Memoria ex art. 171 ter c.p.c. per responsabilità dei sindaci di società

Emanuela Musi
aggiornata da Fernanda Annunziata

Inquadramento

con la memoria ex art. 171 ter c.p.c. la curatela di un fallimento precisa la domanda proposta al fine di ottenere la condanna dei sindaci per aver omesso i controllo doveroso sulle operazioni poste in essere dagli amministratori che avevano depauperato il patrimonio della società poi fallita.

Formula

TRIBUNALE DI .... 1

Sezione Specializzata delle Imprese

R.G.... Giudice .... Udienza ....

MEMORIA ex  art. 171 ter c.p.c.

PER

il Fallimento della Società .... in persona del curatore p.t., rappresentato e difeso dall'Avv. ....

- attore –

CONTRO

il Sig. .... il Sig. .... e il Sig. .... con l'Avv. ...

- convenuti –

*********

Con atto di citazione, notificato il ...., il fallimento della società .... conveniva in giudizio davanti al Tribunale di .... Il Sig. .... il Sig. .... e il Sig. ....o, quali componenti del collegio sindacale della detta società, per sentirli condannare al risarcimento del danno arrecato a causa del mancato controllo esercitato su atti compiuti dagli amministratori, che ne avrebbero poi integralmente depauperato l'attivo.

In particolare, secondo il fallimento dai dati acquisiti in sede penale era emerso che nel corso dell'anno .... era stata data esecuzione a bonifici dell'importo complessivo di Euro .... emessi in favore di ...., pur a fronte di operazioni fittizie. Di tal guisa non vi sarebbe stata traccia dell'adempimento da parte dei sindaci degli obblighi di informativa e di controllo loro spettanti, pur a fronte della rilevanza dell'importo, della destinazione della fattura al conseguimento di un contributo pubblico.

Per tale ragione l'attore riteneva che il pregiudizio subito dalla società poteva essere determinato nella somma pari alle due operazioni contestate, e pertanto chiedeva la condanna dei sindaci al pagamento del complessivo importo di Euro ....

In data ...., si costituivano i convenuti, i quali chiedevano rigettarsi integralmente la domanda poiché assolutamente infondata in fatto ed in diritto.

All'udienza del ...., il Giudice concedeva i termini di cui all' art. 183, comma 6 c.p.c. rinviando la causa al giorno ....

Con il presente atto il fallimento della società .... in persona del curatore p.t., nel riportarsi ai propri scritti difensivi ed alla documentazione allegata e nell'impugnare tutto quanto ex adverso dedotto, prodotto ed eccepito, alla luce delle considerazioni svolte da parte avversa nell'atto di costituzione ritiene opportuno svolgere le seguenti considerazioni in

DIRITTO

E' opportuno ribadire che a norma dell'art. 2407 i sindaci devono adempiere i loro doveri con la professionalità e la diligenza richieste dalla natura dell'incarico. Essi sono responsabili quando il danno non si sarebbe prodotto se essi avessero vigilato in conformità degli obblighi della loro carica.

L'illecito ascrivibile ai sindaci, quale organo societario, è dato dall'inadempimento del contratto sociale, e non da un diverso contratto d'opera professionale. La responsabilità dei sindaci è quindi di natura contrattuale sia perché deriva dalla violazione dei doveri funzionali che connotano il loro rapporto organico con la società, sia perché deve concorrere con quella degli amministratori, tipicamente contrattuale.

I membri del collegio sono chiamati a vigilare in merito al fatto che la gestione sia improntata a criteri di ragionevolezza economica. Tale criterio, ovviamente, comporta la responsabilità dei sindaci qualora gli amministratori compiano operazioni manifestamente imprudenti e prive di logiche economiche e l'organo di vigilanza ometta di formulare a riguardo i propri rilievi e attivare i propri poteri di reazione.

In relazione al caso di specie come già evidenziato nell'atto di citazione i convenuti, in spregio ai loro doveri, non avevano svolto la necessaria attività di controllo rispetto a due bonifici operati dagli amministratori che avrebbero sostanzialmente depauperato l'attivo della società.

A tal riguardo giova rilevare che per la prevalente giurisprudenza ai fini della configurabilità della violazione del dovere di vigilanza imposto ai sindaci, non è necessaria l'individuazione di specifici comportamenti che si pongano espressamente in contrasto con tale dovere, essendo invece sufficiente che i componenti dell'organo di controllo non abbiano rilevato una macroscopica violazione o comunque non abbiano in alcun modo reagito di fronte ad atti di dubbia legittimità e regolarità, e non abbiano quindi posto in essere quanto necessario per assolvere l'incarico con diligenza, correttezza e buona fede, eventualmente anche segnalando all'assemblea le irregolarità riscontrate, ovvero denunziando i fatti al P.M., per consentire l'adozione delle iniziative previste dall'art. 2409 c.c.. 2

Per quel che attiene alla fattispecie de qua i sindaci pur a fronte di operazioni fittizie, della rilevanza dell'importo, della destinazione della fattura al conseguimento di un contributo pubblico, omettevano qualsivoglia e dovuta attività di controllo.

Di tal che la loro evidente responsabilità.

CONCLUSIONI

Alla luce di tutto quanto testé evidenziato, si insiste affinché l'Ill.mo Giudice adito voglia accogliere la domanda risarcitoria, così come formulata nell'atto di citazione.

Luogo e data ....

Firma Avv. ....

[1] [1] L'azione di responsabilità contro gli amministratori ed i sindaci, anche se esercitata dal Curatore del fallimento ai sensi della legge fallimentare art. 146 resta un'azione non soggetta alla vis attractiva di cui all'art. 24 della medesima legge, trattandosi di un'iniziativa giudiziaria identica a quella che prima della procedura concorsuale avrebbe potuto essere assunta dalla società e dai creditori sociali e non rientrando, dunque, tra le azioni che "derivano" dal fallimento. Pertanto, a partire dal 22 settembre 2012, a norma del d.l.24 gennaio 2012, n. 1, art. 3 lettera d), competente a conoscere delle azioni di responsabilità da chiunque promosse (e quindi anche da parte dei fallimenti), nei confronti dei componenti degli organi amministrativi o di controllo, per i danni derivanti da propri inadempimenti o da fatti illeciti commessi nei confronti della società che ha conferito l'incarico e nei confronti dei terzi danneggiati, è il Tribunale delle imprese, vale a dire la sezione specializzata istituita presso i tribunali e le corti d'appello aventi sede nel capoluogo di ogni regione, con eccezione di Lombardia e Sicilia (in cui sono presenti due sedi) e della Valle D'Aosta (in cui non sono presenti sedi, poiché la competenza spetta a Torino).

[2] [2] Cass. I, n. 13517/2014.

Commento

Premessa

Con la novella legislativa del 2003 (d.lgs. n. 6/2003) è stato modificato, tra gli altri, l'art. 2407 c.c.: in particolare, il legislatore del 2003 ha sostituito la “diligenza del mandatario” con “la professionalità e la diligenza richieste dalla natura dell'incarico” (conformemente a quanto previsto con riguardo alla responsabilità degli amministratori, per la quale v. formule su responsabilità degli amministratori di società di capitali).

Inoltre, la novella precisa il rinvio alla disciplina della responsabilità degli amministratori, prevedendone l'applicazione in quanto compatibili ed in particolare: 1) coordinando la disciplina con le nuove norme introdotte in tema di azione sociale di minoranza e di legittimazione in presenza di procedure concorsuali; 2) esplicitamente estendendo anche ai sindaci l'azione individuale di responsabilità prevista per gli amministratori dall'art. 2395 c.c..

Secondo una distinzione tradizionale, la responsabilità dell'organo di controllo può essere esclusiva e direttamente collegata alla violazione di obblighi e doveri inerenti la funzione di controllo (ad es. falsità nelle attestazioni, violazione del segreto professionale, mancato adempimento degli obblighi ex art. 2385 comma 3 e 2386 comma 5 c.c.) ovvero indiretta e concorrente, correlandosi in tal caso ad una condotta pregressa o concomitante degli amministratori e derivando dall'missione, da parte dei sindaci, della vigilanza richiesta dagli obblighi relativi alla loro carica.

La diligenza dei sindaci

Nell'area tipica del controllo sindacale, rientra il generale dovere di vigilare sull'osservanza della legge, in relazione alle finalità che vi sono sottese, nonché i compiti di vigilanza sulla tenuta della contabilità e sulla formazione del bilancio.

Con riferimento agli obblighi di cui all'art. 2403 c.c., che abbiano ad oggetto un facere non specificamente identificato, in conformità all'opinione consolidatasi nella vigenza della precedente disciplina, la condotta dei sindaci viene misurata in base al parametro della professionalità e della diligenza richieste dalla natura dell'incarico: in particolare, nel vigore della precedente disciplina, si era precisato che il diligente adempimento delle obbligazioni proprie dei sindaci non può esaurirsi nel solo espletamento delle attività specificamente indicate dalla legge, ma comporta l'obbligo di adottare ogni altro atto che sia necessario per lo svolgimento dell'incarico (v. così Cass. I, n. 9252/1997), oggi ad es. identificabile con la denuncia al tribunale ex art. 2409 c.c. ovvero nella segnalazione delle irregolarità dell'assemblea eventualmente convocata a norma dell'art. 2406 comma 2 c.c.

È bene sottolineare che i sindaci sono tenuti all'adempimento dei loro doveri anche quando si tratti di società nella quale gli amministratori sono gli unici soci, richiedendosi anzi in questo caso un accertamento particolarmente rigoroso (v. Cass., n. 9252/1997 cit.). Inoltre, la ricorrenza di una delle cause di ineleggibilità non esonera da responsabilità i sindaci che, senza dichiarare tale causa, abbiano accettato la carica e l'abbiano mantenuta per la durata dell'incarico (Trib. Catania 5 novembre 1999).

Responsabilità esclusiva e responsabilità concorrente.

La responsabilità di cui all'art. 2407 c.c. comma 1 ricorre indipendentemente da un inadempimento degli amministratori, allorché i sindaci non adempiano i doveri e gli obblighi posti direttamente a loro carico, sia come collegio, sia individualmente, diversi da quelli riconducibili al semplice controllo. Ipotesi tipiche sono la violazione del dovere di verità delle attestazioni e di rispettare il segreto d'ufficio (art. 2407, comma 1), nonché quelle relative agli obblighi gravanti sul collegio sindacale in caso di cessazione degli amministratori (artt. 2385, comma 3 e 2386, comma 5). La responsabilità esclusiva può riguardare sia il singolo sindaco che l'intero collegio, in modo da comportare, in quest'ultimo caso, una responsabilità solidale fra i suoi componenti. Onde evitare tale responsabilità, il sindaco dissenziente è tenuto a fare annotare il suo dissenso a norma dell'art. 2404, comma 4.

Ai fini di quanto previsto dal secondo comma della norma in commento, la responsabilità concorrente dei sindaci presuppone: a) la condotta illecita degli amministratori; b) l'omesso adempimento di un obbligo di controllo gravante sui sindaci; c) un pregiudizio patrimoniale; d) il nesso di causalità tra il comportamento omissivo dei sindaci e il danno patito dalla società o dai terzi (v. Cass. I, n. 2624/2000 secondo la quale “la responsabilità concorrente dei sindaci di una società per azioni per i comportamenti illegittimi degli amministratori ex art. 2407, comma 2, c.c., è modellata su quella degli amministratori medesimi. Pertanto, essi possono essere chiamati a rispondere, in via solidale con questi ultimi, dei danni cagionati non solo alla società o ai creditori sociali, ma anche ai terzi, o a singoli soci, da fatti od omissioni attribuibili agli amministratori, tutte le volte in cui non abbiano adeguatamente vigilato in conformità agli obblighi della loro carica. Ne consegue che la responsabilità dei sindaci è configurabile, ove ad essi sia addebitabile una tale omissione, anche in caso di violazione, da parte degli amministratori, del divieto, posto dall'art. 2449, primo comma, c.c., di intraprendere nuove operazioni in presenza di una causa di scioglimento della società”).

La condotta omissiva del sindaco si configura, normalmente, in riferimento al mancato esercizio di poteri cd. reattivi (ad es. in ipotesi di riduzione del capitale per perdite ovvero di divieto di nuove operazioni); può, altresì, consistere nel mancato accertamento della situazione anomala (è il caso del mancato intervento delle adunanze consiliari o dell'irregolare funzionamento dell'organo sul piano formale o sostanziale).

La responsabilità concorrente dei singoli sindaci cui sia imputabile l'omissione causalmente rilevante ha carattere solidale tanto nei rapporti con gli amministratori, quanto nei rapporti tra i sindaci stessi (Cass. I, n. 5444/1991): ne deriva che l'azione di responsabilità può essere proposta anche soltanto contro uno dei sindaci, senza che sia necessario evocare in giudizio gli altri (in particolare, costituisce orientamento costante della giurisprudenza che il diverso contributo causale di quanti – amministratori e sindaci – abbiano concorso a determinare l'insufficienza patrimoniale della società assuma rilievo soltanto nei rapporti interni tra i responsabili in solido, ai fini dell'eventuale azione di regresso, e non anche nei rapporti esterni nei confronti del terzo danneggiato; in tal senso v. Cass. I, n. 5287/1998).

Inoltre, qualora il danno sia imputabile in parte agli amministratori, in parte all'incauto comportamento dei creditori sociali, la responsabilità dei sindaci sarà limitata soltanto alla parte imputabile agli amministratori (v. Cass., n. 1375/2000 cit.).

La giurisprudenza reputa che la responsabilità prevista per i sindaci si estenda anche al sindaco supplente, in quanto istituzionalmente obbligato in ragione della sua carica a sostituire quello effettivo che non possa o non voglia esercitare l'ufficio (Cass. I, n. 6788/2012; di diverso avviso la dottrina).

Sul piano processuale, si precisa che le cause contro i sindaci per omessa vigilanza sono tra loro scindibili ed indipendenti, salvo alcuni casi particolari: a) quando siano connesse con la causa contro l'amministratore l'accertamento della cui responsabilità è presupposto necessario per l'affermazione della responsabilità dei sindaci medesimi (Cass. I, n. 7907/2012); b) nel caso in cui si tratti di persone evocate in giudizio nella qualità di componenti dello stesso organo collegiale e si verifichi interdipendenza tra le relative domande per l'esigenza di una valutazione globale degli atti posti in essere da detto organo (Cass. I, n. 20476/2008).

Le azioni di responsabilità : in particolare, la prescrizione

Giova premettere che può configurarsi una responsabilità sindacale verso la società, verso i creditori sociali, nonché come ora testualmente previsto, verso i singoli soci o terzi.

Le azioni di responsabilità nei confronti dei sindaci sono costruite sulla falsa riga di quelle esperibili nei confronti degli amministratori in forza del rinvio contenuto nell'art. 2407, comma 3, agli artt. 2393-2395: quanto alla legittimazione attiva, in virtù del rinvio all'art. 2393 bis, l'azione di responsabilità nei confronti dei sindaci può essere esercitata anche dai soci che rappresentino almeno un quinto del capitale sociale o diversa misura prevista nello statuto comunque non superiore al terzo. In giurisprudenza, si segnala Cass. I, n. 27389/2005 “anche se l'azione di responsabilità contro i sindaci viene adottata con il voto favorevole di almeno un quinto del capitale sociale non determina la revoca automatica dei sindaci dalla carica e non ne implica l'immediata sostituzione”.

Vale precisare che il decreto delegato del 2003 ha, in sostanza, recepito l'orientamento dominante secondo cui, nonostante il mancato richiamo nel testo precedente della norma, anche il singolo socio o il terzo, hanno la possibilità di intraprendere un'azione individuale di responsabilità nei confronti dei sindaci (così v. in giurisprudenza Cass., n. 2624/2000 cit.; Trib. Milano 21 ottobre 1999).

L'azione sociale di responsabilità contro i sindaci si prescrive nel termine di cinque anni previsto dal primo comma dell'art. 2949. Identico termine sembra applicabile nell'ipotesi di azione esercitata dai creditori sociali. Dibattuta rimane, anche dopo la riforma del diritto societario, la questione relativa al dies a quo del termine prescrizionale dell'azione di responsabilità nei confronti degli amministratori e dei sindaci. Si veda, in argomento, la recente Cass. I, n. 9416/2017 secondo la quale il dies a quo va individuato nel momento dell'oggettiva percepibilità, da parte dei creditori, dell'insufficienza dell'attivo a soddisfare i debiti (e non anche dall'effettiva conoscenza di tale situazione), che, a sua volta, dipendendo dall'insufficienza della garanzia patrimoniale generica (art. 2740 c.c.), non corrisponde allo stato d'insolvenza di cui all' art. 5 l.fall., derivante, "in primis", dall'impossibilità di ottenere ulteriore credito. In particolare, precisa la Corte che, in ragione della onerosità della prova gravante sul curatore, sussiste una presunzione "iuris tantum" di coincidenza tra il "dies a quo" di decorrenza della prescrizione e la dichiarazione di fallimento, ricadendo sull'amministratore la prova contraria della diversa data anteriore di insorgenza dello stato di incapienza patrimoniale, con la deduzione di fatti sintomatici di assoluta evidenza, la cui valutazione spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se non per vizi motivazionali che la rendano del tutto illogica o lacunosa (così anche Cass. I, n. 24715/2015). In dottrina ci si è, invece, interrogati sulla natura decadenziale o prescrizionale del termine.

L'azione di responsabilità prevista dall'art. 2394 è esercitabile dai creditori sociali soltanto quando il patrimonio sociale risulti insufficiente al soddisfacimento integrale delle loro ragioni, mentre l'azione di cui all'art. 2394 bis è riservata al curatore, al commissario liquidatore e al commissario straordinario, rispettivamente nei casi di fallimento, di liquidazione coatta amministrativa ed amministrazione straordinaria. Vale aggiungere che l'azione di responsabilità prevista dall'art. 2395, a differenza delle due precedenti ipotesi, prescinde sia dal fatto che l'agire doloso o colposo degli amministratori e dei sindaci abbia prodotto un danno alla società, sia dalla situazione, che giustifica l'azione dei creditori, di cui all'art. 2494, di insufficienza del patrimonio sociale a soddisfare le sue ragioni creditorie.

Fattispecie di responsabilità, regime probatorio, nesso di causalità.

Con riferimento alla natura dell’azione sociale di responsabilità promossa contro sindaci di società di capitali, la S.C. ha avuto modo di ribadirne la natura contrattuale (così Cass. I, n. 2975/2020 ), dal che deriva che l’attore sarà chiamato a provare la sussistenza delle violazioni contestate, il nesso di causalità tra di esse ed il danno verificatosi, mentre sul convenuto incombe l’onere di dimostrare la non imputabilità del fatto dannoso alla propria condotta fornendo la prova positiva dell’osservazione dei doveri e dell’adempimento degli obblighi imposti. Nel caso in cui tali comportamenti non siano però vietati in sé dalla legge o dallo statuto e l’obbligo di astenersi dal porli in essere discenda dal dovere di lealtà, l’illecito è integrato dal compimento dell’atto in violazione di uno di tali doveri.

È stato affermato che la configurabilità dell'inosservanza del dovere di vigilanza imposto ai sindaci dall'art. 2407, comma 2, c.c. non richiede l'individuazione di specifici comportamenti che si pongano espressamente in contrasto con tale dovere, ma è sufficiente che essi non abbiano rilevato una macroscopica violazione o comunque non abbiano in alcun modo reagito di fronte ad atti di dubbia legittimità e regolarità, così da non assolvere l'incarico con diligenza, correttezza e buona fede, eventualmente anche segnalando all'assemblea le irregolarità di gestione riscontrate o denunciando i fatti al Pubblico Ministero per consentirgli di provvedere ai sensi dell'art. 2409 c.c. (in tal senso si veda Cass. I ord. n. 16314/2017).

Ricorre, in particolare, la responsabilità dei sindaci allorché sia dimostrato che il detto organo non abbia svolto il doveroso controllo in ordine alla violazione da parte degli amministratori del divieto di nuove operazioni dopo il verificarsi di una causa di scioglimento della società. In tale ipotesi, secondo la più recente giurisprudenza di legittimità, il danno imputabile agli organi della società fallita non può essere automaticamente identificato nella differenza tra attivo e passivo accertato in sede concorsuale. Tuttavia, la giurisprudenza ammette la possibilità di rifarsi a quel criterio, in via equitativa, quando non soccorrano elementi sufficienti per una più precisa individuazione del pregiudizio cagionato alla società dalle nuove operazioni vietate e sempre che, ovviamente, ricorrano le condizioni previste dall'art. 1226 c.c. (si vedano al riguardo, in particolare, Cass. I, n. 3032/2000 e Cass. I, n. 2538/2000). Ma v. infra per approfondimenti.

In caso di dimissioni del sindaco e successiva sostituzione, si è affermata da parte di Cass. I, n. 9416/2017 la responsabilità del sindaco dimissionario. In particolare, è controverso in dottrina e in giurisprudenza quale debba essere la decorrenza di effetti della rinuncia all'incarico da parte di un sindaco di società di capitali, e, soprattutto, se possa estendersi analogicamente ai sindaci la disposizione dell'art. 2385 c.c. sulla proroga degli amministratori. Deve rilevarsi, al riguardo, che, diversamente da quanto accade per gli amministratori, per i sindaci sono previsti supplenti, cui è dovuta solo la comunicazione del subentro (Cass. I, n. 6788/2012), avendo già preventivamente accettato la carica. Sicché, un problema di prorogatio può porsi per i sindaci solo quando il numero dei dimissionari sia superiore al numero dei supplenti. Secondo quanto argomentato dalla Corte, la rinuncia non può avere effetti immediati, ipotizzabili solo "quando sia possibile l'automatica sostituzione del dimissionario con un sindaco supplente" (Cass. I, n. 5928/1986). In particolare, poi, la S.C. ha evidenziato come, nel caso concreto, non potesse assegnarsi rilevanza all'iscrizione nel registro delle imprese del nome dei nuovi sindaci, posto che non risultava fosse stata annotata nel registro la cessazione dei dimissionari, prescritta già dal testo dell'art. 2400 c.c. all'epoca vigente. La stessa previsione della necessaria nomina di supplenti, infatti, è evidente espressione di un'esigenza di continuità dell'organo di controllo del tutto analoga all'esigenza di continuità dell'organo di amministrazione salvaguardata dall'art 2385 c.c.; e giustifica, pertanto, la conclusione di un'applicazione, quantomeno analogica, della disciplina sulla proroga.

Sussiste, altresì, la responsabilità dei sindaci in caso di mancata impugnazione della delibera approvativa del bilancio (artt. 2377 - 2379 c.c.): in particolare, viene imputata la responsabilità all'organismo di controllo, allorché il bilancio sia affetto da manchevolezze o da irregolarità tali da determinarne l'illegittimità. Vale segnalare, al riguardo, la sentenza Cass. I, n. 3032/2005 nella parte in cui evidenzia che: 1) i sindaci sono tenuti al controllo anche dei bilanci precedenti all'epoca dell'assunzione della carica allorché gli stessi abbiano riflessi sulla contabilità dell'esercizio successivo; 2) essendo il bilancio frutto della cooperazione degli amministratori, che lo predispongono, e dell'assemblea, che lo approva, l'eventuale violazione dei principi inderogabili di redazione e dei criteri di valutazione imposti dalla legge certamente legittima anche il collegio sindacale ad insorgere impugnando dinanzi al giudice la deliberazione approvativa del bilancio illecito); 3) il richiamo alla diligenza del mandatario, contenuto nell'art. 2407 c.c. vecchia formulazione, implicava pur sempre che i sindaci dovessero assolvere i loro compiti in modo da corrispondere all'interesse della società che li aveva nominati (nonché dai terzi che sull'integrità del patrimonio sociale facciano legittimo affidamento) ed, in particolare, che la funzione di controllo di legalità sostanziale loro assegnata dovesse essere effettiva e potersi concretamente esplicare in rapporto all'attività specificamente svolta da quell'impresa.

Quanto al nesso causale, il relativo accertamento presuppone la verifica che un diverso e più diligente comportamento dei sindaci nell'esercizio dei loro compiti (tra cui la mancata tempestiva segnalazione della situazione agli organi di vigilanza esterni) sarebbe stato idoneo ad evitare le disastrose conseguenze degli illeciti compiuti dagli amministratori. In particolare, per quanto riguarda gli atti di gestione, per raggiungere la prova che un diverso comportamento del collegio sindacale sarebbe valso ad evitare il danno, si deve dimostrare che l'inerzia dei sindaci o la loro insufficiente vigilanza sono state causa o concausa dell'evento pregiudizievole. Secondo la dottrina prevalente, è impensabile che con i poteri che il legislatore ha riservato al collegio sindacale questo potrebbe concretamente evitare il danno, ad esempio influendo direttamente nella gestione della società. Il collegio sindacale non ha poteri di veto sull'attività degli organi sociali, eccetto la facoltà di impugnazione prevista dall'art. 2377, comma 2, delle delibere assembleari contrarie alla legge o all'atto costitutivo e quella prevista dall'art. 2391, comma 3, per le delibere del consiglio di amministrazione assunte in situazione di conflitto di interesse. L'intervento del collegio si sostanzia unicamente nella segnalazione dell'inadempimento, senza possibilità di agire direttamente per evitarlo: se ha provveduto a segnalare il suo dissenso, con le modalità previste dalla legge, la sua responsabilità è da considerarsi esclusa (in tal senso v. Cass. I, n. 2538/2005; Trib. Milano 13 novembre 2006)

In punto di onere della prova, la S.C. ha avuto modo di precisare che compete al curatore che eserciti l'azione di responsabilità contro gli organi di una società fallita fornire la prova dell'esistenza del danno e del nesso di causalità; nondimeno, si è ammessa la possibilità di un'inversione dell'onere della prova, quando la mancanza o l'irregolare tenuta delle scritture contabili rendano quella prova impossibile, perché in tal caso la citata condotta, integrando la violazione di specifici obblighi di legge in capo agli amministratori, è di per sè idonea a tradursi in un pregiudizio per il patrimonio della società (si veda Cass. I, n. 7606/2011). In tal caso, però, il giudice del merito deve non solo indicare le ragioni che non hanno permesso l'accertamento degli specifici effetti pregiudizievoli riconducibili alla condotta dei convenuti in responsabilità, ma anche la plausibilità logica del ricorso a detto criterio, facendo riferimento alle circostanze del caso concreto.

La liquidazione del danno.

In epoca più risalente, si è affermato che il danno risarcibile può senz'altro essere identificato nella differenza tra l'attivo acquisito ed il passivo accertato nel corso della procedura concorsuale (cfr. Cass. I, n. 6493/1985; Cass. I, n. 1281/1977).

In altri casi, è stata affermata la necessità di procedere alla verifica del risultato economico delle singole operazioni pregiudizievoli per la società, di volta in volta poste in essere dagli amministratori ed eventualmente agevolate dall'omesso controllo dei sindaci in violazione dei rispettivi doveri giuridici (cfr., in motivazione, Cass. I, n. 5823/1989).

In tempi più recenti, la Corte ha evidenziato che, in caso di fallimento della società, il danno imputabile agli amministratori che abbiano compiuto operazioni illegittime (ed ai sindaci per responsabilità concorrente), non può automaticamente identificarsi nella differenza tra attivo e passivo del fallimento, dovendo applicarsi le regole sul nesso di causalità materiale; tuttavia, detto danno può essere commisurato a tale differenza, in mancanza di prova di un maggior pregiudizio, se dalla violazione dei doveri degli amministratori e sindaci sia dipeso il dissesto economico ed il conseguente fallimento della società (Cass. I, n. 9352/1997) oppure per l'impossibilità di determinare in modo specifico il nesso esistente tra le singole violazioni in cui siano incorsi gli amministratori stessi e l'ammontare del danno globalmente accertato, ove questa impossibilità sia conseguenza del fatto che le scritture contabili sono state tenute in modo da impedire la ricostruzione a posteriori delle vicende societarie (Cass. I, n. 3483/1998).

Ancora più di recente Cass., n. 3032/2005 cit. sottolinea come i principi da cui è retto il risarcimento del danno civile impongano l'individuazione di un preciso nesso di causalità tra il comportamento illegittimo di cui taluno è chiamato a rispondere e le conseguenze che ne siano derivate nell'altrui sfera giuridica, richiedendo che di tale nesso sia fornita la prova da parte di chi il risarcimento invoca. Ne deriva che, se da un lato, l'utilizzo sic et simpliciter del criterio differenziale non è accettabile, dovendosi rifiutare qualsiasi automatismo, dall'altro quel medesimo criterio può soccorrere quale parametro cui ancorare una liquidazione equitativa, una volta che sia accertata l'impossibilità di ricostruire i dati in modo così analitico da individuare le conseguenza dannose del singoli atti illegittimi imputati ad amministratori e sindaci della società.

Il ricorso al criterio differenziale di liquidazione del danno dunque sarà giustificato solo a condizione che: 1) vengano specificamente individuate le operazioni compiute dall'organo sociale in violazione del divieto legale; 2) che sia chiarito per quale ragione il mancato rinvenimento delle scritture contabili abbia reso impossibile (o estremamente difficile) individuare e provare da parte della curatela attrice gli effetti negativi che quelle operazioni abbiano avuto sul patrimonio sociale; 3) che, avuto riguardo alla natura ed alle caratteristiche di siffatte operazioni, venga giustificata la plausibilità dell'assunto secondo cui il pregiudizio da esse arrecato sia rapportabile alla differenza tra l'attivo ed il passivo fallimentare (in tal senso si veda anche Cass., n. 11155/2012 cit.).

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