Comparsa di costituzione a seguito di chiamata in causa, nell'ambito di un giudizio di risarcimento danni nei confronti del curatore fallimentare

Andrea Penta
aggiornata da Francesco Agnino

Inquadramento

A seguito di chiamata in causa ad opera del Ministero delle Finanze, a sua volta citato in giudizio da due soggetti per ottenere il risarcimento dei danni subiti per avere acquistato un immobile da persona il cui fallimento non era stato annotato sul registri immobiliari, un curatore fallimentare, nel costituirsi in giudizio, deduce che, con riferimento all'obbligo, ai sensi dell'art. 88, comma 2, l. fall., di notificare un estratto della sentenza dichiarativa di fallimento ai competenti uffici per l'annotazione nei pubblici registri, va esclusa ogni responsabilità del curatore qualora la Conservatoria abbia omesso di dar corso alla sua richiesta, non sussistendo a suo carico alcun obbligo di verificare l'adempimento dei doveri incombenti su altro ufficio, dalla violazione dei quali discende la eventuale responsabilità di quest'ultimo. Né rileva l'eventuale instaurarsi di una illegittima prassi delle Conservatorie che richiedano la presentazione di una nota di trascrizione da parte del curatore, sul quale incombe soltanto l'obbligo di cui alla disposizione sopraindicata, senza che il dovere di diligenza di cui all'art. 38 l.fall. si estenda fino all'obbligo di attivarsi a tutela dei terzi in relazione non alla condotta propria, ma a quella di altri soggetti.

Formula

TRIBUNALE ORDINARIO DI ....

COMPARSA DI COSTITUZIONE E RISPOSTA

Nell'interesse di:

Sig. ...., nato a .... il ...., C.F. ... [1], con sede legale in ...., alla via .... n. ...., elettivamente domiciliato in ...., alla via .... n. ...., presso lo studio dell'Avv. ...., che lo rappresenta e difende, giusta procura a margine/in calce al presente atto, con dichiarazione di voler ricevere le comunicazioni, ai sensi dell'art. 125, comma 1, c.p.c. e dell'art. 136, comma 3, c.p.c., al seguente numero di Fax ...., oppure tramite PEC ... [2] ;

- TERZO CHIAMATO IN CAUSA -

CONTRO

Sig. ...., nato a .... il ...., C.F...., e Sig. ...., nata a .... il ...., Codice Fiscale ...., entrambi residenti in ...., alla via .... n. ...., elettivamente domiciliati in ...., alla via .... n. ...., presso lo studio dell'Avv. ...., che li rappresenta e difende, in virtù di procura in calce/a margine dell'atto di citazione;

- ATTORI –

E

Ministero delle Finanze, P.I. n. ...., in persona del Ministro p.t., Codice Fiscale ...., con sede legale in ...., alla via .... n. ...., elettivamente domiciliato in ...., alla via .... n. ...., e rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura dello Stato;

- CONVENUTO -

* * *

PREMESSO CHE

Con atto di citazione ritualmente notificato .... e .... hanno convenuto in giudizio il Ministero delle Finanze per sentirlo condannare al risarcimento dei danni subiti per avere acquistato un immobile da persona il cui fallimento non era stato annotato sul registri immobiliari, con la conseguenza che essi erano stati costretti a versare in via transattiva al fallimento, che intendeva far valere l'inefficacia dell'acquisto, la somma di euro ....

Il Ministero si è costituito, deducendo la legittimità del rifiuto della trascrizione della sentenza dichiarativa di fallimento ed indicando, quale unico responsabile dell'omissione il deducente curatore fallimentare ....

Con il presente atto, si costituisce il terzo chiamato in causa, il quale contesta integralmente l'avversa domanda, poiché infondata in fatto e in diritto per i seguenti:

MOTIVI

Il Ministero delle Finanze assume che legittimamente, in mancanza della nota di trascrizione, non redatta dal curatore, il Conservatore dei Registri immobiliari si sarebbe rifiutato di trascrivere la sentenza di fallimento e che, pertanto, il danno sarebbe da ascrivere solo, o quantomeno anche, alla condotta del curatore.

In realtà, l'unico onere gravante sul curatore del fallimento è quello di "notificare un estratto della sentenza dichiarativa di fallimento ai competenti uffici, perché sia annotato nei pubblici registri" e, nella specie, il curatore ha regolarmente provveduto alla notifica dell'estratto.

L'annotazione (in realtà trascrizione) di cui all'art. 88 della l. fall. è prescritta nell'interesse pubblico e non nell'interesse dei creditori, già tutelati dal vincolo di indisponibilità decorrente dalla data della sentenza dichiarativa di fallimento. In particolare, la funzione della trascrizione della sentenza dichiarativa di fallimento non è quella di rendere la stessa opponibile ai terzi, secondo lo schema comune alla trascrizione degli atti prevista dal codice civile, né quella costitutiva della trascrizione del pignoramento immobiliare (art. 555 c.p.c.); la sentenza dichiarativa di fallimento è, infatti, opponibile ai terzi sin dal momento della sua emissione (ed è questa la ragione per cui gli acquirenti, odierni attori, si sono trovati esposti all'azione del fallimento) e la pubblicità della sentenza è richiesta soltanto per dare ai terzi la possibilità di conoscere della dichiarazione di fallimento, comunque ad essi opponibile.

Inoltre, sebbene la notifica dell'estratto sia prevista soltanto quando il fallito possiede immobili o altri beni soggetti a pubblica registrazione, la trascrizione della sentenza non ha uno specifico riferimento a quei beni, ma al soggetto che è stato dichiarato fallito.

Il Conservatore, quindi, si deve attivare sulla base della sola notifica dell'estratto della sentenza dichiarativa di fallimento e non può pretendere la compilazione della nota di trascrizione di cui all'art. 2659 c.c.

Deve, quindi, escludersi qualsiasi negligenza imputabile allo scrivente.

Tanto premesso ed esposto, il Sig. ...., come in epigrafe rappresentato e difeso, rassegna le seguenti:

CONCLUSIONI

Voglia l'Ill.mo Giudice adito rigettare la domanda attrice.

Con vittoria di spese, diritti e compensi del giudizio.

Offre in comunicazione e deposita in Cancelleria i seguenti documenti:

1) ....;

2) ....;

Luogo e data....

Firma Avv.....

(PROCURA ALLE LITI, SE NON APPOSTA A MARGINE)

 Il convenuto deve costituirsi a mezzo del procuratore, o personalmente nei casi consentiti dalla legge, almeno settanta giorni prima dell'udienza di comparizione fissata nell'atto di citazione, depositando in cancelleria il proprio fascicolo contenente la comparsa di cui all'articolo 167 con la copia della citazione notificata, la procura e i documenti che offre in comunicazione. Per la disciplina transitoria v.  art. 35 d.lgs. n. 149/2022,  come sostituito dall' art. 1, comma 380, lettera a), l. 29 dicembre 2022, n. 197 ,  che prevede che : "1. Le disposizioni del presente decreto, salvo che non sia diversamente disposto, hanno effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data. Ai procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023 si applicano le disposizioni anteriormente vigenti" .  In tutti gli atti introduttivi di un giudizio e in tutti gli atti di prima difesa devono essere indicati le generalità complete della parte, la residenza o sede, il domicilio eletto presso il difensore ed il codice fiscale, oltre che della parte, anche dei rappresentanti in giudizio (art. 23, comma 50, d.l. 6 luglio 2011, n. 98, conv., con modif., dalla l. 15 luglio 2011, n. 111). L'indicazione del codice fiscale dell'avvocato è prevista, oltre che dall'art. 23, comma 50, d.l. 98/2011, conv. con modif. dalla legge 111/2011, dall'art. 125, comma 1, c.p.c., come modificato dall'art. 4, comma 8, d.l. 193/2009 conv. con modif. dalla legge 24/2010.

[2] A partire dal 18 agosto 2014, gli atti di parte, redatti dagli avvocati, che introducono il giudizio o una fase giudiziale, non devono più contenere l'indicazione dell'indirizzo di PEC del difensore: v. art. 125 c.p.c. e art. 13, comma 3-bis, d.P.R. 115/2002, modificati dall'art. 45-bis d.l. 90/2014 conv., con modif., dalla legge 114/2014.

L'indicazione del numero di fax dell'avvocato è prevista dall'art. 125 c.p.c. e dall'art. 13, comma 3-bis, d.P.R. 115/2002, modificati dall'art. 45-bis d.l. 90/2014, conv. con modif., dalla legge 114/2014. Ai sensi dell'art. 13, comma 3-bis, d.P.R. cit., «Ove il difensore non indichi il proprio numero di fax ...ovvero qualora la parte ometta di indicare il codice fiscale .... il contributo unificato è aumentato della metà».

Commento

La responsabilità del curatore: la diligenza

Il curatore deve adempiere ai doveri del proprio ufficio con la diligenza richiesta dalla natura dell'incarico: diligenza professionale (1176, co. 2), sicuramente più elevata rispetto alla diligenza generale del bonus pater familias. Si è in tal modo preso atto della natura professionale dell'attività espletata dal curatore, restringendo di fatto l'area di esenzione da responsabilità. Peraltro, sarebbe più corretto distinguere le competenze tipicamente professionali (ad es., la corretta individuazione del regime tributario di un'operazione compiuta nell'ambito della liquidazione fallimentare), in relazione alle quali è opportuno il richiamo alla diligenza professionale e non sussistono ostacoli all'applicazione analogica dell'art. 2236 c.c., dai comportamenti di mera gestione di interessi ed affari, in ordine ai quali sarebbe appropriato il riferimento alla comune diligenza del buon padre di famiglia.

La formula contenuta nel co. 1 dell'art. 38 l.fall. ricalca quella prevista dall'art. 2392 c.c. per gli amministratori di società per azioni o dall'art. 2407 c.c., relativo alla responsabilità dei sindaci, anche se il legislatore della riforma non ha fatto riferimento altresì alle “specifiche competenze” richiamate, invece, per gli amministratori. Ciò in quanto i compiti del curatore sono predeterminati per legge (non solo quella fallimentare, ma anche quella in generale), egli riveste la qualifica di pubblico ufficiale e l'assunzione dell'ufficio di curatore presuppone necessariamente il possesso di determinate qualifiche professionali.

Il dovere di diligenza caratterizza soprattutto il compimento degli atti di ordinaria amministrazione, in relazione ai quali si esprime al massimo l'autonomia decisionale del curatore.

Mentre in passato si tendeva ad escludere l'applicabilità, nella valutazione della condotta del curatore, dell'art. 2236 c.c. (con la conseguente responsabilità, oltre che per dolo e per colpa grave, anche per colpa lieve), probabilmente il riferimento alla natura dell'incarico contenuto ora nell'art. 38, unitamente agli ampliati poteri attribuiti al curatore (soprattutto per quanto concerne gli aspetti valutativi ed i poteri di impulso nella fase di liquidazione) ed alle più elevate cognizioni pretese, consente l'applicazione della detta disposizione quale parametro per la valutazione della responsabilità dell'organo gestorio, con conseguente sua esclusione nell'ipotesi di colpa lieve. L'applicazione estensiva prospettata compenserebbe l'allargamento della responsabilità determinato inevitabilmente dalla natura professionale della diligenza richiesta per l'espletamento dell'incarico. Del resto, già in passato la Suprema Corte (Cass. 24.5.1991, n. 5882) aveva precisato che la qualità di pubblico ufficiale non escludeva che il curatore fosse da classificare quale professionista intellettuale ex art. 2229 e ss. c.c., con conseguente responsabilità ai sensi degli artt. 2236 e 2043 c.c.

Il danno e la natura della responsabilità

È evidente, in termini generali, che, ai fini della esperibilità di un'azione risarcitoria nei confronti del curatore, non è sufficiente che il medesimo si sia reso inadempiente agli obblighi che gli derivano dalla carica, essendo altresì necessario che all'inadempimento stesso sia eziologicamente connesso un danno al patrimonio fallimentare. Occorre, quindi, che sussista un rapporto di causalità tra il comportamento positivo od omissivo del curatore e che venga provato l'ammontare dei danni cagionati dal suo comportamento. La prova deve concernere, senz'altro, l'an debeatur. In ordine al profilo del quantum, la scarsa giurisprudenza pronunciatasi sul punto ha sostenuto che il danno conseguente alla negligente gestione della procedura da parte del curatore, in mancanza di elementi di giudizio, può essere liquidato equitativamente in favore della massa (in tal senso Trib. Roma, 23.2.1995).

Il giudizio sull'operato del curatore deve essere espresso a seguito di una valutazione ex ante, vale a dire considerando le circostanze esistenti nel momento in cui egli ha posto in essere l'atto dal quale è derivato il pregiudizio.

Ciò detto, occorre individuare la natura della responsabilità del curatore. Si discute se la specifica previsione della eventuale responsabilità per la mancata o irregolare esecuzione del piano di liquidazione approvato dal CdC faccia emergere un profilo di responsabilità di tipo contrattuale, in ragione del fatto che non vi è alcun rapporto contrattuale tra curatore e creditori e la collettività dei creditori non assurge a soggetto di diritto. Non si è mai, invece, dubitato che la responsabilità del curatore sia di natura contrattuale per la violazione di tutti gli specifici obblighi giuridici inerenti alla sua carica (dovere di adempimento dei propri obblighi con la diligenza del buon padre di famiglia; dovere di adempimento tempestivo e sollecito, ecc.; Cass. n. 5044/2001, e Cass. S.U. n. 14712/2007), ed anche extracontrattuale per comportamenti lesivi di terzi estranei alla procedura.

Responsabilità concorrente ed esclusiva del curatore

Il curatore deve rispondere sul piano risarcitorio (art. 38) nel caso di non corretta amministrazione-gestione del patrimonio fallimentare e può essere revocato (art. 37) anche se pone in essere atti gestori (o compie scelte gestorie) giudicati inopportuni (sia pure solo dal punto di vista economico) dal CdC.

In astratto, ad un curatore potrebbero essere imputati il compimento di un atto di amministrazione o un comportamento omissivo, allorquando abbiano arrecato un pregiudizio agli interessi del ceto creditorio o del fallito (tenuto conto che la sentenza che dichiara il fallimento priva dalla sua data il fallito dell'amministrazione e della disponibilità dei suoi beni esistenti in quel momento e che nelle controversie, anche in corso, relative a rapporti di diritto patrimoniale del fallito compresi nel fallimento sta in giudizio il curatore).

In alcuni casi sarà configurabile una responsabilità esclusiva del curatore, in altri quella concorrente dell'organo gestorio e del CdC. La prima è ipotizzabile soprattutto con riferimento all'attività di ordinaria amministrazione, in relazione alla quale non occorre ottenere previamente l'autorizzazione del CdC, siccome attiene alla legittimità (e non al merito) delle scelte gestorie. Invero, in siffatta evenienza, in relazione ai danni che eventualmente ne siano scaturiti, non potrebbe sorgere la solidale responsabilità, per concorso omissivo, dei componenti del CdC (ex artt. 41, comma 7, l.fall. e 2407, comma 2, c.c.; responsabilità, peraltro, esclusa in sede di decreto correttivo).

Solo per l'attività di straordinaria amministrazione (da riferirsi, in termini generali, agli atti da cui possono scaturire la diminuzione o la dispersione del complesso dei beni da destinare alla liquidazione) sembrerebbe configurabile (almeno in astratto) una responsabilità concorrente dell'organo gestorio e del CdC. Pur tuttavia, la realtà offre una gamma variegata di possibili ipotesi non sempre perfettamente inquadrabili in una delle menzionate due categorie.

Qualora si richieda il risarcimento del danno causato dal curatore e subito in qualità di appartenente alla massa dei creditori, la legittimazione ad esercitare la relativa azione spetta al solo curatore subentrante; ove, invece, il creditore si dolga di un pregiudizio sofferto individualmente, la legittimazione ad agire non potrà che spettare al creditore medesimo.

L'autorizzazione all'esercizio dell'azione nei confronti del curatore può essere rilasciata, ai sensi dell'art. 38, in via alternativa dal g.d. o dal CdC (in quest'ultimo caso il componente del comitato che si trovasse in conflitto di interessi dovrebbe astenersi dalla votazione, ex art. 40, comma 5).

La nomina del legale spetta al curatore nominato in sostituzione (interpretazione letterale) o allo stesso g.d. (interpretazione teleologica e sistematica).

Le varie ipotesi di responsabilità: numerus clausus?

In questa sede è solo possibile passare in rapida rassegna i settori nei quali possono sorgere profili di responsabilità a carico del curatore.

In primo luogo, la diligenza del curatore deve caratterizzare non solo il compimento dell'atto, il suo contenuto e le modalità di attuazione, ma anche la sua tempistica, ravvisandosi una condotta negligente del curatore nel caso in cui abbia compiuto l'atto in ritardo rispetto al tempo ordinariamente richiesto (la Corte dei Conti, con la pronuncia n. 22982 del 12 dicembre 2005, ha condannato il curatore di una procedura concorsuale a pagare in favore del Ministero della Giustizia la somma che quest'ultimo era stato, a sua volta, tenuto a corrispondere al fallito per la irragionevole durata della procedura). Il patrimonio fallimentare deve essere, quindi, liquidato celermente, senza tuttavia assumere decisioni affrettate che potrebbero rivelarsi antieconomiche. Il contrasto che spesso può emergere tra i due aspetti (soluzioni celeri che siano, al tempo stesso, ben ponderate) fa si che l'attività dell'organo gestorio sia molto delicata. Basti pensare, sul piano delle iniziative giudiziarie, all'ipotesi in cui il curatore debba valutare l'opportunità di esperire (e di farsi all'uopo autorizzare) un'azione revocatoria di prevedibile lunga durata, allorquando gli esiti del giudizio siano incerti ed il credito fatto valere sia di importo esiguo (Trib. Palermo 18 luglio 2002 ha configurato in capo al curatore una responsabilità in un'ipotesi in cui aveva omesso di consultare il fascicolo fallimentare, mancando, per l'effetto, di esercitare un'azione revocatoria).

La mancata richiesta al g.d. di essere autorizzato a stare in giudizio come attore ai fini dell'esercizio di un'azione revocatoria fallimentare determina profili di responsabilità nel caso in cui, a cagione di tale inerzia, sia maturato uno dei due termini decadenziali ora indicati espressamente dall'art. 69 bis (tre anni dalla dichiarazione di fallimento e cinque anni dal compimento dell'atto). Costituisce comportamento gravemente colposo il non aver esperito azioni di recupero dei crediti, a meno che il curatore non dimostri che il loro mancato esercizio sia stato il frutto di una sua scelta consapevole fondata sulle scarse o inesistenti possibilità di effettivo realizzo (valutazione, a sua volta, espressa all'esito degli accertamenti negativi compiuti sulle possidenze del debitore).

Profili di responsabilità si potrebbero configurare altresì nell'ipotesi dell'affitto di un immobile per un arco temporale lungo, che potrebbe ipoteticamente contrastare con l'esigenza di liquidare prima l'azienda (si pensi altresì al caso in cui il curatore proceda alla vendita dei singoli beni da cui essa è composta, nonostante l'alienazione dell'intero complesso aziendale o, comunque, di beni o rapporti giuridici individuabili in blocco possa consentire di realizzare un corrispettivo decisamente superiore, con una maggiore soddisfazione dei creditori), o dell'esercizio provvisorio dell'impresa, il quale potrebbe rivelarsi nocivo sia per il connesso rischio d'impresa sia perché i nuovi eventuali creditori dovrebbero essere soddisfatti in prededuzione.

I comportamenti inerti astrattamente imputabili al curatore non rappresentano un numerus clausus, anche se appare significativa l'ipotesi prevista dal co. 5 dell'art.104 ter, a tenore del quale prima dell'approvazione del programma egli può procedere alla liquidazione di beni solo quando dal ritardo può derivare pregiudizio all'interesse dei creditori. In tal caso potrebbe essere sanzionata una condotta del curatore non solo del tutto inerte, ma anche ritardata, quando possa determinare un danno economico. Basti pensare alla vendita di beni deperibili (generi alimentari) o soggetti a rapida obsolescenza (impianti tecnologici) o usura (attrezzature esposte alle intemperie, in quanto depositate all'aperto).

In termini più generali, ribadito che la colpa del curatore può inerire sia a comportamenti positivi sia a comportamenti omissivi, una responsabilità a suo carico potrebbe essere configurata nell'ipotesi di omessa vigilanza sull'operato dei coadiutori. Il ritardo con il quale, ad esempio, una relazione peritale viene depositata dal tecnico all'uopo nominato, pur potendo essere sanzionato dal g.d. sul piano di una decurtazione dell'entità del compenso liquidato, potrebbe aver determinato il venir meno dell'interesse da parte di terzi all'acquisto di beni fallimentari che erano oggetto di stima. In quest'ottica, la mancata attivazione del curatore in termini di solleciti rivolti al perito determinerebbe il sorgere di una sua responsabilità. Ovviamente, affinchè un addebito sia formulabile avverso il curatore, è necessario che un controllo sull'operato del coadiutore fosse ragionevolmente possibile, con la conseguenza che il fatto doloso o colposo di quest'ultimo, che il curatore non avrebbe potuto impedire neppure impiegando la dovuta diligenza nell'esecuzione dell'incarico, sarà fonte di responsabilità per il solo coadiutore.

Espressamente l'art. 34 prevede che il mancato deposito sul conto corrente intestato alla procedura delle somme riscosse a qualunque titolo entro il termine massimo di 10 giorni dalla corresponsione non determina più la revoca automatica del curatore, bensì è valutata dal tribunale ai fini della sua revoca. Significativa è la modifica apportata a tale previsione, attribuendo al tribunale un'ampia discrezionalità nel valutare la gravità dell'inerzia (senz'altro più grave) o del ritardo imputabile all'organo gestorio. In tal modo si dà la possibilità al curatore di rappresentare eventuali ragioni giustificative della condotta omissiva o ritardata. È evidente, peraltro, che l'aumento del termine per il deposito (da 5 a 10 giorni) e l'inequivocità del dato letterale in ordine alla perentorietà dello stesso ridurranno drasticamente le possibilità per il curatore di addurre siffatte ragioni giustificative. Sul piano prettamente sanzionatorio, al di là dei casi più eclatanti che potranno dar luogo anche a profili di responsabilità sul piano penale ex art. 230, il ventaglio di soluzioni oscilla tra la revoca (nell'ipotesi di mancato deposito dell'importo) e l'obbligo del pagamento degli interessi di mora (nell'ipotesi di ritardo; così Cass. n. 7125/1998, e Cass. n. 11013/1993, hanno identificato il pregiudizio - recte, il maggior danno ex art. 1224, comma 2, c.c. - per il ritardato pagamento dei debiti pecuniari nei confronti della massa, in via presuntiva, nella differenza tra il maggior interesse riconosciuto al fallimento - o, comunque, praticato - sul deposito postale o bancario ed il minor interesse dovuto al tasso legale).

L'eventuale irregolare prelievo di somme di denaro da parte dell'organo gestorio, in mancanza o in difformità del mandato di pagamento, determina la responsabilità del curatore, oltre a quella solidale della banca, rispettivamente per violazione degli artt. 34 e 38, 1176 c.c. (App. Napoli, 10 giugno 1999). Sarà, invece, configurabile la sola responsabilità dell'istituto di credito o dell'ufficio postale nel caso in cui abbia omesso di identificare preventivamente il presentatore della richiesta di prelievo. Tale controllo, tuttavia, presuppone che si sia precedentemente provveduto a depositare presso le banche le firme del g.d. e del cancelliere (cd. specimen) e che tali sottoscrizioni vengano aggiornate nel caso di mutamento delle persone del magistrato e/o del cancelliere. In quest'ottica, Trib. Lecce 1.10.2008 ha statuito che, nel caso in cui la banca consenta il prelievo del denaro sulla base di un mandato di pagamento contraffatto, senza aver preventivamente preteso il deposito delle firme del g.d. e del cancelliere (allo scopo di poterne operare il raffronto con le sottoscrizioni che i medesimi devono apporre sul mandato), la responsabilità (contrattuale) per la sottoscrizione dei fondi va imputata alla banca, oltre che al curatore che ha materialmente operato il prelievo abusivo. La banca dovrebbe segnalare al g.d. eventuali “anomalie” e sospendere l'esecuzione dell'operazione fino a quando non abbia ricevuto uno specifico provvedimento di autorizzazione al pagamento. Interessante è la vicenda decisa da Trib. Napoli 9 maggio 1997, la quale ha affermato la concorrente responsabilità della banca (sul rilievo che l'indebito prelievo avvenne proprio nell'ambito dello svolgimento dei compiti dell'impiegato, e non in rapporto di mera occasionalità rispetto all'esercizio delle mansioni affidategli dalla banca) e del curatore (in quanto l'affidamento della custodia del libretto di deposito all'impiegato aveva agevolato, se non reso possibile, l'operazione di indebito prelievo).

Nel caso in cui siano stati inventariati beni deteriorabili e deprezzabili (v. infra), il curatore è tenuto a chiedere, anche prima dell'approvazione del programma di liquidazione, al g.d. l'autorizzazione a procedere alla loro vendita (con riferimento ad una fattispecie sottoposta ratione temporis alla previgente disciplina, vedasi Cass. n. 1925/1989), ai sensi del pen. cpv. dell'art. 104 ter.

È suscettibile di revoca il curatore che non abbia provveduto alla ripartizione delle somme disponibili per un prolungato periodo di tempo (Trib. Roma 23 giugno 1999 ha revocato un curatore che si era reso reo di non aver effettuato alcuna distribuzione delle somme pur disponibili per ben nove anni). In siffatta evenienza, peraltro, quanto al profilo risarcitorio, egli sarà responsabile nei confronti dei creditori che avrebbero beneficiato di riparti parziali, laddove in relazione alla massa complessivamente intesa potrebbe addirittura essersi verificato un miglioramento. Si pensi al caso in cui le maggiori somme restate giacenti sul c/c intestato alla procedura abbiano consentito la maturazione di notevoli interessi attivi.

Qualora la curatela contesti il conto della gestione presentato dal curatore cessato per negligenza nella conduzione della procedura, senza, tuttavia, chiedere la sua condanna al risarcimento dello specifico danno così cagionato alla massa, il relativo giudizio, riguardando la sola domanda di non approvazione del rendiconto, non si pone in rapporto di pregiudizialità logico-giuridica, ex art. 295 c.p.c., rispetto all'azione di responsabilità autonomamente proposta nei confronti del medesimo curatore, atteso che il giudice del rendiconto valuta la sussistenza della contestata negligenza in via meramente incidentale e senza efficacia di giudicato, ai fini di quanto richiestogli, sicché l'eventuale sentenza di approvazione del rendiconto non preclude uno specifico autonomo accertamento da parte del giudice investito dell'azione di responsabilità (Cass. VI, n. 529/2016). In quest'ottica, l'azione di responsabilità nei confronti del curatore può essere sempre proposta anche se non preceduta dalla revoca dello stesso ed a rendiconto già approvato (Cass. I, n. 18438/2011).

Strettamente connesso con il profilo in precedenza analizzato è quello dell'obbligo a carico dell'organo gestorio di portare a termine la procedura in tempi ragionevoli. In quest'ottica i curatori devono assolvere i loro compiti con tempestività e rigore, in modo da rispettare l'intentio legis di favorire il celere soddisfacimento dei creditori e la rapida chiusura della procedura, anche per evitare eventuali condanne ai sensi della legge 24 marzo 2001, n. 89 (cd. legge Pinto per l'equa riparazione del danno da irragionevole durata del processo). La Suprema Corte (n. 10122/2004) e la Corte dei Conti (n. 733/2005) hanno affermato l'applicabilità della legge Pinto anche alle procedure fallimentari e la responsabilità contabile del curatore per ritardata chiusura del fallimento.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario