovero presso una clinica universitaria dotata di divisione ostetrica ospedaliera. La decisione ravvisa una gravissima condotta negligente del medico (oltre che per aver prescritto cure a rischio di complicanze, senza mai aver dato conto della pericolosità delle stesse, anche) per non essere intervenuto per dare ai medici, che si apprestavano ad operare la sua paziente in una situazione di urgenza, le necessarie informazioni sulle cure, sui farmaci assunti, sulla necessità di evitare interventi ablatori, affidandola alla inesperienza della casa di cura: un'omissione pertanto sia nei confronti dei medici operanti, in merito alla possibilità di operare la paziente senza ricorrere a interventi ablatori, sia nei confronti della paziente, in merito alle carenze organizzative della struttura sanitaria, e all'opportunità di avvalersi di una struttura più attrezzata. In particolare, l'obbligo di informazione viene incanalato nell'ambito della prestazione principale incombente in capo al medico, oggetto di un'obbligazione, anche deontologica (Cass. S.U., n. 8225/2002), di garanzia e di compartecipazione alle scelte del ricovero urgente, escludendosi, implicitamente, che la condotta censurata consista nella violazione di un dovere accessorio di informazione; non si richiamano, quindi, né i c.d. doveri di protezione, né i c.d. effetti protettivi nei confronti dei terzi (Cass., n. 10741/2009). Si conferma, in tal modo, l'orientamento espansivo della colpa medica portato avanti dalla S.C. negli ultimi anni, per mezzo del quale nella prestazione (e con essa nella diligenza) richiesta ex artt. 1174 e 1176, comma 2, c.c. (Cass., n. 9471/2004), è ricompreso, ai fini dell'esatto adempimento, uno sforzo di «garanzia» che l'intervento operato da altri e in struttura apparentemente non collegata al (né consigliata dal) medico di fiducia, sia svolto secondo le leggi dell'arte, e, in caso, mediante un trasferimento ad altra struttura. Su quest'ultimo aspetto, infine, appare incerta la configurazione della responsabilità del medico di fiducia valutata dalla Corte alla stregua di una responsabilità da illecito e da contatto sociale, mentre nella stessa sentenza non pare dubitarsi che la responsabilità del professionista che abbia in cura (tanto più se da lungo tempo) una paziente, sia configurabile come responsabilità contrattuale tout court.

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