Atto di citazione per risarcimento del danno per fatto del dipendente

Giovanna Nozzetti
aggiornata da Francesco Agnino

Inquadramento

Con l'atto di citazione, il danneggiato dal fatto illecito (sottrazione del danaro destinato all'acquisto di una polizza) posto in essere da un subagente assicurativo, in occasione delle sue ordinarie incombenze, chiede il risarcimento del danno subito rivolgendosi all'autore della condotta illecita, al sub preponente e all'impresa di assicurazioni.

Formula

TRIBUNALE DI .... 1

ATTO DI CITAZIONE

PER

Il Sig. ...., nato a .... il .... (C.F. ....) 2, e la Sig.ra .... nata a .... il .... (C.F. .... ) elettivamente domiciliati in ...., via ...., n. ...., presso lo studio dell'Avv. 3...., C.F. .... 4, fax .... 5, PEC (presso cui dichiara di voler ricevere tutte le comunicazioni e gli avvisi di cui agli artt. 133,134,170 comma 3 e 176 comma 2 c.p.c.) che li rappresenta e difende in forza di procura alle liti .... 6, espone quanto segue:

FATTO:

I Sig.ri .... decidevano di stipulare una polizza vita e, a tal fine, contattavano il Sig. ...., in qualità di subagente della ...., a sua volta società agente dell'impresa assicuratrice ....Spa Ass.ni.

In data ..../..../.... gli istanti sottoscrivevano in presenza del Sig. .... la polizza e versavano, tramite assegni intestati allo stesso, l'ingente importo di € ...., .... a titolo di premio assicurativo.

Dopo svariati solleciti volti a ottenere la consegna della polizza stipulata, In data ..../..../.... gli istanti, recatisi presso la .... si avvedevano del fatto che nessuna polizza era stata stipulata e l'importo da loro versato non era mai giunto all'agente assicurativo, ma erano transitati sul conto privato del Sig. ....

Solo in quella occasione, l'agenzia .... srl si avvedeva della condotta truffaldina di ...., il quale aveva sempre goduto di massima fiducia e rispetto al quale, pertanto, veniva omesso ogni controllo;

In data ..../..../.... gli istanti, a mezzo del procuratore costituito, depositavano presso l'organismo di mediazione territorialmente competente istanza di mediazione, ma il tentativo di conciliazione non andava a buon fine (doc. 1) 7.

DIRITTO 8

Nella fattispecie in esame il danno patito dagli istanti veniva realizzato dalla infedele condotta di ...., in qualità di subagente della ....srl, a sua volta agente dell'impresa ....Ass.ni.

È ormai pacifico, infatti, che gli agenti, come accaduto nel caso di specie, possano avvalersi dell'operato di subagenti nello svolgimento del proprio incarico.

Il contratto di subagenzia assicurativa va tenuto distinto da quello di agenzia, in esso consente la conclusione dei contratti di assicurazione solo per conto dell'agente e non anche per conto di un'impresa assicuratrice.

Il subagente, in altre parole, assume lo stabile incarico di promuovere la conclusione di contratti di assicurazione nella zona affidata all'agente o in ambito più ristretto, rispondendo del suo operato solo nei confronti dell'agente medesimo che gli ha affidato l'incarico.

Pertanto, ancorché il contratto di subagenzia abbia un contenuto sostanzialmente identico a quello del contratto di agenzia, esso se ne differenzia nettamente con riguardo alla persona del preponente, che nel caso dell'agenzia è l'impresa assicuratrice, mentre nel caso della subagenzia è l'agente (cfr. Cass. n. 3545/1999).

Avendo il medesimo contenuto, entro certi limiti, il contratto di agenzia e di sub agenzia soggiacciono anche alla stessa disciplina.

Ne deriva, pertanto, che tanto nel caso del contratto di agenzia, quanto nel caso di contratto di sub agenzia, il preponente risponde ai sensi dell'art. 2049 c.c. per il fatto del preposto, essendo la disciplina in questione applicabile anche in materia di assicurazione (infra alios, Cass. n. 23448/2014), essendo irrilevante che sussista o meno un rapporto di lavoro subordinato tra agente e preponente .

Né osta all'applicazione della disciplina la circostanza che, nel caso di specie, il sub agente sia privo di potere di rappresentanza, in quanto è ormai pacifico che «sussiste la responsabilità exarticolo 2049 c.c., dell'assicuratrice per il fatto lesivo causato dall'attività illecita posta in essere dall'agente, ancorché privo del potere di rappresentanza, il quale sia stato determinato, agevolato o reso possibile dalle incombenze demandategli e su cui la medesima aveva la possibilità di esercitare poteri di direttiva e di vigilanza» (Cass. n. 14578/2007).

Ciò che rileva, infatti, non è la circostanza che l'agente o il sub agente che hanno realizzato il fatto illecito in danno di terzi abbiano la capacità di impegnare direttamente il rispettivo preponente, quanto piuttosto che essi abbiano realizzato il fatto illecito nell'ambito del proprio incarico.

È la circostanza che il fatto illecito si sia realizzato nell'ambito del proprio incarico, ancorché non in esecuzione stretta delle mansioni demandate al preposto, che consente di presumere il vincolo di occasionalità necessaria e quindi di imputare la responsabilità per il danno cagionato dall'agente o dal sub agente al rispettivo preponente.

Alla luce delle su esposte coordinate, e attesa l'assenza di qualsivoglia rapporto tra impresa assicuratrice e sub agente che rende impossibile la diretta riferibilità alla prima dell'operato di quest'ultimo, non può che ritenersi sussistente sia la responsabilità ex art. 2049 c.c. della .... srl, quale preponente del subagente, Sig. ...., accanto alla responsabilità di quest'ultimo.

In violazione dei limiti del proprio incarico, limitato alla sola promozione dei contratti assicurativi, il Sig. ...., in data ...., ha stipulato polizza assicurativa e ha riscosso i rispettivi premi, realizzando di fatto un illecito in danno degli istanti.

Tale illecito, ancorché realizzato oltrepassando i limiti delle proprie mansioni, è comunque riconducibile nell'ambito dell'incarico normalmente espletato in ragione del contratto di subagenzia e va, pertanto, imputato ex art. 2049 c.c. alla società ....preponente.

Ed infatti, l'affidamento di un incarico di subagenzia non esime l'agente/preponente dal vigilare e controllare il corretto esercizio delle mansioni demandate al sub agente. La circostanza che il sub agente sia riuscito a realizzare la condotta truffaldina ai danni degli istanti, presuppone lo scorretto esercizio dei poteri di vigilanza sullo stesso da parte dell'agenzia, sua diretta preponente.

Della condotta lesiva del Sig. ...., infine, non può che rispondere ex art. 2043 c.c., anche il suo diretto autore, il quale ha dolosamente indotto i Sigg. .... a sottoscrivere polizza assicurativa e a versare l'importo di ...., tramite assegni a sé intestati, riferendo che tali mansioni rientrassero legittimamente nel suo contratto.

In conclusione, alla responsabilità diretta ex art. 2043 del Sig. ...., si affianca la responsabilità ex art. 2049 c.c. della società agente ...., per i danni causati dalla condotta del sub agente preposto.

A seguito della condotta, gli istanti hanno subito un danno patrimoniale pari alla somma di euro ...., tenendo conto degli importi versati al Sig. .... a titolo di premi assicurativi, nonché delle somme che sarebbero maturate in forza di quelle.

Tutto ciò premesso gli attori, come in epigrafe rappresentati, difesi e domiciliati

CITANO

lla Società ...., C.F. ...., P.I. ...., in persona del suo rappr.te legale p.t., con sede in ...., via .... n. ...., e il Sig. ...., C.F. ...., residente in .... via .... n. ...., a comparire innanzi il Tribunale ordinario di ...., Sezione e Giudice Istruttore a designarsi ai sensi dell'art. 168-bis c.p.c., all'udienza del .... 9, ora di rito, con invito alla parte convenuta a costituirsi nel termine di settanta giorni prima dell'udienza indicata ai sensi e nelle forme stabilite dall'articolo 166 e a comparire, nell'udienza indicata, dinanzi al giudice designato ai sensi dell'articolo 168-bis,

AVVERTE

il convenuto che:

  • la costituzione oltre i suddetti termini implica le decadenze di cui agli articoli 38 e 167 c.p.c.,
  • la difesa tecnica mediante avvocato è obbligatoria in tutti i giudizi davanti al tribunale, fatta eccezione per i casi previsti dall'articolo 86 c.p.c. o da leggi speciali,
  • la parte, sussistendone i presupposti di legge, può presentare istanza per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato;

per ivi sentire accogliere le seguenti conclusioni:10.

CONCLUSIONI

Voglia il Tribunale adito, respinta ogni contraria istanza ed eccezione, accertare la fondatezza della domanda e, per l'effetto, condannare i convenuti, in via solidale o alternativa, al pagamento della somma di .... a titolo di danno patrimoniale, come quantificata tenendo conto degli importi versati al Sig. .... a titolo di premi assicurativi, nonché delle somme che sarebbero maturate in forza di quelle.

In subordine, nella denegata ipotesi di mancato accoglimento della domanda per come proposta, condannare il subagente, Sig. ...., ex art. 2033 c.c., alla restituzione della somma di Euro ...., illegittimamente incassata.

Con vittoria di spese, competenze e onorari del giudizio. Con sentenza provvisoriamente esecutiva ex lege.

IN VIA ISTRUTTORIA 11

Senza che ciò significhi inversione dell'onere della prova, in caso di ammissione della prova richiesta da controparte, chiede ammettersi prova contraria con gli stessi testi.

Chiede, inoltre, ammettersi prova testimoniale sui seguenti capitoli e per i testi di fianco indicati:

1. Vero che in data ...., i Sigg. .... stipulavano polizza sulla vita con il Sig. ...., che riferiva di essere a ciò legittimato in ragione del proprio contratto di sub agenzia; - Sig. ....;

2. Vero che nello stesso momento il Sig. .... faceva rilasciare assegni a suo nome, per il valore di ...., sempre riferendo di essere a ciò legittimato dal proprio contratto; - Sig. ....;

3. Vero che gli istanti, dopo svariati solleciti volti ad ottenere la polizza assicurativa, si recavano presso l'agenzia ...., dove si avvedevano della circostanza che nessuna pratica era mai stata stipulata e che nessun importo veniva versato all'agenzia assicurativa; - Sig. ....;

4. Vero che l'agenzia ...., si avvedeva dell'illecito del sub agente solo in quella circostanza, avendo sempre omesso nei suoi confronti qualunque vigilanza e controllo;

Si offrono in comunicazione, mediante deposito, i seguenti documenti:

1) contratto di agenzia;

2) contratto di subagenzia;

3) polizza stipulata in data ....

4) assegni intestati al sig. ....;

5) verbale negativo di mediazione;

6) relazione perito assicurativo sugli importi spettanti in caso di polizza valida

Ai sensi dell'art. 14, comma 2, d.P.R. n. 115/2002 si dichiara che il valore del presente procedimento è di Euro .... e che pertanto l'importo del contributo unificato è di Euro .... 12

Luogo e data ....

Firma Avv. ....

PROCURA AD LITEM

(OVE NON CONTENUTA IN ATTO SEPARATO)

[1] [1] La competenza per valore spetta al Giudice di Pace ove la somma richiesta sia inferiore ad euro cinquemila. Competente per territorio è il Tribunale o il Giudice di Pace del luogo in cui il convenuto ha la residenza o il domicilio e, se questi sono sconosciuti, quello del luogo in cui il convenuto ha la dimora ai sensi dell'art. 18 c.p.c. In alternativa è competente, ai sensi dell'art. 20 c.p.c., il giudice del luogo in cui è sorta o deve eseguirsi l'obbligazione. Trattandosi di responsabilità per fatto illecito sarà competente il giudice del luogo in cui il danno si è prodotto (forum commissi delicti).

[2] [2] Ai sensi dell'art. 23, comma 50, d.l. 6 luglio 2011, n. 98, conv., con modif., nella l. 15 luglio 2011, n. 111, in tutti gli atti introduttivi di un giudizio, compresa l'azione civile in sede penale e in tutti gli atti di prima difesa devono essere indicati le generalità complete della parte, la residenza o sede, il domicilio eletto presso il difensore ed il codice fiscale, oltre che della parte, anche dei rappresentanti in giudizio.

[3] [3] A partire dal 18 agosto 2014, gli atti di parte, redatti dagli avvocati, che introducono il giudizio o una fase giudiziale, non devono più contenere l'indicazione dell'indirizzo di PEC del difensore: v. art. 125 c.p.c. e art. 13, comma 3-bis, d.P.R. n. 115/2002 modificati dall'art. 45-bis d.l. n. 90/2014 conv., con modif., nella legge 114/2014.

[4] [4] L'indicazione del codice fiscale dell'avvocato è prevista dall'art. 125 c.p.c.

[5] [5] L'indicazione del numero di fax dell'avvocato è prevista dall'art. 125 c.p.c.. Ai sensi dell'art. 13, comma 3-bis, d.P.R. n. 115/2002, come modificato dalla disposizione testè ricordata, «Ove il difensore non indichi il proprio numero di fax. ..ovvero qualora la parte ometta di indicare il codice fiscale .... il contributo unificato è aumentato della metà».

[6] [6] La procura può essere apposta in calce o a margine della citazione (art. 83 c.p.c.). Può anche trattarsi di una procura generale alle liti, i cui estremi vanno in tal caso menzionati. In questo caso è preferibile produrre copia della procura. La procura speciale, invece, può essere apposta in calce o a margine della citazione. Nell'ipotesi di scelta di deposito telematico della citazione (art. 16-bis comma 1-bis d.l. n. 179/2012) occorrerà indicare la seguente dicitura: “giusta procura allegata mediante strumenti informatici e apposta in calce al presente atto di citazione ai sensi dell'art. 83 comma 3 c.p.c.”.

[7] [7] L'art. 5 comma 1-bis d.lgs. n. 28/2010, come modificato dal d.l. n. 69/2013 conv. con modif. nella legge n. 98/2013, include tra le controversie soggette alla condizione di procedibilità della mediazione obbligatoria, tra le altre, quelle in materia di contratti assicurativi, bancari e finanziari.

[8] [8] Il corpo dell'atto di citazione, normalmente introdotto dalla locuzione “diritto”, contiene l'esposizione della causa petendi, cioè dei fatti costitutivi e delle ragioni di diritto poste alla base della domanda. L'art. 164 c.p.c. prevede tale contenuto a pena di nullità dell'atto.

[9] [9] Secondo il previgente testo dell'art. 163 bis c.p.c., il termine a comparire doveva essere non inferiore a 90 giorni se il convenuto è residente in Italia e non inferiore a 120 giorni se è residente all'estero.

[10]  Per i procedimenti di cognizione ordinaria introdotti dopo il 28.2.2023, stante la modifica dell'art. 163 bis c.p.c. ad opera del D. Lgs. 149/2022, tra il giorno della notificazione al convenuto e quello dell'udienza di comparizione debbono intercorrere termini liberi non minori di gg. centoventi se il convenuto si trova in Italia e di gg. centocinquanta se si trova all'estero.

[11] [10] L'art. 164 c.p.c. non prevede che la mancata indicazione dei mezzi di prova costituisca ipotesi di nullità dell'atto di citazione. Le richieste istruttorie, infatti, possono essere formulate anche in sede di memorie ex art. 183, comma 2, c.p.c.secondo il previgente testo dell'art. 163 bis c.p.c.,  che, nel rito anteriore al D. Lgs. 149/2022, costituiscono la barriera preclusiva finale. Per i procedimenti iniziati in data successiva al 28.2.2023, richieste istruttorie e produzioni documentali vanno effettuate, a pena di decadenza, nelle memorie ex art. 171 ter nn. 2 e 3 c.p.c.

[12] [11] La dichiarazione di valore è prevista dall'art. 14, comma 2, d.P.R. n. 115/2002 secondo cui “Il valore dei processi, determinato ai sensi del codice di procedura civile, senza tener conto degli interessi, deve risultare da apposita dichiarazione resa dalla parte nelle conclusioni dell'atto introduttivo, anche nell'ipotesi di prenotazione a debito”. L'art. 13, comma 6 del medesimo decreto stabilisce che “Se manca la dichiarazione di cui all'articolo 14, il processo si presume del valore indicato al comma 1, lettera g)...”; pertanto, si presume che il valore del procedimento sia quello dello scaglione più elevato (i.e. superiore a 520.000,00 Euro) con obbligo di versamento di un contributo unificato più elevato.

Commento

La responsabilità dei padroni e committenti (art. 2049 c.c.)

Nel sistema della responsabilità civile da fatto illecito, la norma dell'art. 2049 c.c. pone a carico dei padroni e committenti la responsabilità per i danni arrecati dal fatto illecito dei loro domestici e commessi, nell'esercizio delle incombenze cui sono adibiti.

La giurisprudenza, per lungo tempo, ha individuato il fondamento della responsabilità in esame nella culpa in eligendo o in vigilando, assistita da una presunzione assoluta posta a carico del committente.

Tale orientamento è ormai recessivo, ritenendosi, più di recente, che per la responsabilità ex art. 2049 c.c. si debba prescindere del tutto dall'accertamento di profili di culpa in eligendo o in vigilando del committente (cfr. Cass. n. 9100/1995).

La ratio della previsione viene enucleata, sempre più frequentemente, con riferimento al concetto di rischio di impresa. Il datore di lavoro (attualizzando il concetto vetusto di “padroni e committenti” di cui alla norma in esame) risponderebbe dei danni arrecati dai suoi dipendenti (”domestici e commessi”), a titolo di responsabilità per fatto altrui, connessa al rischio oggettivamente assunto con l'inserimento dei lavoratori nell'organizzazione, più o meno complessa, creata per lo svolgimento dell'attività imprenditoriale.

La norma postulerebbe, quindi, un'ipotesi di responsabilità oggettiva, che prescinde dal fatto proprio, imputabile al datore, di non aver adeguatamente selezionato o sorvegliato con la dovuta diligenza il danneggiante (cfr. Cass. n. 9100/1995 secondo cui «La responsabilità extracontrattuale di cui all'art. 2049 c.c., essendo fondata sul presupposto della sussistenza di un rapporto di subordinazione tra l'autore dell'illecito e il proprio datore di lavoro e sul collegamento dell'illecito stesso con le mansioni svolte dal dipendente, prescinde del tutto da una culpa in eligendo o in vigilando del datore di lavoro ed è quindi insensibile all'eventuale dimostrazione dell'assenza di colpa, con la conseguenza che l'accertamento della non colpevolezza del datore di lavoro compiuto dal giudice penale non vale ad escluderla»).

La norma è dunque espressione del principio cuius commoda et eius incommoda per cui chi ha il beneficio dell'opera dei sottoposti ne sopporta anche i rischi.

L'inquadramento della responsabilità ex art. 2049 c.c. come corollario del rischio di impresa implica l'irrilevanza della qualificazione del rapporto che lega il preponente al preposto: la giurisprudenza è ferma nel ritenere che «Per la sussistenza della responsabilità dell'imprenditore ai sensi dell'art. 2049 c.c. non è necessario che le persone che si sono rese responsabili dell'illecito siano legate all'imprenditore da uno stabile rapporto di lavoro subordinato, ma è sufficiente che le stesse siano inserite, anche se temporaneamente od occasionalmente, nell'organizzazione aziendale, ed abbiano agito, in questo contesto, per conto e sotto la vigilanza dell'imprenditore» (si veda Cass. n. 21685/2005).

La responsabilità del preponente ex art. 2049 c.c. si fonda sulla mera circostanza dell'inserimento del preposto nell'impresa, senza che assuma rilievo il carattere della continuità, o meno, dell'incarico affidatogli - essendo sufficiente, invece, che il comportamento illecito del preposto sia stato agevolato o reso possibile dalle incombenze a lui demandate dall'imprenditore - e senza che, ancora, risulti necessaria la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra l'agente ed il preponente (Cass. III, n. 25373/2018 ; Cass. III, n. 4298/2019).

L'irrilevanza del rapporto che lega il preposto al committente, implica ad esempio che la disposizione di cui all'art. 2049 c.c. possa trovare applicazione anche nel caso in cui vengano utilizzati schemi propri del diritto del lavoro come il distacco del lavoratore subordinato presso diversa impresa. Il fatto che il lavoratore venga adibito dal datore all'esercizio delle proprie mansioni presso altra organizzazione aziendale non esime il committente da responsabilità per illecito del dipendente distaccato. La giurisprudenza, sul punto, ha affermato che «In caso di distacco del dipendente presso altra organizzazione aziendale, il datore di lavoro distaccante, in capo al quale permane la titolarità del rapporto di lavoro, è responsabile, ai sensi dell'art. 2049 c.c., dei fatti illeciti commessi dal dipendente distaccato, atteso che il distacco presuppone uno specifico interesse del datore di lavoro all'esecuzione della prestazione presso il terzo, con conseguente permanenza della responsabilità, secondo il principio del rischio di impresa, per i fatti illeciti derivati dallo svolgimento della prestazione stessa» (Cass. n. 215/2010).

Ad analoga conclusione la Suprema Corte è recentemente pervenuta rispetto alla somministrazione di lavoro temporaneo (artt. 1-11 L. 24 giugno 1997 n. 196, artt. 20-28 D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla L. 14 febbraio 2003, n. 30), avendo affermato che nell'ipotesi in cui il lavoratore cagioni danni a terzi, la concreta gestione direzionale dell'utilizzatore, espressa dai testi normativi in modo continuo - e dunque caratterizzante - comporta la responsabilità extracontrattuale dell'utilizzatore stesso; mentre se il fatto illecito danneggia l'utilizzatore, la responsabilità ex art. 2049 c.c. non può gravare nè sul danneggiato utilizzatore, nè sul somministratore anche se è il datore di lavoro, in quanto la "missione" trasferisce l'attività lavorativa, come oggetto di predisposizione prima ancora che di materiale fruizione, all'utilizzatore; e l'istruzione preventiva che il somministratore deve irrogare al suo dipendente non può far venir meno gli effetti della conformazione concreta del lavoro che viene effettuata dall'utilizzatore, che è colui che adibisce il lavoratore all'esercizio delle concrete incombenze.

Per premunirsi dagli effetti pregiudizievoli della condotta dell'adibito, l'utilizzatore gode dello strumento sinallagmatico, ben potendo concordare con la controparte clausole di responsabilità contrattuale del somministratore nei confronti dell'utilizzatore per tale condotta, sia nel caso in cui questa cagioni danni all'utilizzatore, sia in termini di ricaduta/rivalsa di quanto l'utilizzatore si trovi a dover versare a terzi a titolo risarcitorio (Cass. III, n.  31889/2019).

Il riferimento alla necessità, al fine del sorgere di una responsabilità del preponente, che l'illecito sia posto in essere dal dipendente in occasione dell'attività cui sia stato adibito impone di soffermarsi sulla questione della verifica del nesso causale.

Secondo la giurisprudenza prevalente «La responsabilità indiretta ex art. 2049 c.c. del datore di lavoro per il fatto dannoso commesso dal dipendente non richiede che tra le mansioni affidate all'autore dell'illecito e l'evento sussista un nesso di causalità, essendo sufficiente che ricorra un rapporto di occasionalità necessaria tale per cui le funzioni esercitate abbiano determinato o anche soltanto agevolato la realizzazione del fatto lesivo. E irrilevante, pertanto, che il dipendente abbia superato i limiti delle mansioni affidategli, od abbia agito con dolo e per finalità strettamente personali. (In applicazione di tale principio la S.C. ha ritenuto la correttezza della sentenza impugnata con cui era stata riconosciuta la responsabilità del Ministero della Difesa per le violenze subite da un militare di leva da parte di soldati e graduati in quanto realizzate proprio in virtù del vincolo di sovrardinazione gerarchica esercitato sul danneggiato)» (cfr. Cass. III, n. 17836/2007).

Va precisato che la norma in esame trova applicazione limitatamente al danno cagionato ad un terzo dal fatto illecito del domestico o commesso, ma non è invocabile al fine di ottenere il risarcimento del danno che quest'ultimo abbia procurato al committente oppure a se stesso.

La responsabilità della Pubblica Amministrazione per il fatto del dipendente

La prevalente giurisprudenza civile di legittimità ha ravvisato il fondamento della responsabilità di Stato ed enti pubblici per fatto del proprio dipendente non già nella disciplina contenuta nell'art. 2049 c.c., bensì nell'art. 28 Cost. – la cui ratio è quella di un più agevole od ampio conseguimento del risarcimento da parte del danneggiato e, basandosi tale norma sul rapporto di immedesimazione organica, solo in virtù del quale l'attività posta in essere dal funzionario (o dipendente) è sempre imputabile all'ente di appartenenza, ne ha desunto la configurazione di una responsabilità diretta o per fatto proprio, ma soltanto se l'attività dannosa si atteggi come esplicazione dell'attività dello Stato o dell'ente pubblico e cioè tenda, sia pur con abuso di potere, al conseguimento dei suoi fini istituzionali, nell'ambito delle attribuzioni dell'ufficio o del servizio cui il dipendente è addetto (richiamando: Cass. n. 10803/2000Cass. n. 2089/2008Cass. n. 9260/1997), escludendo conseguentemente quella responsabilità in tutti i casi in cui la condotta sia sorretta da un fine esclusivamente privato od egoistico, o a maggior ragione se contrario ai fini istituzionali dell'ente (Cass. n. 8306/2011Cass. n. 20986/2007Cass. n. 24744/2006Cass. n. 3980/2003Cass. n. 10803/2000Cass. n. 12786/1995).

Tuttavia, in tempi recenti, la giurisprudenza penale di legittimità ha ritenuto integrata la responsabilità civile della pubblica amministrazione pure per le condotte dei pubblici dipendenti dirette a perseguire finalità esclusivamente personali e mercè la realizzazione di un reato doloso, ove poste in essere sfruttando l'occasione necessaria offerta dall'adempimento delle funzioni pubbliche cui essi sono preposti, nonchè integranti il non imprevedibile od eterogeneo sviluppo di un non corretto esercizio di tali funzioni, in applicazione del criterio previsto dall'art. 2049 c.c. (Cass. pen. n. 13799/2015 – poi richiamata da Cass. pen. n. 35588/2017, ma preceduta da Cass. pen. n. 33562/2003 – in consapevole contrasto con l'orientamento precedente, di cui è stata ulteriore espressione la più recente Cass. pen. n. 44760/2015).

La Corte costituzionale ha, d'altra parte, reiteratamente affermato (tra le altre: Corte cost. n. 64/1992, con richiami a Corte cost. n. 18/1989, Corte cost. n. 26/1987Corte cost. n. 148/1983Corte cost. n. 123/1972) che l'art. 28 Cost., stabilisce la responsabilità diretta per violazione di diritti tanto dei dipendenti pubblici per gli atti da essi compiuti, quanto dello Stato o degli enti pubblici, rimettendone la disciplina dei presupposti al legislatore ordinario, con la precisazione che (Corte cost. n. 18/1989 e Corte cost. n. 88/1963) la responsabilità dello Stato o dell'ente pubblico può esser fatta valere anteriormente o contestualmente a quella dei funzionari e dei dipendenti, non avendo carattere sussidiario

Con la recentissima Cass. S.U., n. 13246/2019, le Sezioni Unite Civili della Suprema Corte hanno ritenuto inaccettabile, alla luce del quadro costituzionale e sovranazionale, che quando gli atti illeciti sono posti in essere da chi dipende dallo Stato o da un ente pubblico (e cioè da chi è legittimo attendersi una particolare legalità della condotta), la tutela risarcitoria dei diritti della vittima sia meno effettiva rispetto al caso in cui questi siano compiuti dai privati per mezzo di loro preposti.

Pertanto, nel caso in cui l'illecito del dipendente si sia perfezionato nello svolgimento di attività provvedimentale o, comunque, istituzionale in quanto estrinsecazione di pubblicistiche ed istituzionali potestà, l'immedesimazione organica di regola pienamente sussiste e bene è allora ammessa la sola responsabilità diretta in forza della sicura imputazione della condotta all'ente, ai sensi dell'art. 28 Cost.; nel caso, di attività estranea a quella istituzionale o comunque materiale, ove pure vada esclusa l'operatività del criterio di imputazione pubblicistico fondato sull'attribuzione della condotta del funzionario o dipendente all'ente, la responsabilità civile dell'Ente deve invece dirsi indiretta, per fatto del proprio dipendente o funzionario, in forza di principi corrispondenti a quelli elaborati per ogni privato preponente e desunti dall'art. 2049 c.c.

Ne restano eccettuate le fattispecie regolate da un'esplicita diversa previsione normativa che, ad esempio per la peculiarità della specifica materia, mandi esente da responsabilità l'ente pubblico e mantenga esclusivamente quella dell'agente o viceversa.

Il preponente pubblico risponde del fatto illecito del proprio funzionario o dipendente ogni qual volta questo, in base ai noti principi della causalità adeguata e dunque secondo un giudizio controfattuale, oggettivizzato ex ante non si sarebbe verificato senza l'esercizio delle funzioni o delle attribuzioni o dei poteri pubblicistici: e ciò a prescindere dal fine soggettivo dell'agente (non potendo dipendere il regime di oggettiva responsabilità dalle connotazioni dell'atteggiamento psicologico dell'autore del fatto), ma in relazione all'oggettiva destinazione della condotta a fini diversi da quelli istituzionali o – a maggior ragione – contrari a quelli per i quali le funzioni o le attribuzioni o i poteri erano stati conferiti.

In virtù del principio di immedesimazione organica, la pubblica amministrazione è civilmente responsabile in via diretta della condotta penalmente rilevante posta in essere dai propri dipendenti o funzionari nell'esercizio delle potestà istituzionali dell'ente, essendo conseguentemente ammissibile l'azione di regresso condotta, nei suoi confronti, da parte di altre amministrazioni solidalmente responsabili in via indiretta (Cass. n. 865/2024, principio affermato dalla S.C. in relazione all'azione di regresso esercitata dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri e dal Ministero dell'Interno, a seguito della condanna in solido degli stessi quali corresponsabili civili, nei confronti di un Comune, il quale, in virtù del principio di immedesimazione organica, era tenuto a rispondere per fatto proprio del danno ingiusto provocato dalla condotta del Sindaco).

La responsabilità dell'impresa di assicurazione per fatto dell'agente

La giurisprudenza di legittimità ha ormai riconosciuto l'applicabilità dell'art. 2049 c.c., anche in materia di assicurazione (tra le meno recenti, Cass. n. 12945/1995), reputando irrilevante che sussista o meno un rapporto di lavoro subordinato tra agente (ancorché privo di potere di rappresentanza) e preponente (Cass. n. 6233/1999; Cass. n. 4790/1999; Cass. n. 4005/2000), purché il fatto lesivo sia stato determinato, agevolato o reso possibile dalle incombenze demandategli e su cui la società preponente aveva la possibilità di esercitare poteri di direttiva e di vigilanza (Cass. n. 14578/2007; nello stesso senso: Cass. n. 3095/2010; Cass. n. 14086/2011) e sempre che l'agente sia rimasto comunque nell'ambito dell'incarico affidatogli (Cass. n. 8210/2013).

Tuttavia, a tal ultimo riguardo e con specifico riguardo alla responsabilità per il fatto illecito commesso dal subagente, si è affermato che la responsabilità di colui che comunque fruisce dei risultati dell'attività del dipendente, collaboratore o simile possa sussistere, peraltro ed in alternativa, anche su diversa base. E specificamente, in applicazione del principio dell'apparenza del diritto, riconducibile a quello più ampio della tutela dell'affidamento incolpevole, secondo cui va tutelato chi ha contrattato con colui che appariva in grado di impegnare altri, alla duplice condizione della buona fede del primo e di una condotta quanto meno colposa dell'ultimo, tale da ingenerare nel terzo la ragionevole convinzione che il potere di rappresentare o di impegnare sia stato effettivamente e validamente conferito a chi ne è apparso, nella contrattazione col terzo, dotato (Cass. n. 3787/2012; Cass. n. 2725/2007; Cass. n. 15743/2004).

Pertanto, mentre la responsabilità prevista dall'art. 2049 c.c., si configura, in ipotesi di rapporto di occasionalità necessaria tra condotta lesiva ed attività del datore di lavoro o preponente o committente o “padrone” per il solo fatto dell'inserimento dell'agente nella struttura organizzativa del primo (e dell'assunzione del correlato rischio di impresa) e prescinde da ogni elemento soggettivo in capo a lui, al contrario, ove quel rapporto sia soltanto apparente - e cioè se non corrisponde al concreto ed effettivo ambito dei poteri dell'agente - la responsabilità sussiste solo all'ulteriore duplice condizione della buona fede del terzo e di una colpa dell'apparente preponente idonea ad ingenerarne l'affidamento, desumibile anche dalla mancata adozione delle misure ragionevolmente idonee, in rapporto alla peculiarità del caso, a prevenire le condotte devianti del preposto (Cass. III, n. 23448/2014 che ha ritenuto irrilevante il grado di callidità della condotta lesiva, posta in essere con stratagemmi e modalità tali da evitare od eludere i controlli da parte del sub preponente in assenza di un'apposita indagine in ordine all'idoneità di detti controlli rispetto alle modalità di consumazione dell'illecito).

Ne consegue che qualora l'agente abbia posto in essere condotte esulanti dalla sua sfera di poteri, è comunque onere del preponente, per andare esente da responsabilità, dimostrare - se non l'ingiustificabilità della buona fede del terzo, almeno e soprattutto - la carenza di sue proprie colpe, che non si esauriscano nella predisposizione di controlli contabili od ispettivi, rivelatisi poi inefficaci, perché intrinsecamente inidonei a prevenire le callide condotte dei suoi stessi collaboratori od agenti.

La responsabilità ex art. 2049 c.c. della compagnia assicuratrice per l'attività illecita del proprio agente è, però, esclusa ove il danneggiato abbia posto in essere una condotta agevolatrice connotata da anomalie, vale a dire se non di collusione, quanto meno di consapevole acquiescenza alla violazione delle regole gravanti sull'agente (Cass. III, n. 1786/2022), tra cui quella che vieta la corresponsione a quest'ultimo di danaro in contanti da parte dell'investitore (Cass. VI-3, n. 31453/2022; Cass. I, n. 28634/2020 che, in applicazione del medesimo principio, ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto l'estraneità della banca alla condotta illecita del proprio promotore finanziario ai danni del cliente che aveva sottoscritto in bianco le distinte di  assegni circolari, poi consegnate al dipendente, consentendogli di apporre sottoscrizioni apocrife sui moduli predisposti per le operazioni di versamento contanti e assegni).

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