Comparsa conclusionale per responsabilità risarcitoria degli amministratori di società di persone

Emanuela Musi

Inquadramento

L'atto ha ad oggetto una comparsa conclusionale depositata in un giudizio ex artt. 2043 e 2395 c.c. intentato dal socio nei confronti dell'amministratore per la mancata presentazione del rendiconto annuale che aveva determinato la mancata corresponsione degli utili.

Formula

TRIBUNALE DI .... [1]

Sezione Specializzata delle Imprese

R.G.... Giudice .... Udienza ....

COMPARSA CONCLUSIONALE

PER

il Sig. .... rappresentato e difeso dall'Avv. ....

- attore –

CONTRO

i Sig. .... con l'Avv. ....

- convenuto –

*********

Con atto di citazione, notificato il ...., il Sig. .... socio della .... conveniva in giudizio il Sig. .... per ivi sentirlo condannare al risarcimento dei danni derivanti dalla mancata presentazione da parte di quest'ultimo, quale amministratore, del rendiconto annuale e della conseguente corresponsione degli utili. Per tale ragione chiedeva il pagamento della somma di Euro .... pari agli utili effettivamente maturati e non percepiti dal socio. 

In data ...., si costituiva il Sig. .... il quale chiedeva rigettarsi la domanda poiché infondata in fatto e diritto; in particolare, secondo il convenuto alcun risarcimento poteva essere riconosciuto al socio in quanto la condotta omissiva avrebbe leso unicamente il patrimonio sociale e, solo indirettamente, si sarebbe ripercosso sulla posizione giuridica ed economica del socio, il quale quindi non avrebbe potuto, a suo dire, agire ai sensi dell'art. 2395 c.c..

In data .... venivano escussi i testimoni.

All'esito il Giudice disponeva consulenza tecnica di ufficio.

All'udienza del ...., il Giudice riservava la causa in decisione, concedendo i termini di cui all' art. 190 c.p.c. per il deposito delle memorie conclusionali.

Tanto premesso, nel riportarsi ai propri scritti difensivi, agli atti di causa ed impugnando nonché contestando tutto quanto ex adverso dedotto, prodotto ed eccepito, si insiste nell'accoglimento della domanda, anche alla luce delle seguenti considerazioni in

DIRITTO

Come già in precedenza rilevato, priva di pregio giuridico è la tesi sostenuta da parte avversa in ordine all'impossibilità per il socio di agire ai sensi dell'art. 2395 c.c., poiché la sua presunta omissione avrebbe potuto ledere unicamente il patrimonio della società e solo indirettamente quello del Sig.... in tal modo precludendogli qualsivoglia azione finalizzata ad ottenere il risarcimento dei danni.

Al riguardo, giova rilevare che, per la Corte di Cassazione, nelle società personali, il socio può agire nei confronti dell'amministratore per far valere la responsabilità extracontrattuale di questi in applicazione analogica dell' art. 2395 c.c., e, ove vengano dedotte la mancata presentazione del rendiconto da parte dell'amministratore, e la conseguente mancata percezione degli utili, deve ritenersi che il socio abbia fatto valere il danno a sé diretto ed immediato [2].

Invero è bene ricordare che, nelle società di persone, la legge attribuisce ai soci che non partecipano all'amministrazione, intensi poteri di controllo sulla gestione sociale che consistono nel diritto di informazione, di ispezione e rendiconto. 

La ratio di tali penetranti poteri di controllo trovano fondamento nella responsabilità illimitata cui sono soggetti i soci non amministratori, nella mancanza di un apposito organo di controllo e nell'impossibilità di poter invocare il controllo dell'autorità giudiziaria. Detti poteri consentono altresì al socio il cosciente esercizio del diritto di voto. 

Con particolare riguardo al diritto di rendiconto, ai sensi dell'art. 2261 c.c., esso deve essere redatto al momento del compimento dei singoli affari sociali e, nel caso di gestione pluriennale, al termine di ogni anno, salvo diversa disposizione statutaria. 

Orbene l'art. 2395 c.c., norma prevista in tema di società di capitali, appresta uno strumento di tutela, in favore del socio o del terzo che subiscano un danno in conseguenza di atti colposi o dolosi degli amministratori. L'elemento che distingue l'azione individuale del socio ex art. 2395 c.c. dall'azione sociale ex art. 2393 c.c. è dato dalla diretta incidenza del danno sul patrimonio del socio o del terzo: deve trattarsi, in particolare, di una lesione di un diritto patrimoniale proprio del socio o del terzo e non del mero riflesso di danni arrecati al patrimonio sociale. Presupposto dell'azione individuale del socio è che debba trattarsi di fatti illeciti degli amministratori, intesi come violazioni colpose o dolose di mala gestio

Inoltre, l'azione individuale di responsabilità ha natura extracontrattuale ex art. 2043 c.c., sul presupposto della mancanza di un vincolo contrattuale tra i soci e gli amministratori.

Alla luce di tali considerazioni la Suprema Corte, nella enunciata sentenza, ha ritenuto possibile, per il socio di società di persone, invocare la tutela di cui all'art. 2395 c.c.: ivi in particolare si afferma che, costituendo la società di persone un centro di imputazione di situazioni giuridiche distinte da quelle dei soci, ancorché dette società non siano dotate di autonoma personalità giuridica, è configurabile, con riguardo ad esse, una responsabilità degli amministratori nei confronti dei singoli soci, oltre che verso la società, in termini sostanzialmente analoghi a quanto prevedono, in materia di società per azioni gli artt. 2393 e 2395 c.c..

Ne consegue che costituisce un'ipotesi di responsabilità dell'amministratore nei confronti del socio l'omessa presentazione dei rendiconti e la conseguente mancata attribuzione degli utili al socio, quale comportamento di inosservanza di norme che stabiliscono diritti dei soci immediatamente azionabili.

CONCLUSIONI

Alla luce di tutto quanto testé evidenziato, si insiste affinché l'Ill.mo Giudice adito voglia:

- accertare e dichiarare la responsabilità ex art. 2043 c.c. dell'amministratore per la mancata presentazione del rendiconto annuale e per la conseguente mancata corresponsione degli utili e per l'effetto:

- condannare quest'ultimo al pagamento della somma di Euro ...., pari agli utili effettivamente maturati e non percepiti dal socio.

Con vittoria di spese, diritti ed onorari di causa ed attribuzione.

 

Luogo e data ....

Firma Avv. ....

[1] A partire dal 22 settembre 2012, a norma del d.l. n. 1/2012, art. 3 lett. d), da chiunque promosse (e quindi anche da parte dei fallimenti), l'azione di responsabilità contro gli amministratori ed i sindaci, per i danni derivanti da propri inadempimenti o da fatti illeciti commessi nei confronti della società che ha conferito l'incarico e nei confronti dei terzi danneggiati, va promossa innanzi al Tribunale delle imprese, vale a dire la sezione specializzata istituita presso i tribunali e le corti d'appello aventi sede nel capoluogo di ogni regione, con eccezione di Lombardia e Sicilia (in cui sono presenti due sedi) e della Valle D'Aosta (in cui non sono presenti sedi, poiché la competenza spetta a Torino).

[2] Cass. I, n. 1261/2016

Commento

Nozione. Inquadramento.

Il codice civile non prevede espressamente l'azione di responsabilità del socio di società di persone nei confronti degli amministratori, posto che l'art. 2260 si limita ad affermare la responsabilità solidale degli amministratori verso la società, per l'adempimento degli obblighi imposti loro dalla legge o dal contratto sociale. Si pone, quindi, in via interpretativa, il problema di stabilire chi sia legittimato a far valere la responsabilità degli amministratori, se tale legittimazione spetti ai creditori sociali e ai singoli soci ed, in questo caso, se essi possano agire anche in nome della società o comunque per far valere il danno da essa subito. Per quanto concerne l'azione dei creditori, è appena il caso di rilevare che il creditore che non riesca a soddisfarsi sul patrimonio sociale, avrà azione nei confronti del socio illimitatamente responsabile, derivandone la residualità dell'azione verso l'amministratore (che si rivela ben più complessa ed onerosa sul piano dell'onere probatorio rispetto alla prima).

L'azione individuale del socio

Secondo la giurisprudenza piuttosto consolidata, gli amministratori di una società di persone sarebbero responsabili non solo verso la società "per l'adempimento degli obblighi ad essi imposti dalla legge e dal contratto sociale" (art. 2260, comma 3, c.c.), ma, in analogia con quanto dispone l'art. 2395 c.c., anche verso i singoli soci il cui patrimonio personale sia stato direttamente danneggiato da atti dolosi o colposi compiuti dagli stessi amministratori nell'esercizio delle loro funzioni.

Il principale argomento su cui viene fondata tale affermazione è quello secondo cui le società di persone, benché prive della personalità giuridica che caratterizza, invece, le società di capitali, costituiscono in ogni caso un autonomo centro di imputazione di situazioni giuridiche distinte da quelle che fanno capo ai singoli soci (cfr. ex multis Cass. I, n. 1027/1993), derivandone che, anche nelle società personali, potrebbe configurarsi una responsabilità degli amministratori nei confronti dei singoli soci, oltre che verso la società (posto che i diritti e gli obblighi inerenti allo svolgimento del rapporto di amministrazione non potrebbero essere riferiti "direttamente" alle persone dei soci). Alcun rilievo assumerebbe, invero, in senso contrario, il dato normativo carente dell'art. 2260 c.c., atteso che tale disposizione riguarda i rapporti tra l'amministratore e la società; inoltre, come può ricavarsi dall'art. 2281 c.c., il principio per cui gli amministratori sono personalmente responsabili nei confronti dei soci per i danni ad essi direttamente arrecati con un loro comportamento doloso o colposo, specificamente stabilito dall'art. 2395 c.c. per le società di capitali, è operante anche rispetto alle società personali (in tal senso v. Cass. I, n. 1045/2007, nonché Cass. I, n. 2846/1996). La S.C. ha avuto, altresì, modo di sottolineare che il rimedio in questione trova fondamento nei principi generali in tema di responsabilità per fatto illecito, oltre che nell'applicazione analogica dell'art. 2395 c.c. (v. tra le altre Cass. I, n. 6558/2011; Cass. I, n. 26012/2007): ne consegue che lo stesso dovrebbe essere ricondotto all'azione generale di cui all'art. 2043 c.c. Al riguardo, parte della dottrina ha obiettato che, tenuto conto che dall'atto doloso o colposo dell'amministratore discende un'obbligazione sociale, di cui dovrebbero rispondere sia la società con il suo patrimonio, sia i soci con il loro patrimonio personale, non avrebbe senso attribuire al singolo socio la legittimazione ad agire ex art. 2395 c.c., atteso che gli amministratori di una società di persone, in quanto soci, sono già illimitatamente responsabili. Da altra parte della dottrina si sottolinea, tuttavia, che, proprio perché la responsabilità personale degli amministratori, assimilabile alla responsabilità aquiliana, si "affiancherebbe a quella della società, l'azione individuale del socio, che va qualificata come un'azione autonoma e diretta, non sarebbe subordinata alla preventiva escussione del patrimonio sociale. Vi è da aggiungere che un'opinione minoritaria esclude tout court l'applicazione analogica dell'art. 2395 c.c., sostenendo che la norma si adatterebbe soltanto alle società dotate di personalità giuridica o comunque di una struttura organizzativa diversa da quella delle società di persone.

In ogni caso, pacifica l'affermazione della natura extracontrattuale della responsabilità, sia che la si fondi sull'art. 2395 c.c., sia per il caso in cui l'azione vada ricondotta al 2043 c.c., ai fini dell'accoglimento della domanda dovranno ricorrere i seguenti presupposti (l'onere della prova dei quali viene a gravare ovviamente sull'attore): 1) il dolo e la colpa degli amministratori (i quali devono aver posto in essere la condotta dolosa o colposa nell'esercizio delle funzioni gestorie); 2) l'esistenza di un danno "diretto", cioè di un danno che non può tradursi in un mero riflesso del pregiudizio eventualmente patito dal patrimonio sociale, ma che deve incidere direttamente sul patrimonio del socio o del terzo come conseguenza immediata e diretta del comportamento degli amministratori (v. in tal senso Cass. I, n. 16416/2007; Cass. I, n. 9385/1993; Cass. I, n. 7534/1991); 3) il nesso causale fra gli atti colposi o dolosi compiuti da costoro e il danno. In merito al secondo dei presupposti appena elencati, si è osservato da parte della dottrina che il socio o il terzo s'intendono "direttamente danneggiati" quando abbiano subito la violazione di un loro diritto soggettivo, in conseguenza dell'operato illegittimo degli amministratori; devono, invece, considerarsi "indirettamente" danneggiati quando tale comportamento abbia loro arrecato un mero pregiudizio economico, senza ledere un interesse personale ad essi (direttamente) riconosciuto dall'ordinamento, e come tale tutelato quale diritto soggettivo individuale.

Più di recente si veda Cass. civ., sez. I, 12 maggio 2021, n. 12567, secondo cui la responsabilità degli amministratori sociali (che siano di società di persone o di società di capitali) per i danni cagionati alla società amministrata ha natura contrattuale: la società è tenuta ad “allegare le violazioni compiute dagli amministratori ai loro doveri” (v. Cass. n. 16952/2016), come pure a provare il danno e il nesso di causalità tra la violazione e il danno. Spetta agli amministratori provare, con riferimento agli addebiti contestatigli, l'osservanza dei predetti doveri; tuttavia, nel grave caso di “disponibilità patrimoniali pacificamente fuoriuscite dall'attivo della società, questa, nell'agire per il risarcimento del danno nei confronti dell'amministratore, può limitarsi ad allegare l'inadempimento, consistente nella distrazione delle dette risorse, mentre compete allo stesso amministratore la prova del suo adempimento, consistente nella destinazione delle attività patrimoniali all'estinzione di debiti sociali (come quelli eventi ad oggetto gli utili di esercizio e i compensi spettantigli) o il loro impiego per lo svolgimento dell'attività sociale.

Segue. Il risarcimento del danno

Ove il danno arrecato dalla condotta colposa degli amministratori riverberi i propri effetti soltanto sul patrimonio sociale, spetterà unicamente alla società agire per la reintegrazione del proprio patrimonio, ovviamente attraverso quelli tra i soci che ne abbiano l'amministrazione e la rappresentanza.

Affinché sia accolta la domanda risarcitoria del singolo socio, occorrerà che il danno lamentato sia diretto e non mero riflesso della lesione causata al patrimonio sociale.

I casi tipici in cui si ravvisa la responsabilità risarcitoria degli amministratori nei confronti dei soci riguardano ipotesi di false comunicazioni sociali le quali, provocando un errato convincimento sulla reale situazione patrimoniale della società, abbiano indotto il socio a svendere le proprie azioni o a sottoscrivere un aumento di capitale (o altre forme di investimento nella società, ad esempio versamenti in conto capitale) oppure il terzo a concedere un finanziamento alla società o a entrare nel capitale sociale. Al di fuori di tali casi, la natura diretta del danno viene regolarmente negata e l'azione dichiarata inammissibile(v. così Cass., n. 6364/1998).

Sul regime dell'onere della prova, si precisa che il socio sarà tenuto a dimostrare, oltre all'esistenza del danno diretto (v. Cass., n. 15721/2005 secondo la quale i soci possono agire a seguito del verificarsi di fatti illeciti di terzi che incidano sul mantenimento in vita della società e sulla loro qualità di soci e/o che possano comportare un depauperamento del patrimonio sociale suscettibile di risolversi nella diminuzione del valore dei diritti di partecipazione all'ente societario e, quindi, in un pregiudizio economico personale di ciascuno di loro), il dolo o la colpa degli amministratori e il nesso causale tra la condotta di questi e il pregiudizio causato.

Giova evidenziare che parte della dottrina si è interrogata in ordine alla possibilità di interpretare diversamente nelle società di persone rispetto alle società di capitali l'espressione “direttamente danneggiati”: ben vero, posto che i soci di società di persone sono (con l'eccezione degli accomandanti) illimitatamente responsabili per le obbligazioni sociali, il danno subito dal patrimonio sociale, per effetto della mala gestio imputabile agli amministratori, verrebbe a costituire un danno diretto a carico dei soci stessi. Detta tesi risulta avvalorata dalle decisioni che qualificano le obbligazioni sociali come obbligazioni proprie dei soci e la responsabilità personale e illimitata degli stessi come responsabilità per debito proprio. Nondimeno, l'orientamento assolutamente prevalente nega che i danni subiti dal patrimonio sociale per mala gestio degli amministratori costituiscano danni diretti ai singoli soci: ed invero, non può essere “diretto” il danno subìto da un soggetto distinto e solo in via mediata dal socio. Il criterio discretivo tra “danni diretti” e “danni indiretti” risulta più chiaramente dall'esame delle decisioni che hanno riconosciuto al socio un diritto al risarcimento a seguito dell'esperimento di una azione individuale. Così, in una significativa pronuncia (Trib. Napoli 19 novembre 1994), si è condannato l'unico accomandatario al risarcimento dei danni subiti dagli accomandanti per omessa redazione del rendiconto e conseguente mancata percezione di (eventuali) utili; in un'altra fattispecie (Trib. Milano 20 ottobre 1997), si è trattato dell'omessa percezione di parte della quota di liquidazione a causa della negligente gestione sociale. Comune alle fattispecie esaminate è la natura delle irregolarità commesse dall'amministratore: si tratta di inosservanza di norme che attribuiscono un diritto puntuale in capo al socio, dovendosi per contro ritenere esclusa dall'ambito di applicazione dell'art. 2395 nelle società di persone la violazione di doveri generici, a cui non corrispondano diritti immediatamente azionabili dai soci, ma che impegna unicamente la responsabilità verso la società ai sensi dell'art. 2260 c.c.

L'art. 2262 c.c. sancisce che il socio di una società di persone ha diritto a ricevere immediatamente la sua parte di utili dopo l'approvazione del rendiconto (Cass. I, n. 28806/2013; Cass. I, n. 1240/1996); nella giurisprudenza di merito è diffuso anche un diverso orientamento secondo cui tale diritto spetterebbe al socio indipendentemente dall'approvazione del rendiconto (App. Catania 31 luglio 1987). Ricorre, pertanto, un'ipotesi di responsabilità dell'amministratore nei confronti del socio allorquando l'amministratore abbia seriamente pregiudicato con la sua condotta proprio il diritto del socio di percepire gli utili derivanti dall'attività sociale, laddove sussistano tutti i presupposti, come dianzi enucleati per esercitare l'azione ex art. 2395 c.c. (ovvero ex art. 2043 c.c.). Al riguardo la dottrina ammette anche la legittimazione del socio a chiedere il risarcimento del danno da mala gestio in presenza di un rendiconto negativo (v. anche nella giurisprudenza di merito Trib. Napoli 19 novembre 1994 e Trib. Milano 20 ottobre 1997, riguardante una fattispecie ove, in una società in accomandita semplice, il socio attore non aveva percepito la sua quota di liquidazione e l'amministratore accomandatario viene condannato per negligente gestione).

L'azione sociale di responsabilità esercitata dal socio.

Nell'esperimento dell'azione ex art. 2260, il socio si fa promotore degli interessi della società, e solo in via mediata dei propri, esercitando un'azione (in senso lato) surrogatoria. Secondo la prevalente dottrina, il danno sofferto dal patrimonio sociale incide direttamente sui soci, contitolari del patrimonio stesso, sicché ogni socio può promuovere l'azione di responsabilità verso gli amministratori, per il danno cagionato al patrimonio sociale. Ben vero, l'autonomia patrimoniale delle società di persone è sufficiente a renderle titolari di situazioni giuridiche proprie e distinte da quelle facenti capo ai soci, mentre non è sufficiente a escludere un interesse proprio alla tutela del patrimonio sociale del singolo socio illimitatamente responsabile.

Tuttavia, la giurisprudenza maggioritaria è di diverso avviso: le pronunce che riconoscono la legittimazione del singolo socio all'azione ex art. 2260 c.c. sono del tutto sporadiche. V. tra le altre Cass. I, n. 16416/2007 secondo cui “il diritto alla conservazione del patrimonio sociale spetta alla società e non al socio come tale, il quale ha in materia un interesse, la cui eventuale lesione non può concretare quel danno diretto necessario per poter esperire l'azione individuale di responsabilità contro gli amministratori” (in modo analogo v. Cass. I, n. 2846/1996 nonché Cass. I, n. 9384/1993; nella giurisprudenza di merito, v. Trib. Milano 31 maggio 2001).

In ogni caso, da più parti si è sottolineata la natura in senso lato surrogatoria delle azioni in questione, per cui non sussisterebbe ragione per negare ad un socio (per lo più) illimitatamente responsabile di società di persone l'esercizio di una azione che è consentita al socio limitatamente responsabile di società di capitali (peraltro, va sottolineato che, a seguito della riforma delle società di capitali, è venuta meno la necessità della previa deliberazione dell'organo assembleare, che costituiva argomento formale che portava ad escludere la legittimazione del socio all'esperimento dell'azione sociale di responsabilità). La riforma del diritto societario ha, infatti, marcatamente distinto la s.r.l. dalla s.p.a., caratterizzando la prima in virtù dell'accentuata connotazione personalistica, sì da avvicinarla, per molti tratti, proprio alle società di persone. In particolare, la disciplina diverge notevolmente anche con riferimento alla responsabilità degli amministratori: mentre nella s.p.a. la legittimazione all'esercizio dell'azione di responsabilità richiede la preventiva delibera assembleare o è subordinata al possesso di una certa percentuale di azioni (artt. 2393 e 2393- bis, c.c.), nella s.r.l. la legittimazione ad esperire l'azione di responsabilità è attribuita individualmente a ciascun socio dall'art. 2476, indipendentemente dalla partecipazione posseduta. Sicché secondo la citata dottrina, la similitudine tra s.r.l. e società di persone dovrebbe consentire l'affermazione della legittimazione attiva del socio all'esperimento dell'azione sociale. Tanto più che, proprio nella s.r.l., la legittimazione individuale è assistita dalla previsione legislativa di un diritto di informazione e consultazione (art. 2476, comma 2, c.c.), modellato proprio sulla falsariga di quanto previsto dall'art. 2261 per le società di persone, e per lo più ritenuto inscindibilmente legato e strumentale proprio all'esercizio individuale dell'azione sociale di responsabilità. In mancanza di detta applicazione analogica, si otterrebbe l'assai poco ragionevole risultato di limitare le possibilità di azione del socio proprio nei casi in cui egli è esposto al rischio della responsabilità illimitata, cosa che invece non avviene nella società a responsabilità limitata; si avrebbe altresì un sistema nel quale solo nella società di persone i soci si troverebbero ad essere sprovvisti della legittimazione individuale ad esercitare l'azione sociale.

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