Atto di citazione di risarcimento danni per perdita di valori custoditi in cassetta di sicurezza.

Andrea Penta
aggiornata da Francesco Agnino

Inquadramento

Con l'atto di citazione il titolare di una cassetta di sicurezza svuotata nel corso di una rapina da parte di malviventi rimasti ignoti, chiede all'istituto di credito il risarcimento dei danni patrimoniali subìti in conseguenza della perdita dei valori, evidenziando la mancata adozione di congegni tecnici e degli accorgimenti necessari per garantire la sicurezza della cassetta, nonché la non configurabilità di un caso fortuito, e deducendo la vessatorietà delle clausole di esonero della responsabilità della banca.

Formula

 TRIBUNALE ORDINARIO DI .... 1

ATTO DI CITAZIONE

Sig. ...., nata a .... il ...(C.F. 2 n. ....), Sig. ...., nata a .... il ...( C.F. n. ....), e Sig. ...., nata a .... il ...( C.F. n. ....), residenti tutte in ...., alla via .... n. ...., ed elettivamente domiciliate in ...., alla via .... n. ...., presso lo studio dell'avvocato .... (codice fiscale .... - fax .... - PEC .... 3), che le rappresenta e difende, in forza di procura speciale in calce (oppure a margine) del presente atto;

PREMESSO CHE

- è titolare di conti correnti presso l'Agenzia di .... della Banca ....;

- è altresì titolare della cassetta di sicurezza n. ...., nella quale aveva riposto beni, quali orologi, verette, anelli, ciondoli, bracciali, collane e collanine, etc. (come da analitica denuncia che si allega – doc. 1 -);

- in data .... la cassetta di sicurezza di sua proprietà, unitamente ad altre, è stata svuotata nel corso di una rapina da parte di malviventi, ad oggi ancora ignoti;

- l'asportazione dei beni contenuti nella cassetta di sicurezza è stata resa possibile dalla mancanza di accorgimenti predisposti da parte dell'istituto convenuto idonei a proteggere i beni ad esso affidati;

- infatti, i malviventi sono penetrati nell'istituto aprendo un varco in una parete in muratura a comune con una cabina Enel, alla quale si accede da una normale porta metallica posta sulla facciata dell'edificio e, precisamente, dalla pubblica strada denominata Via ....;

- inoltre, la stanza adibita ad archivio, attraverso la quale i malviventi sono penetrati nell'istituto, non è provvista di impianto di allarme o di altro apparato di sicurezza, come lo stesso direttore della filiale della banca gli ha riferito, in presenza di altre persone;

- ancora, la porta di detta stanza è un normale paravento in legno e vetro senza alcuna sicurezza, per cui, una volta penetrati all'interno della stanza archivio, i malviventi non hanno incontrato alcun altro ostacolo verso il locale ove erano ubicate le cassette di sicurezza;

- al momento dell'ingresso nell'edificio dei malviventi, mentre il caveau era chiuso (per mezzo dell'impianto di temporizzazione), il locale nel quale si trovavano le cassette era aperto;

- i malviventi non hanno trovato particolari difficoltà a forzare le cassette di sicurezza, in quanto le stesse avevano delle semplici serrature, del tipo di quelle che si trovano nei normali negozi di ferramenta;

- il furto (o la rapina) è stato regolarmente denunziato ed è stata avanzata richiesta di risarcimento del danno alla banca a mezzo di lettera raccomandata a.r. (doc. 2), alla quale è seguita la lettera (doc. 3) della banca con cui dichiara di non accogliere la sua richiesta;

- in ogni caso, la banca, in detta missiva, sostiene che l'uso della cassetta fosse stato concesso per la custodia di cose del valore complessivo non superiore ad euro ....;

- i beni sottratti all'attore avevano un valore commerciale di euro ...., come risulta dalle stime effettuate dalla .... (doc. 4);

- secondo una giurisprudenza ormai consolidata, la banca, per liberarsi dall'obbligo di risarcire i danni subiti dal cliente la cui cassetta di sicurezza sia stata svaligiata, ha l'obbligo di provare il verificarsi del caso fortuito, che non può certo essere integrato dal fatto del furto;

- parimenti, la giurisprudenza prevalente ritiene che siano nulle, per violazione dell'art. 1229 c.c., le clausole con le quali le banche limitano la propria responsabilità entro un determinato massimale;

- pertanto, la clausola di cui all'art. .... del contratto sottoscritto dall'attore è nulla e, conseguentemente, improduttiva di qualsivoglia effetto;

- inoltre, la clausola stessa è anche inefficace, perché non debitamente sottoscritta ai sensi e per gli effetti di cui agli artt. 1341 e 1342 c.c., essendo senza dubbio limitativa della responsabilità del debitore e, quindi, da approvarsi specificamente ai sensi dell'art. 1341, 2° comma, c.c.;

- nel caso di specie, l'attore si è limitato ad accettare, ai sensi e per gli effetti di cui al 2° comma dell'art. 1341 c.c., solo gli artt. .... e, dunque, ne consegue l'assoluta inefficacia della clausola invocata dalla banca per limitare la propria responsabilità;

- il coordinamento degli artt. 1218,1176 e 1839 c.c. consente di precisare, da un lato, il parametro di diligenza con cui andava apprestato il servizio e l'alto grado di professionalità richiesto al bonus argentarìus e, dall'altro, di individuare i contenuti dell'onere probatorio della banca, la quale deve non solo dimostrare di essersi munita di tutti i congegni tecnici e degli accorgimenti consentiti dalla scienza e dall'esperienza del momento, ma anche fornire la prova del fatto positivo (caso fortuito, cui va equiparata la forza maggiore), solo in presenza del quale resta esclusa anche la colpa lieve;

- ai fini della prova del fortuito, non è sufficiente la dimostrazione del furto in quanto tale, trattandosi di situazione prevedibile dalla banca;

- in data .... è stato esperito con esito negativo il procedimento di negoziazione assistita di cui all'art. 3 del d.l. 12 settembre 2014, n. 132, convertito in l. 10 novembre 2014, n. 162, come risulta dalla diffida inviata in data .... con raccomandata a/r n. ...., in cui l'attore ha espressamente invitato la controparte a stipulare una convenzione di negoziazione con le seguenti modalità ... 4;

- tale invito non è stato seguito da adesione (oppure) è stato seguito da rifiuto entro trenta giorni dalla sua ricezione (oppure) è decorso il periodo di tempo di cui all'articolo 2, comma 2, lettera a), del d.l. citato, come risulta da ....

Tutto ciò premesso, i Sigg. ...., come sopra rappresentati e difesi,

CITA

la ...., con sede legale in ...., alla via .... n. .... (C.F. e P.I. n. ....), in persona del legale rappresentante pro tempore, sig. ...., nato a .... il .... (codice fiscale ....), residente in .... nella via .... n. ...., a comparire innanzi il Tribunale ordinario di ...., Sezione e Giudice Istruttore a designarsi ai sensi dell'art. 168-bis c.p.c., all'udienza del .... , ora di rito, con invito alla parte convenuta a costituirsi nel termine di settanta giorni prima dell'udienza indicata ai sensi e nelle forme stabilite dall'articolo 166 e a comparire, nell'udienza indicata, dinanzi al giudice designato ai sensi dell'articolo 168-bis,

AVVERTE

il convenuto che:

  • la costituzione oltre i suddetti termini implica le decadenze di cui agli articoli 38 e 167 c.p.c.,
  • la difesa tecnica mediante avvocato è obbligatoria in tutti i giudizi davanti al tribunale, fatta eccezione per i casi previsti dall'articolo 86 c.p.c. o da leggi speciali,
  • la parte, sussistendone i presupposti di legge, può presentare istanza per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato;

per ivi sentire accogliere le seguenti

CONCLUSIONI

Voglia l'Ill.mo Tribunale adito, respinta ogni contraria istanza, deduzione o eccezione:

previa declaratoria della sua esclusiva responsabilità, condannare la convenuta al risarcimento della somma di Euro ...., oltre interessi e rivalutazione monetaria, con decorrenza dal fatto illecito;

con vittoria di spese e compensi professionali di avvocato, oltre IVA e CPA come per legge.

Si deduce prova per testi sui seguenti capitoli: 1) Vero che ....; 2) .... Si indicano quali testimoni i signori ....

Si depositano i documenti 1), 2), 3) e 4) indicati in narrativa.

Si riserva di produrre altri documenti e di articolare ulteriori mezzi istruttori con le memorie di cui all'art. 183, co. 6, c.p.c., la concessione dei cui termini sin da ora viene richiesta.

Ai sensi dell'art. 14 d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 («Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia»), si dichiara che il valore del presente procedimento è pari a Euro .... e, pertanto, il contributo unificato è dovuto nella misura di Euro ....

Luogo e data....

Firma Avv. ....

PROCURA SPECIALE SE NON APPOSTA A MARGINE

[1] La competenza per valore spetta al Giudice di Pace ove la somma richiesta sia inferiore ad euro venticinquemila e la relativa domanda si propone con ricorso chiedendo la fissazione, ai sensi dell'art. 281undecies comma 2 c.p.c., con decreto emesso entro cinque giorni dalla designazione del Giudice, l'udienza di comparizione delle parti, con concessione del termine per la notificazione del ricorso e del decreto di fissazione di udienza e assegnazione del termine per la costituzione dei convenuti che dovrà avvenire non oltre dieci giorni prima dell'udienza, con avvertimento che la mancata costituzione o la costituzione oltre i termini comporterà le decadenze di cui agli artt. 38,167 e 281 undecies, comma 3 e 4 c.p.c., che la difesa tecnica mediante avvocato è obbligatoria in tutti i giudizi davanti al tribunale, fatta eccezione per i casi previsti dall'articolo 86 o da leggi speciali, e che esso convenuto, sussistendone i presupposti di legge, può presentare istanza per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, che in caso di mancata costituzione si procederà in sua legittima e dichiaranda contumacia. In tema di competenza per territorio, ai fini della determinazione dei fori facoltativi alternativamente previsti dall'art. 20 c.p.c. (forum contractus e forum destinatae solutionis), va intesa come “obbligazione dedotta in giudizio” l'obbligazione nascente dal controverso contratto, sia che di essa si chieda l'adempimento o l'accertamento, quale petitum della domanda giudiziale, sia che di essa venga prospettato l'inadempimento come causa petendi della domanda, mirante a conseguire, per effetto dell'inadempimento stesso, la risoluzione contrattuale ed il risarcimento dei danni. Parimenti, nell'ipotesi di sola richiesta di risarcimento del danno da inadempimento contrattuale, per la determinazione del foro competente deve farsi riferimento non già al luogo ove si è verificato l'inadempimento, ma a quello in cui si sarebbe dovuta eseguire la prestazione rimasta inadempiuta o non esattamente adempiuta, della quale il risarcimento è sostitutivo (vale a dire, quella originaria e primaria rimasta inadempiuta, non quella derivata e sostitutiva), e ciò anche quando il convenuto contesti in radice l'esistenza della obbligazione stessa. Pertanto, per giudice del luogo dove è sorta l'obbligazione non deve intendersi quello del luogo in cui, verificandosi il danno, è sorto il relativo diritto al risarcimento.

[2] [2] In tutti gli atti introduttivi di un giudizio e in tutti gli atti di prima difesa devono essere indicati le generalità complete della parte, la residenza o sede, il domicilio eletto presso il difensore ed il codice fiscale, oltre che della parte, anche dei rappresentanti in giudizio (art. 23, comma 50, d.l. 6 luglio 2011, n. 98, conv., con modif., dalla l. 15 luglio 2011, n. 111). L'indicazione del codice fiscale dell'avvocato è prevista, oltre che dall'art. 23, comma 50, d.l. 98/2011, conv. con modif. dalla legge n. 111/2011, dall'art. 125, comma 1, c.p.c., come modificato dall'art. 4, comma 8, d.l. 193/2009 conv. con modif. dalla legge n. 24/2010.

[3] [3] A partire dal 18 agosto 2014, gli atti di parte, redatti dagli avvocati, che introducono il giudizio o una fase giudiziale, non devono più contenere l'indicazione dell'indirizzo di PEC del difensore: v. art. 125 c.p.c. e art. 13, comma 3-bis, d.P.R. n. 115/2002, modificati dall'art. 45-bis d.l. n. 90/2014 conv., con modif., dalla legge 114/2014.

L'indicazione del numero di fax dell'avvocato è prevista dall'art. 125 c.p.c. e dall'art. 13, comma 3-bis, d.P.R. n. 115/2002, modificati dall'art. 45-bis d.l. 90/2014, conv. con modif., dalla legge n. 114/2014. Ai sensi dell'art. 13, comma 3-bis, d.P.R. cit., «Ove il difensore non indichi il proprio numero di fax ...ovvero qualora la parte ometta di indicare il codice fiscale .... il contributo unificato è aumentato della metà».

[4] [4] E' obbligatorio il ricorso alla procedura di negoziazione assistita (che costituisce condizione di procedibilità della domanda giudiziale) nelle ipotesi in cui la somma pretesa non superi l'importo di 50.000 euro (art. 3 d.l. 132/2014, conv. con modif. in l. n. 162/2014) e dovrà essere prodotta la relativa documentazione. Va, in proposito, ricordato che la negoziazione è prescritta, quando si intende proporre in giudizio una domanda di pagamento a qualsiasi titolo di somme non eccedenti 50.000 euro, ad eccezione delle controversie assoggettate alla disciplina della c.d. mediazione obbligatoria (in altri termini, la procedura di negoziazione assistita non opera quando è prevista la mediazione obbligatoria). Ebbene, quest'ultima non è prescritta in subiecta materia, se si fa eccezione per il risarcimento del danno derivante da responsabilità medica. In ogni caso, la negoziazione non è condizione di procedibilità della domanda giudiziale (e, quindi, è sempre e solo volontaria) per le controversie concernenti obbligazioni contrattuali derivanti da contratti conclusi tra professionisti e consumatori (art. 3 legge n. 162/2014).

Commento

Premessa.

In generale, la banca, svolgendo attività professionale, deve adempiere a tutte le obbligazioni, con la diligenza particolarmente qualificata dell'accorto banchiere, assunte nei confronti dei propri clienti, non solo con riguardo all'attività di esecuzione di contratti bancari in senso stretto, ma anche in relazione ad ogni tipo di operazione oggettivamente esplicata (art. 1176 c.c.). Pertanto, la banca risponde di tutti i rischi tipici della sua sfera professionale per la cui eliminazione non ha provveduto alla adozione di mezzi idonei.

Nel servizio bancario delle cassette di sicurezza, il rapporto contrattuale ha ad oggetto la sicurezza dei locali nei quali si trovano le cassette ed è la cassetta - e non i beni in essa immessi - l'oggetto dell'obbligo di custodia in capo alla banca; in caso di violazione dell'obbligo di custodia, la banca è esente da responsabilità solo per il caso fortuito, dovendosi considerare l'alto grado di professionalità e la diligenza nell'adempimento ragguagliabile alla condotta del bonus argentarius (Trib. Lucca 25 marzo 2016 n. 678).

Il contenuto di una cassetta di sicurezza costituisce una circostanza di fatto generalmente non divulgata, attesa la prioritaria esigenza di riservatezza che caratterizza la scelta di questo servizio bancario. Ne consegue che, in tema di prova del suo contenuto (e, quindi, dell'entità del danno patrimoniale subìto), la parte ben può ricorrere alle deposizioni degli stretti familiari e il giudice è tenuto a non sottovalutare od ignorare, se coerenti con l'insieme dei riscontri probatori, elementi di fatto, quali la denuncia penale, solo perché di provenienza unilaterale, dovendosi sempre tenere conto, nell'esame e selezione del materiale probatorio, della peculiarità dei fatti da dimostrare (Cass. n. 8945/2012).

Le clausole limitative della responsabilità della banca.

Anche quando il fatto illecito integra gli estremi del reato, la sussistenza del danno patrimoniale non può mai essere ritenuta in re ipsa, ma va sempre debitamente allegata e provata da chi lo invoca, anche attraverso presunzioni semplici (Cass. n. 17490/2012).

Per quanto parte della giurisprudenza di merito sembra essere di opinione contraria (cfr. App. Palermo 17 luglio 2012, secondo cui la clausola che contempli la limitazione dell'indennizzo ad un determinato importo, escludendo la responsabilità risarcitoria della banca oltre il suddetto importo per la perdita degli oggetti custoditi, integra un patto limitativo del debito risarcitorio della banca ed è, pertanto, contraria alla disposizione dell'art. 1229 c.c.), la Suprema Corte è dell'avviso che, in tema di contratto bancario per il servizio delle cassette di sicurezza, la clausola negoziale che disponga che l'uso delle cassette sia concesso per la custodia di cose di valore complessivo non superiore ad un certo limite e che comporti l'obbligo dell'utente di non conservare nella cassetta medesima cose aventi nell'insieme valore superiore a detto importo, in correlazione con altra che, in caso di risarcimento del danno verso l'utente, imponga di tenere conto della clausola precedentemente indicata (e, cioè, neghi oltre detto ammontare la responsabilità della banca per la perdita dei beni medesimi, lasciando sul cliente gli effetti pregiudizievoli ulteriori), vada qualificata come attinente alla limitazione della responsabilità (integrando un patto limitativo non dell'oggetto del contratto, ma del debito risarcitorio della banca). Invero, una clausola di tal genere fissa un massimale all'entità del danno dovuto in dipendenza dell'inadempimento all'obbligo di tutelare il contenuto della cassetta (obbligo svincolato da quel valore, alla stregua della segretezza delle operazioni dell'utente; cfr., nello stesso senso, Cass. n. 3389/2003 e Cass. n. 9640/1999). Ne consegue che, essendo tale clausola valida nei limiti di cui all'art. 1229, comma 1, c.c., la banca è tenuta a rispondere soltanto per dolo o per colpa grave, operando l'esonero da responsabilità in caso di colpa lieve anche per l'ipotesi di furto (con obbligo, quindi, di pagamento della sola somma oggetto della clausola limitativa di responsabilità contenuta nel contratto stipulato), pur in mancanza di prova del caso fortuito (cfr. Cass. n. 28314/2011, in un caso in cui era stato perpetrato da ignoti ladri un furto nel caveau di un istituto bancario, dal quale era stato asportato il contenuto di centinaia di cassette di sicurezza, tra cui anche quella della quale erano titolari gli attori nella controversia oggetto della sentenza).

Nella fattispecie analizzata dalla pronuncia da ultimo menzionata era stato accertato che la banca aveva provato in fatto di essersi munita di tutti i congegni tecnici e di tutti gli accorgimenti consentiti dalla scienza e dall'esperienza del momento, fornendo anche la prova del fatto negativo, rappresentato dall'assenza di colpa grave per il mancato coinvolgimento dei dipendenti, ravvisandosi dunque solo elementi di colpa lieve, essendosi verificato il furto grazie all'uso di tecniche sofisticate (all'epoca ignote a chi aveva il compito della prevenzione), con conseguente diritto al risarcimento del cliente entro il limite di valore convenzionalmente previsto (in senso sostanzialmente conforme cfr. Cass. n. 20948/2009 e Cass. n. 28067/2008).

Parimenti, la clausola negoziale che limiti il risarcimento del danno da parte della banca (ad es., per furto) nell'ambito del valore massimo dei beni introdotti nella cassetta, ancorché tale valore sia ragguagliato a vari livelli di canone, senza tuttavia che sia evidenziato preventivamente il divieto per il cliente di custodirvi valori eccedenti il pattuito, non delimita l'oggetto del contratto - con il quale la banca non assume l'obbligo della custodia e della garanzia delle cose contenute nella cassetta, bensì quello di fornire locali idonei, di custodirli e di garantire l'integrità della cassetta -, ma integra un patto di esonero di responsabilità, il quale è nullo, ai sensi dell'art. 1229, comma 1, c.c., nell'ipotesi in cui il danno derivi da colpa grave della banca, senza che tale clausola possa influire sulla limitazione quantitativa del danno risarcibile, ex art. 1225 c.c., sotto il profilo della prevedibilità del danno stesso (Cass. n. 20948/2009).

Ha natura vessatoria, siccome abusiva, la clausola riguardante il servizio di cassette di sicurezza nella parte in cui - dopo aver fatto obbligo al cliente di dichiarare il massimale assicurativo adeguato a coprire il rischio della banca - prevede che il cliente sottoscriva una dichiarazione integrativa con la quale prende atto della facoltà della banca di richiedere il risarcimento dei danni subiti in conseguenza della mancata corrispondenza del massimale indicato all'effettivo valore delle cose contenute in cassetta (Cass. n. 13051/2008), in quanto consente a favore della banca limitazioni di responsabilità.

È ugualmente abusiva la clausola che permette alla banca di modificare unilateralmente le condizioni del contratto di conto corrente, in mancanza di giustificato motivo. Tale clausola, infatti, non può considerarsi riproduttiva dell'art. 118 d.lgs. n. 385/93 e, di conseguenza, non soggetta al sindacato di abusività ex art. 1469-ter c.c. (ora art. 34 Cod. cons.).

Parimenti, ha natura vessatoria sia la clausola relativa al servizio di cassette di sicurezza che limita la responsabilità contrattuale del professionista, in caso di danneggiamento o distruzione delle cose custodite, ai soli danni comprovati ed obiettivi, con esclusione del valore d'affezione, assumendo come limite quantitativo del risarcimento il valore dichiarato dal cliente ed il conseguente massimale assicurativo, sia quella che riconosce alla banca il diritto al risarcimento dei danni derivanti dalla mancata corrispondenza tra il valore dichiarato dal cliente e il valore effettivo, per essere, entrambe, oltre che lesive del divieto di limitazione della responsabilità contrattuale in caso di dolo o colpa grave, contenuto nell'art. 1229, comma 1, c.c., anche produttive di un significativo ed ingiustificato squilibrio tra le parti ex art. 1469-bis, comma 1, c.c., o, in caso di clausola formante oggetto di trattativa, ex art. 1469-quinquies, comma 2, n. 2, c.c., in quanto dirette a limitare il diritto del consumatore ad agire, in caso d'inadempimento del professionista, anche per colpa lieve.

La ripartizione dell'onere probatorio.

In materia di locazione di cassette di sicurezza, la banca – in caso di furto - risponde verso l'utente per l'idoneità e la custodia dei locali, nonché per l'integrità della cassetta, salvo il caso fortuito: la banca, quindi, in assenza di clausole limitative della responsabilità (v. supra), può liberarsi solo dando prova positiva del caso fortuito, non anche dimostrando la non imputabilità a titolo di dolo o colpa (Trib. Reggio Calabria 3 maggio 2013).

Che l'avvenuto furto abbia assunto carattere di violenza tale da farlo trasmodare in rapina non muta la situazione, in presenza di una dimostrata serie di manchevolezze nella gestione del servizio da parte della banca (App. Milano 2 luglio 2005).

Pertanto, nel caso di sottrazione dei beni custoditi nella cassetta di sicurezza a seguito di furto — il quale non integra il caso fortuito, in quanto è evento prevedibile, in considerazione della natura della prestazione dedotta in contratto —, grava sulla banca, ai sensi dell'art. 1218 c.c. (il regime processuale della responsabilità contrattuale stabilito dall'art. 1218 c.c. per cui grava sul debitore una presunzione di colpa e, quindi, l'onere di provare la non imputabilità dell'inadempimento si giustifica con il fatto che la prestazione ricade nella sfera di controllo del debitore ed è sottratta al controllo del creditore; Cass. n. 7081/2005), l'onere di dimostrare che l'inadempimento dell'obbligazione di custodia è ascrivibile ad impossibilità della prestazione ad essa non imputabile (per avere tempestivamente predisposto impianti rispondenti alle più recenti prescrizioni in tema di sicurezza raccomandate nel settore), non essendo sufficiente, ad escludere la colpa, la prova generica della sua diligenza (essendo esteso detto onere probatorio sino al limite della dimostrazione dell'assenza di qualunque colpa, anche in quanto la prestazione alla quale è tenuta la banca ricade nella sua sfera di controllo, con la conseguenza che il creditore neppure ha la possibilità di identificare nel suo contenuto l'atto colposo che ha determinato l'inadempimento; Cass. n. 28835/2011; Cass. n. 7081/2005). L'onere della prova a carico della banca in ordine all'assenza di colpa grave può, quindi, avere ad oggetto l'accertamento della previsione e concreta attivazione di misure di prevenzione dei furti adeguate alle conoscenze dell'epoca (cfr. Cass. n. 19363/2011, in una fattispecie in cui il furto era stato consumato mediante l'utilizzo di sistemi elettronici altamente sofisticati e idonei a neutralizzare gli elementi di allarme).

Non è configurabile, in caso di furto degli oggetti immessi in una cassetta di sicurezza, una esclusione o una limitazione dell'obbligo risarcitorio della banca, che si fondi sull'assenza di esplicite informazioni da parte dell'utente circa l'uso intensivo della cassetta, non essendo ascrivibili al cliente doveri di informativa in tal senso (Cass. n. 14462/2004). Con la conseguenza che tale mancata comunicazione non è suscettibile di circoscrivere l'obbligo risarcitorio della banca sotto il profilo della imprevedibilità del danno, per gli effetti dell'art. 1225 c.c.

Non è sufficiente, al fine di escludere la colpa, la mera registrazione dell'impossibilità di spiegare le cause del furto, essendo il dubbio l'opposto della prova.

La Suprema Corte ha affermato che il parametro di valutazione della relativa responsabilità, individuato dall'art. 1839 c.c. nell'idoneità dei locali ed integrità della cassetta, salvo il caso fortuito, deve necessariamente raccordarsi non solo con quanto previsto in tema di clausole di esonero dalla responsabilità dall'art. 1229 c.c. (v. supra), ma anche con il principio di cui all'art. 1176, comma 2, c.c., il quale stabilisce che, per le obbligazioni inerenti all'esercizio di un'attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell'attività esercitata, con la conseguenza che, dovendo l'esercizio dell'attività bancaria ispirarsi al criterio di alta diligenza professionale, è configurabile una colpa grave in caso di inadempimento derivante dall'omessa o insufficiente predisposizione delle cautele e delle misure atte a prevenire i furti dei beni custoditi nelle cassette (cfr. Cass. n. 3389/2003). A tal fine, occorre far riferimento non solo al locale dov'è materialmente collocata la cassetta, ma anche a tutto il complesso bancario attraverso il quale è possibile accedere alla cassetta stessa (in applicazione del succitato principio, Cass. n. 23412/2009, ha rigettato il ricorso avverso la sentenza impugnata che aveva ritenuto che non solo la banca non aveva fornito la prova liberatoria, ma sussisteva la prova positiva di gravi carenze del sistema antifurto dei locali della banca, atteso che non esisteva un sistema di vigilanza da parte di guardie giurate, telecamere o "metaldetector", né un congegno di apertura a tempo del "caveau" né un sistema di allarme collegato alla questura).

Nel senso che la diligenza posta a carico del professionista ha natura tecnica e deve essere valutata tenendo conto dei rischi tipici della sfera professionale di riferimento ed assumendo come parametro la figura dell'accorto banchiere, anche Cass. n. 13777/2007.

Pertanto, in questa materia la giurisprudenza ha valorizzato il concetto di diligenza inteso come colpevolezza per non aver posto in essere tutte le misure di sicurezza atte a contrastare e prevenire i rischi derivanti dall'attività esercitata.

Quanto al danno, anche quando il fatto illecito integra gli estremi del reato, la sussistenza del danno non patrimoniale può mai essere ritenuta in re ipsa, ma va sempre debitamente allegata e provata da chi lo invoca, anche attraverso presunzioni semplici (così Cass. n. 17490/2012, in una fattispecie relativa all'apertura di una cassetta bancaria di sicurezza, ha ritenuto illegittima la sentenza di merito nella parte in cui aveva riconosciuto il risarcimento del danno non patrimoniale in mancanza di apposita richiesta e prova di parte, accertamento e valutazione del giudice).

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