Comparsa di costituzioneal fine di mettere in discussione l'esistenza del nesso di causalità cd. materiale tra la condotta imputata al suo personale e l'evento lesivo

Andrea Penta
aggiornata da Francesco Agnino

Inquadramento

In tema di responsabilità civile, affinché sorga un'obbligazione risarcitoria aquiliana, occorre non soltanto un fatto lesivo - retto dalla causalità materiale -, ma anche un danno conseguenza di questo - retto dalla causalità giuridica -, la cui imputazione presuppone il riscontro delle fattispecie normative di cui agli artt. 2043 e ss. c.c., consistenti nella descrizione di un nesso che leghi storicamente un evento ad una condotta, a cose o ad accadimenti di altra natura, collegati con una particolare relazione al soggetto chiamato a rispondere (Cass. III, n. 4043/2013).

In particolare, l'illecito aquiliano ha una struttura bipolare con un duplice nesso di causalità: in primo luogo, quello tra condotta ed evento, nel senso di lesione di un interesse giuridicamente protetto (c.d. causalità materiale) [ artt. 40 e 41 c.p.]e, in secondo luogo, quello tra evento e conseguenze dannose, sotto forma di pregiudizi di carattere patrimoniale o non (c.d. causalità giuridica) [ artt. 2056 e 1223 c.c.] . (cfr. Cass. S.U., n. 8827/ 2003 e Cass. S.U., n. 8828, nonché Corte cost. n. 233/2003).

Nell'ambito di un'azione esperita per ottenere il risarcimento dei danni alla persona, l'ente convenuto solleva la questione della pregressa patologia dalla quale era affetto il danneggiato, al fine di mettere in discussione l'esistenza del nesso di causalità cd. materiale tra la condotta imputata al suo personale e l'evento lesivo.

Formula

GIUDICE DI PACE ..../ TRIBUNALE DI ....

COMPARSA DI COSTITUZIONE E RISPOSTA [1]

Nell'interesse di:

...., P.I. .... in persona dell'Amministratore Unico Sig. ...., nato a .... il .... C.F. .... [2] , con sede legale in ....alla via .... n. ...., elettivamente domiciliato in ...., alla via .... n. ...., presso lo studio dell'Avv. ...., C.F. .... che lo rappresenta e difende, giusta procura a margine/in calce al presente atto, con dichiarazione di voler ricevere le comunicazioni, ai sensi dell' art. 125, comma 1, c.p.c. e dell'art. 136, comma 3, c.p.c., al seguente numero di fax ...., oppure tramite PEC .... [3] ;

-convenuta-

CONTRO

Sig. ...., nato a .... il ...., C.F. ...., con sede legale in ...., alla via .... n. ...., elettivamente domiciliato in ...., alla via .... n. ...., presso lo studio dell'Avv. ...., che lo rappresenta e difende, in virtù di procura in calce/a margine dell'atto di citazione;

-attore-

* * *

PREMESSO CHE

Con atto di citazione ritualmente notificato .... ha convenuto in giudizio la Casa di Cura .... ed il Dott. .... per sentir accertare l'inadempimento agli obblighi assunti a seguito del ricovero e per vederli condannare al risarcimento dei danni riportati a seguito degli interventi subiti nel corso dei ricoveri presso la Casa di Cura .... nel ...., esponendo che:

— in data .... si era ricoverata presso la Casa di Cura .... per essere sottoposta a .... [4] , essendo stata riscontrata le presenza di .... [5] ;

— l'intervento era stato eseguito il .... ed era stata dimessa il ...., malgrado accusasse ancora disturbi all'addome ed una alterazione febbrile, disturbi che non erano andati via al punto che, in data ...., una successiva visita aveva messo in evidenza la presenza di un ingrossamento dell'utero con un ematoma di colore anomalo;

— successivi controlli avevano poi messo in evidenza che si trattava di una pezza chirurgica dimenticata nell'addome nel corso dell'intervento;

— in data .... era stata sottoposta ad un ulteriore intervento .... [6] presso la stessa casa di cura, da parte sempre di ....;

— anche tale intervento era stato caratterizzato dall'insorgenza di problemi rappresentati da ...., fino a che il giorno .... era stata accertata la presenza di .... determinata evidentemente nel corso dell'intervento di ....;

— l'attrice, ritenendo che il comportamento tenuto nel corso dei due interventi fosse stato negligente ed imperito, ha introdotto il presente giudizio al fine di ottenere il riconoscimento dell'inadempimento alla prestazione di assistenza conseguente al ricovero ed il relativo risarcimento del danno subito;

— con il presente atto, si costituisce la convenuta, la quale contesta integralmente l'avversa domanda, poiché infondata in fatto e in diritto per i seguenti:

MOTIVI

— il sanitario che ha posto in essere l'intervento non era né è suo dipendente [7] ;

— le prestazioni assicurate dalla casa di cura, anche se non solo di natura “alberghiera”, sono comunque estranee alle lesioni che l'attrice ricollega alla attività medico chirurgica del sanitario dalla stessa liberamente scelto;

— il danneggiato era affetto da una patologia pregressa [8] ed irreversibile dagli effetti già invalidanti, con la conseguenza che la lesione lamentata dall'attore non è, comunque, eziologicamente riconducibile alla condotta imputata al personale sanitario;

— la misura del danno di cui è stato richiesto il risarcimento è, in ogni caso, eccessiva.

Tanto premesso ed esposto, .... come in epigrafe rappresentata e difesa, rassegna le seguenti:

CONCLUSIONI

Voglia l'Ill.mo Giudice adito rigettare la domanda attrice.

Con vittoria di spese, diritti e compensi del giudizio.

In via istruttoria chiede ammettersi prova testimoniale sui seguenti capitoli:

1) Vero che ....;

Indica a testi i Sigg.: ....

Offre in comunicazione e deposita in Cancelleria i seguenti documenti:

1) cartella clinica n. ....

2) perizia di parte a firma del Dott. ....;

3) ....

Luogo e data ....

Firma Avv. ....

PROCURA ALLE LITI

(se non apposta a margine)

Il convenuto deve costituirsi a mezzo del procuratore, o personalmente nei casi consentiti dalla legge, almeno settanta giorni prima dell'udienza di comparizione fissata nell'atto di citazione, depositando in cancelleria il proprio fascicolo contenente la comparsa di cui all'articolo 167 con la copia della citazione notificata, la procura e i documenti che offre in comunicazione. Per la disciplina transitoria v. art. 35 d.lgs. n. 149/2022, come sostituito dall'art. 1, comma 380, lettera a), l. 29 dicembre 2022, n. 197, che prevede che : "1. Le disposizioni del presente decreto, salvo che non sia diversamente disposto, hanno effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data. Ai procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023 si applicano le disposizioni anteriormente vigenti". In tutti gli atti introduttivi di un giudizio e in tutti gli atti di prima difesa devono essere indicati le generalità complete della parte, la residenza o sede, il domicilio eletto presso il difensore ed il C.F., oltre che della parte, anche dei rappresentanti in giudizio ( art. 23, comma 50, d.l. 6 luglio 2011, n. 98, conv., con modif., dalla l. 15 luglio 2011, n. 111).

[2]L'indicazione del codice fiscale dell'avvocato è prevista, oltre che dall' art. 23, comma 50, d.l. n. 98/2011, conv. con modif. dalla legge n. 111/2011, dall'art. 125, comma 1, c.p.c., come modificato dall' art. 4, comma 8, d.l. n. 193/2009 conv. con modif. dalla legge n. 24/2010.

[3]A partire dal 18 agosto 2014, gli atti di parte, redatti dagli avvocati, che introducono il giudizio o una fase giudiziale, non devono più contenere l'indicazione dell'indirizzo di PEC del difensore: v. art. 125 c.p.c. e art. 13, comma 3 bis, d.P.R. n. 115/2002, modificati dall' art. 45-bis d.l. n. 90/2014 conv., con modif., dalla legge n. 114/2014.

L'indicazione del numero di fax dell'avvocato è prevista dall' art. 125 c.p.c. e dall'art. 13, comma 3 bis, d.P.R. n. 115/2002, modificati dall' art. 45-bis d.l. n. 90/2014, conv. con modif., dalla legge n. 114/2014. Ai sensi dell'art. 13, comma 3-bis, d.P.R. cit., «Ove il difensore non indichi il proprio numero di fax ...ovvero qualora la parte ometta di indicare il codice fiscale .... il contributo unificato è aumentato della metà».

[4]Indicare l'intervento cui è stato sottoposto il paziente. Si pensi alla asportazione di entrambe le ovaie.

[5]Indicare la patologia che era stata riscontrata, facendo, se del caso, riferimento alla cartella clinica. Si pensi alla presenza di formazioni cistiche.

[6]Indicare l'ulteriore intervento resosi necessario a seguito del primo. Si pensi alla necessità di rimuovere una pezza.

[7]Sul punto, peraltro, va evidenziato che la responsabilità della casa di cura (o dell'ente) nei confronti del paziente ha natura contrattuale, e può conseguire, ai sensi dell' art. 1218 c.c., all'inadempimento delle obbligazioni direttamente a suo carico, nonché, ai sensi dell' art. 1228 c.c., all'inadempimento della prestazione medico-professionale svolta direttamente dal sanitario, quale suo ausiliario necessario pur in assenza di un rapporto di lavoro subordinato comunque sussistendo un collegamento tra la prestazione da costui effettuata e la sua organizzazione aziendale, non rilevando in contrario al riguardo la circostanza che il sanitario risulti essere anche “di fiducia” dello stesso paziente, o comunque dal medesimo scelto. Ovviamente, occorre pur sempre che il professionista sia in qualche modo inserito nella struttura sanitaria, giacché la scelta del paziente risulta in tale ipotesi operata nell'ambito della scelta più generale effettuata a monte della struttura sanitaria ( Cass. III, n. 23198/2015).

[8]Indicare la pregressa patologia dalla quale era affetto il paziente.

Commento

In genere

Sul nesso causale vanno segnalate alcune pronunce di portata generale.

Cass. III, n. 18753/2017 ha ribadito che il sistema della responsabilità civile continua a ispirarsi al principio della causalità naturale, di matrice penalistica, secondo cui, ai sensi dell'art. 41, c.p., il concorso di cause preesistenti, simultanee o sopravvenute, anche se indipendenti dall'omissione del colpevole, non esclude il rapporto di causalità fra dette cause e l'evento, essendo quest'ultimo riconducibile a tutte, tranne che si accerti l'esclusiva efficienza causale di una di esse.

Ne consegue che, secondo Cass. VI, n. 27524/2017, qualora la produzione di un evento dannoso risulti riconducibile alla concomitanza di una condotta umana e di una causa naturale, l'autore del fatto illecito risponde, in base ai criteri della causalità naturale, di tutti i danni che ne sono derivati, a nulla rilevando che gli stessi siano stati concausati anche da eventi naturali, i quali possono invece rilevare ai fini della stima del danno (causalità giuridica); in particolare, in caso di danno alla salute, qualora il danneggiato risulti affetto da una patologia invalidante pregressa ed irreversibile, il danno risarcibile deve essere determinato considerando sia la differenza tra lo stato di invalidità complessivamente presentato dal danneggiato dopo il fatto illecito e lo stato patologico pregresso, sia la situazione che si sarebbe determinata se non fosse intervenuto il fatto lesivo imputabile.

Cass. III, n. 22801/2017, ha aggiunto che, in tema di responsabilità civile, qualora la produzione di un evento dannoso possa apparire riconducibile alla concomitanza di più fattori causali, ognuno di questi deve essere autonomamente apprezzato per determinare in che misura abbia contribuito al verificarsi del danno, sia che abbia operato come concausa, sia che abbia dato luogo ad un autonomo segmento causale provocando soltanto un aggravamento delle conseguenze pregiudizievoli.

Ricorda poi Cass. VI, n. 13096/2017, che l'accertamento del nesso di causalità materiale, in relazione all'operare di più concause ed all'individuazione di quella cd. “prossima di rilievo” nella verificazione dell'evento dannoso, forma oggetto di un apprezzamento di fatto del giudice di merito che è sindacabile in sede di legittimità, ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., sotto il profilo della violazione delle regole di diritto sostanziale recate dagli artt. 40 e 41 c.p. e 1127, comma 1, c.c.

Quando si agisce per ottenere il risarcimento del danno derivante da inadempimento contrattuale o da inesatto adempimento, l'onere probatorio gravante sull'attore, attuale ricorrente, a norma dell'articolo 2697 del Cc non si limita alla allegazione dell'esistenza del contratto (cioè, nella specie, alla indicazione e se necessario dimostrazione di essersi rifornita di carburante presso la stazione di servizio della società controricorrente) ma comprende anche la dimostrazione dell'esistenza del nesso causale tra la prestazione eseguita e il danno lamentato, rimanendo a carico del debitore invece, ex articolo 1218 del Cc, l'onere di provare l'esattezza del proprio adempimento o comunque che il danno eventualmente verificatosi sia dovuto a causa non imputabile (Cass., n. 18430/2024, sulla base di questo principio, ha osservato la Suprema Corte, è corretta la decisione che ha rigettato la domanda ritenendola sfornita di prova, atteso che nella ricostruzione del giudice di merito, il secondo, necessario passaggio in cui si articola il complessivo onere probatorio a carico dell'attore, ovvero la prova che il danno subito si pone in rapporto di causalità con la prestazione ricevuta, sulla base della valutazione delle risultanze istruttorie operata dal giudice di primo grado, è rimasto privo di prova, in particolare non è stato ritenuto provato che sia stato riversato nel serbatoio della ricorrente carburante di scadente qualità, adulterato o comunque misto ad acqua e comunque il tribunale ha escluso, facendo propria la valutazione del consulente, che la causa del danno fosse da porsi in rapporto causale con la qualità del gasolio versato nel serbatoio o comunque con l'attività svolta dagli addetti alla pompa di benzina in occasione del rifornimento di carburante).

Sullo standard di valutazione del nesso causale, sez. lav., 00047/2017, ha poi enunciato il seguente principio: in tema di responsabilità civile, applicati nella verifica del nesso causale tra la condotta illecita ed il danno i principi posti dagli artt. 40 e 41 c.p., e fermo restando il diverso regime probatorio tra il processo penale, ove vige la regola della prova "oltre il ragionevole dubbio", e quello civile, in cui opera la regola della preponderanza dell'evidenza o "del più probabile che non", lo standard di cd. certezza probabilistica in materia civile non può essere ancorato esclusivamente alla cd. probabilità quantitativa della frequenza di un evento, che potrebbe anche mancare o essere inconferente, ma va verificato, secondo la cd. probabilità logica, nell'ambito degli elementi di conferma, e, nel contempo, nell'esclusione di quelli alternativi, disponibili in relazione al caso concreto.

Si ha interruzione del rapporto di causalità tra fatto del danneggiante ed evento dannoso per effetto del comportamento sopravvenuto di altro soggetto (che può identificarsi anche con lo stesso danneggiato), quando il fatto di costui si ponga, ai sensi dell'art. 41, comma 2, c.p., come unica ed esclusiva causa dell'evento di danno, sì da privare dell'efficienza causale e rendere giuridicamente irrilevante il precedente comportamento dell'autore dell'illecito, ma non quando, essendo ancora in atto ed in fase di sviluppo il processo produttivo del danno avviato dal fatto illecito dell'agente, nella situazione di potenzialità dannosa da questi determinata si inserisca una condotta di altro soggetto (ed eventualmente dello stesso danneggiato) che sia preordinata proprio al fine di fronteggiare e, se possibile, di neutralizzare le conseguenze di quell'illecito. In tal caso lo stesso illecito resta unico fatto generatore sia della situazione di pericolo sia del danno derivante dall'adozione di misure difensive o reattive a quella situazione, sempre che rispetto ad essa coerenti ed adeguate (Cass. III, n. 19180/2018).

Sul piano del regime impugnatorio, è importante sottolineare che l'ipotetico "errore compiuto dal giudice di merito nell'individuare la regola giuridica in base alla quale accertare la sussistenza del nesso causale tra fatto illecito ed evento è censurabile in sede di legittimità ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3,c.p.c., mentre l'eventuale errore nell'individuazione delle conseguenze che sono derivate dall'illecito, alla luce della regola giuridica applicata, costituisce una valutazione di fatto, come tale sottratta al sindacato di legittimità se adeguatamente motivata" (da ultimo, Cass. III,  ord. n. 9985/2019; in senso analogo, tra le altre, Cass. III, n. 4439/2014, Cass. III,  n. 26997/2005, fino a risalire al "leading case", costituito da Cass. III, n. 3061/1962).In definitiva, esistono due momenti diversi del giudizio aquiliano: la costruzione del fatto idoneo a fondare la responsabilità (per la quale la problematica causale, detta causalità materiale o di fatto, presenta rilevanti analogie con quella penale, artt. 40 e 41 c.p. ed il danno rileva solo come evento lesivo) e la determinazione dell'intero danno cagionato, che costituisce l'oggetto dell'obbligazione risarcitoria. Orbene, è a questo secondo momento che va riferita la regola dell'art. 1223 c.c. (richiamato dall'art. 2056 c.c.), per il quale il risarcimento deve comprendere le perdite «che siano conseguenza immediata e diretta» del fatto lesivo (c.d. causalità giuridica), per cui esattamente si è dubitato che la norma attenga al nesso causale e non piuttosto alla determinazione del «quantum» del risarcimento, selezionando le conseguenze dannose risarcibili. Di qui, pertanto, la necessità di "distinguere nettamente, da un lato, il nesso che deve sussistere tra comportamento ed evento perché possa configurarsi, a monte, una responsabilità «strutturale» (Haftungsbegrundende Kausalitat) e, dall'altro, il nesso che, collegando l'evento al danno, consente l'individuazione delle singole conseguenze dannose, con la precipua funzione di delimitare, a valle, i confini di una (già accertata) responsabilità risarcitoria (Haftungsausfkllende Kausalitat) (così, in motivazione, Cass. III, n. 4003/2013 e, recentemente, Cass. III, Ord. n. 22857/2019).La responsabilità medica

Nell'ambito della responsabilità sanitaria (cui si rimanda), qualora la produzione di un evento dannoso possa apparire riconducibile, sotto il profilo eziologico, alla concomitanza della condotta di un soggetto e di un fattore naturale (rappresentato, ad esempio, dalla pregressa situazione patologica del danneggiato non legata all'anzidetta condotta da un nesso di dipendenza causale), il giudice deve accertare, sul piano della causalità materiale (rettamente intesa come relazione tra la condotta e l'evento di danno, alla stregua di quanto disposto dall' art. 1227, primo comma, c.c.), l'efficienza eziologica della condotta (astrattamente considerata e non ancora utilmente qualificabile in termini di damnum iniuria datum) rispetto all'evento, in applicazione della regola di cui all' art. 41 c.p. (a mente della quale il concorso di cause preesistenti, simultanee o sopravvenute, anche se indipendenti dall'azione del colpevole, non esclude il rapporto di causalità fra l'azione e l'omissione e l'evento), così da ascrivere l'evento di danno interamente all'autore della condotta illecita, per poi procedere, eventualmente anche con criteri equitativi, alla valutazione della diversa efficienza delle varie concause sul piano della causalità giuridica (rettamente intesa come relazione tra l'evento di danno e le singole conseguenze dannose risarcibili all'esito prodottesi) o, per dirla diversamente, alla valutazione della causalità giuridica di ogni singola concausa ( Cass. III, n. 24204/2014, in una fattispecie relativa all'investimento di pedone affetto da morbo di Alzheimer, ha ritenuto corretta la decisione con cui il giudice di secondo grado ha valutato, ai fini della liquidazione del danno patrimoniale da lucro cessante, l'incidenza concorrente di detta patologia con la causa lesiva costituita dal sinistro, apprezzando l'evoluzione propria della malattia, nonché il suo aggravamento in ragione delle lesioni conseguenti al sinistro stradale), onde ascrivere all'autore della condotta, responsabile tout court sul piano della causalità materiale, un obbligo risarcitorio che non comprenda anche le conseguenze dannose non riconducibili eziologicamente all'evento di danno, bensì determinate dal fortuito (così Cass., n. 15991/2011; Cass. S.U., n. 10854/2009).

Sulla base di tali principi, si verificano, di regola, due ipotesi:

— il danneggiato, affetto da una patologia pregressa ed irreversibile dagli effetti già invalidanti, subisce un'ulteriore vulnus alle sue condizioni di salute: in questa ipotesi il danno risarcibile sarà determinato considerando sia la differenza tra lo stato di invalidità complessivamente presentato dal danneggiato dopo l'intervento medico e lo stato patologico pregresso, sia la situazione che si sarebbe determinata se non fosse intervenuto il fatto lesivo imputabile (commissivo od omissivo), ferme restando le valutazioni del singolo caso sul piano di eventuali ripercussioni esistenziali e/o economiche sulla vita del danneggiato;

— il danneggiato, affetto da patologie prive di effetti invalidanti, subisce una menomazione della sua salute con conseguenze invalidanti: in questa ipotesi, il giudice di merito dovrà determinarsi nel senso dell'irrilevanza dello stato patologico pregresso, salva rigorosa dimostrazione che gli effetti invalidanti si sarebbero comunque verificati a prescindere dalla concausa imputabile.

In definitiva, la ricostruzione del nesso di derivazione eziologica esistente tra la condotta del danneggiante e la conseguenza dannosa risarcibile implica la scomposizione del giudizio causale in due autonomi e consecutivi segmenti: il primo volto ad identificare - in applicazione del criterio del “più probabile che non” - il nesso di causalità materiale che lega la condotta all'evento di danno; il secondo diretto, invece, ad accertare il nesso di causalità giuridica che lega tale evento alle conseguenze dannose risarcibili, accertamento, quest'ultimo, da compiersi in applicazione dell' art. 1223 c.c., norma che pone essa stessa una regola eziologica (Cass. III, n. 21255/2013).

La distinzione, di derivazione tedesca, è, dunque, tra causalità materiale o di fatto, interna al fatto e che serve ad imputare al responsabile l'evento lesivo (ed è quello per cui ogni comportamento antecedente - prossimo, intermedio, remoto - che abbia generato, o anche solo contribuito a generare, tale obbiettiva relazione col fatto deve considerarsi “causa” dell'evento stesso), e la causalità giuridica, regolata dall'art. 1223 (anche nell'ambito della responsabilità extracontrattuale in forza del rinvio di cui all'art. 2056), esterna al fatto e la cui funzione è quella di stabilire (insieme all'art. 1227, comma 2) l'entità delle conseguenze pregiudizievoli del fatto che si traducono in danno risarcibile.

Premesso che, in tema di responsabilità medica, è a carico del danneggiato la prova dell'esistenza del contratto e dell'insorgenza o dell'aggravamento della patologia, con l'allegazione di qualificate inadempienze, astrattamente idonee a provocare il danno lamentato, restando a carico dei sanitari la prova che la prestazione professionale sia stata eseguita in modo diligente e che il pregiudizio sia stato determinato da un evento imprevisto e imprevedibile, non di rado il paziente incontra difficoltà nell'individuare le condotte ascrivibili al personale sanitario ed il nesso eziologico tra queste ultime e il danno lamentato.

Mediante il nuovo istituto dell'a.t.p. introdotto, a mò di condizione di procedibilità, dalla legge 8 marzo 2017, n. 24 (cd. Bianco-Gelli), da un lato, si assisterà normalmente ad un'anticipazione (quantomeno parziale) del momento acquisitivo e di valutazione medico-legale delle prove, e, dall'altro, risulterà più agevole individuare con la maggior precisione possibile quali siano le condotte (commissive o omissive) imputabili in concreto ai sanitari o alla struttura, in modo da porre il danneggiato nelle condizioni di allegare, nel contesto dell'atto introduttivo del successivo, eventuale giudizio di merito, ‘qualificate inadempienze', idonee a provocare il pregiudizio.

Da ciò consegue che, nel giudizio avente ad oggetto il risarcimento del danno causato da un errore del medico o della struttura sanitaria, al quale sono applicabili (ormai limitatamente alla seconda) le regole sulla responsabilità contrattuale (ivi comprese quelle sul riparto dell'onere della prova), l'attore ha il solo onere - ex art. 1218 c.c. - di allegare e provare l'esistenza del contratto, e di allegare in modo “qualificato” l'esistenza d'un valido nesso causale tra l'errore del medico e l'aggravamento delle proprie condizioni di salute, mentre spetterà al convenuto dimostrare o che inadempimento non vi sia stato, ovvero che esso, pur essendo sussistente, non sia stato la causa efficiente dei danni lamentati dall'attore.

La valutazione del nesso di causalità giuridica (in virtù della quale si scrutina se i fatti sopravvenuti siano di per sé soli idonei a determinare l'evento e, quindi, interrompano il nesso con il fatto di tutti gli antecedenti causali precedenti), tanto sotto il profilo della dipendenza dell'evento dai suoi antecedenti fattuali, quanto sotto l'aspetto dell'individuazione del novus actus interveniens, va compiuta secondo criteri a) di probabilità scientifica, ove questi risultino esaustivi; b) di logica, se appare non praticabile (o insufficientemente praticabile) il ricorso a leggi scientifiche di copertura; con l'ulteriore precisazione che, nell'illecito omissivo, l'analisi morfologica della fattispecie segue un percorso affatto speculare - quanto al profilo probabilistico - rispetto a quello commissivo, dovendosi, in altri termini, accertare il collegamento evento/comportamento omissivo in termini di probabilità inversa, onde inferire che l'incidenza del comportamento omesso si pone in relazione non probabilistica con l'evento (che, dunque, si sarebbe probabilmente avverato anche se il comportamento fosse stato posto in essere), a prescindere, ancora, dall'esame di ogni profilo di colpa, intesa nel senso di mancata previsione dell'evento e di inosservanza di precauzioni doverose da parte dell'agente. Nell'individuazione di tale relazione primaria tra condotta ed evento, si prescinde, in prima istanza, da ogni valutazione di prevedibilità, tanto soggettiva quanto “oggettivata”, da parte dell'autore del fatto, essendo il concetto logico di “previsione” insito nella categoria giuridica della colpa (elemento qualificativo dell'aspetto soggettivo del torto, la cui analisi si colloca in una dimensione temporale successiva in seno alla ricostruzione della complessa fattispecie dell'illecito e che, dunque, segue il positivo accertamento del nesso di causalità).

In tema di responsabilità professionale del medico chirurgo, Cass. III, n. 7997/2005, ha precisato, a titolo esemplificativo, che: 1) la morte caratterizzata da sintomatologia da avvelenamento e l'ingestione di diossina da parte del defunto sono vicende legate da un nesso causale predicabile sulla - sola - base di leggi di tipo chimico-scientifico; 2) la morte da infezione tetanica di un paziente operato per discopatia sarà, viceversa, casualmente collegata all'erronea diagnosi dell'infezione stessa e all'omesso intervento terapeutico/farmacologico sol che, al momento dell'insorgere della patologia, risulti probabile, ancora secondo regole scientifiche, che diagnosi e cure tempestive avrebbero potuto scongiurare l'esito letale - se risulti, cioè, specularmente improbabile, anche se solo possibile, che l'omissione sia stata causa dell'evento, sicché la risposta negativa a tale quesito si pone come ostativa ad ogni ulteriore valutazione degli aspetti soggettivi del comportamento, quantunque predicabili in termini di gravissima negligenza, non essendo lecito procedere ad una sorta di compensatio culpae cum causa; 3) la mancata, opportuna sorveglianza di un paziente ricoverato per un night hospital perché soggetto a crisi di epilessia - ricovero funzionale a prevenire tali crisi ovvero ad impedirne più gravi conseguenze - sarà, secondo un criterio logico (in assenza di una legge scientifica di copertura), la causa probabile di eventuali lesioni che il soggetto si procuri se assalito da una crisi improvvisa.

Come anticipato, particolarmente delicata è la verifica del nesso causale tra condotta omissiva e fatto dannoso, la quale si sostanzia nell'accertamento della probabilità positiva o negativa del conseguimento del risultato idoneo ad evitare il rischio specifico di danno, riconosciuta alla condotta omessa, da compiersi mediante un giudizio controfattuale, che pone al posto dell'omissione il comportamento dovuto. Tale giudizio deve essere effettuato sulla scorta del criterio del "più probabile che non", conformandosi ad uno standard di certezza probabilistica, che, in materia civile, non può essere ancorato alla determinazione quantitativa-statistica delle frequenze di classi di eventi (cd. probabilità quantitativa o pascaliana), la quale potrebbe anche mancare o essere inconferente, ma va verificato riconducendone il grado di fondatezza all'ambito degli elementi di conferma (e, nel contempo, di esclusione di altri possibili alternativi) disponibili nel caso concreto (cd. probabilità logica o baconiana). Nel dare applicazione al principio, Cass. III, n. 23197/2018, in un caso in cui alla omessa diagnosi di appendicite acuta era comunque seguita la risoluzione della patologia mediante intervento chirurgico, all'esito del quale era peraltro insorto uno stato di coma con pericolo di vita, ha affermato che, sostituendo alla omessa diagnosi la corretta rilevazione della patologia, sarebbe rimasto immutato, nella sequenza sopra indicata, il segmento causale successivo, posto che l'intervento chirurgico aveva trovato il diretto antecedente causale nella malattia non altrimenti trattabile e il successivo stato di coma aveva costituito un evento del tutto anomalo ed eccezionale, la cui genesi eziologica era stata assorbita nella efficienza deterministica esclusiva della condotta gravemente imperita dell'anestesista nel corso dell'intervento.

Premesso che il nesso di causalità materiale tra condotta ed evento è quello per cui ogni comportamento antecedente che abbia in qualche modo generato - o contribuito a generare - una relazione tra il comportamento astrattamente considerato e l'evento deve considerarsi causa dell'evento stesso, laddove il nesso di causalità giuridica è una relazione eziologica per cui i fatti sopravvenuti, di per sé soli idonei a determinare l'evento, interrompono il nesso con il fatto di tutti gli antecedenti causali precedenti, nel caso di comportamento omissivo, occorre accertare quale sia stata l'incidenza del comportamento omesso nel verificarsi dell'evento e in quale relazione si ponga con esso, dovendo risultare con ragionevole probabilità che l'evento non si sarebbe avverato se il comportamento richiesto fosse stato posto in essere.

Per quanto i due profili spesso si confondano, la distinzione è netta, ove si consideri che la seconda fase, quella della causalità giuridica, presuppone già risolto il problema della imputazione dell'evento lesivo e concerne solo la determinazione del danno da porre a fondamento del calcolo del danno risarcibile. Per Cass. S.U., n. 576/2008, il nesso di causalità giuridica, al contrario di quello di causalità materiale, non è presupposto essenziale perché sorga la responsabilità del danneggiante, ma ha la più limitata funzione di circoscrivere l'area del danno risarcibile.

In conclusione, un evento dannoso è da considerare causato sotto il profilo materiale da un altro se, ferme restando le altre condizioni, il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo (cosiddetta teoria della condicio sine qua non): ma, nel contempo, non è sufficiente tale relazione causale per determinare una causalità giuridicamente rilevante, dovendosi, all'interno delle serie causali così determinate, dare rilievo a quelle soltanto che, nel momento in cui si produce l'evento causante, non appaiano del tutto inverosimili (cosiddetta teoria della causalità adeguata o della regolarità causale, la quale, in realtà, oltre che una teoria causale, è anche una teoria dell'imputazione del danno). In tal senso viene in rilievo una nozione di prevedibilità che è diversa da quella delle conseguenze dannose, cui allude l' art. 1225 c.c., ed anche dalla prevedibilità posta a base del giudizio di colpa, poiché essa prescinde da ogni riferimento alla diligenza dell'uomo medio, ossia all'elemento soggettivo dell'illecito, e concerne, invece, le regole statistiche e probabilistiche necessarie per stabilire il collegamento di un certo evento ad un fatto. Nell'ambito di detta nozione di prevedibilità, in tema di responsabilità aquiliana, sono risarcibili anche i danni indiretti e mediati, purché appunto siano un effetto normale secondo il suddetto principio della causalità adeguata ( Cass. III, n. 11609/2005).

Premesso che, in tema di responsabilità medica, è a carico del danneggiato la prova dell'esistenza del contratto e dell'insorgenza o dell'aggravamento della patologia, con l'allegazione di qualificate inadempienze, astrattamente idonee a provocare il danno lamentato, restando a carico dei sanitari la prova che la prestazione professionale sia stata eseguita in modo diligente e che il pregiudizio sia stato determinato da un evento imprevisto e imprevedibile, non di rado il paziente incontra difficoltà nell'individuare le condotte ascrivibili al personale sanitario ed il nesso eziologico tra queste ultime e il danno lamentato.

Mediante il nuovo istituto dell'a.t.p. introdotto, a mò di condizione di procedibilità, dalla l. 8 marzo 2017, n. 24 (cd. Bianco-Gelli), da un lato, si assisterà normalmente ad un'anticipazione (quantomeno parziale) del momento acquisitivo e di valutazione medico-legale delle prove, e, dall'altro, risulterà più agevole individuare con la maggior precisione possibile quali siano le condotte (commissive o omissive) imputabili in concreto ai sanitari o alla struttura, in modo da porre il danneggiato nelle condizioni di allegare, nel contesto dell'atto introduttivo del successivo, eventuale giudizio di merito, “qualificate inadempienze”, idonee a provocare il pregiudizio.

Da ciò consegue che, nel giudizio avente ad oggetto il risarcimento del danno causato da un errore del medico o della struttura sanitaria, al quale sono applicabili (ormai limitatamente alla seconda) le regole sulla responsabilità contrattuale (ivi comprese quelle sul riparto dell'onere della prova), l'attore ha il solo onere - ex art. 1218 c.c. - di allegare e provare l'esistenza del contratto, e di allegare in modo “qualificato” l'esistenza d'un valido nesso causale tra l'errore del medico e l'aggravamento delle proprie condizioni di salute, mentre spetterà al convenuto dimostrare o che inadempimento non vi sia stato, ovvero che esso, pur essendo sussistente, non sia stato la causa efficiente dei danni lamentati dall'attore.

In tema di responsabilità sanitaria, Cass. n. 28986/2019, ha precisato che, perché danno in senso giuridico possa essere risarcito, devono accertarsi due nessi di causa: il primo, tra condotta lesiva e lesione; il secondo, tra lesione e conseguenze dannose. Il primo nesso andrà accertato secondo le regole della causalità materiale, e dunque applicando i criteri dettati dagli artt. 40 e 41 c.p. Una volta accertata l'esistenza del nesso di causalità materiale tra la condotta illecita e le lesioni, dovrà poi accertarsi un valido nesso di causalità giuridica tra la lesione e la menomazione (e le conseguenti rinunce), secondo i princìpi ripetutamente affermati da questa Corte: per tutti, Cass. III, n. 15991/2011).

In particolare, l'accoglimento d'una domanda di risarcimento del danno richiede l'accertamento di due nessi di causalità: a) il nesso tra la condotta e l'evento di danno - inteso come lesione di un interesse giuridicamente tutelato -, o nesso di causalità materiale; b) il nesso tra l'evento di danno e le conseguenze dannose risarcibili, o nesso di causalità giuridica.

L'accertamento del primo dei due nessi suddetti è necessario per stabilire se vi sia responsabilità ed a chi vada imputata; l'accertamento del secondo nesso serve a stabilire la misura del risarcimento. Il nesso di causalità materiale è dunque un criterio oggettivo di imputazione della responsabilità; il nesso di causalità giuridica consente di individuare e selezionare le conseguenze dannose risarcibili dell'evento.

I danni subiti dagli utenti di strade pubbliche

L'ambito nel quale la giurisprudenza si è, in tema di nesso di causalità, pronunciata con maggiore frequenza è, peraltro quello dei danni subiti dagli utenti delle strade pubbliche.

Così, Cass. III, n. 260/2017, ha chiarito che il giudice, nell'accertare la responsabilità nella verificazione dell'evento dannoso, non può limitarsi a valutare la condotta del conducente sotto il profilo della prevedibilità del pericolo, ma deve al contempo valutare l'eventuale efficacia causale, anche concorrente, che abbia assunto la condotta omissiva colposa dell'Amministrazione nella produzione del sinistro.

Non diversamente si è espressa Cass. III, n. 18753/2017,: dopo aver confermato il principio secondo cui, ai sensi dell'art. 41, c.p., il concorso di cause preesistenti, simultanee o sopravvenute, anche se indipendenti dall'omissione del colpevole, non esclude il rapporto di causalità fra dette cause e l'evento, essendo quest'ultimo riconducibile a tutte, tranne che si accerti l'esclusiva efficienza causale di una di esse, ha precisato che il comportamento del danneggiato può assumere tale efficienza e integrare così il caso fortuito solo qualora si accerti che il comportamento del danneggiante non ha avuto alcuna incidenza sul verificarsi del fatto; in particolare, in riferimento al caso in cui una delle cause consista in una omissione, la positiva valutazione sull'esistenza del nesso causale tra omissione ed evento presuppone che si accerti che l'azione omessa, se fosse stata compiuta, sarebbe stata idonea ad impedire l'evento dannoso ovvero a ridurne le conseguenze, non potendo esserne esclusa l'efficienza soltanto perché sia incerto il suo grado di incidenza causale.

E ancora, Cass. III, n. 1295/2017, ha statuito che il fatto colposo del danneggiato, rilevante ai fini dell'applicazione dell'art. 1227, comma 1, c.c., deve connettersi causalmente all'evento dannoso, non potendo quest'ultimo essere pretermesso nella ricostruzione della serie causale giuridicamente rilevante, né potendosi collegare direttamente la condotta colposa del danneggiato con il danno da lui patito (il concorso del danneggiato è stato escluso in una fattispecie nella quale questi, deceduto in un sinistro stradale, aveva accettato di farsi trasportare su un'autovettura guidata da un conducente in stato di ebrezza, ma era stato accertato che la responsabilità causativa del sinistro era da ascriversi integralmente al conducente dell'altro veicolo in esso coinvolto).

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