Codice di Procedura Penale art. 593 bis - Appello del pubblico ministero 1

Raffaello Magi

Appello del pubblico ministero 1

1. Nei casi consentiti, contro le sentenze del giudice per le indagini preliminari, della corte d'assise e del tribunale può appellare il procuratore della Repubblica presso il tribunale.

2. Il procuratore generale presso la corte d'appello può appellare soltanto nei casi di avocazione o qualora il procuratore della Repubblica abbia prestato acquiescenza al provvedimento.

Inquadramento

La nuova disposizione, introdotta dall'art. 3, comma 1, d.lgs. n. 11/2018,  realizza la previsione contenuta al comma 84, lett. g), dell'art. 1 l. n. 103/2017. Per il commento v. sub art. 570.

La vigenza della disposizione è a far data dal 6 marzo 2018.

L'intervento legislativo, ferma restando la facoltà di proporre l'appello spettante al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale (cui si unisce quella del rappresentante dell'ufficio del Pubblico Ministero che ha presentato le conclusioni) ,  ha fortemente ridimensionato l'estensione della generale facoltà di impugnazione riconosciuta al Procuratore Generale presso la Corte di Appello (v. sub art. 570 c.p.p.), in relazione alle decisioni terminative del giudizio di primo grado. In tali casi, la facoltà di impugnazione del Procuratore Generale presso la Corte di Appello può essere esercitata solo nell'ipotesi di avvenuta avocazione (poiché in tal caso il potere si ricollega alla partecipazione diretta al procedimento) o in quello di acquiescenza da parte del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale. Viene dunque evitata la proposizione di più impugnazioni avverso il medesimo provvedimento. 

Quanto alle forme di manifestazione dell'acquiescenza da parte del Procuratore presso il Tribunale è sorto contrasto di opinioni in sede di legittimità. Secondo alcuni arresti, essendo l'acquiescenza una condizione ‘di fatto' correlata al mancato esercizio di una facoltà nel termine previsto (in tale direzione Sez. I n. 30919/2022; Sez. II n. 6534/2021) poteva dirsi possibile l'esercizio della facoltà sussidiaria di impugnazione da parte del Procuratore Generale anche in ipotesi di acquiescenza tacita (con deposito dell'atto di impugnazione da parte del PG anche prima della integrale decorrenza del termine per impugnare del primo soggetto legittimato e verifica del comportamento tenuto dall'ufficio di primo grado); secondo altre decisioni, l'acquiescenza del Procuratore presso il Tribunale doveva essere necessariamente espressa, allo scopo di creare certezza sulla venuta in essere – in tempo utile – della facoltà di impugnazione del PG (in tale direzione Sez. V n. 34831/2021; Sez. V n. 4269/2021 ed altre).

Il contrasto è stato risolto dalle Sezioni Unite con la decisione emessa in data 23 febbraio 2023, di cui si conosce la sola informazione provvisoria. Secondo le Sez. Unite, la legittimazione del procuratore generale a proporre appello avverso le sentenze di primo grado consegue soltanto alla acquiescenza del procuratore della repubblica quale risultato delle intese o delle altre forme di coordinamento di cui all'art.166-bis disp.att., che impongono al procuratore generale di acquisire tempestiva notizia in ordine alle determinazioni del primo soggetto legittimato.

Non può, dunque, trattarsi, di una acquiescenza per facta concludentia ma di una acquiescenza espressa , posto che in caso contrario lo spatium deliberandi spettante all'organo di vertice potrebbe essere insufficiente, dato che il termine per esercitare la facoltà di impugnazione decorre in ogni caso, per il P.G., dall'avviso di deposito previsto dall'art. 548 comma 3.

Proprio er tale ragione risulta inserita — dal medesimo d.lgs. n. 11/2018 (art. 8) la previsione di cui all'art. 166-bis disp. att., tesa a regolamentare le modalità di comunicazione, tra i diversi Uffici, della volontà di proporre o meno l'atto di impugnazione. L'esistenza di tale disposizione risulta, per quanto si comprende, valorizzata nella decisione delle Sezioni Unite in precedenza citata.

In tale disposizione si prevede espressamente  che la scelta di proporre o meno la impugnazione da parte dell'Ufficio di primo grado venga manifestata in tempo utile attraverso 'intese o altre forme di coordinamento' tra gli Uffici coinvolti.

Quanto alle conseguenze di una impugnazione proposta con atto di appello da parte del Procuratore Generale non conforme ai contenuti della disposizione (ad esempio proposta — in caso di procedimento non oggetto di avocazione — nonostante la concorrenza di un appello proposto dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale) è da ritenersi che sussista l'ipotesi del difetto di legittimazione, con inammissibilità dell'atto di appello del P.G. ai sensi dell'art. 591 comma 1 lett. a). Ciò perché la titolarità del potere di impugnare la decisione di primo grado è attribuita al Procuratore Generale presso la Corte di Appello — salva l'ipotesi della avvenuta avocazione — solo in via 'sostitutiva' (ove dissenta dalla scelta di acquiescenza manifestata dall'Ufficio di primo grado).   Per quanto si desume dalla informazione provvisoria n. 3 del 2023 non potrebbe, in ipotesi di mancata avocazione o acquiesecenza espressa, ritenersi qualificabile l'atto di appello proposto dal Procuratore Generale come ricorso per cassazione (sia ordinario che per saltum). 

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