Decreto legislativo - 31/12/1992 - n. 546 art. 7 - Poteri delle corti di giustizia tributaria di primo e secondo grado 1 21. Le corti di giustizia tributaria di primo e secondo grado, ai fini istruttori e nei limiti dei fatti dedotti dalle parti, esercitano tutte le facoltà di accesso, di richiesta di dati, di informazioni e chiarimenti conferite agli uffici tributari ed all'ente locale da ciascuna legge d'imposta3. 2. Le corti di giustizia tributaria di primo e secondo grado, quando occorre acquisire elementi conoscitivi di particolare complessità, possono richiedere apposite relazioni ad organi tecnici dell'amministrazione dello Stato o di altri enti pubblici compreso il Corpo della Guardia di finanza, ovvero disporre consulenza tecnica. I compensi spettanti ai consulenti tecnici non possono eccedere quelli previsti dalla legge 8 luglio 1980, n. 319, e successive modificazioni e integrazioni4. [3. È sempre data alle commissioni tributarie facoltà di ordinare alle parti il deposito di documenti ritenuti necessari per la decisione della controversia.] 5 4. Non è ammesso il giuramento. La corte di giustizia tributaria, ove lo ritenga necessario ai fini della decisione e anche senza l'accordo delle parti, può ammettere la prova testimoniale, assunta con le forme di cui all'articolo 257-bis del codice di procedura civile. Nei casi in cui la pretesa tributaria sia fondata su verbali o altri atti facenti fede fino a querela di falso, la prova è ammessa soltanto su circostanze di fatto diverse da quelle attestate dal pubblico ufficiale. La notificazione dell'intimazione e del modulo di deposizione testimoniale, il cui modello, con le relative istruzioni per la compilazione, è reso disponibile sul sito istituzionale dal Dipartimento della Giustizia tributaria, può essere effettuata anche in via telematica. In deroga all'articolo 103-bis delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile, se il testimone è in possesso di firma digitale, il difensore della parte che lo ha citato deposita telematicamente il modulo di deposizione trasmessogli dal testimone dopo che lo stesso lo ha compilato e sottoscritto in ogni sua parte con firma digitale apposta in base a un certificato di firma qualificato la cui validità non è scaduta ovvero che non è stato revocato o sospeso al momento della sottoscrizione. 6. 5. Le corti di giustizia tributaria di primo e secondo grado, se ritengono illegittimo un regolamento o un atto generale rilevante ai fini della decisione, non lo applicano, in relazione all'oggetto dedotto in giudizio, salva l'eventuale impugnazione nella diversa sede competente. 5-bis. L'amministrazione prova in giudizio le violazioni contestate con l'atto impugnato. Il giudice fonda la decisione sugli elementi di prova che emergono nel giudizio e annulla l'atto impositivo se la prova della sua fondatezza manca o è contraddittoria o se è comunque insufficiente a dimostrare, in modo circostanziato e puntuale, comunque in coerenza con la normativa tributaria sostanziale, le ragioni oggettive su cui si fondano la pretesa impositiva e l'irrogazione delle sanzioni. Spetta comunque al contribuente fornire le ragioni della richiesta di rimborso, quando non sia conseguente al pagamento di somme oggetto di accertamenti impugnati 7.
[1] Per l'abrogazione del presente articolo, a decorrere dal 1° gennaio 2026, vedi l'articolo 130, comma 1, lettera d), del D.Lgs. 14 novembre 2024, n. 175. Vedi, anche, l'articolo 130, comma 3, del D.Lgs. 175/2024 medesimo. [2] Per le nuove disposizioni legislative in materia di giustizia tributaria, di cui al presente articolo, a decorrere dal 1° gennaio 2026, vedi l'articolo 52 del D.Lgs. 14 novembre 2024, n. 175. [3] Comma modificato dall'articolo 4, comma 1, lettera a), della Legge 31 agosto 2022, n.130. [4] Comma modificato dall'articolo 4, comma 1, lettera a), della Legge 31 agosto 2022, n.130. [5] Comma abrogato dall'articolo 3-bis, comma 5 del D.L. 30 settembre 2005, n. 203 [6] Comma sostituito dall'articolo 4, comma 1, lettera c), della Legge 31 agosto 2022, n. 130. Per l'applicazione vedi l'articolo 8, comma 3, della Legge 130/2022 medesima. Comma successivamente modificato dall'articolo 1, comma 1, lettera a) del D.Lgs. 30 dicembre 2023, n.220. Per l'applicazione vedi l'articolo 4, comma 2, del D.Lgs. 220/2023 medesimo. [7] Comma aggiunto dall'articolo 6, comma 1, della Legge 31 agosto 2022, n. 130. InquadramentoLa disposizione in commento è una delle più significative dell'intero rito speciale tributario, per la evidente ragione anche letterale che è fra quelle più distanti dal rito civile a cui usualmente il processo tributario è omologato. La dottrina (Gobbi, 258, cit.) pur rilevando l'apparente concisione dell'unica norma che si occupa organicamente dei mezzi di prova ha anche rilevato come sia evidente un'origine officiosa del processo tributario, tanto che nel primo comma la difformità rispetto al vecchio art. 35 del d.P.R. n. 636/1972 è proprio nel richiamo «ai fini istruttori e nei limiti dei fatti dedotti dalle parti» (ma, si badi, non nei limiti delle richieste istruttorie delle parti) in realtà poi fa riferimento ai poteri officiosi, qualificati espressamente come facoltà di accesso, di richiesta dei dati di informazione e di chiarimenti che sono assegnati agli organi dell'amministrazione finanziaria e in genere del soggetto impositore. La dottrina ha dunque anche argomentato sull'esistenza di una sorta di doppia natura delle prove che possono avere ingresso nel rito tributario, quelle cioè officiose e quelle disponibili dalle parti. Ancorché sottoposta ad un significativo lavorio dinanzi alla Corte Costituzionale, la disposizione ne ha reiteratamente superato il vaglio; particolarmente significativa appare la pronuncia di infondatezza di Corte cost. n. 18/2000, la quale, pur occupandosi ex professo della limitazione probatoria rispetto alle prove testimoniali di cui all'art. 7 comma 4, su cui la dottrina avanza invece forti critiche, ha anche illustrato come poteri officiosi quelli concessi alle Commissioni, fino al punto che il Giudice Tributario «potrà e dovrà far uso degli ampi poteri inquisitori riconosciutigli dal comma 1 dell'art. 7 del d.lgs. n. 546 del 1992, rinnovando e, eventualmente, integrando — secondo le indicazioni delle parti e con garanzia di imparzialità — l'attività istruttoria svolta dall'ufficio. E non è dubbio che, in presenza di una specifica richiesta di parte, le ragioni del mancato esercizio di tale potere-dovere restino soggette al generale sindacato di congruità e sufficienza della motivazione proprio delle decisioni giurisdizionali.” In verità, recente dottrina (Gobbi, 272, cit.) si è anche incaricata di affermare che il riparto dell'onere della prova si collega ai principi desumibili dall'art. 2697 c.c., per cui onus probandi incumbit ei qui dicit, ma che nel caso di processo di annullamento-merito, qual è quello tributario, in realtà si dovrebbe ipotizzare una inversione dell'onere della prova, che dovrebbe ricadere in capo alla P.A. al fine di provare i fatti costitutivi su cui si fonda la pretesa tributaria. Trattasi di ipotesi scientificamente corretta, a cui non si conforma la prassi corrente delle commissioni di merito. Resta il fatto che il contribuente-ricorrente deve sicuramente fornire prove degli argomenti che pone a fondamento delle sue doglianze, ma che la P.A. è a sua volta tenuta a provare, trattandosi di giudizio annullatorio diretto contro la legittimità dell'atto, che esso sia legittimo ed adeguatamente fondato. Quanto all'altro tema dottrinale più rilevante, quello del c.d. principio dispositivo in tema di prove, sicuramente il processo tributario nel suo assetto originario manifesta un'origine inquisitoria, con conseguente ampio potere officioso del Giudicante in ordine all'ammissione delle prove consentite, ma dopo la novella ormai sedimentata del 1992 esso si qualifica come un processo in cui le prove rimangono nella disponibilità delle parti, (c.d. processo dispositivo attenuato) almeno nel senso che la corte giudicante deve sceglierle nell'ambito di quelle richieste dalle parti ed al fine di provare i fatti che esse hanno posto al centro della richiesta contenuta nel ricorso o nelle contrapposte eccezioni o contestazioni mosse dalla parte resistente. Certamente, resta – come del resto ormai anche nel rito amministrativo e residualmente nel rito civile – un potere officioso significativo del Giudice, che però va piuttosto circoscritto non all'ingresso discrezionale in un processo che deve rimanere di parti, ma alla necessità di giungere ad una regolazione adeguata, anche sotto il profilo motivazionale, del conflitto fra le parti, tenuto anche conto del loro contegno processuale e preprocessuale. I poteri anche officiosi delle Commissioni tributarie, il giusto processo e la parità delle partiIl requisito tipico del processo regolato dall'art. 111 Cost., a cui non c'è dubbio debba tendere anche il processo tributario, è lo svolgimento nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale (Manzon, cit.). C'è già qui la risposta alle alternative, sopra tratteggiate, fra strumenti processuali probatori officiosi e strumenti dispositivi: in realtà, non c'è contrasto né contraddizione nell'esistenza dei due tipi di mezzi di prova e di altri strumenti processuali, quali le richieste di informazioni ex comma 1 e le consulenze ex comma 2, in quanto tutti possono essere dispiegati dal giudice, ma sempre nel quadro di un processo di parti in cui tutte, compresa la parte pubblica, hanno pari diritti e nel quale — secondo i principi del riparto dell'onere probatorio — spetta sempre alle parti la formulazione dei fatti rilevanti e dei mezzi con cui ritiene di poterli provare, mentre il Giudicante mantiene la potestà di disporre di strumenti officiosi quando siano necessari al fine di realizzare il giusto processo ed emettere una sentenza adeguatamente motivata (Cfr. Giovannini, 2014, 196 ss.). La dottrina (Raguzzi, 10879 ss.) ha collegato la teoria dei mezzi di prova e degli altri mezzi di conoscenza della verità da parte del giudice, come sono specificamente le consulenze tecniche e le richieste di relazioni cognitive, anche ai principi enunciati dall'art. 6, comma 1, CEDU, come frontiera evoluta al pari dei principi costituzionali interni: «Essi operano, infatti, non come regole di organizzazione interna dei poteri giudiziari, ma come garanzia di un diritto di cui le parti processuali possono chiedere la tutela se lo ritengono leso. Ne discendono conseguenze anche sull'uso dei mezzi di integrazione delle conoscenze del giudice tributario (relazioni e consulenza tecnica), in funzione di una più approfondita cognizione del fatto (profilo dell'indipendenza), e sulla scelta degli ausiliari (profilo dell'imparzialità).» Ancorché l'equivoco possa farsi risalire addirittura alla relazione ministeriale al d.lgs. n. 456/1992, che discorreva di «attenuazione» dei caratteri inquisitori del processo tributario, occorre evidenziare come vi sia un contrasto solo apparente fra la lettera del comma 1 dell'art. 7, che appare assegnare alle Commissioni gli stessi poteri della P.A., ed il c.d. principio dispositivo, sebbene attenuato, in quanto tale facoltà è limitata fortemente dall'inciso chiarificatore «nei limiti dei fatti...», il quale come già abbiamo detto circoscrive l'uso dei poteri officiosi ad un quadro che non prevede alcun soccorso al mancato dispiegarsi delle richieste probatorie dalle parti. Si sente indubbiamente la mancanza nel rito tributario di una norma che sia modellata sull'art. 63 del Codice del processo amministrativo, che peraltro si può anch'esso annoverare fra i riti che adottano un principio dispositivo peculiare e che comunque si sottraggono alla ripartizione tradizionale fra ritualità probatoria inquisitoria e dispositiva, ma non c'è dubbio che debba prospettarsi un contemperamento della regola della corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato (che non si riferisce al solo merito del giudizio, ma anche ai mezzi di prova) con i poteri istruttori innegabilmente esercitabili ex officio dal Giudice Tributario (Cfr. Gobbi, 281) La giurisprudenza di legittimità, nel solco di quanto sopra sostenuto in ordine alla sussidiarietà dei poteri istruttori officiosi del Giudice Tributario (Cass. V, ord. n. 21433/2017; Cass. VI ord., n. 24720/2016) ha ritenuto che «in tema di contenzioso tributario, l'art. 7, attribuisce al giudice tributario il potere di disporre l'acquisizione d'ufficio di mezzi di prova non per sopperire alle carenze istruttorie delle parti, sovvertendo i rispettivi oneri probatori, ma soltanto in funzione integrativa degli elementi di giudizio, il cui esercizio è consentito ove sussista una situazione obiettiva di incertezza e laddove la parte non possa provvedere per essere i documenti nella disponibilità della controparte o di terzi.» (Conforme Cass. V ord., n. 15040/2017 e già Cass. V, n. 955/2016). Si badi che a fortiori il divieto di utilizzazione di poteri officiosi si applica, congiungendosi al rafforzato divieto di prove nuove, anche in grado d'appello, come statuito da Cass. V Ord., n. 9818/2017 (Conforme Cass. V, n. 21823/2016). Nel contenzioso tributario nemmeno al giudice d'appello è più consentito officiosamente di ordinare il deposito di documenti sollevando la parte dall'onere della prova, in seguito all'abrogazione del terzo comma dell'art. 7 del d.lgs. n. 546/1992, che le consentiva quando ritenute «necessarie ai fini della decisione». I mezzi di prova e di accertamento della verità processuale a disposizione del Giudice TributarioNel processo tributario uno degli argomenti in cui si registra un netto contrasto fra dottrina, considerata nella sua sostanziale univocità, e giurisprudenza è quello del divieto di prova testimoniale posto dall'art. 7. Secondo la dottrina infatti (Gobbi, cit., 309) neppure la pronuncia della Corte cost. n. 18/2000, che sembrava aver sgombrato il campo anche da profili di costituzionalità del divieto può dirsi soddisfacente (De Mita, 47 definisce la pronuncia tautologica ed in effetti dei tre ordini di motivi addotti nessuno sembra vincente, da quello della mancanza di simmetria obbligata fra riti a quello della specificità del processo tributario e a quello della specificità della pretesa tributaria sostanziale, che del resto sarebbero travolti da una nuova verifica che tenesse conto della novella dell'art. 111 Cost. e dei nuovi principi desumibili dal c.p.a. del 2010) e tuttavia con evidenza la preoccupazione che, sub specie di istruttoria con audizioni testimoniali, si possa in realtà avviare un'indagine istruttoria che supererebbe facilmente le barriere delle acquisizioni documentali, ha finora indotto la giurisprudenza a non tener conto di queste opinioni giurisprudenziali. Tale divieto, espressamente dichiarato «incoerente» (Gobbi, cit. 212) è solo parzialmente mitigato dalle pronunce secondo cui il divieto non si estende al possibile valore probatorio di dichiarazioni di terzi che rifluiscano nel procedimento come documenti. Di un certo rilievo appare il tema generale della possibilità del giudice tributario di disporre l'assunzione dei mezzi istruttori dai quali le parti sarebbero decadute, che in un primo tempo anche sulla base di giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 11915/1991; Cass. n. 4306/1985) abbastanza ampia, sembrava consentire significativo margine di discrezionalità, basato proprio sul principio della seppur residuale potestà officiosa in termini di prove del Giudice tributario. La dottrina (Gobbi, cit. 316, con ampia rassegna di ulteriori opinioni) si è incaricata di restringere le ipotesi, anche sulla base di una lettura sistematica della norma processuale speciale alla luce del nuovo secondo comma dell'art. 111 Cost., che ribadisce e rafforza la natura di conflitto fra parti uguali di ogni processo, con l'ulteriore specificazione che la terzietà e la imparzialità si esercitano anche attraverso una equidistanza concreta ed effettiva dalle parti processuali. (Cfr. C.t.r. Sicilia Palermo, XXIX, 7 giugno 2016, che ribadisce che le commissioni tributarie hanno la facoltà di acquisire d'ufficio i documenti necessari per la decisione, con il limite di non dover sopperire al mancato assolvimento, ad opera della parte, del relativo onere probatorio. Ne deriva che, qualora siano decorsi i termini di cui all'art. 32 del citato d.lgs. n. 546/1992, senza che la parte abbia prodotto la documentazione richiesta per l'adempimento della prova, tale lacuna non può essere colmata dall'esercizio dell'indicato potere giudiziale.) Diversamente opinando, l'utilizzazione del potere officioso in soccorso alla parte inadempiente sarebbe una violazione — non motivabile con il semplice spirito di giustizia sostanziale – dei principi costituzionali, mentre diverso può considerarsi il caso in cui il potere officioso venga utilizzato per acquisire elementi del tutto indispensabili, nel quadro di risultanze già fornite dalle parti, a giungere ad una pronuncia adeguatamente motivata. In senso conforme Cass. V, n. 955/2016, che — in applicazione del principio dispositivo — ha ritenuto che il giudice tributario non potesse esercitare il potere di acquisizione d'ufficio di un processo verbale di constatazione richiamato nell'avviso di rettifica. Il divieto di ammissione della prova testimoniale davanti alle Commissioni Tributarie, sancito dall'art. 7, si riferisce — beninteso — alla prova testimoniale da assumere nel processo, che è di regola orale, di solito ad iniziativa di parte, richiede la formulazione di specifici capitoli, comporta l'assunzione di responsabilità dei testi e, di conseguenza, riveste un particolare valore probatorio. Quanto innanzi, pertanto, non implica la inutilizzabilità, ai fini della decisione, delle dichiarazioni raccolte dall'Amministrazione nella fase procedimentale e rese da terzi, ovvero da soggetti terzi rispetto al rapporto tra il contribuente e l'Erario (Così Cass. V, n. 9080/2017; C.t.r. Sicilia Palermo XIV, 23 maggio 2017). Consulenza tecnica e relazioni degli organi tecnici Secondo le regole generali del rito civile, la consulenza tecnica – evocata nel comma 2 dell'art. 7 — non costituisce un mezzo di prova, come le relazioni informative che possono essere richieste ad organi ed uffici pubblici compresa la G.d.F., ma un elemento di cognizione utile ai fini della formazione del giudizio, quando sia strettamente necessaria l'acquisizione (pur tenuto conto della composizione plurale del collegio tributario, che dovrebbe avere proprio in questi casi adeguate capacità collegiali e far ritenere l'ipotesi di C.T.U. del tutto residuale) di elementi tecnici. Ovviamente la giurisprudenza è concorde nell'escludere che la Consulenza tecnica sia utilizzata a fini esplorativi, cioè per cercare elementi non precisati né articolati negli atti processuali, a sostegno di allegazioni generiche (ex plurimisCass. sez. trib. n. 18976/2007 e Cass. sez. trib. n. 24464/2006). Nel silenzio della norma, appare certo che la nomina e le operazioni peritali debbano svolgersi secondo le regole dell'art. 191 e segg. c.p.c., ivi compresa la facoltà per la parte di nominare un proprio consulente di parte e che si debba seguire la nuova procedimentalità con cui gli artt. 191 e segg. c.p.c. regolano l'espletamento dell'incombente processuale. Qualche dubbio di costituzionalità viene affacciato invece sull'uso degli altri mezzi di accertamento dei fatti officiosamente a disposizione del giudice tributario, ed in particolare quando le informazioni siano richieste non ad organi terzi, come possono essere quelli deputati a fornire indicazioni diverse da quelle strettamente afferenti al rapporto tributario, ma ad organi ed autorità ricompresi nel procedimento usualmente finalizzato all'accertamento dei fatti nel procedimento amministrativo tributario. E ben vero che si può eccepire la mancanza di una immedesimazione diretta della P.A. e dei suoi organi nei procedimenti, nei quali persegue comunque finalità pubbliche, ma non c'è dubbio che ci si trovi in presenza di una facoltà da utilizzare con parsimonia e con adeguata motivazione, esattamente individuando il motivo del ricorso all'ausilio informativo degli organi amministrativi. Quanto alla remunerazione dei consulenti tecnici e degli altri ausiliari, il riferimento alla l. n. 319/1980 deve considerarsi ormai superato dall'intervenuta abrogazione della disposizione, salvo l'art. 4 l. 319/1980, tuttora vigente, dall'art. 299 del d.P.R. n. 115/2002, che ha sostituito con il nuovo art. 49 d.P.R. n. 115/2002, le regole generali per la determinazione dei compensi agli ausiliari del giudice, compreso quello tributario, ispirati al principio della delegificazione in quanto le norme successive (artt. 50 e segg.) demandano a provvedimenti ministeriali la determinazione dei compensi e dei criteri di liquidazione. Accessi, ispezioni, verifiche Quanto invece ai mezzi di prova di cui all'art. 7 comma 1, che sono i più simili a quelli officiosi di cui dispongono gli uffici accertatori, a parte la loro marginalità nella prassi anche per le difficoltà notevoli nell'organizzazione concreta di così laboriosi incombenti, va rilevato che si tratta di poteri che sono previsti in favore del giudice tributario, intrinsecamente collegiale (fatta salva l'ipotesi di giudice monocratico per l'ottemperanza di cui all'art. 70, comma 10-bis, d.lgs. 546/1992) per cui non esiste l'istituto del giudice istruttore o giudice delegato (fatta salva l'ipotesi del giudice delegato per l'ottemperanza di cui all'art. 70, comma 7, d.lgs. n. 546/1992) conosciuto da altri ordinamenti processuali e, come per tutti gli altri mezzi di prova, ne è inibito un uso meramente esplorativo o di indagine, dovendosi assicurare mediante questi strumenti eventuali elementi già individuati, di cui difetta e non è altrimenti raggiungibile la prova.Pur trattandosi di un'attività di ricerca che la Commissione può disporre anche invito domino, cioè senza il consenso del soggetto passivo delle misure, non risulta necessaria, come invece per gli accessi in sede amministrativa, l'autorizzazione del Procuratore della Repubblica, essendo adeguato che l'azione si svolga nell'ambito dell'iniziativa diretta di un organo giurisdizionale. L'autocertificazione, l'interrogatorio libero, il giuramento Secondo la dottrina (Russo, cit. 164, adesivo Gobbi, cit. 318) non c'è motivo di ritenere che sia preclusa alle commissioni tributarie la facoltà di ammettere l'interrogatorio libero delle parti, poiché a differenza dell'interrogatorio formale quello libero non è finalizzato ad ottenere la confessione della parte, ma semplicemente ad acquisire strumenti cognitivi sempre finalizzati alla formazione del libero convincimento del giudice. La tesi, che non risulta seguita nella prassi, sicuramente è coerente con gli sviluppi del processo tributario verso traguardi sempre più vicini all'art. 111 Cost. e all'art. 6 CEDU e certamente anche con la necessità di una evoluzione della giurisdizione tributaria, similmente a quello che accade in quella amministrativa, verso una giurisdizione sul rapporto oltre che sull'atto, ma al momento appare dubbio l'esercizio legittimo di tale facoltà, che contrasterebbe sia con il principio di tassatività dei mezzi di prova con riferimento alla disposizione speciale dell'art. 7, sia con il disfavore verso l'oralità dell'intero processo tributario. Del tutto esclusa è invece l'utilizzazione nel processo tributario di autocertificazioni o dichiarazioni sostitutive di atti di notorietà, come ribadisce Cass. V, n. 701/2017: «...secondo l'indirizzo di questa Corte, l'attribuzione di efficacia probatoria alla dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà che, così come l'autocertificazione in genere, ha attitudine certificativa e probatoria esclusivamente in alcune procedure amministrative, essendo viceversa priva di efficacia in sede giurisdizionale, trova, con specifico riguardo al contenzioso tributario, ostacolo invalicabile nella previsione del d.lgs. n. 546/1992, art. 7, comma 4, giacché finirebbe per introdurre nel processo tributario — eludendo il divieto di giuramento e prova testimoniale — un mezzo di prova, non solo equipollente a quello vietato, ma anche costituito al di fuori del processo (Cass. n. 6755/2010; Cass. n. 703/2007)». Il giuramento, per la specificità sia del rito, sia dell'oggetto del contendere sia infine delle parti, è vietato espressamente dalla norma. Va anche affermato che l'esercizio dei poteri istruttori da parte del giudice tributario non può tuttavia costruirsi quasi come speculare parametro dell'officialità, come potere discrezionale ed insindacabile, in quanto costituisce violazione di legge (in riferimento sia all'art. 7 qui in commento, sia all'art. 2697 c.c.) censurabile in Cassazione il carente o errato esercizio di tali poteri (Cfr. Cass. sez. trib., n. 558/2016), che non sono pertanto esercitabili quasi come una sorta di completamento dell'attività officiosa della P.A. in sede amministrativa, ma sempre nel quadro del processo giusto, individuato dai parametri di ossequio ai principi europei e a quelli del diritto costituzionale interno. La disapplicazione e l'annullamentoIl comma 5 della disposizione in commento introduce anche nel rito tributario il principio della c.d. «disapplicazione», nel senso che (cfr. Quatraro, 587) «...in applicazione del principio enunciato dalla legge 20 marzo 1865, n. 2248, allegato e, che ha abolito il contenzioso amministrativo, la decisione della commissione tributaria, che dovesse dichiarare illegittimo un atto amministrativo generale, avrà̀ efficacia di giudicato in relazione all'oggetto dedotto in giudizio, per cui, l'atto al di fuori di questo, conserverà̀ la sua presunzione di legittimità̀, salvo sempre la possibilità̀ di impugnarlo presso il tribunale amministrativo». Ovviamente nel caso invece che, non trattandosi di atto impositivo, l'atto presupposto sia stato impugnato innanzi al competente Giudice Amministrativo e da questi dichiarato illegittimo verteremmo in un tipico caso di «giudicato esterno», cioè in uno di questi rari casi in cui la pronuncia di un altro giudice dovrà essere ritenuta prova nel giudizio tributario. Si badi che, anche in questo caso, lo sarà esclusivamente in riferimento ai motivi di impugnazione e di conseguente declaratoria di illegittimità, a meno che l'atto non sia stato integralmente annullato e rimosso perciò nei suoi effetti generali e dichiarato nullius momenti. Cfr., esattamente in termini, Cass. V, n. 6358/2016, secondo cui «...il potere di disapplicazione riconosciuto alle commissioni tributarie dall'art. 7 degli atti amministrativi illegittimi ed, in particolare, delle delibere comunali di approvazione delle tariffe della TARSU, presupposte agli atti impositivi, non è precluso dalla circostanza che spetta al giudice amministrativo la cognizione, in sede di legittimità, delle delibere tariffarie. Esso sussiste anche qualora l'atto amministrativo disapplicato sia divenuto inoppugnabile per l'inutile decorso dei termini di impugnazione davanti al giudice amministrativo e risulta precluso solo quando la legittimità di un atto amministrativo sia stata affermata dal giudice amministrativo nel contraddittorio delle parti e con autorità di giudicato.” A commento della distinzione fra disapplicazione, che la norma riconosce al giudice tributario (al pari di quello ordinario) e potere di annullamento, che rimane nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, si vedano Cons. St. VI, n. 5152/2011, ma anche la più recente T.A.R. Umbria I, n. 20/2013. Da ultimo, Cass. S.U., n. 21545/2017 in materia concessoria, che distingue fra cognizione del giudice ordinario ed amministrativo e riafferma che le dispute intorno all'applicazione dei canoni concessori, per la loro natura di controversie di carattere patrimoniale ordinario, appartengono alla cognizione del giudice ordinario e non tributario: «la scelta dei criteri di determinazione del canone concessorio, poiché detta scelta è effettuata dal Comune in base anche ad una valutazione comparativa degli interessi generali, non può considerarsi «meramente» patrimoniale e, pertanto, non è direttamente inquadrabile in un rapporto di tipo paritario tra pubblica amministrazione concedente e concessionario del bene o del servizio pubblico, secondo lo schema «obbligo-pretesa», riservato alla cognizione del giudice ordinario: l'impugnazione della relativa delibera ricade, pertanto, nell'ambito della giurisdizione del giudice amministrativo, che ha il compito di valutare la ritualità e la tempestività dell'impugnazione, nonché la legittimità della delibera e, in particolare, interpretare la portata dell'art. 9, comma 7 del d.lgs. n. 507/1993, come modificato dall'art. 145, comma 55 della l. n. 388/2000, là dove dispone che il canone concessorio è commisurato alla effettiva occupazione del suolo pubblico del mezzo pubblicitario.” Esattamente sul tema del riparto di giurisdizione fra giudice tributario e giudice amministrativo si era pronunciata anche Cass. S.U., n. 3030/2002: «Sono devolute alla cognizione delle commissioni tributarie le controversie concernenti i tributi comunali e locali (nella specie, tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani) tutte le volte in cui il contribuente abbia a contestare, nell'an e nel quantum, la pretesa impositiva azionata dall'ente territoriale, impugnando, per l'effetto, gli atti impositivi, e così ponendo in discussione la specifica obbligazione tributaria ad essi riferibile (art. 2 comma 1 lett. h, del d.lgs. n. 546/1992), senza investire direttamente i cosiddetti atti autoritativi presupposti, e cioè i provvedimenti di carattere generale (regolamento e tariffa), con riferimento ai quali la competenza giurisdizionale spetta, invece, al giudice amministrativo (art. 7, comma 5, d.lgs. n. 546 del 1992 citato). ». Infine, è bene precisare che l'efficacia regolamentare del giudicato tributario è immediata conseguenza della pronuncia giudiziale, niente affatto equivalente all'efficacia conformativa del giudicato amministrativo, prevista dall'art. 4, comma 2, l. 20 marzo 1865, n. 2248, all. E. La riforma della giustizia tributariaLa riforma della giustizia tributaria si inscrive nell'alveo delle riforme di sistema che lo Stato italiano ha inteso attuare nell'ambito del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR). In considerazione dell'impatto che la giustizia tributaria ha sulla fiducia degli operatori economici, il Governo ha definito con la Commissione europea l'obiettivo di realizzare una riforma dell'intero sistema della giustizia tributaria, focalizzandosi in particolare sulla riduzione del numero di ricorsi alla Corte di Cassazione e sulla maggiore celerità della loro trattazione (cfr. Rel. della Camera dei deputati, A.G. 99, 11 dicembre 2023). Con l'entrata in vigore, il 16 settembre 2022, della legge n. 130 del 2022, recante disposizioni in materia di giustizia e di processo tributari, è stato conseguito l'obiettivo posto dal PNRR di attuare una completa riforma delle commissioni tributarie di primo e secondo grado entro la fine del 2022. La legge n. 130 del 2022, anzitutto, persegue la razionalizzazione del sistema della giustizia tributaria attraverso la professionalizzazione del giudice di merito, con la previsione della figura del magistrato tributario professionale, e apporta le conseguenti modifiche alle norme che disciplinano il reclutamento, la nomina alle funzioni direttive e le progressioni in carriera dei componenti delle commissioni tributarie. La legge, intervenendo sul decreto legislativo n. 545 del 1992, ha modificato la denominazione delle commissioni tributarie in corti di giustizia tributaria (di primo e di secondo grado) e ha stabilito che la giurisdizione tributaria sia esercitata dai nuovi magistrati tributari a tempo pieno, reclutati mediante procedure concorsuali appositamente disciplinate. La giurisdizione tributaria è affidata ai nuovi magistrati tributari a tempo pieno, assunti tramite concorso pubblico. La riforma modifica, inoltre, le attribuzioni del Consiglio di presidenza della giustizia tributaria, prevedendo che esso vigili sul funzionamento dell'attività giurisdizionale delle corti di giustizia tributaria e possa disporre ispezioni nei confronti del personale giudicante. A tal fine è istituito un apposito Ufficio ispettivo; è inoltre istituito l'Ufficio del massimario nazionale, con la funzione di provvedere a rilevare, classificare e ordinare in massime le decisioni delle corti di giustizia tributaria di secondo grado e le più significative tra quelle emesse dalle corti di giustizia tributaria di primo grado.
Con specifico riguardo agli aspetti processuali della riforma, la legge n. 130 apporta una serie di modifiche al decreto legislativo n. 546 del 1992:
La riforma fiscale e la legge delega n. 111/2023. I princìpi e criteri direttivi per la revisione della disciplina e l'organizzazione del contenzioso tributario Una ulteriore riforma si è avuta a seguito dell'attuazione della delega conferita con la legge 9 agosto 2023, n. 111, recante delega al Governo per la riforma fiscale, ad opera del decreto legislativo 30 dicembre 2023, n. 220, “Disposizioni in materia di contenzioso tributario”. Il d.lgs. n. 220/2023 si compone di 4 articoli e reca diverse modifiche al d.lgs. n. 546/1992 e dà attuazione ai principi di cui all'articolo 19, comma 1, lettere da a) ad h) della citata legge n. 111 del 2023. L'articolo 19, cit., reca princìpi e criteri direttivi per interventi di riforma del contenzioso tributario. In dettaglio, con la lettera a), coerentemente con il potenziamento dell'istituto dell'autotutela (di cui all'articolo 4, comma 1, lettera g) della medesima l. n. 111/2023), preordinato a prevenire l'instaurarsi di contenziosi in sede giudiziale, quando questi possano essere definiti in via amministrativa, si demanda al legislatore delegato di intervenire sui vigenti istituti aventi finalità deflattive e operanti anteriormente alla costituzione in giudizio della parte resistente (di cui all'art. 23 del decreto legislativo n. 546 del 1992) ossia, dell'ente impositore, dell'agente della riscossione o dei soggetti iscritti all'albo di cui all'articolo 53 del decreto legislativo n. 446 del 1997, nei cui confronti sia stato proposto ricorso. La finalità è quella del massimo contenimento dei tempi di conclusione delle controversie tributarie e di riduzione del contenzioso, come previsto dal PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza). In secondo luogo (lettera b), si prevede di ampliare e potenziare l'informatizzazione della giustizia tributaria mediante: 1) norme di semplificazione processuale che siano funzionalmente orientate ad una completa digitalizzazione del processo; 2) l'utilizzo obbligatorio di modelli predefiniti per la redazione di atti processuali, verbali e provvedimenti giurisdizionali; 3) la disciplina delle conseguenze processuali derivanti dalla violazione dell'obbligo di utilizzo di modalità telematiche; 4) la previsione che la discussione da remoto della causa possa essere richiesta anche da una sola delle parti costituite, mediante apposita istanza da notificare, ferma in ogni caso la possibilità per le altre parti di discutere in presenza, limitando la partecipazione a distanza alla sola parte richiedente. In terzo luogo (lettera c), si dispone la modificazione dell'articolo 57 del D.P.R. n. 602 del 1973, prevedendo, in materia di esecuzione tributaria, un intervento di razionalizzazione nel riparto di giurisdizione tra giudice tributario e giudice civile. In particolare, viene consentito al ricorrente di proporre opposizione all'esecuzione (art. 615, comma 2, c.p.c.) e opposizione agli atti esecutivi (art. 617 c.p.c.) davanti al giudice tributario, ma solo nell'evenienza in cui si censuri la mancata o invalida notificazione della cartella di pagamento o dell'intimazione di pagamento di cui all'articolo 50, comma 2, D.P.R. n. 602 del 1973. La lettera d) dispone che nell'esercizio della delega venga “rafforzato” il divieto di produrre nuovi documenti processuali nei gradi successivi al primo. Si ricorda che l'art. 58, comma 2, del decreto legislativo n. 546 del 1992, prima della riforma, faceva salva la facoltà delle parti di produrre nuovi documenti in appello. L'articolo 32, comma 1, del medesimo decreto legislativo n. 546 prevede che le parti possono depositare documenti fino a venti giorni liberi prima della data di trattazione. Inoltre (lettera e), al fine di abbreviare ulteriormente le tempistiche del processo tributario e impedire la progressione dell'attività di riscossione, viene previsto che la pubblicazione e la successiva comunicazione alle parti del dispositivo dei provvedimenti giurisdizionali avvenga entro sette giorni dalla deliberazione di merito, salva la possibilità di depositare la sentenza nei trenta giorni successivi alla comunicazione del dispositivo; che siano introdotte misure volte ad accelerare la fase cautelare anche nei gradi di giudizio successivi al primo (lettera f) e che vengano adottati interventi di deflazione del contenzioso, favorendo la definizione agevolata delle liti pendenti in tutti i gradi di giudizio, ivi compreso quello dinanzi alla Corte di Cassazione (lettera h). La lettera g) stabilisce che nell'esercizio della delega si preveda l'impugnabilità dell'ordinanza che accoglie o respinge l'istanza di sospensione dell'esecuzione dell'atto impugnato.
Il nuovo articolo 7 applicabile ai giudizi instaurati, in primo e in secondo grado, con ricorso notificato successivamente al 1° settembre 2024 L'articolo 1, comma 1, lett. a), D.Lgs. 30 dicembre 2023, n. 220, - dando attuazione del criterio di delega di cui all'art. 19, c. 1, lett. b) della legge n. 111/2023 – è intervenuto sull'art. 7 del D.Lgs. n. 546/1992, il quale disciplina i poteri delle corti di giustizia tributaria di primo e secondo grado. Precisamente, sono stati aggiunti due periodi al comma 4, volti a disciplinare la facoltà di notifica in via telematica dell'intimazione e del modulo di deposizione testimoniale nonché di deposito in via telematica del modulo di deposizione sottoscritto dal testimone con firma digitale.
A mente del quarto comma dell'art. 7, novellato, Non è ammesso il giuramento. La corte di giustizia tributaria, ove lo ritenga necessario ai fini della decisione e anche senza l'accordo delle parti, può ammettere la prova testimoniale, assunta con le forme di cui all'articolo 257-bis del codice di procedura civile. Nei casi in cui la pretesa tributaria sia fondata su verbali o altri atti facenti fede fino a querela di falso, la prova è ammessa soltanto su circostanze di fatto diverse da quelle attestate dal pubblico ufficiale. La notificazione dell'intimazione e del modulo di deposizione testimoniale, il cui modello, con le relative istruzioni per la compilazione, è reso disponibile sul sito istituzionale dal Dipartimento della Giustizia tributaria, può essere effettuata anche in via telematica. In deroga all'articolo 103-bis delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile, se il testimone è in possesso di firma digitale, il difensore della parte che lo ha citato deposita telematicamente il modulo di deposizione trasmessogli dal testimone dopo che lo stesso lo ha compilato e sottoscritto in ogni sua parte con firma digitale apposta in base a un certificato di firma qualificato la cui validità non è scaduta ovvero che non è stato revocato o sospeso al momento della sottoscrizione.
In sintesi: non è ammesso il giuramento; la corte, ove lo ritenga necessario, può ammettere la prova testimoniale; ove la pretesa tributaria si fondi su verbali o altri atti facenti fede fino a querela di falso la prova può essere ammessa soltanto su circostanze di fatto diverse da quelle attestate dal pubblico ufficiale. A seguito della novella del 2023, e in attuazione, come accennato, del criterio direttivo di cui all'articolo 19, comma 1, lettera b), relativo all'ampliamento e potenziamento dell'informatizzazione del processo tributario, sono state inserite nel comma 4, una serie di modifiche funzionali alla integrale digitalizzazione del sistema processuale. Quanto alla testimonianza scritta, viene previsto - in deroga all'articolo 103-bis delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile - che il testimone munito di firma digitale possa rendere la testimonianza su un apposito modulo scaricabile sul sito del Dipartimento della Giustizia tributaria e sottoscriverlo in ogni sua parte apponendo la firma digitale (che sia dotata dei requisiti prescritti dall'articolo 24 CAD, codice dell'Amministrazione digitale), senza necessità di ulteriore autenticazione, modulo che viene successivamente depositato telematicamente dal difensore della parte che lo ha citato. A tale proposito la relazione illustrativa del D.Lgs. n. 220/2023 evidenzia che il deposito tramite il difensore della parte che ha citato il testimone si rende necessario in quanto il testimone non ha accesso al SIGIT (Portale del processo tributario telematico – PTT). La modifica adatta, pertanto, la disciplina prevista dall'articolo 103-bis disp. att. c.p.c. alle esigenze di un processo digitale, dando la possibilità al testimone che sia munito di firma digitale a rendere la testimonianza su un modulo digitale sottoscritto digitalmente, senza doversi recare presso un segretario comunale o un cancelliere di un ufficio giudiziario per conseguire quella certificazione dell'autenticità della sottoscrizione che è già assicurata dalla firma digitale secondo le previsioni del codice dell'Amministrazione digitale.
Quanto alle modifiche appena citate, si deve sottolineare che a norma dell'art. 4, comma 2, del citato D.Lgs. n. 220/2023, la disposizione di cui al comma 4 dell'art. 7, si applica ai giudizi instaurati, in primo e in secondo grado, con ricorso notificato successivamente al 1° settembre 2024. BibliografiaBuonauro, Il sindacato incidentale del giudice tributario sugli atti amministrativi presupposti, in Gazzetta forense 21 ottobre 2014; De Mita, Guida alla giurisprudenza costituzionale tributaria, Milano, 2004; Gandini, Ancora in tema di accertamenti bancari e valore delle dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà: la (dis)parità delle armi nel giudizio tributario, in Dir. prat. trib. 2011, 5, 20925; Giovannini, Il Diritto tributario per princìpi, Milano, 2014; Giovannini, L'interpretazione secundum constitutionem come strumento di riforma del processo tributario, in Dir. prat. trib. 2013, 5, 11057; Gobbi, Il processo tributario, Milano, 2017, 258 ss.; Labruna Le prove atipiche: onere della prova ed onere di contestazione” in ilTributarista.it del 30 ottobre 2019; Manzon, Processo tributario e costituzione. Riflessioni circa l'incidenza della novella dell'art. 111 Cost. sul diritto processuale tributario, in Riv. dir. trib. I, 1095 ss. 2001; Quatraro, I poteri istruttori delle commissioni tributarie reperibile, in corsomagistratitributari.unimi.it; Ragucci, Le garanzie della CEDU in tema di relazioni e di consulenza tecnica nel processo tributario, in Dir. prat. trib. 2013, 4, 10879; Russo, Manuale di Diritto Tributario, Il processo tributario, Milano, 2005; Sciarra, Sulla facoltà dell'esercizio dei poteri istruttori da parte del giudice del merito, in Dir. prat. trib. 2006, 2, 20333. |