Atto di citazione per gestione eccessivamente prudenziale del portafogliInquadramentoIl contratto di gestione del portafogli di investimento stipulato tra il cliente e la banca/intermediaria è un contratto atipico, formale, con alcuni elementi di contatto con il mandato che individua quale principale obbligazione (di mezzi) a carico dell'istituto bancario quello di investire il patrimonio mobiliare nel modo più appropriato al profilo di rischio dell'investitore assicurando rendimenti costanti ed adeguati. Dall'inadempimento per colpa di tale obbligazione, ad esempio proprio per una gestione eccessivamente prudenziale del portafoglio, potrebbe sorgere – ove adeguatamente provata dal cliente – in capo alla banca/intermediaria l'obbligo di risarcire il danno consistente nella differenza di rendimenti ottenibili da una gestione più conforme alle aspettative del primo. Nel presente breve commento si tratteggeranno gli elementi essenziali del contratto di gestione del portafogli di investimento, richiamando i profili essenziali dei contratti con gli intermediari già affrontati nelle formule dedicate a tale materia, e delineando le caratteristiche sue essenziali, nonché i – non poco gravosi – oneri probatori gravanti sul cliente che intenda agire in via risarcitoria. Nel caso di specie, ove il cliente sottoscriva con la banca un contratto di gestione del patrimonio mobiliare, il primo ha il diritto di esigere un'attività di investimento adeguata al proprio profilo di rischio ed alle aspettative di rendimento. In base a questo principio, nel presente atto di citazione il cliente cita in giudizio l'istituto bancario per ottenere il risarcimento dei danni derivanti dal mancato ottenimento dei rendimenti sperati, escludendo che possa operarsi alcuna compensazione con i guadagni pregressi. FormulaTRIBUNALE DI .... [1] ATTO DI CITAZIONE [2] PER Il Sig. .... (C.F. ....) [3], nato a .... il ..../..../...., residente in .... alla Via .... n. ...., rappresentato e difeso dall'Avv. .... (C.F. ....), con domicilio eletto in .... alla via .... n. .... presso lo studio dell'Avv. .... giusta procura in calce al presente atto e reso su foglio separato, dichiarando di voler ricevere tutte le comunicazioni e gli avvisi di cui agli artt. 133 comma 3, 134 comma 3, 170 comma 4 e 176 comma 2 c.p.c., anche al seguente numero di fax .... [4], ovvero al seguente indirizzo PEC ....@.... [5], espone in FATTO [6] - In data il Sig. .... firmava con la .... S.p.A. un contratto di gestione di portafogli di investimento; - L'istituto bancario .... S.p.A. si impegnava, dunque, a fornire all'odierno attore quel servizio che si realizza gestendo il patrimonio mobiliare del cliente attraverso l'investimento in strumenti finanziari; - In particolare il contratto stipulato prevedeva la Gestione Patrimoniale Mobiliare (Gpm), e come si evince dall'art. .... dello stesso, il patrimonio del Sig. .... è investito principalmente in strumenti finanziari come azioni, obbligazioni e derivati, e la Gestione Patrimoniale in Fondi (Gpf), in cui il patrimonio è investito in quote di fondi comuni e Sicav. - Il rapporto instauratosi tra il Sig. .... e la .... S.p.A. è sostanzialmente un mandato fiduciario, nel quale il cliente consegna del denaro all'intermediario per la costruzione di un portafoglio di investimento, secondo determinate direttive di rischio-rendimento impartite dal cliente, che l'intermediario può seguire però con un certo grado di discrezionalità; - Nei primi due anni del mandato i risultati economici ottenuti dall'istituto bancario avevano soddisfatto l'odierno attore; - Dal ...., l'istituto di credito ha tenuto però una condotta eccessivamente prudente nella direzione dell'investimento tanto da aver conseguito una redditività inferiore rispetto a quella realizzabile; - Nonostante le varie sollecitazioni poste in essere dal Sig. .... sia per posta elettronica che per lettera raccomandata, alla data .... l'atteggiamento dell'istituto di credito non è mutato. Alla luce di quanto esposto, sussiste la responsabilità della banca .... S.p.A. per i danni subiti dall'attore sulla scorta dei seguenti motivi in DIRITTO La giurisprudenza è ormai consolidata nel condannare l'istituto di credito al risarcimento del danno per la negligente gestione di un patrimonio mobiliare, individuando la fonte della responsabilità della banca nella violazione del mandato ricevuto dal cliente. In dettaglio, improntando la propria azione ad eccessiva prudenza, la banca avrebbe ridotto l'entità dell'operazione mobiliare richiesta dall'investitore e, per l'effetto, determinato una redditività minore rispetto a quella realizzabile, tenendo un comportamento gravemente colposo. Inoltre, ai fini dell'accertamento della responsabilità dell'istituto, occorre disancorare la disamina dello specifico comportamento della mandataria dalla complessiva attività di gestione del portafoglio d'investimento del cliente, così compensando il danno arrecato in riferimento alla singola operazione con i migliori risultati conseguiti nei primi due anni. In particolare, la giurisprudenza di legittimità [7] ha in più occasioni riconosciuto la fondatezza della pretesa risarcitoria del cliente nei confronti dalla banca per violazione dell'obbligo di diligenza nella gestione eccessivamente prudenziale. Nel caso di specie è irrilevante la circostanza dei risultati positivi di gestione conseguiti in anni precedenti, perché la banca è tenuta ad una condotta conforme a diligenza per tutta la durata del contratto e in riferimento ad ogni singola operazione d'investimento.
È proprio sulla base del quadro normativo sopra delineato che la Corte di Cassazione ha condivisibilmente riconosciuto il diritto del cliente di pretendere, in qualsiasi momento, che la banca garantisca il miglior rendimento possibile nella gestione del portafogli di investimenti Per quanto sopra, il Sig. .... come sopra rappresentato, difeso e domiciliato, con il presente atto CITA La Banca .... S.p.A. (C.F. ....), in persona del legale rapp.te p.t. Dott. .... a comparire innanzi al Tribunale di .... Giudice e sezione a designarsi, all'udienza del giorno ...., soliti locali, ora di rito e col prosieguo, con l'invito a costituirsi nel termine di venti giorni prima dell'udienza indicata ai sensi e nelle forme stabilite dall'art. 166 c.p.c. ed a comparire all'udienza indicata, dinanzi al Giudice designato ai sensi dell'art. 168 bis c.p.c., con avvertenza che, in mancanza della sua costituzione entro i suddetti termini, si verificheranno le decadenze di cui agli artt. 38 e 167 c.p.c. e, in mancanza, si procederà, anche in sua contumacia, per ivi sentire accogliere le seguenti CONCLUSIONI 1) accertare e dichiarare la responsabilità da inadempimento della Banca ....S.p.A. per le ragioni tutte di cui al presente atto, nei confronti del Sig. .... per i danni subiti quale conseguenza immediata e diretta del suo inadempimento; 2) per l'effetto, condannare la Banca .... al risarcimento dei danni sofferti dal Sig. .... quale conseguenza immediata e diretta del dedotto inadempimento, che si quantificano in complessivi Euro.... oltre interessi, ovvero in via subordinata, condannare la convenuta al pagamento in favore del Sig. .... di quella diversa somma che il Tribunale adito dovesse ritenere comunque dovuta ed accertata a titolo di risarcimento del danno, se del caso anche a mezzo CTU estimativa ovvero, in via di estremo subordine, in via equitativa; 3) condannare, infine, la Banca....S.p.A. alla refusione delle spese e competenze del presente giudizio, oltre accessori nella misura di legge. Con riserva di formulare le istanze istruttorie nei termini di cui all'art. 183 comma 6 c.p.c., che sin d'ora si richiedono. Si depositano i seguenti documenti in copia: 1) contratto di gestione del patrimonio investimenti del ....; 2) lettera raccomandata del ....; 3) comunicazioni a mezzo posta elettronica; 4) ..... Ai sensi e per gli effetti del d.P.R. n. 115/2002, si dichiara che il valore del presente procedimento è pari ad Euro .... Luogo e data.... Firma Avv..... PROCURA AD LITEM Il sottoscritto Sig. .... (C.F. ....), nato a .... il .... e residente in .... alla Via .... informato ai sensi dell'art. 4, comma 3, del d.lgs. n. 28/2010 della possibilità di ricorrere al procedimento di mediazione ivi previsto e dei benefici fiscali di cui agli artt. 17 e 20 del medesimo decreto, con la presente conferisco incarico all'Avv. .... (C.F. ....) a rappresentarmi e difendermi nel giudizio da promuovere dinanzi al Giudice di Pace / Tribunale di .... ivi comprese le fasi esecutive e di impugnazione che da questo conseguono, con ogni più ampia facoltà di legge; a tal uopo conferisco, altresì, al nominato procuratore ogni facoltà di legge, comprese quelle di conciliare, incassare, quietanzare, rinunziare e transigere, con promessa di rato e fermo del suo operato; lo autorizzo, infine, al trattamento dei miei dati personali, conformemente alle norme del d.lgs. 196/03 e limitatamente alle finalità connesse all'esecuzione del presente mandato. Eleggo domicilio presso il suo studio in .... alla via .... n. ..... Luogo e data.... Sig. .... È autentica Firma Avv. .... [1] In tema di competenza per territorio, ai fini della determinazione dei fori facoltativi alternativamente previsti dall'art. 20 c.p.c. (forum contractus e forum destinatae solutionis), va intesa come “obbligazione dedotta in giudizio” l'obbligazione nascente dal controverso contratto, sia che di essa si chieda l'adempimento o l'accertamento, quale petitum della domanda giudiziale, sia che di essa venga prospettato l'inadempimento come causa petendi della domanda, mirante a conseguire, per effetto dell'inadempimento stesso, la risoluzione contrattuale ed il risarcimento dei danni. Parimenti, nell'ipotesi di sola richiesta di risarcimento del danno da inadempimento contrattuale, per la determinazione del foro competente deve farsi riferimento non già al luogo ove si è verificato l'inadempimento, ma a quello in cui si sarebbe dovuta eseguire la prestazione rimasta inadempiuta o non esattamente adempiuta, della quale il risarcimento è sostitutivo (vale a dire, quella originaria e primaria rimasta inadempiuta, non quella derivata e sostitutiva), e ciò anche quando il convenuto contesti in radice l'esistenza della obbligazione stessa. Pertanto, per giudice del luogo dove è sorta l'obbligazione non deve intendersi quello del luogo in cui, verificandosi il danno, è sorto il relativo diritto al risarcimento. [2] In tutti gli atti introduttivi di un giudizio e in tutti gli atti di prima difesa devono essere indicati le generalità complete della parte, la residenza o sede, il domicilio eletto presso il difensore ed il codice fiscale, oltre che della parte, anche dei rappresentanti in giudizio (art. 23, comma 50, d.l. 6 luglio 2011, n. 98, conv., con modif., dalla l. 15 luglio 2011, n. 111). L'indicazione del codice fiscale dell'avvocato è prevista, oltre che dall'art. 23, comma 50, d.l. 98/2011, conv. con modif. dalla legge 111/2011, dall'art. 125, comma 1, c.p.c., come modificato dall'art. 4, comma 8, d.l. n. 193/2009 conv. con modif. dalla l. n. 24/2010. [3] L'indicazione del codice fiscale dell'avvocato è prevista, oltre che dall'art. 23, comma 50, d.l. n. 98/2011, conv. con modif. dalla l. n. 111/2011, dall'art. 125, comma 1, c.p.c., come modificato dall'art. 4, comma 8, d.l. n. 193/2009 conv. con modif. dalla l. n. 24/2010. [4] L'indicazione del codice fiscale dell'avvocato è prevista dall'art. 125 c.p.c. come modificato dalla disposizione sopra citata. [5] A partire dal 18 agosto 2014, gli atti di parte, redatti dagli avvocati, che introducono il giudizio o una fase giudiziale, non devono più contenere l'indicazione dell'indirizzo di PEC del difensore: v. art. 125 c.p.c. e art. 13, comma 3 bis, d.P.R. n. 115/2002, modificati dall'art. 45 bis d.l. n. 90/2014 conv., con modif., dalla l. n. 114/2014. [6] L'esposizione dei fatti e degli elementi di diritto costituenti le ragione della domanda dell'attore rappresenta un elemento essenziale della citazione. L'indicazione della causa petendi, e cioè del titolo della domanda, è richiesto dall'art. 163 comma 3, n. 4 c.p.c. Tuttavia solo la mancanza dell'indicazione dei fatti posti a fondamento della domanda produce la nullità della citazione a norma dell'art. 164, comma 4, c.p.c. [7] Cfr. Corte di Cassazione nella sentenza n. 24548 del 2 dicembre 2010. CommentoIl contratto di gestione del portafogli Secondo l'art. 1 comma 5 quinquies del T.U.I.F. per gestione del portafogli si intende la gestione su base discrezionale e individualizzata di portafogli di investimento che includono uno o più strumenti finanziari nell'ambito del mandato conferito dai clienti. Il portafogli di investimento, dunque, è un insieme di strumenti finanziari e denaro di pertinenza del cliente che questi affida in gestione all'intermediario: essi vengono diversificati dalla banca/intermediaria che, nel corso ed in esecuzione del servizio, li negozia in ragione delle esigenze e della propensione al rischio del cliente stesso. Gli elementi essenziali del contratto - riconducibile per menzione della dottrina prevalente al mandato - sono la discrezionalità tecnica dell'intermediario e lo svolgimento del servizio su base personalizzata. Dal punto di vista formale, “Il contratto di gestione di portafoglio di investimento stipulato con un intermediario finanziario deve essere redatto per iscritto a pena di nullità ai sensi dell'art. 23, comma 1, del d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 e dell'art. 30, comma 1, del Regolamento Consob 1 luglio 1998, n. 11522; tale forma scritta, prevista dalla legge a protezione dell'investitore, non ammette equipollenti o ratifiche, cosicché non è idonea ad integrare il requisito formale la sottoscrizione del documento sui rischi generali di cui all'art. 28 del citato Regolamento Consob, che assolve unicamente ad una funzione strumentale e propedeutica alla stipulazione del contratto di gestione e serve a rendere l'investitore più consapevole rispetto ai rischi dell'investimento e del mandato gestorio conferito all'intermediario” ( cfr. Cass. Civ., sez. I, n. 24/2017; ma vedi anche Tribunale La Spezia, 07 giugno 2006, per cui “La gestione di portafogli d'investimento è contratto da redigersi per iscritto a pena di nullità. La mancanza di tale forma rende di per sé illecito il fatto di aver gestito il patrimonio altrui: se dalla gestione così attuata derivano perdite il danno che si determina è ingiusto e risarcibile ex art. 2043 c.c.”). Esso deve indicare espressamente: 1) i tipi di strumenti finanziari che possono essere inclusi nel portafogli del cliente; 2) gli obiettivi di gestione, il livello di rischio entro il quale il gestore può esercitare la sua discrezionalità ed eventuali restrizioni specifiche di tale discrezionalità; 3) la descrizione del parametro di riferimento, ove significativo, al quale verrà raffrontato il rendimento del portafoglio (cd. benchmark: cfr. infra); 4) se l'intermediario delega a terzi l'esecuzione dell'incarico e gli eventuali limiti della delega; 5) il metodo e la frequenza di valutazione degli strumenti finanziari; 6) il diritto di recesso e le modalità di esercizio. Mediante il contratto di gestione di portafogli, il cliente incarica l'intermediario di gestire il patrimonio affidato, effettuando, entro i margini di discrezionalità individuati nell'accordo, operazioni in strumenti finanziari, i cui risultati si producono direttamente sul patrimonio del cliente. La funzione del contratto di gestione è quella di attribuire ad un intermediario professionale la gestione complessiva del patrimonio conferito, di tal che le singole operazioni di investimento, effettuate dall'intermediario nell'ambito del rapporto, non possono essere considerate selettivamente ma unitariamente, in quanto componente della gestione del portafoglio che costituisce l'oggetto del contratto (Trib. Milano, 24 giugno 2010). La Suprema Corte ha altresì chiarito, nella già citata recente pronuncia del 2017, che “La gestione patrimoniale integra un contratto tipico strutturato sugli elementi del mandato, connotato dal carattere della discrezionalità. La gestione di un portafoglio di titoli su base discrezionale genera, a carico dell'intermediario, un'obbligazione di mezzi, senza impegnativa assicurazione di alcun risultato. Tali caratteristiche non escludono ma, anzi, impongono l'apposizione di vincoli di trasparenza, di corretta informazione e di congruenza, per la verifica della corretta gestione dell'intermediario. Nella gestione di portafogli, l'inosservanza di una strategia di investimento coerente con il grado di propensione al rischio e con il profilo di c.d. "benchmark" fissato dal cliente determina la responsabilità contrattuale dell'intermediario abilitato”. Dunque, sia con riguardo ad una gestione eccessivamente rischiosa che eccessivamente prudenziale, parametro di riferimento per la verifica della responsabilità della banca intermediaria è il cd. benchmark, di cui si illustrerà qui di seguito il significato. Il cd. benchmark Il benchmark è un misuratore di rischio indicato nel contratto di gestione del portafogli e ricostruito sulla base delle informazioni fornite dal cliente. Nei contratti aventi ad oggetto la gestione di portafogli di valori mobiliari, gli obblighi di comportamento normativamente posti a carico dell'intermediario (art. 36 e ss. del reg. Consob n. 11522 del 1998) prevedono, tra l'altro, la preventiva indicazione del grado di rischio di ciascuna linea di gestione patrimoniale, la cui mancanza, tuttavia, può essere integrata dal cd. "benchmark", il quale, configurandosi come un parametro oggettivo di riferimento coerente con i rischi connessi alle singole gestioni, cui commisurare i relativi risultati, concorre a definire, sia pur indirettamente, mediante una selezione di indici e l'esemplificazione di tipologie d'investimento, il massimo grado di rischio al quale l'investitore ha inteso contrattualmente esporsi (cfr. Cass. I, n. 24545/2016; Cass. I, n. 8089/2016; Cass. I, n. 5250/2016). Come chiarito dalla interessante citata decisione del 2017 n. 24 “Nei contratti aventi ad oggetto la gestione di portafogli di valori mobiliari, gli obblighi posti a carico dell'intermediario prevedono, tra l'altro, la preventiva indicazione del grado di rischio: a tal fine assume un ruolo fondamentale il benchmark, che pur non imponendo al gestore di acquistare titoli nelle proporzioni indicate, costituisce un modo per valutare la razionalità e l'adeguatezza dell'attività dell'intermediario, giacchè a ogni benchmark è associato un rischio, misurato statisticamente”. Esso, sebbene non imponga al gestore di un portafoglio di acquistare titoli nelle proporzioni indicate, costituisce un modo per valutare la razionalità e l'adeguatezza dell'attività dell'intermediario, di modo che quest'ultimo può ritenersi inadempiente ove abbia attuato una gestione non coerente con i rischi rappresentati da tale parametro. Profili di responsabilità per colpa della banca. L'eccessiva prudenza nella gestione del portafogli e la mancata contestazione dei rendiconti. A questo punto, premesso che “Il rendimento negativo di una gestione portafogli non comporta, di per sé, una responsabilità dell'istituto di credito gestore perché i mercati finanziari, sui quali sono reperiti i titoli che formano oggetto dell'investimento, sono caratterizzati da una certa aleatorietà, i cui esiti negativi non possono essere addebitati alla banca gestore del portafoglio, salvo che non vi siano elementi dai quali desumere une certa negligenza nella gestione, che vanno dedotti e provati” (Trib. Bari I, 13 giugno 2012, n. 2127), l'inadempienza della banca/intermediaria che svolge il servizio di gestione del portafogli si misura proprio in punto di rispetto o meno del benchmark e sulla scorta dei motivi che hanno spinto l'intermediario professionista a discostarsene. Invero, “Il benchmark, sebbene non imponga al gestore di un portafoglio di acquistare titoli nelle proporzioni indicate, costituisce un modo per valutare la razionalità e l'adeguatezza dell'attività dell'intermediario, di modo che quest'ultimo può ritenersi inadempiente ove abbia attuato una gestione non coerente con i rischi rappresentati da tale parametro” (Cass. I, n. 24/2017). La responsabilità del gestore deve essere valutata, in ogni caso, in relazione alla gestione complessiva, considerando tutte le operazioni in strumenti finanziari poste in essere in esecuzione dell'incarico ricevuto, nei limiti delineati nel contratto. L'eccesso di rischiosità del portafoglio rispetto al "benchmark" dichiarato costituisce una violazione degli obblighi di diligenza del gestore; tuttavia, non è concretamente ravvisabile alcun danno per il cliente qualora la gestione degli investimenti produca un risultato complessivo positivo, superiore a quello che si sarebbe ottenuto se il patrimonio fosse stato investito interamente nel "benchmark" descritto nel contratto (Tribunale Milano, 24 giugno 2010). Il risultato conseguito ed il suo confronto con i rendimenti passati o sperati sulla base del cd. benchmark costituisce, quindi, il parametro per valutare la diligenza dell'intermediario. Invero, è stata per prima e con maggiore approfondimento la sentenza del Giudice di legittimità citata nell'atto (Cass. I, n. 24548/2010; ma vedi anche Cass. I, n. 4393/2014; Cass. I, n. 3623/2016) ad affrontare proprio la tematica della responsabilità dell'intermediario derivante dalla gestione in peius del portafogli rispetto agli standard precedenti maggiormente redditizi, perché “meno prudenziali”. Infatti, il contratto di gestione del portafogli rispetto agli altri contratti finanziari si caratterizza proprio per la consulenza successiva all'acquisto dei titoli (cfr. Cass. Civ., sez. I, n. 2185/2013), nonché per la riconducibilità per molti (ma non per tutti) aspetti al mandato, tanto che (cfr. Cass. I, n. 12479/2007; Cass. I, n. 12126/2004; Cass. I, n. 4079/2003) esso si riscontra ove siano presenti gli elementi del mandato e dello svolgimento dell'attività su base discrezionale e individualizzata, mentre ove difettino tali elementi, si è al di fuori della gestione patrimoniale, rientrandosi nell'area, consentita ai promotori finanziari, della consulenza e assistenza nelle attività decisionali del cliente. È, dunque, determinante -ai fini dell'accertamento del tipo di rapporto - verificare la sussistenza, o meno, di una decisione autonoma dell'investitore in merito alle diverse operazioni finanziarie intraprese. La discrezionalità dell'intermediario nella gestione complessiva del patrimonio mobiliare del cliente incontra come limite, però, come già rammentato, i precedenti rendimenti ottenuti e le aspettative del cliente sulla scorta del suo profilo di rischio. Né può valere, come chiarisce la Suprema Corte, ad escludere la responsabilità da inferiori rendimenti la mancata contestazione dei rendiconti periodici, o la compensazione con i precedenti rendimenti. Sotto il primo profilo, la Suprema Corte ha chiarito che i rendiconti periodici inviati dal gestore di portafogli ai propri clienti non possono essere considerati un mero riepilogo di dati storico-contabili, ma dei veri e propri rendiconti di gestione. Da questa premessa, tuttavia, non consegue necessariamente che il cliente decada dal diritto di agire in responsabilità nei confronti del gestore qualora, con riferimento al periodo cui un determinato rendiconto si riferisce, non abbia contestato detto rendiconto entro un termine prefissato, pur potendosi valutare il comportamento passivo del cliente, che al pari di quello del gestore dev'essere improntato a buona fede, nel contesto complessivo delle risultanze istruttorie. In effetti, la normativa di settore non prevede alcun meccanismo di approvazione implicita del conto in conseguenza dell'omessa contestazione entro uno specifico termine, né si può ipotizzare un'applicazione analogica delle disposizioni dettate dall'art. 119 del testo unico bancario e dall'art. 1832 c.c. in tema di approvazione tacita degli estratti conto bancari, vista la differenza di funzione e di inquadramento normativo (Cass. I, n. 23971/2010; Cass. I, n. 17679/2009; Cass. I, n. 6514/2007; Cass. I, n. 11749/2006). D'altronde, la necessità per il gestore di portafogli di poter fare affidamento su un quadro di scelte d'investimento ben stabilizzato nel tempo non è argomento sufficiente a far postulare, a carico del cliente, una decadenza non prevista in modo esplicito nè univoco dal legislatore, anche perchè altro è la stabilità delle scelte di gestione operate, pur se di per sè sempre relativamente opinabili, altro è l'eventuale violazione dei doveri gravanti sul gestore nell'adempimento degli obblighi che egli è tenuto a rispettare nell'interesse del cliente. La circostanza che sia mancata la rilevazione immediata di una siffatta violazione non implica, ovviamente, che il gestore possa legittimamente perseverare in essa, trattandosi di un fatto patologico che nulla ha a che fare con la durata nel tempo di strategie d'investimento fisiologicamente sviluppate. Se, dunque, a causa di detta violazione il cliente abbia subito un danno, il suo diritto a pretenderne il risarcimento è esercitabile fin quando non sia estinto per prescrizione. Né logicamente il dato pregresso (su cui si basa anche il cd. benchmark ovvero la linea di gestione da tenersi in capo all'intermediario) può considerarsi compensabile con le successive perdite, costituendo piuttosto – come detto – il parametro di riferimento per valutare la condotta dell'intermediario. Resta la circostanza che il cliente se non ha un obbligo di contestazione o reclamo immediati al pari del correntista, ha obblighi di collaborazione e controllo dell'operato della controparte tanto che (di contro), dalla stessa giurisprudenza di legittimità è stato affermato che “In materia di servizi di gestione individuale di un portafoglio d'investimento, tra gli obblighi gravanti sul gestore, ai sensi dell'art. 24, comma 1, lett. b, del testo unico delle disposizioni in materia d'intermediazione finanziaria, rientra quello di attenersi alle caratteristiche della gestione pattuita col cliente, nonché di attenersi alle istruzioni da lui impartite circa le operazioni da compiere; pertanto, in difetto di una inequivoca manifestazione di volontà (nella specie il cliente si era limitato ad inviare reiterate lettere con cui aveva manifestato esplicita insoddisfazione per la politica di gestione seguita) non può esigersi che l'intermediario modifichi unilateralmente la precedente linea d'investimento, né gli si può imputare, a fini risarcitori, di non averlo fatto” (Cass. I, n. 8237/2012). Onere della prova e misura del risarcimento Non poco gravoso, risulta essere l'onere della prova a carico del cliente che lamenti danni da gestione del portafogli eccessivamente prudenziale o eccessivamente rischiosa. Invero, “Colui il quale, essendosi rivolto ad un intermediario finanziario per la prestazione del servizio di gestione individuale di portafogli d'investimento, agisca poi in giudizio per il risarcimento del danno imputando all'intermediario di aver violato gli obblighi di comportamento al cui rispetto è tenuto - ed, in particolare, lamenti che l'intermediario medesimo non si sia adeguato alle istruzioni che il cliente ha facoltà di impartire e che sia venuto meno al proprio dovere di operare per realizzare al meglio l'interesse di detto cliente - ha l'onere di allegare le specifiche circostanze in cui gli inadempimenti dell'intermediario si sono concretizzate, richiedendosi, quanto all'obbligo di rispettare le istruzioni del cliente, che queste siano precisamente determinate e non si risolvano in esortazioni o lamentele di carattere generico e, quanto al compimento di operazioni non adeguate, che le stesse risultino sufficientemente identificate” (cfr. Cass. I, n. 8237/2012). Dunque, il cliente che agisca per il risarcimento del danno cagionato nello svolgimento del servizio di gestione di portafogli ha l'onere di allegare in modo specifico quali siano le istruzioni vincolanti, di cui lamenti il mancato rispetto, e quali siano le operazioni inadeguate compiute dall'intermediario finanziario, nel senso che ai fini di una prognosi positiva dell'iniziativa intrapresa deve “dimostrare o quanto meno di offrire elementi idonei a rivelare che le perdite registratesi siano da ascrivere non al mero esito negativo delle operazioni effettuate, ma a comportamenti negligenti dell'intermediario (Trib. Milano, 21 ottobre 2004). In caso di esito positivo dell'azione, il risarcimento del danno emergente è limitato alla parte di perdite che afferiscono ad investimenti non compatibili con la linea di mandato prescelta, mentre nell'evenienza del recesso dell'investitore il risarcimento del lucro cessante è limitato al guadagno virtuale di cui avrebbe goduto in caso di tempestiva liquidazione del portafogli; la data fino alla quale calcolare la sussistenza di un eventuale lucro cessante è quella del recesso, che segna la fine della vicenda contrattuale, né possono essere prospettati astratti criteri di determinazione del mancato guadagno a sostegno di un pregiudizio diverso e ulteriore (cfr. Trib. Catania, 5 aprile 2004). |