Legge - 19/10/2017 - n. 155 art. 12 - Garanzie in favore degli acquirenti di immobili da costruire

Fabrizio Di Marzio

Garanzie in favore degli acquirenti di immobili da costruire

 

1. Il Governo è delegato ad adottare, con le modalità e nei termini di cui all'articolo 1, disposizioni in materia di tutela dei diritti patrimoniali degli acquirenti di immobili da costruire, secondo i seguenti principi e criteri direttivi:

a) al fine di garantire il controllo di legalità da parte del notaio sull'adempimento dell'obbligo di stipulazione della fideiussione di cui agli articoli 2 e 3 del decreto legislativo 20 giugno 2005, n. 122, nonché dell'obbligo di rilascio della polizza assicurativa indennitaria di cui all'articolo 4 del medesimo decreto legislativo, stabilire che l'atto o il contratto avente come finalità il trasferimento non immediato della proprietà o di altro diritto reale di godimento su un immobile da costruire, nonché qualunque atto avente le medesime finalità, debba essere stipulato per atto pubblico o per scrittura privata autenticata;

b) prevedere che dall'inadempimento dell'obbligo assicurativo di cui all'articolo 4 del citato decreto legislativo n. 122 del 2005 consegua la nullità relativa del contratto, nei termini previsti dall'articolo 2, comma 1, del medesimo decreto legislativo.

Inquadramento

In data 11 ottobre 2017 è stata approvata dal Senato  la legge delega al Governo per la riforma delle discipline della a crisi di impresa e dell'insolvenza: l. n. 155 del 19 ottobre 2017, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 30 ottobre 2017, n. 254.

I principi e i criteri direttivi di cui si compone il testo normativo delineano un disegno abbastanza preciso dei cardini su cui è destinato ad articolarsi il nuovo diritto della crisi di impresa.

Il carattere dettagliato del testo giustifica il tentativo di ricostruire, sin d'ora, un quadro di insieme in cui possa essere già ricompreso il diritto che verrà posto.

Vorrei iniziare con il ribadire i limiti del diritto della crisi d'impresa, e quale avrebbe potuto essere la prospettiva della riforma.

Più volte ho sostenuto che l'insufficienza di questo diritto, per come oggi si presenta, dipende soprattutto da alcune ragioni di fondo, trascurate nei vari tentativi di ammodernamento della legislazione di settore degli ultimi dieci anni.

In primo luogo, va considerata la vetustà dell'impianto normativo del c.d. diritto comune. La legge fallimentare del 1942 (semplicemente novellata a più riprese, ma mai abrogata) risponde ad una impostazione risalente alla codificazione commerciale francese del 1807: di matrice statalista, caratterizzata da un pesante sospetto verso la figura del fallito; orientata esclusivamente all'affermazione di interessi pubblici e subordinatamente alla tutela dei creditori (specie dei creditori garantiti); scarsamente attenta alla conservazione dell'impresa.

In questa ottica furono disciplinati nelle legislazioni storiche istituti quasi dovunque abbandonati, come il concordato preventivo e il fallimento. Ossia la procedura di stigmatizzazione dell'insolvenza dell'imprenditore (il fallimento) e la procedura in prevenzione della stessa e delle gravi conseguenze personali connesse (il concordato preventivo): istituti intrinsecamente inidonei a recare un diritto effettivamente nuovo.

Parimenti, bisognerebbe seriamente considerare l'insuperata opinabilità del c.d. diritto amministrativo della crisi di impresa (liquidazioni coatta e soprattutto amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi): certamente preoccupato della salvaguardia dell'impresa, ma sottratto al controllo giudiziario e determinato non da logiche di mercato ma da preoccupazioni di natura amministrativa e politica (secondo una soluzione non riscontrabile negli ordinamenti di civiltà affine).

Nemmeno dovrebbe sottovalutarsi l'inadeguatezza degli strumenti attualmente fruibili: concordato preventivo, fallimento, amministrazione straordinaria. È sufficiente riflettere che nessuna di queste procedure è stata effettivamente pensata per regolare strategie di corporate restructuring, bensì esclusivamente per la composizione della debitoria dell'imprenditore insolvente.

Il perdurante pregiudizio verso il debitore è anche testimoniato dall'assenza – nonostante i recenti tentativi del legislatore – di efficaci strumenti di esdebitazione.

Come pure dimostra il notevole insuccesso pratico della procedura di sovraindebitamento, in assenza di strumenti legislativi idonei a stabilire un confine netto tra dolo e sfortuna, c'è spazio esclusivamente per soluzioni di compromesso, che rendono difficilmente praticabile l'obiettivo dell'esdebitazione.

Questo stato di cose impedisce di salvaguardare non soltanto la legittima aspettativa dei debitori onesti di avere una seconda occasione sul mercato; ma anche il fascio di interessi inglobati nel fenomeno della continuità aziendale. In primo luogo la salvaguardia dei posti di lavoro secondo compatibilità di mercato; inoltre, la tutela dalle ripercussioni della crisi aziendale di realtà come distretti, indotti e reti, in cui sono coinvolti i fornitori dell'impresa (privi di reale tutela nell'ordinamento italiano, dal che il fenomeno dei c.d. fallimenti a catena); infine, la tutela degli interessi dei finanziatori istituzionali secondo strategie non di mero recupero ma di sostegno a più solidi rapporti di credito (anche attraverso l'adozione di più efficaci protocolli di merito creditizio). Aspetto, quest'ultimo, fondamentale in sistemi incentrati sul finanziamento bancario alle imprese (tanto che in Francia è prevista al riguardo un'apposita procedura di insolvenza, mentre da noi vige esclusivamente la disciplina dell'art. 182 septies l.fall.).

Si imporrebbe dunque un ripensamento generale delle strutture della decisione sulla crisi d'impresa (ancora stabilite in Italia secondo il criterio della semplice alternativa tra decisione del tribunale o della p.a. e decisione dei creditori). Potrebbe allora elaborarsi una riforma organica delle procedure concorsuali in linea con le soluzioni accolte nei paesi dell'Europa continentale: attraverso il modello della procedura unica aperta a esiti di ristrutturazione o in alternativa di liquidazione (operante in Germania dal 1996), oppure attraverso la pluralità di modelli di ristrutturazione e di liquidazione a seconda della gravità della crisi aziendale (operante in Francia, compiutamente, dal 2005).

Con maggior precisione, può osservarsi che sarebbe opportuno disciplinare il fenomeno della insolvenza societaria. Mentre in altre esperienze, come quella inglese, la corporate insolvency costituisce oggetto di legislazione e studio appositi, il diritto italiano non conosce, se non per semplici norme di dettaglio o di rinvio, regole sull'insolvenza societaria. Questo fatto determina evidentemente gravi difficoltà di coordinamento tra diritto fallimentare e diritto societario. A risentirne sono le possibilità di superamento della crisi: giacché la continuità aziendale presuppone la prosecuzione dell'attività societaria in armonia con le peculiarità del diritto fallimentare e attraverso una precisa disciplina di raccordo (il c.d. diritto societario della crisi).

Proseguendo su questa linea, sarebbe inoltre auspicabile considerare, per le crisi compatibili con la continuità aziendale, soluzioni operative in sistemi anglosassoni: come la figura dell'administration (istituto operante in Inghilterra), in cui l'obiettivo di corporate restructuring è perseguito secondo modelli di corporate governance: in breve, sostituendo all'organo amministrativo della società un amministratore giudiziario.

Quanto a interventi di minor raggio, sarebbero da rimeditare in radice: il sistema revocatorio (eccessivamente ridimensionato, con grave danno per la distribuzione equa delle perdite nel ceto creditorio); il sistema dei finanziamenti all'impresa in crisi (oggetto di una disciplina alquanto disorganica); il sistema dell'esdebitazione delle persone fisiche (pregiudicato dalle inefficienze delle  procedure di sovraindebitamento introdotte negli ultimi anni); il sistema dei reati fallimentari, corrispondente alla originaria struttura della legge fallimentare, ampiamente superata anche secondo la fisionomia attuale di quella legge.

In funzione preventiva, dovrebbero poi essere introdotte norme sulla responsabilità degli amministratori per violazione di doveri gestori di ristrutturazione (e non semplicemente di doveri sulla conservazione dell'integrità patrimoniale).

Due regimi per la garanzia del creditore

La delega presta notevole attenzione al diritto delle garanzie.

Abbiamo già visto che in tema di accordi di ristrutturazione dei debiti alle iniziali previsioni contenute nella legge in vigore sulla compressione dei diritti dei creditori garantiti sul patrimonio del debitore se ne aggiungono di altre nella legge delega.

Abbiamo, altresì, ricordato come nella materia del concordato preventivo il trattamento dei creditori garantiti (sempre sul patrimonio del debitore) è costruito all'insegna della limitazione delle prerogative connesse alla titolarità del diritto, e ciò al fine di favorire le soluzioni concordate della crisi.

Anche la posizione dei creditori che vantino garanzie su patrimoni diversi da quello del debitore in concordato preventivo subisce una incisione. Questi creditori dovranno essere raggruppati in una separata classe di voto ai fini dell'approvazione del concordato.

Effettivamente, nella disciplina delle procedure negoziali del sovraindebitamento, mancano nella delega in esame principi sulle garanzie che assistono taluni crediti; ma ciò deve essere ricondotto ad una disattenzione del delegante. Se infatti si fosse prestata una sufficiente cura, sicuramente si sarebbero ripetute le limitazioni già disposte per i creditori garantiti nel concordato preventivo anche per i creditori nelle procedure negoziali di sovraindebitamento.

Credo, tuttavia, che non sarà difficile per il legislatore delegato di ricondurre a sistema anche il trattamento delle garanzie nelle procedure di sovraindebitamento, essendo la delega a tal riguardo coperta dalla generale finalità di riordino, razionalizzazione e semplificazione del diritto positivo della crisi di impresa e dell'insolvenza, che costituisce il fondamentale mandato attribuito al Governo.

Anche in materia di liquidazione giudiziale abbiamo potuto constatare una attenzione egualmente orientata alla disciplina delle garanzie. Questa volta il legislatore delegante ha compresso i poteri, anche processuali, spettanti a taluni creditori garantiti, a partire dal creditore fondiario.

La delega fissa principi sulle garanzie anche al di fuori delle materie dei contratti e delle procedure concorsuali. L'art. 10 incarica il Governo di procedere al riordino e alla revisione del sistema dei privilegi con l'obiettivo di ridurre le ipotesi di privilegio generale e speciale, di eliminare le figure divenute inattuali e di ridefinire l'ordine delle cause legittime di prelazione. L'art. 11 è dedicato alle garanzie non possessorie, e si compone – come meglio vedremo nel par. successivo - di principi che ribadiscono sostanzialmente le regole già in vigore (cfr. art. 1 d.l. n. 59 del 2016, conv. con mod in l. n. 119/2016).

Infine, l'articolo 12 dispone principi in tema di garanzia in favore degli acquirenti di immobili da costruire prevedendo, tra l'altro, la forma della scrittura privata autenticata o dell'atto pubblico per il contratto in cui sono dedotti il trasferimento non immediato della proprietà o di altro diritto reale di godimento su un immobile da costruire; e stabilendo altresì che all'inadempimento dell'obbligo assicurativo, di cui all'art. 4 del d.lgs. n. 122 del 2005, consegua la nullità relativa del contratto.

Se osserviamo nell'insieme queste disposizioni possiamo concludere che la delega è ampiamente indirizzata al diritto delle garanzie, che costituisce quasi un tema autonomo ancorché interconnesso con il tema principale della delega medesima: dato dal diritto della crisi d'impresa e dell'insolvenza.

La connessione tra tema principale e tema secondario si consuma sul terreno di intersezione in cui il creditore garantito si confronta con un debitore insolvente che vorrebbe coinvolgerlo in un accordo di ristrutturazione dei debiti oppure in una procedura negoziale per il superamento dell'insolvenza.

Ebbene, la regola generale che è dato evincere dalle disposizioni richiamate è che la insolvenza del debitore, se gestita in una procedura negoziale, determina l'applicazione di un vero e proprio regime speciale per le garanzie, parallelo a quello ordinario previsto nel codice civile.

I poteri connessi al diritto si riducono notevolmente; la possibilità di soddisfacimento del creditore garantito con prelazione rispetto ai creditori chirografari si riduce in pari misura.

Dunque il diritto speciale delle garanzie innescato dello stato di insolvenza del debitore e dalla pendenza di un accordo di ristrutturazione dei debiti o di una procedura di concordato preventivo o, per quando abbiamo affermato, di sovraindebitamento (diversa dalla liquidazione) si pone accanto al regime operativo in caso di semplice inadempimento non determinato da insolvenza.

Assistiamo in altre parole al surrettizio formarsi, accanto al regime della garanzia in caso di inadempimento, di un diverso e depotenziato regime di quella stessa garanzia in caso di insolvenza.

Quali conseguenze questo nuovo stato di cose determinerà nella prassi operativa non è facile da prevedere. Le ragioni più profonde per la richiesta di una garanzia risiedono proprio nella maggior sicurezza nella escussione del credito nel soddisfacimento del creditore proprio nelle ipotesi di incapienza patrimoniale e di insolvenza del debitore. Infatti, qualora non si pongano problemi di insolvenza per la tutela delle ragioni del creditore sarà sufficiente la garanzia patrimoniale generica (ossia il vincolo di destinazione dei beni del debitore all'adempimento dell'obbligazione stabilito nell'articolo 2740 c.c.).

Probabilmente un primo effetto sarà nel ricorso alle garanzie personali e reali su patrimoni diversi da quello del debitore, a cui corrisponderà una contrazione dell'impiego delle tradizionali garanzie reali sul patrimonio del debitore.

 

Intermezzo: nuove garanzie e autotutela del creditore

Ma lo scenario potrebbe anche essere molto diverso. Proviamo a fare un ragionamento. Che introduciamo con questa breve ricostruzione sul nuovo diritto delle garanzie.

Abbiamo detto del privilegio processuale del credito fondiario. Assolutamente degno di nota è che oggi a questo tradizionale ‘privilegio processuale' - che è destinato a scomparire con la riforma per il principio posto dall'art. 7, comma 4, lett. a), già esaminato -  si sono aggiunte, negli anni, per i prestatori professionali di credito regole sulla realizzazione coattiva del credito per iniziativa del creditore: al di fuori e a prescindere da una eventuale procedura esecutiva individuale o collettiva, e in eccezione alla regola generale sul divieto di patto commissorio.

Il d.lgs. n. 170 del 2004, in materia di contratti di garanzia finanziaria (ossia di contratti di pegno o cessione del credito o di trasferimento in garanzia della proprietà di attività finanziarie, cioè contante, strumenti finanziari, crediti) stabilisce il diritto del creditore finanziario (vale a dire un ente creditizio) di escutere il pegno in caso di inadempimento o di insolvenza del debitore procedendo alla vendita diretta delle attività finanziarie oppure alla appropriazione delle stesse, o all'utilizzo del contante oggetto di garanzia per estinguere l'obbligazione. È inoltre prevista la possibilità di cessione del credito o di trasferimento della proprietà dell'attività finanziaria con funzione di garanzia, in quanto a tali contratti non si applica il divieto di patto commissorio (cfr. artt. 4 e ss.).

Per queste disposizioni, il creditore finanziario può realizzare direttamente il proprio credito sottraendosi alla cogenza delle procedure individuali o collettive eventualmente pendenti nei confronti del debitore.

La novità, rispetto alla disciplina della esecuzione fondiaria è notevole. L'interesse del creditore finanziario è tutelato anche al di fuori e a prescindere dal sistema delle procedure esecutive. Il divieto di patto commissorio, che si manifesta come un vero tabù in questo settore del diritto privato viene superato di colpo con l'ampliamento dei poteri del creditore ben oltre lo spazio inibito dall'antica proibizione. Il creditore con diritto di pegno su un'attività finanziaria, o divenuto proprietario di quella attività per effetto di un contratto di trasferimento del diritto a scopo di garanzia, può acquisire in via definitiva la proprietà del bene in caso di inadempimento o di insolvenza del debitore. Il creditore pignoratizio, inoltre, può anche procedere alla conversione dell'attività finanziaria, diversa dal denaro, in denaro, attraverso la vendita secondo le regole previste nel provvedimento citato. Di modo che il creditore non soltanto può appropriarsi della utilità che altrimenti sarebbe stata assoggettata ad esecuzione forzata, ma può procedere in alternativa ad una esecuzione forzata di stampo privatistico su quella utilità. Per queste regole, il creditore finisce per assumere una posizione molto simile a quella riconosciuta all'autorità giudiziaria.

Lo spazio operativo del decreto sui contratti di garanzia finanziaria è delimitato non soltanto sul piano soggettivo (il creditore deve essere un creditore finanziario, ossia un'azienda di credito o un soggetto ad essa assimilabile) ma anche sul piano oggettivo: oggetto della garanzia deve essere una attività finanziaria. La qual cosa non sorprende in quanto la legge consente ad un particolare creditore (il creditore finanziario) di realizzare la garanzia gravante sull'oggetto della propria attività (attività finanziaria). Se all'affidamento pubblico dato dalla competenza del creditore nel mercato rilevante in cui svolge l'attività di impresa si aggiunge l'ulteriore considerazione, molto rassicurante, che le attività finanziarie in oggetto sono sottoposte a costanti attribuzioni di valore nei mercati in cui sono negoziate, si può comprendere agevolmente la decisione del legislatore di ridurre lo spazio di intervento giudiziario laddove gli interessi in gioco possono essere comunque salvaguardati dalla qualifica soggettiva del creditore esecutante e dalla natura dei beni oggetto di vendita o di appropriazione.

Interventi successivi hanno ulteriormente ampliato i poteri del creditore finanziario. L'art. 120 quinquiesdecies t.u.b. prevede che nel mutuo bancario possa essere convenuto che in caso di inadempimento del consumatore questi possa restituire o trasferire il bene immobile oggetto di garanzia reale o pagare il creditore con il corrispettivo della vendita di quello (effettuata a cura del creditore), ottenendo in ogni caso l'estinzione dell'intero debito. Ciò anche se il valore del bene immobile restituito o trasferito ovvero l'ammontare dei proventi della vendita è inferiore al debito residuo. Il mutuante può dunque regolare contrattualmente gli esiti esecutivi, prescindendo dalle procedure legali appositamente previste.

L'art 48 bis T.U.B. disciplina il finanziamento alle imprese garantito da trasferimento di bene immobile (del debitore o di un terzo garante) sospensivamente condizionato all'inadempimento, costruendo una norma di diritto dispositivo avente la stessa struttura e lo stesso oggetto del divieto stabilito dall'art. 2744 c.c.

In questi casi i poteri del creditore finanziario risultano ampliati sul piano oggettivo. Il potere di stipulare un patto commissorio ha ad oggetto beni immobili ossia beni rispetto ai quali il creditore non ha alcuna competenza di mercato e di cui può, nonostante ciò, decidere l'appropriazione o la vendita qualora vi sia una apposita clausola in tal senso nel contratto di finanziamento. L'apertura di un'esecuzione individuale o collettiva non inibisce la realizzazione del patto commissorio, ma determina soltanto un condizionamento esecutivo: giacché alcune attività (come la stima del bene) altrimenti rimesse al creditore si svolgono in procedura. 

L'art. 1 del d.lgs. n. 59 del 2016 ha introdotto la figura del ‘pegno mobiliare non possessorio'. Seguendo esigenze della economia aziendale e assecondando la necessità sempre più sentita dalle imprese di poter disporre, nelle strategie di finanziamento, di beni strumentali, il diritto positivo propone una figura di garanzia da poter utilizzare sui beni destinati all'impresa in modo da moltiplicarne la utilità: non più solo in termini di patrimonializzazione, ma anche di garanzia.

Il bene rimane in proprietà dell'imprenditore che tuttavia lo costituisce in pegno potendolo, pertanto, utilizzare a fini di garanzia di un finanziamento da ricevere. Il pegno può avere ad oggetto qualsiasi bene mobile destinato all'impresa (ad esclusione dei beni mobili registrati). La costituzione della garanzia deve realizzarsi per iscritto. In caso di inadempimento o di insolvenza del debitore, il creditore ha facoltà di procedere direttamente alla vendita competitiva (anche avvalendosi di professionisti) del bene oggetto di garanzia soddisfacendosi nei limiti dell'importo del credito. Qualora oggetto del pegno sia un credito, il creditore potrà procedere alla relativa escussione.

La disciplina legale è costruita in modo da favorire una notevole elasticità nella gestione della garanzia laddove le parti, nello stipulare il contratto costitutivo di pegno intendano avvalersene. Circa l'oggetto della garanzia si prevede, infatti, che, se il contratto lo disciplina, il datore del pegno può disporre del bene assoggettandolo sia ad una trasformazione materiale sia ad atti giuridici. In questi casi la garanzia si trasferirà sul bene finale o sul corrispettivo della alienazione senza che ciò comporti la costituzione di una nuova garanzia. Circa l'escussione del pegno è stabilito che il contratto possa prevedere che il creditore dia in locazione il bene oggetto di garanzia incamerando i canoni nei limiti della propria pretesa. Sempre nel contratto può essere stabilito che il creditore, nei limiti del proprio diritto, possa appropriarsi dei beni oggetto di garanzia, in quanto il divieto del patto commissorio non opera. In caso di dichiarazione del fallimento del debitore, il creditore ha l'onere di domandare l'ammissione del credito al passivo, dopo di che potrà realizzare in via privata la propria pretesa.

In questo ultimo caso il potere di disporre e di appropriarsi del bene è attribuito a qualsiasi creditore: non più, esclusivamente, al creditore finanziario. Con il regime del ‘pegno mobiliare non possessorio' l'intero sistema delle esecuzioni e delle procedure concorsuali subisce un ridimensionamento a vantaggio di nuovi poteri attribuiti ai creditori per l'autotutela della propria prerogativa in caso di inadempimento o di insolvenza del debitore.

La legge delega fissa principi in tema di garanzie non possessorie, ricalcando la disciplina ora esposta. E ribadendo il potere del creditore di “escutere stragiudizialmente la garanzia anche in deroga al divieto di patto commissorio” (art. 11, comma 1, lett. d)).

La rivincita dei creditori garantiti (ancora sulla scarsa razionalità della legge)

Ma chiudiamo la digressione e torniamo al nostro ragionamento.

Potrebbe sembrare non molto conseguente da un lato promuovere discipline come quella delle garanzie finanziarie e - anche nel corpo della legge delega - delle garanzie non possessorie (in cui tutto ciò che si realizza nell'impresa può divenire oggetto cangiante della garanzia); e dall'altro depotenziare la posizione del creditore garantito nelle procedure concorsuali.

Ma l'impressione sfuma considerando che queste nuove garanzie reali sono insensibili alle stesse procedure concorsuali. Cosicché la realizzazione del credito garantito si gioca su di un piano esterno a quello concorsuale. E anzi al riparo dalla regola della parità di trattamento, pur declamata proprio con riguardo a poteri del creditore di autonomia rispetto alla procedura nell'art. 7, comma 4, lett. a), sulla esclusione di esecuzioni speciali e di privilegi processuali.

E qui non deve sfuggire il paradosso: niente più esecuzioni speciali e privilegi processuali da un lato; ma previsione di garanzie realizzate in autotutela del credito e in deroga al divieto di cui all'art. 2744 c.c., e dunque al di fuori di qualsiasi dimensione processuale (anche diversa dalle procedure concorsuali) dall'altro!

Con pregiudizio - a questo punto - degli interessi degli altri creditori concorsuali e, più ampiamente, delle ragioni della procedura concorsuale: la cui protezione dovrebbe giustificare il sacrificio imposto al creditore garantito nella procedura. 

Ecco allora che le garanzie reali - nella forma delle garanzie finanziarie e non possessorie - realizzabili dal creditore stragiudizialmente e in autotutela, fioriranno nella pratica: in barba alle procedure concorsuali che non riusciranno ad intercettarle.

Credo sia proprio qui la rivincita dei creditori garantiti: apparentemente piegati alle ragioni della procedura grossolanamente imposte nelle nuove regole; in realtà immuni dalla procedura stessa, e quindi liberi di decidere come vogliono sul destino del credito: e così del debitore e degli altri creditori. 

Anche qui si annida un grumo irrisolto di irrazionalità, che segna la legge delega.

Bibliografia

F. Di Marzio, La riforma delle discipline della crisi d’impresa e dell’insolvenza, Milano, 2017.

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