Legge - 19/10/2017 - n. 155 art. 16 - Disposizioni finanziarieDisposizioni finanziarie
1. Dall'attuazione della presente legge e dei decreti legislativi da essa previsti, ad eccezione delle disposizioni dell'articolo 2, comma 1, lettera o), e dell'articolo 11, comma 1, lettera a), per le quali sono previste specifiche autorizzazioni di spesa, non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Ad essa si provvede con le risorse umane, strumentali e finanziarie previste dalla legislazione vigente. 2. In considerazione della complessità della materia trattata e dell'impossibilità di procedere alla determinazione degli eventuali effetti finanziari, per ciascuno schema di decreto legislativo di cui alla presente legge, la corrispondente relazione tecnica evidenzia gli effetti sui saldi di finanza pubblica. Qualora uno o più decreti legislativi determinino nuovi o maggiori oneri, che non trovino compensazione nel proprio ambito, si provvede ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n. 196. La presente legge munita del sigillo dello Stato, sarà inserita nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. E' fatto obbligo a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge dello Stato. InquadramentoIn data 11 ottobre 2017 dal Senato è stata approvata la legge delega al Governo per la riforma delle discipline della crisi di impresa e dell'insolvenza: l. n. 155 del 19 ottobre 2017, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 30 ottobre 2017, n. 254. I principi e i criteri direttivi di cui si compone il testo normativo delineano un disegno abbastanza preciso dei cardini su cui è destinato ad articolarsi il nuovo diritto della crisi di impresa. Il carattere dettagliato del testo giustifica il tentativo di ricostruire, sin d'ora, un quadro di insieme in cui possa essere già ricompreso il diritto che verrà posto. Vorrei iniziare con il ribadire i limiti del diritto della crisi d'impresa, e quale avrebbe potuto essere la prospettiva della riforma. Più volte ho sostenuto che l'insufficienza di questo diritto, per come oggi si presenta, dipende soprattutto da alcune ragioni di fondo, trascurate nei vari tentativi di ammodernamento della legislazione di settore degli ultimi dieci anni. In primo luogo, va considerata la vetustà dell'impianto normativo del c.d. diritto comune. La legge fallimentare del 1942 (semplicemente novellata a più riprese, ma mai abrogata) risponde ad una impostazione risalente alla codificazione commerciale francese del 1807: di matrice statalista, caratterizzata da un pesante sospetto verso la figura del fallito; orientata esclusivamente all'affermazione di interessi pubblici e subordinatamente alla tutela dei creditori (specie dei creditori garantiti); scarsamente attenta alla conservazione dell'impresa. In questa ottica furono disciplinati nelle legislazioni storiche istituti quasi dovunque abbandonati, come il concordato preventivo e il fallimento. Ossia la procedura di stigmatizzazione dell'insolvenza dell'imprenditore (il fallimento) e la procedura in prevenzione della stessa e delle gravi conseguenze personali connesse (il concordato preventivo): istituti intrinsecamente inidonei a recare un diritto effettivamente nuovo. Parimenti, bisognerebbe seriamente considerare l'insuperata opinabilità del c.d. diritto amministrativo della crisi di impresa (liquidazioni coatta e soprattutto amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi): certamente preoccupato della salvaguardia dell'impresa, ma sottratto al controllo giudiziario e determinato non da logiche di mercato ma da preoccupazioni di natura amministrativa e politica (secondo una soluzione non riscontrabile negli ordinamenti di civiltà affine). Nemmeno dovrebbe sottovalutarsi l'inadeguatezza degli strumenti attualmente fruibili: concordato preventivo, fallimento, amministrazione straordinaria. È sufficiente riflettere che nessuna di queste procedure è stata effettivamente pensata per regolare strategie di corporate restructuring, bensì esclusivamente per la composizione della debitoria dell'imprenditore insolvente. Il perdurante pregiudizio verso il debitore è anche testimoniato dall'assenza – nonostante i recenti tentativi del legislatore – di efficaci strumenti di esdebitazione. Come pure dimostra il notevole insuccesso pratico della procedura di sovraindebitamento, in assenza di strumenti legislativi idonei a stabilire un confine netto tra dolo e sfortuna, c'è spazio esclusivamente per soluzioni di compromesso, che rendono difficilmente praticabile l'obiettivo dell'esdebitazione. Questo stato di cose impedisce di salvaguardare non soltanto la legittima aspettativa dei debitori onesti di avere una seconda occasione sul mercato; ma anche il fascio di interessi inglobati nel fenomeno della continuità aziendale. In primo luogo la salvaguardia dei posti di lavoro secondo compatibilità di mercato; inoltre, la tutela dalle ripercussioni della crisi aziendale di realtà come distretti, indotti e reti, in cui sono coinvolti i fornitori dell'impresa (privi di reale tutela nell'ordinamento italiano, dal che il fenomeno dei c.d. fallimenti a catena); infine, la tutela degli interessi dei finanziatori istituzionali secondo strategie non di mero recupero ma di sostegno a più solidi rapporti di credito (anche attraverso l'adozione di più efficaci protocolli di merito creditizio). Aspetto, quest'ultimo, fondamentale in sistemi incentrati sul finanziamento bancario alle imprese (tanto che in Francia è prevista al riguardo un'apposita procedura di insolvenza, mentre da noi vige esclusivamente la disciplina dell'art. 182 septies l.fall.). Si imporrebbe dunque un ripensamento generale delle strutture della decisione sulla crisi d'impresa (ancora stabilite in Italia secondo il criterio della semplice alternativa tra decisione del tribunale o della p.a. e decisione dei creditori). Potrebbe allora elaborarsi una riforma organica delle procedure concorsuali in linea con le soluzioni accolte nei paesi dell'Europa continentale: attraverso il modello della procedura unica aperta a esiti di ristrutturazione o in alternativa di liquidazione (operante in Germania dal 1996), oppure attraverso la pluralità di modelli di ristrutturazione e di liquidazione a seconda della gravità della crisi aziendale (operante in Francia, compiutamente, dal 2005). Con maggior precisione, può osservarsi che sarebbe opportuno disciplinare il fenomeno della insolvenza societaria. Mentre in altre esperienze, come quella inglese, la corporate insolvency costituisce oggetto di legislazione e studio appositi, il diritto italiano non conosce, se non per semplici norme di dettaglio o di rinvio, regole sull'insolvenza societaria. Questo fatto determina evidentemente gravi difficoltà di coordinamento tra diritto fallimentare e diritto societario. A risentirne sono le possibilità di superamento della crisi: giacché la continuità aziendale presuppone la prosecuzione dell'attività societaria in armonia con le peculiarità del diritto fallimentare e attraverso una precisa disciplina di raccordo (il c.d. diritto societario della crisi). Proseguendo su questa linea, sarebbe inoltre auspicabile considerare, per le crisi compatibili con la continuità aziendale, soluzioni operative in sistemi anglosassoni: come la figura dell'administration (istituto operante in Inghilterra), in cui l'obiettivo di corporate restructuring è perseguito secondo modelli di corporate governance: in breve, sostituendo all'organo amministrativo della società un amministratore giudiziario. Quanto a interventi di minor raggio, sarebbero da rimeditare in radice: il sistema revocatorio (eccessivamente ridimensionato, con grave danno per la distribuzione equa delle perdite nel ceto creditorio); il sistema dei finanziamenti all'impresa in crisi (oggetto di una disciplina alquanto disorganica); il sistema dell'esdebitazione delle persone fisiche (pregiudicato dalle inefficienze delle procedure di sovraindebitamento introdotte negli ultimi anni); il sistema dei reati fallimentari, corrispondente alla originaria struttura della legge fallimentare, ampiamente superata anche secondo la fisionomia attuale di quella legge. In funzione preventiva, dovrebbero poi essere introdotte norme sulla responsabilità degli amministratori per violazione di doveri gestori di ristrutturazione (e non semplicemente di doveri sulla conservazione dell'integrità patrimoniale). BibliografiaDi Marzio, La riforma delle discipline della crisi d’impresa e dell’insolvenza, Milano, 2017. |