Le diverse interpretazioni del principio di responsabilità patrimoniale nel concordato con continuità

Dario Finardi
20 Dicembre 2017

Il concordato preventivo, come mezzo per la soluzione della crisi d'impresa e strumento per addivenire alla esdebitazione del debitore, come noto, è regolato da due principi basilari: la soddisfazione integrale dei creditori prelatizi (salva la degradazione per incapienza del bene, sul ricavato in caso di liquidazione, da intendersi come “confronto fra la soluzione concordataria e lo scenario liquidatorio” nella relazione giurata da parte di un professionista, avuto altresì riguardo al valore di mercato del bene) e la graduazione dei crediti in ragione delle cause di prelazione per cui, anche in presenza di classi, “il trattamento stabilito per ciascuna classe non può avere l'effetto di alterare l'ordine delle cause legittime di prelazione” (art. 160, comma 2, l. fall.).
Premessa

Il concordato preventivo, come mezzo per la soluzione della crisi d'impresa e strumento per addivenire alla esdebitazione del debitore, come noto, è regolato da due principi basilari: la soddisfazione integrale dei creditori prelatizi (salva la degradazione per incapienza del bene, sul ricavato in caso di liquidazione, da intendersi come “confronto fra la soluzione concordataria e lo scenario liquidatorio” nella relazione giurata da parte di un professionista, avuto altresì riguardo al valore di mercato del bene) e la graduazione dei crediti in ragione delle cause di prelazione per cui, anche in presenza di classi, “il trattamento stabilito per ciascuna classe non può avere l'effetto di alterare l'ordine delle cause legittime di prelazione” (art. 160, comma 2, l. fall.).

Il concordato preventivo con continuità disciplinato dall'art. 186-bis l. fall. prevede sia la continuità diretta, c.d. soggettiva (con una possibile componente liquidatoria per i beni non funzionali all'esercizio dell'impresa), sia quella indiretta, c.d. oggettiva.

Nel primo caso è lo stesso imprenditore che prosegue l'attività di impresa e garantisce con i flussi derivanti dalla stessa la soddisfazione dei creditori (nei termini di cui alla proposta).

Nel secondo caso l'azienda in esercizio viene ceduta a terzi ovvero conferita in una o più società con una scissione [la regola dell'inalterabilità dell'ordine delle cause legittime di prelazione è stata interpretata sia in una versione “forte” - Trib. Milano 24 ottobre 2012, Trib. Roma 1 febbraio 2012 in Il caso -, come principio di absolute priority rule (Sul concetto di absolute priority rule vedi: F. Marengo, Un approccio di analisi economica del diritto sulla crisi d'impresa: l'absolute priority rule statunitense e le sue deroghe giurisprudenziali. Prospettive di riforma del dato normativo italiano, in Il caso; D. Vattermoli, Concordato con continuità aziendale. Absolute priority rule e new value exception, in Riv. dir. comm., 2014.), sia in una versione “debole” (per il vero meno seguita dalla giurisprudenza di merito) per cui, in relazione al privilegio generale, la prelazione collegata allo stesso crea un rafforzamento del principio della responsabilità patrimoniale ex art. 2740 c.c., ma non lega il titolare di questo privilegio generale con il patrimonio attuale del debitore (a differenza dell'ipoteca e del pegno). Il patrimonio del debitore, quindi, nella versione “debole” non viene destinato esclusivamente alla soddisfazione dei crediti con privilegio generale (per una versione “intermedia” v. G. D'Attorre, Concordato con continuità ed ordine delle cause di prelazione, in Giur. Comm., 2016; G. D'Attorre, Ricchezza del risanamento imprenditoriale e sua destinazione, cit; l'effetto esdebitatorio comporta “la sostituzione dell'obbligazione originaria con l'obbligazione concordataria; il privilegio esistente al momento dell'apertura della procedura si limita ad imporre che l'obbligazione concordataria assunta nei confronti dei creditori privilegiati abbia determinate caratteristiche conformi alla previsione dell'art. 160 comma 2, l. fall. ma questa obbligazione concordataria ha poi natura e regime omogenei a quelli delle altre obbligazioni concordatarie; pertanto le regole di distribuzione del patrimonio ex art. 2741 c.c. e la priorità che essere attribuiscono ai privilegiati rispetto ai chirografari operano nei concordati solo con riferimento al patrimonio esistente al momento della presentazione della domanda ma non con riferimento al patrimonio posteriore, che è sottratto alle regole imperative di cui all'art. 2741 c.c…. Rimane la necessità che i creditori privilegiati speciali ricevano quantomeno il valore di liquidazione fallimentare del bene oggetto di garanzia e che a quelli muniti di privilegio generale sia assicurato un trattamento migliore rispetto a quello offerto ai creditori chirografi con riferimento alla distribuzione del patrimonio esistente al momento dell'apertura della procedura”. Altra dottrina ha temperato la regola “forte” affermando che il maggior valore che l'attuazione del piano concordatario apporta rispetto alla liquidazione fallimentare è sostanzialmente riconducibile alla finanza esterna che, in quanto estranea al patrimonio del debitore, sarebbe interamente distribuibile tra i creditori”. In tal senso S. Ambrosini, Il concordato preventivo, in Trattato di diritto fallimentare e delle altre procedure concorsuali, diretto da F. Vassalli – F.P. Luiso – E. Gabrielli, IV, Torino, 2014, 178].

Il concordato con continuità diretta e la responsabilità patrimoniale: due tesi a confronto

Fatte queste premesse, sorge spontaneo il dubbio relativo a come debbano essere considerati i flussi e i proventi generati dall'esercizio dell'attività d'impresa nel concordato in continuità diretta (per la soluzione dei conflitti tra creditori con riferimento all'utilizzo dei flussi generati dalla continuità dell'attività d'impresa nel concordato si veda il già citato G. D'Attorre, Ricchezza del risanamento imprenditoriale e sua destinazione, cit.).

Da una parte i flussi derivanti dalla continuità devono essere integralmente destinati al soddisfacimento dei creditori in applicazione dei principi di cui agli artt. 2740 e 2741 c.c. (tesi pura); dall'altra i flussi possono essere conservati in parte nella disponibilità della società debitrice (al netto dei costi e delle somme destinate ai creditori concordatari), in deroga al principio della responsabilità patrimoniale ex art. 2740 c.c., come assets funzionali all'esercizio dell'attività d'impresa, sia come risorse utili anche ad assicurare una patrimonializzazione adeguata nel prosieguo della continuità e possono qualificarsi come finanza esterna e quindi possono essere liberamente distribuibili tra i creditori senza i vincoli della regola dell'ordine delle cause legittime di prelazione.

Rileva, innanzitutto, che nel piano con continuità aziendale diretta gli interessi dei soci/amministratori e dei creditori “convergono” nel massimizzare il profitto e il patrimonio: viene superata la concezione contrattuale della società, dove l'interesse sociale è quello di creare valore per i soci investitori, con uno spostamento verso le figure oggettive dell'attività d'impresa e dell'azienda, ma con la variante dell'insolvenza nella crisi d'impresa, che determina la soddisfazione prioritaria dei creditori rispetto agli interessi dei soci (.

La tesi che “deroga” al principio della responsabilità patrimoniale si fonda su una serie di considerazioni.

Innanzitutto, se nel concordato con continuità diretta la proposta non prevede il pagamento integrale dei creditori, ciò costituisce già un'evidente deroga al principio della responsabilità patrimoniale di cui all'art. 2740 c.c. in quanto, post omologa, il debitore rimane titolare dell'azienda e i flussi derivanti dalla prosecuzione dell'attività d'impresa sono destinati ai creditori nella misura prevista dalla proposta e la liquidazione può investire anche solo una parte dei beni, non funzionali all'attività d'impresa. Di conseguenza, nel concordato con continuità diretta il debitore non risponde delle proprie obbligazioni con tutti i beni esistenti al momento della domanda, che è il termine a partire dal quale inizia la procedura. L'alternativa sembra, quindi, inevitabile: o si ritiene che i concordati con continuità diretta giustifichino sempre la deroga al principio della responsabilità patrimoniale, oppure si deve riconoscere che gli stessi non siano mai ammissibili nel caso in cui sia previsto uno stralcio per i creditori chirografari (o anche nel caso di pagamento integrale ma senza riconoscimento degli interessi), “a meno che un terzo non apporti “finanza esterna” per un importo pari al valore dei beni non destinati ai creditori”.

Il principio di universalità della responsabilità patrimoniale viene quindi derogato in base ad una precisa scelta di politica legislativa basata su esigenze di continuità e di salvaguardia dei complessi aziendali, purché vi sia un going concern value ed un auspicabile cambiamento del management.

L'interesse alla continuità rispetto al miglior soddisfacimento dei creditori non giustifica la deroga all'art. 2740 c.c., come sostenuto in alcune decisioni (tra le altre, vedi App. Roma 5 marzo 2013 in Il caso), anzi, al contrario, è la continuità (ad essere favorita al fine del miglior soddisfacimento dei creditori. Quello che giustifica la continuità aziendale è l'interesse dei creditori, che diventa la ragione stessa della continuità (sul punto vedi R. Rordorf, La continuità aziendale tra disciplina di bilancio e diritto della crisi, in Le Società, 2014).

In aggiunta, il secondo comma dell'art. 2740 c.c. prevede che “le limitazioni della responsabilità non sono ammesse se non nei casi stabiliti dalla legge”: il concordato con continuità diretta potrebbe individuare proprio uno di questi casi.

Alcuni autori sostengono inoltre che sia il principio di maggioranza su cui sono basati i concordati, nel rispetto delle regole sulla formazione del consenso, a consentire una deroga all'art. 2740 c.c.. In un certo senso, però, proprio il principio di maggioranza realizza al meglio il principio di responsabilità patrimoniale, posto che il debitore risponde dell'adempimento delle proprie obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri (i beni futuri nel concordato con continuità soggettiva sono proprio le risorse generate dalla prosecuzione dell'attività d'impresa. Se i beni futuri non venissero messi a disposizione dei creditori, si potrebbe pensare ad una violazione del principio della responsabilità patrimoniale. Al contrario, in caso di messa a disposizione degli stessi, potrebbe essere la maggioranza dei creditori a valutare sotto il profilo della convenienza, in ordine alla misura del proprio soddisfacimento, la possibilità di accogliere favorevolmente proposte che prevedano la destinazione ai creditori concordatari anche solo di parte delle utilità derivanti dai flussi della continuazione dell'attività d'impresa).

Sarà quindi da considerare ammissibile una proposta di concordato che preveda la possibilità, per il debitore, di conservare sia una frazione del patrimonio anteriore funzionale all'attività, sia una frazione di utili conseguenti alla prosecuzione.

Inoltre, il principio di maggioranza nel concordato costituisce un mezzo per superare il diritto di veto del singolo creditore a fronte di proposte di regolazione della crisi, per cui può consentire di formare una volontà collettiva su proposte che definiscono il perimetro del patrimonio devoluto ai creditori.

Da ultimo, per effetto del concordato e dell'omologa dello stesso ex art. 184 l. fall., la pretesa creditoria originaria viene estinta (o diviene inesigibile) nei confronti del debitore e viene confermata e limitata in ragione della previsione della proposta (anche se la liberazione del debitore si attua con l'adempimento degli obblighi concordatari). Tale estinzione/inesigibilità è risolutamente condizionata alla risoluzione del concordato.

Il concordato preventivo realizza dunque una limitazione del debito, e non una limitazione di responsabilità patrimoniale: infatti, i creditori per crediti anteriori post omologa non possono rivalersi sulla parte del patrimonio o degli utili futuri che il debitore intenda riservarsi, in quanto il loro credito si è estinto (o è divenuto inesigibile). Ciò non costituisce dunque una violazione del principio di universalità della responsabilità patrimoniale.

Consegue a quanto esposto che nel concordato con continuità aziendale diretta il debitore può trattenere (in parte), e quindi senza riversarle ai creditori, le utilità conseguite durante l'esecuzione del piano (ossia i flussi di cassa), in deroga all'art. 2740 c.c..

La disciplina del concordato con continuità aziendale non prevede, infatti, l'obbligo per il debitore di destinare ai creditori tutte le utilità derivanti dalla continuazione, consentendo al ricorrente di mantenere parte dell'attivo generato (tra le sentenze rese a contrario per una tipologia di concordato liquidatorio vedi App. Roma 5 marzo 2013 cit.; Trib. Torino 5 giugno 2014 in questo portale; Trib. Roma 25 luglio 2012 in Il caso), con conseguente legittimità di una proposta che preveda la parziale cessione dei beni (Trib. Firenze 2 novembre 2016 in Fall., 2017) nel contesto del piano con continuità (nel concordato liquidatorio la giurisprudenza risulta invece attestata in modo granitico e condivisibile sulla inammissibilità di proposte che prevedano la cessione solo parziale dei beni a favore dei creditori in quanto ciò costituirebbe una inammissibile violazione dell'art. 2740 c.c.. Tra le altre, vedi App. Roma 5 marzo 2013 cit.; Trib. Trento 10 giugno 2016 in questo portale; Trib. Torino 5 giugno 2014 cit.; Trib. Roma 29 luglio 2010 in Fall., 2011).

L'unico limite è dato dal principio di cui all'art. 160, comma 2, l. fall., per il quale nel caso di concordato in continuità il piano e il debitore devono garantire (assicurare) un trattamento economico più vantaggioso rispetto alla liquidazione del patrimonio detenuto dal debitore al momento della proposizione della domanda.

I creditori vengono soddisfatti non attraverso la liquidazione del patrimonio, ma con i proventi ritratti dall'esercizio dell'attività d'impresa: scopo della continuità aziendale è anche il raggiungimento di un equilibrio economico – finanziario attuabile con l'accantonamento di risorse generate dalla continuità.

I flussi dell'attività d'impresa, inoltre, se possono addirittura essere trattenuti dall'imprenditore, possono essere considerati come finanza esterna.

La regola generale del rispetto dell'ordine delle prelazioni di cui all'art. 160, comma 2, l. fall., infatti, “deve essere intesa anche nel concordato in continuità come operativamente limitata, nel tempo, alla data della presentazione della domanda di concordato e nella ‘dimensione applicativa' al patrimonio della concordataria esistente a quella data” (Trib. Milano 8 novembre 2016 cit.). Il parametro che costituisce il limite di riferibilità per appurare se vi sia o meno violazione dell'ordine di prelazione è il momento della presentazione della domanda perché “ciò che è valutabile ai fini della capienza in sede di redazione del piano è solo il patrimonio attuale della società e solo esso sarebbe passibile di azioni esecutive o di collocazione sul mercato al cui risultato si dovrebbe comparare l'offerta formulata dalla società per appurare se essa lede il privilegio o meno”. La presentazione della domanda di concordato, dunque, cristallizza il valore del patrimonio assoggettato alla garanzia patrimoniale ex art. 2740 c.c. e al rispetto dell'ordine delle cause di prelazione.

Non si può infatti tacere dell'obbligo del rispetto delle “regole che disciplinano il sistema verticale di distribuzione del patrimonio del soggetto sottoposto a concorso”. Con particolare riferimento ai concordati con continuità soggettiva, tale regola imporrebbe di destinare ai creditori l'intero surplus generato dalla soluzione negoziata della crisi e, in presenza di una proposta che preveda un soddisfacimento parziale dei creditori, consentirebbe ai soci originari di mantenere le proprie partecipazioni solo previa corresponsione di una somma a titolo di prezzo, da indicare nella stessa proposta (c.d. new value exception), ciò nell'ambito della New Value doctrine (v. sul punto D. Vattermoli, Concordato con continuità aziendale. Absolute priority rule e new value exception, in Riv. Dir. Comm., 2014).La destinazione della redditività futura (flussi di cassa della continuità) dell'azienda al soddisfacimento dei creditori chirografari risulta comunque legittima, pur in presenza di creditori con privilegio generale solo parzialmente soddisfatti dal patrimonio del debitore, in considerazione del fatto che essa può essere assimilata alla “finanza esterna”, secondo il principio fatto proprio da parte della giurisprudenza (Trib. Milano 8 novembre 2016 cit.; Trib. Firenze 2 novembre 2016 cit.), che ha considerato tali risorse liberamente disponibili da parte del proponente e, quindi, svincolate dal rispetto dell'ordine delle cause di prelazione (Trib. Treviso 16 novembre 2015 in il Caso).Per tali ragioni nel concordato preventivo con continuità aziendale diretta “l'utile generato dalla prosecuzione dell'attività d'impresa, il quale costituisce, quindi, un beneficio aggiuntivo, può essere liberamente distribuito tra i creditori chirografari anche qualora i creditori privilegiati non abbiano ottenuto l'integrale soddisfazione” (così Trib. Prato 7 ottobre 2015 in il Caso), accedendo alla tesi della deroga dell'art. 2740 c.c., “da intendersi limitata al patrimonio apprendibile ed esistente” (M. Fabiani, La rimodulazione del dogma della responsabilità patrimoniale e la de-concorsualizzazione del concordato preventivo in Il Caso. Non vi è l'obbligo di destinare ai creditori tutto il surplus derivante dalla prosecuzione dell'attività, né tantomeno i soci sono chiamati a corrispondere il prezzo per il mantenimento delle loro partecipazioni).

La discesa verticale dell'ordine di priorità è possibile mano a mano che si erodono le risorse; quando le risorse sono esaurite, la garanzia patrimoniale non c'è più; ci sarebbe sui beni futuri (art. 2740 c.c., art. 42 l.f.), ma solo su quelli realizzabili nella liquidazione, non su quelli futuri salvo che siano contendibili ed offerti spontaneamente

Per la tesi contraria, che non ritiene possibile una deroga al principio di cui all'art. 2740 c.c., si segnala Tribunale di Milano 15.12.2016, in il Caso, secondo cui “La prosecuzione dell'attività d'impresa in sede concordataria non può comportare il venir meno della garanzia patrimoniale del debitore, che risponde dei suoi debiti con tutti i beni, presenti e futuri (art. 2740 c.c.), non creando la prosecuzione dell'attività un patrimonio separato o riservato in favore di alcune categorie di creditori (anteriori o posteriori alla domanda di concordato). Né pare consentito azzerare, in sede concordataria, il rispetto delle cause legittime di prelazione (art. 2741 c.c.), che è un corollario della responsabilità patrimoniale.” Questa visione alternativa individua una sorta di patto leonino in danno ai creditori esclusi parzialmente dalla possibilità di beneficiare dei flussi di cassa generati dalla continuità dell'attività d'impresa.

L'indirizzo più rigoroso per quanto riguarda la regola della graduazione dei crediti secondo le cause di prelazione è quello espresso dalla Suprema Corte (ovviamente ante 'introduzione del concordato con continuità con il D.L. n. 83/2012), con la sentenza 8 giugno 2012 n. 9373. La suddetta Cassazione precisa che l'apporto del terzo si sottrae al divieto di alterazione della graduazione dei crediti privilegiati solo allorché risulti “neutrale” rispetto allo stato patrimoniale della società, non comportando né un incremento dell'attivo patrimoniale della società debitrice, sul quale i crediti privilegiati dovrebbero in ogni caso essere collocati secondo il loro grado, né un aggravio del passivo della medesima, con il riconoscimento di ragioni di credito a favore del terzo, indipendentemente dalla circostanza che tale credito sia stato postergato o no (Cfr. App. Venezia 12 maggio 2016 in Fall., 2016, 7, 877 pronuncia che, tuttavia, riguarda sempre una fattispecie di concordato liquidatorio. Così anche il Trib. Belluno 17 febbraio 2017, in Fall., 2017, 1217 ss., che ha sancito l'inammissibilità del concordato che preveda la soddisfazione dei crediti chirografari mediante gli apporti derivanti dalla continuazione dell'attività d'impresa nel caso in cui la proposta non preveda l'integrale soddisfazione dei crediti prelatizi ex art. 160 comma 2 l. fall.. Da notare tuttavia che detta decisione si pronuncia in ipotesi di concordato liquidatorio e non viceversa di concordato con continuità diretta.

Fattispecie quindi avulsa dal caso concreto di continuità diretta in cui si realizza il miglior soddisfacimento dei creditori. Infatti per i concordati liquidatori e con continuità indiretta, gli stessi hanno una caratteristica comune pur nelle differenti discipline. In ambedue si realizza una separazione tra il debitore-imprenditore e la sua azienda, che cessa (concordati liquidatori) o che entra nella disponibilità di un diverso soggetto (concordati con continuità oggettiva). Ponendosi dall'angolo visuale dei creditori e dell'attuazione della garanzia patrimoniale, la situazione è identica nelle due fattispecie, potendo ottenere il soddisfacimento del loro credito solo attraverso la liquidazione dei beni esistenti nel patrimonio del debitore al momento dell'apertura della procedura e non potendo fare affidamento sugli eventuali ricavi futuri derivanti dalla prosecuzione dell'attività, che andranno a beneficio di un diverso soggetto giuridico (cessionario o conferitario) rispetto al quale essi non vantano diritti (salvo l'affitto d'azienda in quanto parte degli utili prodotti discende dall'attività svolta da un terzo) (Così G. D'Attorre, Ricchezza del risanamento imprenditoriale e sua destinazione, cit..).

La fattispecie esaminata dalla Cassazione riguardava comunque un concordato liquidatorio.

Nell'ipotesi con continuità soggettiva, invece, l'eventuale permanenza di parte dei flussi in capo al debitore (e per esso, ai soci della società debitrice) non violerebbe il regime di responsabilità patrimoniale del debitore in base alle considerazioni sopra svolte.

Vi è comunque una detenzione finale di ricchezza da parte dei soci (e della società debitrice) che potrebbe essere considerata non politically correct, e conseguentemente “i soci dovrebbero riacquistare le proprie partecipazioni” (A. Rossi, Il migliore soddisfacimento dei creditori (quattro tesi), in Fall., 2017) annullate (se non contabilmente, quanto meno economicamente) dalla crisi della società debitrice.

Come è stato correttamente osservato tale tesi “pura” contrasta nel nostro ordinamento con l'art. 182-sexies l. fall., come disciplina a sostegno della originaria compagine sociale quanto meno fino all'omologa (sospensione della regola “ricapitalizza o liquida”). La norma consente all'imprenditore di continuare l'attività d'impresa anche post omologa, in quanto successivamente a quest'ultima si realizza la sopravvenienza attiva determinata dalla riduzione dei debiti (falcidia).

Ciò non di meno la continuità soggettiva dovrebbe essere supportata da un'attestazione che esprima un giudizio quantomeno di equivalenza della provvista concordataria (attivo destinato al pagamento dei creditori) rispetto al risultato di una liquidazione fallimentare mediante la vendita a terzi dell'azienda in esercizio (tesi anche espressa in un recente provvedimento del Tribunale di Trento).

La provvista concordataria non può dunque essere inferiore al valore/prezzo dell'azienda in esercizio. Inoltre, stabilire che i creditori devono essere destinatari dei risultati dell'attività d'impresa che vanno a costituire il netto patrimoniale in misura non inferiore al valore dell'azienda in esercizio, non significa altro che imporre ai soci un sacrificio, in termini di minori utili percepiti, quanto meno pari a detto valore, ciò che può ritenersi, da un punto di vista economico, equivalente ad un obbligo di riacquisto dell'impresa (se non delle partecipazioni) da parte dei soci stessi (per quanto concerne la compatibilità di tale soluzione con la proposta di direttiva della Commissione UE del 2016 vedi A. Rossi, cit., 645; D. Vattermoli, Concordato con continuità aziendale. Absolute priority rule e new value exception, cit.).

In tal senso l'attestazione sul miglior soddisfacimento dei creditori deve contenere tale giudizio con la stima del valore/prezzo dell'azienda in esercizio.

La miglior soddisfazione dei creditori: soglia o confine?

Da quanto sopra deriva il collegamento con il principio del miglior soddisfacimento dei creditori.

Come già precisato, anche nelle ipotesi di adesione alla deroga della responsabilità patrimoniale, la continuità non deve essere assunta come un valore in sé, ma subordinata al requisito del miglior “soddisfacimento dei creditori” e comunque conseguentemente detto requisito si riferisce al piano, e non alla proposta, se non laddove la promessa di soddisfacimento sia dipendente dal futuro andamento dell'impresa come res sperata e quindi con l'attribuzione di utili futuri, quote di capitale e strumenti finanziari.

Il miglior soddisfacimento dei creditori non può essere inteso come il migliore in assoluto atteso nell'ambito della prosecuzione dell'attività d'impresa da parte dello stesso debitore, poiché ciò significherebbe destinare tutte le utilità generate dall'attività d'impresa a beneficio dei soli creditori e per tutto il tempo necessario alla loro integrale soddisfazione, soluzione evidentemente incompatibile sia con le esigenze di autofinanziamento dell'impresa, sia con le aspettative dei soci di vedere, almeno in parte, remunerato il loro persistente investimento nella società debitrice.

L'estensione del limite del miglior soddisfacimento dei creditori a tutte le tipologie di concordato e, quindi, anche alle ipotesi liquidatorie, dove non tutti i beni del debitore vengono ceduti ai creditori, allo stato della disciplina normativa non appare percorribile (la miglior soddisfazione dei creditori è infatti richiesta specificamente in due norme, l'art. 186 bis l. fall. e l'art. 182 quinquies l. fall., che riguardano il concordato con continuità, anche se i finanziamenti di cui all'art. 182-quinquies, comma 1, l. fall. possono essere richiesti anche nell'ambito del concordato in bianco, quando ancora la tipologia di concordato potrebbe non essere delineata).

Appare invece condivisibile considerare la miglior soddisfazione dei creditori come “stella polare” (A. Patti, Il miglior soddisfacimento dei creditori: una clausola generale per il concordato preventivo?, in Fall., 2013, 1099 ss.) e “baluardo della tutela dei creditori” (M. Fabiani, La rimodulazione del dogma della responsabilità patrimoniale e la de-concorsualizzazione del concordato preventivo, in Il caso), quale clausola generale applicabile in via analogica a tutte le tipologie di concordato solo ed esclusivamente però, come ben precisato dalla Cassazione (Cass. 19 febbraio 2016, n. 3324), “quale regola di scrutinio della legittimità degli atti compiuti dal debitore ammesso alla procedura”.

La miglior soddisfazione dei creditori quindi risulta essere una condizione di ingresso, perciò soglia, per la prosecuzione dell'attività d'impresa nel concordato con continuità, che risulta ammissibile come funzionale a tale obiettivo (non certamente un confine).

In tal senso si è espresso anche il legislatore della riforma che ha ampliato il sindacato del Tribunale non più limitandolo ai casi di manifesta inettitudine del piano ma estendendolo all'effettiva realizzabilità del piano per superare lo stato di crisi e/o d'insolvenza.

La scelta operata dalla legge delega n. 155/2017 appare giustificata dalla centralità riconosciuta dalla riforma al concordato in continuità, che rappresenterà sostanzialmente in futuro la soluzione prevalente per il superamento della crisi attraverso la salvaguardia dei valori aziendali, limitando il ricorso al concordato preventivo liquidatorio.

Considerato che la continuità costituisce una misura premiale per l'imprenditore in crisi, consentendogli di proseguire nell'attività nonostante lo stato di crisi, il legislatore ha inteso bilanciare detto favor con un maggior controllo dell'organo giurisdizionale.

La miglior soddisfazione dei creditori non è quindi un limite esterno ma una soglia di accesso; l'accostamento etimologico avviene con il vocabolo limen (liminis), che ha una connotazione positiva come soglia che apre a nuovi orizzonti (salvaguardia dei valori aziendali), rispetto a limes (limitis), che invece ha un'accezione negativa come confine, e quindi limite che blocca (sul concetto di limite vedi BODEI, Limite, Bologna 2016).

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