Onere della prova e quantificazione del danno risarcibile nel c.d. rito appalti

Giuseppe Andrea Primerano
21 Dicembre 2017

La questione giuridica sottesa alla sentenza in esame concerne l'interpretazione dell'art. 124, comma 1, c.p.a. nella parte in cui sancisce che «se il giudice non dichiara l'inefficacia del contratto dispone il risarcimento del danno per equivalente, subito e provato».
Massima

Il risarcimento del danno per equivalente da illegittima privazione dell'appalto, ai sensi dell'art. 124, comma 1, c.p.a., deve essere «subito e provato». Deve, pertanto, essere rigettata una domanda risarcitoria relativa alla partecipazione a una gara d'appalto, riferita sia al danno emergente che al lucro cessante, priva dell'indicazione di criteri utili alla quantificazione di tali importi. Il ricorso all'equità per la determinazione del quantum risarcitorio può essere ammesso soltanto in caso di impossibilità, o di estrema difficoltà, di fornire una prova in ordine al preciso ammontare del danno, non anche in caso di mancata allegazione imputabile alla parte.

Il caso

La vicenda posta all'attenzione del Consiglio di Stato consente di soffermarsi sull'azione risarcitoria nel c.d. rito appalti e, in particolare, sull'onere probatorio gravante sulla parte che invoca tutela e sui criteri di quantificazione del danno.

Nello specifico, la domanda della Società appellante aveva riguardo sia al lucro cessante, per il mancato guadagno che le sarebbe derivato dall'esecuzione dell'appalto, sia al danno emergente, in considerazione tanto delle spese sostenute per la partecipazione alla gara e per l'immobilizzazione di risorse umane e tecniche, quanto della perdita di chance legata all'impossibilità di far valere in future contrattazioni il requisito economico corrispondente alla fatturazione dei lavori.

Non risulta, tuttavia, che per tali voci di danno la Società abbia fornito ulteriori precisazioni, limitandosi a richiederne la liquidazione in via equitativa.

La questione

La questione giuridica sottesa alla sentenza in esame concerne l'interpretazione dell'art. 124, comma 1, c.p.a. nella parte in cui sancisce che «se il giudice non dichiara l'inefficacia del contratto dispone il risarcimento del danno per equivalente, subito e provato». Non avendo l'appellante indicato quale sarebbe il lucro cessante, ossia l'utile che avrebbe conseguito ove si fosse aggiudicata i due lotti di gara in contestazione, né il danno emergente, parimenti disancorato da qualsivoglia allegazione utile alla dimostrazione del danno, infatti, è necessario verificare se il ricorso all'equità per la determinazione del quantum risarcitorio operato dalla Società sia compatibile con la suddetta clausola relativa al danno «subito e provato».

Le soluzioni giuridiche

Il Collegio, allineandosi a un orientamento giurisprudenziale ormai pacifico in materia, rileva che la domanda risarcitoria in questione si pone in aperto contrasto col citato art. 124, comma 1, c.p.a., senza omettere di evidenziare, fra l'altro, che le spese di partecipazione alla gara rimangono comunque un costo a carico dell'operatore economico (fra le più recenti, v. Cons. St., Sez. IV, 14 marzo 2016, n. 992; Id., Sez. V, 16 agosto 2016, n. 3634; Id., 31 ottobre 2016, n. 4562; Id., Sez. VI, 17 febbraio 2017, n. 731; Id., Sez. V, 24 luglio 2017, n. 3650; Id., 26 luglio 2017, n. 3679).

La dottrina si è interrogata sull'effettiva utilità della disposizione richiamata, non apparendo risarcibile un danno che non sia «subito e provato». Invero, già prima della emanazione del Codice, in relazione al giudizio risarcitorio, la giurisprudenza affermava la valenza tendenzialmente incondizionata dell'art. 2697 c.c., non essendo il giudice amministrativo facoltizzato a integrare eventuali carenze probatorie nei casi in cui la prova sulla fondatezza della pretesa rientra nella disponibilità della parte (cfr., ex multis, Cons. St., Sez. VI, 2 marzo 2004, n. 973).

Tuttavia, in materia di pubblici appalti, l'orientamento prevalente quantificava il danno in misura forfetaria, facendo ricorso al criterio del 10% dell'importo a base d'asta dettato dall'art. 345 l. 20 marzo 1865, n. 2248, all. F, successivamente riprodotto dall'art. 122 d.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554, e dall'art. 37-septies, comma 1, lett. c), l. 11 febbraio 1994, n. 109 (ex multis, Cons. St., Sez. VI, 2 marzo 2009, n. 1180; Id., 26 gennaio 2008, n. 213; Id., Sez. V, 5 settembre 2005, n. 4475; TAR Lazio, Roma, Sez. III, 2 ottobre 2007, n. 9620. Contra Cons. St., Sez. VI, 27 aprile 2010, n. 2384; Id., 21 maggio 2009, n. 3144, secondo cui detto criterio, pur potendo fondare una presunzione sull'utile che si trae dall'esecuzione di un appalto, non può divenire oggetto di applicazione automatica e indifferenziata, poiché «conduce di regola al risultato che il risarcimento dei danni è per l'imprenditore ben più favorevole dell'impiego del capitale», donde la preferibilità dell'indirizzo «che esige la prova rigorosa, a carico dell'impresa, della percentuale di utile effettivo che avrebbe conseguito se fosse risultata aggiudicataria dell'appalto»).

L'inciso «danno subito e provato» di cui all'art. 124, comma 1, c.p.a. vuole, appunto, significare che il criterio forfetario lascia il posto al criterio dell'utile effettivo. La parte, cioè, deve dimostrare la percentuale di utile che avrebbe conseguito ove si fosse aggiudicata l'appalto, desumibile anzitutto dall'esibizione dell'offerta economica presentata al seggio di gara, dalle giustificazioni delle voci di prezzo che concorrono a formare l'offerta, dalle spese sostenute e sostenibili, dal margine di guadagno che residua dopo l'applicazione del ribasso indicato in sede di gara, dall'utile conseguito nei mesi di gestione del servizio (così Cons. St., Sez. V, 8 novembre 2012, n. 5686).

Giova, inoltre, sottolineare che, per giurisprudenza costante, il mancato utile spetta nella misura integrale soltanto se la parte dimostra di non aver potuto impiegare altrimenti manodopera e mezzi tenuti a disposizione in vista dell'aggiudicazione dell'appalto. In difetto di tale dimostrazione, deve ragionevolmente ritenersi che l'operatore economico li abbia riutilizzati, o avrebbe potuto riutilizzarli, per lavori o servizi ulteriori, con conseguente diminuzione del danno risarcibile a titolo di aliunde perceptum vel percipiendum, stante il dovere del danneggiato di non concorrere ad aggravare il danno ai sensi dell'art. 1227 c.c. In altri termini, «non costituisce normalmente condotta diligente quella di immobilizzare tutti i mezzi d'impresa nelle more del giudizio nell'attesa dell'aggiudicazione in proprio favore, essendo invece ben più razionale che l'impresa si attivi per svolgere nelle more altre attività, procurandosi prestazioni contrattuali alternative dalla quali trarre utili» (Cons. St., Sez. V, 31 luglio 2012, n. 4337).

Alla luce di quanto finora illustrato, appare ben comprensibile il rigetto della domanda risarcitoria operato dalla pronuncia in commento, giacchè le voci di danno prospettate dalla Società appellante, comprensive del c.d. danno curriculare, vengono collegate alla mera esigenza di procedere a una loro valutazione equitativa, senza alcuna ulteriore precisazione utile, quanto meno, a illustrare l'impossibilità, ovvero l'estrema difficoltà di fornire una prova puntuale in ordine al preciso ammontare del danno lamentato (in tale prospettiva, cfr. Cons. St., Sez. VI, 25 ottobre 2012, n. 5461, e, fra le ultime, Cons. St., Sez. V, 14 agosto 2017, n. 4002).

Osservazioni

In materia di pubblici appalti, come evidenziato anche dalla sentenza in nota, il bene della vita di cui si invoca tutela «consiste nell'essere parte effettiva del contratto d'appalto».

La struttura del “nuovo processo amministrativo di parti” fa sì che, a dispetto di un alleggerimento dell'onere probatorio sul piano dell'an debeatur – in particolare sotto il profilo della dimostrazione dell'elemento soggettivo della stazione appaltante (il riferimento si intende effettuato all'evoluzione della giurisprudenza seguente a Corte giust. UE, Sez. III, 30 settembre 2010, C-314/09, Stadt Graz c. Strabag AG e altri: ex multis, TAR Lazio, Roma, Sez. III-ter, 4 dicembre 2014, n. 12232) – dipendente dall'alternatività fra tutela per equivalente e reintegrazione in forma specifica, cristallizzata nell'art. 124 c.p.a., si registra un potenziamento della prova in relazione al quantum risarcitorio.

Il Consiglio di Stato, coerentemente, conferma tale impostazione. All'ampliamento del novero delle azioni esperibili, cui si accompagna l'estensione dei mezzi di prova attivabili, pur in una materia rispetto alla quale il giudice amministrativo tuttora dispone di importanti poteri esercitabili d'ufficio, si accompagna il rafforzamento dell'onere probatorio gravante sulla parte, essendo richiesta la piena dimostrazione, ove materialmente possibile, della pretesa dedotta in giudizio. Ciò che non risulta effettuato dalla Società appellante, con conseguente rigetto della sua domanda risarcitoria.

Guida all'approfondimento
  • S. Cimini, La tutela risarcitoria in materia di contratti pubblici: tra novità normative e assestamenti giurisprudenziali, in Dir. e proc. amm., 2012, 483 ss.;
  • A. Police, Il ricorso di piena giurisdizione davanti al giudice amministrativo, II, Padova, 2001;
  • M. Renna, Il risarcimento dei danni in materia di appalti pubblici dopo il recepimento della “direttiva ricorsi”, in Studi in onore di A. Romano, II, Napoli, 2011, 1479 ss.;
  • M.A. Sandulli, Il risarcimento del danno, in G. Greco (a cura di), Il sistema della giustizia amministrativa negli appalti pubblici in Europa, Quad. riv. it. dir. pubbl. com., Milano, 2010, 67 ss.

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