Decreto legislativo - 31/12/1992 - n. 546 art. 36 - Contenuto della sentenza 1 2 .

Andrea Antonio Salemme

Contenuto della sentenza12.

1. La sentenza è pronunciata in nome del popolo italiano ed è intestata alla Repubblica italiana.

2. La sentenza deve contenere:

1) l'indicazione della composizione del collegio, delle parti e dei loro difensori se vi sono;

2) la concisa esposizione dello svolgimento del processo;

3) le richieste delle parti;

4) la succinta esposizione dei motivi in fatto e diritto di accoglimento o di rigetto, relativi alle questioni di merito ed alle questioni attinenti ai vizi di annullabilità o di nullità dell'atto3;

5) il dispositivo.

3. La sentenza deve inoltre contenere la data della deliberazione ed è sottoscritta dal presidente e dall'estensore.

[1] Per l'abrogazione del presente articolo, a decorrere dal 1° gennaio 2026, vedi l'articolo 130, comma 1, lettera d), del D.Lgs. 14 novembre 2024, n. 175. Vedi, anche, l'articolo 130, comma 3, del D.Lgs. 175/2024 medesimo.

[2] Per le nuove disposizioni legislative in materia di giustizia tributaria, di cui al presente articolo, a decorrere dal 1° gennaio 2026, vedi l'articolo 85 del D.Lgs. 14 novembre 2024, n. 175.

Inquadramento

La sentenza costituisce l'atto conclusivo dell'iter procedimentale ed è volta, da un lato, ad indicare la regola del caso concreto e, dall'altro, ad evidenziarne la ratio decidendi, ad esporre, cioè, le ragioni di fatto e di diritto poste a fondamento di detta regola. È per tali ragioni che essa di distingue contenutisticamente in due parti: il dispositivo, dove è rassegnata la regola di cui si tratta, e le motivazioni, che a loro volta si compongono di una concisa esposizione dei fatti di causa e dello svolgimento del processo, con la sintesi delle posizioni rilevanti delle parti, e delle motivazioni in senso stretto, concernenti l'individuazione delle regole di giudizio, processuali e sostanziali applicabili, l'enunciazione del percorso probatorio, la sintesi giuridica ed in definitiva il percorso logico-giuridico, ancorché sulla base fattuale delineata dalle allegazioni e dalle prove introdotte dalle parti, della decisione.

Contenuto della sentenza

L'art. 36 in commento indica il modello legale della sentenza, che ne condiziona la regolarità formale, contenendone l'elencazione degli elementi essenziali. La sentenza ha dunque la seguente struttura: l'indicazione della composizione del collegio, delle parti e dei difensori se ci sono; la concisa esposizione dello svolgimento del processo; le richieste delle parti, la succinta esposizione dei motivi in fatto e diritto; il dispositivo (comma 2). La sentenza è pronunciata in nome del popolo italiano ed è intestata alla Repubblica Italiana (comma 1). Contiene infine la data della deliberazione nonché la sottoscrizione del presidente e dell'estensore (in argomento, Azzoni, 1018).

Stante il principio di specialità che governa i rapporti tra processo tributario e processo civile ordinario, in linea di massima, nel primo, non trova applicazione l'art. 132 c.p.c., che, parallelamente all'art. 36 in commento, indica il contenuto delle sentenze civili. La questione è tuttavia scarsamente rilevante sotto il profilo pratico, dal momento che gli elementi essenziali della sentenza tributaria e di quella civile ordinaria sono pressoché coincidenti. Potrebbe acquisire un certo rilievo la mancata proposizione nell'art. 36 in commento della seconda parte del comma e dell'art. 132 c.p.c., a termini della quale, «se il presidente non può sottoscrivere per morte o per altro impedimento, la sentenza viene sottoscritta dal componente più anziano del collegio, purché prima della sottoscrizione sia menzionato l'impedimento; se l'estensore non può sottoscrivere la sentenza per morte o altro impedimento è sufficiente la sottoscrizione del solo presidente, purché prima della sottoscrizione sia menzionato l'impedimento». Ciò nondimeno, ancorché non constino precedenti di legittimità espliciti sul punto, non si intravedono ragioni ostative ad un'applicazione succedanea della regola processual-civilistica al processo tributario [in effetti si rifà a detta regola, a prescindere dall'interpretazione della stessa nel caso concreto, Cass. V, n. 12167/2009, che – nel cassare una sentenza della Commissione Tributaria Regionale che risultava sottoscritta esclusivamente dal relatore e non dal presidente del collegio, disponendo la rinnovazione del procedimento d'appello – afferma: «L'omessa sottoscrizione della sentenza da parte del giudice o, nel caso di pronuncia emessa dal giudice collegiale, da parte di uno dei magistrati tenuti a sottoscriverla ai sensi dell'art. 132 c.p.c., determina, nel caso in cui l'impedimento del magistrato non risulti menzionato ai sensi del terzo comma dell'art. 132 cit., la nullità insanabile della sentenza medesima, dovendosi escludere sia l'applicabilità del procedimento di correzione degli errori materiali, sia la possibilità di distinguere tra omissione intenzionale ed omissione involontaria, provocata da errore o dimenticanza»; in senso difforme, peraltro, sarebbe intervenuta Cass. S.U., n. 11021/2014, su cui ci si intratterrà funditus nell'ultimo paragrafo, per la quale, invece, la sentenza emessa dal giudice in composizione collegiale priva di una delle due sottoscrizioni (del presidente del collegio ovvero del relatore) è affetta da bensì da nullità, ma sanabile ai sensi dell'art. 161, comma 1, c.p.c.].

Nel processo tributario si applica l'art. 118 disp. att. c.p.c. che, a seguito delle interpolazioni introdotte dalle l. 18 giugno 2009, n. 69, detta uno schema tendenzialmente vincolante di motivazione della sentenza: tendenzialmente perché, sebbene difetti alcuna sanzione processuale in caso di violazione, tuttavia il sindacato del rispetto dello schema in parola, finalizzato ad assicurare un'adeguata lunghezza del testo della motivazione, in proiezione di efficienza e prontezza della risposta giurisdizionale, ben può assurgere a parametro di giudizio in sede disciplinare per il magistrato che accumuli intollerabili ritardi nei depositi. Talché, a termini del comma 1 dell'art. 118 cit., l'esposizione dei fatti rilevanti della causa e delle ragioni giuridiche della decisione deve essere succinta, anche con riferimento a precedenti conformi, che evidentemente aiutano l'estensore nell'abbreviare l'indicazione del ragionamento conducente ad un certo risultato intermedio o finale. La circostanza che il rigore nell'esposizione passa attraverso la concisione è ribadita fors'anche ad abundantiam anche nel comma 2, che si completa con il comma 3, il quale vieta in ogni caso la citazione di autori giuridici, dacché la sentenza è un atto del processo, non costituendo occasione di sfoggio di cultura giuridica.

Al netto di tali considerazioni, la differenza rilevante tra sentenza tributaria e sentenza civile ordinaria deriva dalla constatazione che, nel processo tributario, vige il divieto di sentenze non definitive o comunque parziali: par chiaro che ciò riverbera i propri effetti anche sul tessuto motivazionale, oltreché autenticamente decisorio, della sentenza, nel senso che, nel processo tributario, dove la sentenza chiude (nel senso proprio e pieno del termine) il giudizio, non può farsi luogo ad un'analisi singolare, che (a discrezione delle parti e men che meno del giudice) scelga soltanto una o alcune delle plurime questioni controversie per analizzarle e deciderle separatamente dalle o a dispetto delle altre: ciò integrerebbe il vizio di omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c.; ove pur tuttavia una pronuncia sussista ma sia omessa solo la frazione motivazionale, il vizio di omessa motivazione; va da sé che detti vizi, se non corretti in appello, sono denunciabili in cassazione rispettivamente ex art. 360, comma 1, nn. 4 e 5) c.p.c. [ancorché, con riguardo all'omessa motivazione, i confini dell'attuale numero 5), che consentono quale motivo di ricorso il solo «omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti», descrivano una parabola di critica meno ampia rispetto al periodo anteriore alla novella di cui al d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. con modif. in legge 7 agosto 2012, n. 134, allorquando la cognizione della Corte era radicata più in generale dall'“omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio»).

La disciplina richiamata si riferisce solo alle sentenze, cioè ai provvedimenti qualificati come tali dalla legge (art. 131 c.p.c.), da tenere ben distinti da decreti ed ordinanze, che non hanno una valenza decisoria (i primi) o comunque una valenza decisoria piena (le seconde), in quanto essenzialmente preordinati alla progressione del processione (Ceniccola). In mancanza di decisorietà, la motivazione non solo non è necessaria, ma sarebbe ultronea, difettando il requisito della giurisdizionalità (ciò che dunque esclude alcuna violazione dell'art. 111, terzultimo comma, Cost., laddove prescrive che «tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati»).

Ad ogni buon conto, hanno forma diversa dalla sentenza, per espressa previsione normativa: i provvedimenti emessi dal presidente di sezione a seguito di esame preliminare del ricorso (art. 27); le decisioni collegiali riguardanti la sospensione dei processi riuniti dal presidente di sezione (art. 29); i provvedimenti relativi alla sospensione ed interruzione del processo (art. 41); quelli di estinzione del giudizio per rinunzia al ricorso, per inattività delle parti e per cessazione della materia del contendere, se emessi (non dal collegio, ma) dal presidente di sezione (artt. 44, 45 e 46); i provvedimenti cautelari (art. 47).

L'indicazione della composizione del collegio, delle parti e dei loro difensori se vi sono

L'indicazione della composizione del collegio comprende la sezione della commissione tributaria che ha emesso il provvedimento ed i giudici che hanno partecipato alla deliberazione.

La sentenza è nulla se la deliberazione è avvenuta ad opera di giudici diversi da quelli che hanno partecipato alla discussione per violazione del principio di immutabilità del giudice di cui all'articolo 276, comma 1, c.p.c. Del pari è nulla se è avvenuta con l'intervento di un numero di giudici diverso da quello previsto dalla legge ex art. 2, comma 5, d.lgs. n. 545/1992.

Invece, l'omessa o inesatta indicazione delle parti e dei difensori non comporta, in linea generale, la nullità della sentenza, atteso che per tale omissione o errore è possibile ricorrere al procedimento di correzione delle sentenze ex art. 287 c.p.c. (Cass. V, n. 12259/2010: «In tema di contenzioso tributario, l'omessa indicazione del nome del difensore del contribuente nell'epigrafe della sentenza della commissione tributaria non costituisce di per sé motivo di nullità della sentenza stessa in difetto di una reale violazione del principio del contraddittorio e del diritto di difesa»).

La concisa esposizione dello svolgimento del processo

Il n. 4, comma 2, dell'articolo in commento, che prevede “la succinta esposizione dei motivi in fatto e diritto di accoglimento o di rigetto”, è stato integrato dal D.lgs. n. 220/2023, decreto attuativo della riforma fiscale (l. n. 111/2023). La novella legislativa ha aggiunto alla previsione della succinta esposizione dei motivi in fatto e diritto anche quella dei motivi di accoglimento o di rigetto del ricorso, in relazione ai motivi di merito e alle questioni attinenti ai vizi di annullabilità e di nullità dell'atto.

Tale modifica intende assicurare l'effettività delle eccezioni del contribuente di carattere formale (vizi di “annullabilità” e di “nullità”) – dunque, l'effettività dei requisiti di validità degli atti (impositivi e istruttori) e dei diritti partecipativi del contribuente – mediante non solo la puntuale (seppur sintetica) enunciazione in sentenza delle statuizioni del giudice al riguardo, ma soprattutto l'indefettibilità di tale pronuncia, sanzionabile anche in sede di giudizio di legittimità.

L'orientamento dominante ritiene che la mancata esposizione in sentenza dello svolgimento del processo e dei fatti rilevanti della causa, in uno all'estrema concisione della motivazione in diritto, determina la nullità della sentenza allorché rende impossibile l'individuazione del thema decidendum e, rispetto ad esso, delle ragioni che stanno a fondamento del dispositivo; talché, ad esempio, non adempie al dovere di motivazione il giudice del gravame che si richiami per relationem alla sentenza impugnata, di cui condivida le argomentazioni, senza dar conto di aver valutato criticamente sia il provvedimento censurato sia le censure proposte (cfr., tra le tante, Cass. V, ord., n. 1864/2020; Cass. V, n. 8768/2017; Cass. V, n. 3547/2002). La scrupolosa osservanza dell'art. 36 in commento esige infatti che il giudice di merito si profonda nella ricostruzione della fattispecie concreta, dacché egli, quale “giudice del fatto”, è l'unico deputato (nei primi due gradi di giudizio) a fissarne i contorni, in relazione ai quali deve poi essere valutata, tuttavia ad un livello logico postergato, la disciplina applicabile, attraverso l'individuazione delle disposizioni primarie e sub-primarie che vengono in rilievo nel caso specifico; dalla sussunzione del fatto nella disciplina che esige di essere applicabile scaturisce la regola del caso concreto, da rassegnarsi in dispositivo. Per tali ragioni la S.C. si trova, purtroppo spesso, nelle condizioni di censurare il giudice di merito «che si limiti a richiamare principi giurisprudenziali asseritamene acquisiti, senza tuttavia formulare alcuna specifica valutazione sui fatti rilevanti di causa e, dunque, senza ricostruire la fattispecie concreta ai fini della sussunzione in quella astratta; in una situazione di tal tipo, infatti, il sillogismo che distingue il giudizio finisce per essere monco della premessa minore e, di conseguenza, privo della conclusione razionale» (Cass. V., n. 22242/2015; Cass. V, n. 11710/2011).

Allo stesso modo, è nulla, per violazione degli artt. 36 e 61, D.Lgs. n. 546 del 1992, nonché dell'art. 118 disp. att. c.p.c., la sentenza della commissione tributaria regionale completamente priva dell'illustrazione delle censure mosse dall'appellante alla decisione di primo grado e delle considerazioni che hanno indotto la commissione a disattenderle e che si sia limitata a motivare per relationem alla sentenza impugnata mediante la mera adesione ad essa, poiché, in tal modo, resta impossibile l'individuazione del thema decidendum e delle ragioni poste a fondamento della decisione e non può ritenersi che la condivisione della motivazione impugnata sia stata raggiunta attraverso l'esame e la valutazione dell'infondatezza dei motivi di gravame (Cass. V, ord., n. 21451/2021; Cass. V, ord., n. 13334/2021).

Segue. L'omessa indicazione delle conclusioni delle parti

Rispetto specificamente alle conclusioni delle parti, alla stregua di un indirizzo che può dirsi consolidato a proposito del processo civile ordinario, estensibile, per l'assenza di incompatibilità disciplinari, altresì a quello tributario, «la mancata o incompleta trascrizione nella sentenza delle conclusioni delle parti costituisce, di norma, una semplice irregolarità formale irrilevante ai fini della sua validità, occorrendo, perché siffatta omissione od incompletezza possa tradursi in vizio tale da determinare un effetto invalidante della sentenza stessa, che l'omissione abbia in concreto inciso sull'attività del giudice, nel senso di averne comportato o una omissione di pronuncia sulle domande o sulle eccezioni delle parti, oppure un difetto di motivazione in ordine a punti decisivi prospettati» (Cass. III, n. 4208/2007). Ciò equivale a dire che «l'omessa od erronea trascrizione delle conclusioni delle parti nella intestazione della sentenza importa la sua nullità solo quando le conclusioni formulate non siano state prese in esame, mancando in concreto una decisione sulle domande o eccezioni ritualmente proposte. Quando invece dalla motivazione della sentenza risulti che le conclusioni delle parti, nonostante l'omessa o erronea trascrizione, siano state esaminate e decise, il vizio si risolve in una semplice imperfezione formale, irrilevante ai fini della validità della sentenza» (Cass. III, n. 12864/2015).

Il tema dell'indicazione delle conclusioni delle parti si confronta, ovviamente, con quello dell'omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c.

Al riguardo, in tema di esenzioni da imposta, è stato deciso che «qualora sia fatto valere il diritto all'esenzione da un'imposta, non incorre nel vizio di omessa motivazione la sentenza che illustri le ragioni per cui ritiene l'erogazione di una somma di denaro soggetta ad una determinata aliquota impositiva, in quanto essa, con ciò, esclude necessariamente, anche se implicitamente, la tesi opposta ed inconciliabile dell'applicabilità dell'esenzione» (Cass. V, n. 868/2010).

Quanto al processo tributario d'appello, è stato ribadito, ancora qualche tempo fa, che «il vizio di omessa pronuncia da parte del giudice d'appello è configurabile allorché manchi completamente l'esame di una censura mossa al giudice di primo grado, mentre non ricorre nel caso in cui il giudice d'appello fondi la decisione su una costruzione logico-giuridica incompatibile con la domanda» (così Cass. V, n. 452/2015, la quale ha ritenuto che la conferma, da parte del giudice d'appello, della inammissibilità del ricorso, perché proposto oltre il termine di sessanta giorni dalla comunicazione dell'atto di diniego del rimborso, equivalesse, implicitamente, a ritenere l'atto stesso come legittimamente emesso).

La motivazione e la ratio dell'obbligo che la prevede

L'obbligo di motivazione è imposto dall'art. 111, terzultimo comma, Cost. per tutti i provvedimenti giurisdizionali – tali essendo, alla stregua di quanto già visto, quelli (e solo quelli) dotati di carica decisoria – e trova la sua fonte direttamente nella legge (Aliberti, 459; Aiudi, 1531; Ficari, 1509). Sicché, in definitiva, dal punto di vista del ricorso per cassazione, il vizio di motivazione può finanche essere considerato un vizio di violazione di legge.

Nell'attitudine del provvedimento alla decisione la motivazione ripete il suo fondamento. Sicché la ratio della corrispondente incombenza va ricercata essenzialmente nella necessità di rendere controllabile la decisione, quale atto conclusivo del processo. Sebbene si sia sostenuto che la motivazione assolva anche ad una funzione extra-processuale, come strumento attraverso il quale i soggetti investiti della potestà giurisdizionale rendono conto del proprio operato alla fonte popolare, al fine di consentire l'esercizio del diritto di critica (Iannaccone, 385), è in un'ottica endoprocessuale che la controllabilità della decisione viene primieramente in linea di conto, con riguardo alle parti e, per il tramite di queste, ai giudici del riesame in caso di impugnazione; in tal modo, il principio di legalità, sub specie della sottoposizione del giudice soltanto alla legge (art. 101 Cost.), non si arresta ad una dimensione meramente ordinamentale, bensì si cala in una realtà concreta, correlandosi al principio di effettività della difesa di parti in carne ed ossa (art. 24 Cost.) dinanzi ad un giudice pure in carne ed ossa che si esige terzo ed imparziale (art. 111 Cost.) (Mandrioli, 751).

Più precisamente, solo ripercorrendo il ragionamento del giudice e l'iter argomentativo dal medesimo seguito nel pervenire alla decisione è offerta alla parte soccombente la possibilità di riscontrare se siano corrette ed esaurienti le confutazioni delle tesi difensive dalla stessa prospettate, anche al fine di consentirle di autodeterminarsi in ordine alle opportunità di insistere ulteriormente nelle proprie richieste, criticando la decisione attraverso la motivazione.

Ma la motivazione assolve anche ad un'ulteriore, duplice funzione: di interpretazione del dispositivo e, in parallelo, di riscontro della correttezza della decisione enunciata dal dispositivo stesso.

Sotto il primo profilo, suole affermare che la portata precettiva della sentenza, ai fini dell'impugnazione, della formazione del giudicato e dell'esecuzione, va individuata tenendo conto non solo delle statuizioni formali contenute nel dispositivo ma anche delle enunciazioni della motivazione (Cass. IV, n. 7186/1991): ciò è vero, per quanto sia pur sempre il dispositivo a dettare la regula iuris destinata a dirimere il caso concreto, con la conseguenza che è vietato utilizzare la motivazione per far dire al dispositivo quel che esso non dice; al più, è ammissibile un'interpretazione del dispositivo che tenga conto della motivazione, la quale a sua volta si intrattiene sulle domande ed eccezioni delle parti, nei limiti che le parti stessi hanno rappresentato (ala luce di tali ferree precisazioni va pertanto letta l'opinione, spessa fraintesa, secondo cui «il contenuto decisorio di una sentenza è rappresentato, ai fini della estensione del relativo giudicato, non solo dal dispositivo, ma anche dalle affermazioni e dagli accertamenti contenuti nella motivazione», atteso che la massima non si ferma qui, proseguendo nel dire tali affermazioni ed accertamenti rilevano unicamente «nei limiti in cui essi costituiscano una parte della decisione, in quanto risolvano questioni facenti parte del thema decidendum e specificamente dibattute tra le parti, ovvero integrino una necessaria premessa od un presupposto logico indefettibile della pronuncia» (Cass. II, n. 8865/1994; ultimamente, sulla stessa linea, Cass. III, n. 2721/2007, che pone l'accento su un supporto interpretativo fornito dalla motivazione rispetto al dispositivo).

Quanto al secondo profilo, è la stessa comune esperienza di ogni buon giudice a confermare che è proprio la redazione della motivazione ad offrire l'occasione propizia di verificare l'esattezza della decisione e di procedere eventualmente, previa la necessaria riconvocazione del collegio, alle integrazioni o modifiche del dispositivo (Ceniccola, op. loc. cit.).

Segue. Processo tributario e processo civile ordinario a confronto sulla motivazione

Il processo tributario si differenzia da quello civile ordinario per la natura impugnatoria dell'azione del contribuente, vincolato a confrontarsi con l'atto, o con la mancanza di un atto, in funzione della sua prospettata illegittimità attraverso i motivi di doglianza. Le differenze strutturali che ne conseguono riverberano i propri effetti anche in punto di motivazione della sentenza, ancorché un duplice punto basilare in comune si lasci sin da subito apprezzare: per un verso, dovendo esistere una motivazione, deve esistere una sentenza, quale atto conclusivo del giudizio, a fronte della cui introduzione non sì dà una pronuncia di non liquet [Cass. V, n. 27686/2013, intenta a spiegare che «in sede di impugnazione di atto impositivo, la circostanza che il medesimo credito azionato dall'Amministrazione finanziaria sia oggetto di accertamento in separato giudizio fra le stesse parti implica, nel caso in cui non sia possibile la riunione dei procedimenti, la sospensione del processo in attesa della definizione di quel giudizio, ma non consente la mancata pronuncia sulla domanda giudiziale (quale, nella specie, la dichiarazione di non luogo a procedere)]; per altro verso, sul versante della motivazione di per sé considerata, «nel processo civile ed in quello tributario, la sentenza la cui motivazione si limiti a riprodurre il contenuto di un atto di parte (o di altri atti processuali o provvedimenti giudiziari), senza niente aggiungervi, non è nulla qualora le ragioni della decisione siano, in ogni caso, attribuibili all'organo giudicante e risultino in modo chiaro, univoco ed esaustivo, atteso che, in base alle disposizioni costituzionali e processuali, tale tecnica di redazione non può ritenersi, di per sé, sintomatica di un difetto d'imparzialità del giudice, al quale non è imposta l'originalità né dei contenuti né delle modalità espositive, tanto più che la validità degli atti processuali si pone su un piano diverso rispetto alla valutazione professionale o disciplinare del magistrato» (Cass. S.U., n. 642/2015; Cass. V , ord., n. 33711/2021; Cass. VI – 5, ord., n. 22507/2019).

Fatte le superiori puntualizzazioni, quanto alle differenze tra processo tributario e processo civile ordinario, vale che, sebbene la motivazione costituisca, in generale, un momento di libertà per il giudice, che, in quanto sottoposto soltanto alla legge e non a diversi condizionamenti, tra cui principalmente, nella materia tributaria, peculiari “sensibilità” per esigenze di bilancio, la libertà del giudice tributario nell'esaminare i presupposti di fatti e nel far progredire il ragionamento sino alla decisione soffre un limite tutto proprio, che si situa a metà strada tra l'apprezzamento degli stessi presupposti di fatto e la loro sussunzione nelle norme applicabili. Invero, «il giudice tributario deve limitarsi a verificare la legittimità dell'operato dell'Ufficio tributario senza effettuare una diversa qualificazione della fattispecie sottoposta al suo esame, pena il vizio di ultrapetizione, essendo precluso al giudicante il potere amministrativo tributario sostanziale spettante all'Amministrazione, mediante l'accoglimento della domanda basato su ragioni diverse da quelle addotte dal contribuente sulla scorta della pretesa azionata dall'Amministrazione» (così Cass. V, n. 5929/2010, che, nel riprendere Cass. V, n. 2531/2002, ha cassato la sentenza impugnata, la quale, in tema di TARSU, aveva annullato atti impositivi basati sulla negata ruralità degli immobili e sull'infedele dichiarazione della superficie dell'abitazione, fondando il giudizio sulla presunta mancata produzione di rifiuti solidi).

La natura impugnatoria del processo tributario impone difficili questioni di coordinamento di atti correlati già dal punto di vista del diritto sostanziale eppure fatti oggetto di azioni distinte. Insegna la S.C. che, «nella ipotesi in cui il giudizio avente a oggetto il reddito di partecipazione di un socio sia stato separatamente instaurato e trattato rispetto al giudizio attinente l'accertamento del reddito della società, l'indipendenza dei due processi impone che la sentenza pronunciata nel giudizio concernente il reddito del socio, pur se legata da un nesso di consequenzialità necessaria a quella inerente al ricorso proposto dalla società, contenga tutti gli elementi essenziali in ordine allo svolgimento del processo e ai motivi in fatto e in diritto della decisione, senza che il giudice possa limitarsi a un mero rinvio alla motivazione della sentenza relativa alla società (tra le innumerevoli, Cass. V, n. 13990/2003, la quale ha affermato la nullità della sentenza di una commissione tributaria regionale che, decidendo sull'appello del socio avverso la pronuncia riguardante il reddito di partecipazione, si era limitata a rinviare alle argomentazioni da esso organo giudicante svolte nella sentenza emessa in pari data sull'appello proposto dalla società contro la decisione relativa all'accertamento del maggior reddito societario).

Se azioni distinte pongono siffatte questioni di coordinamento, che si scaricano sulle motivazione delle relative sentenze, le quali, in forza del principio di autonomia, devono decidere con completezza il caso cui si riferiscono, l'eventuale riunione determina nondimeno la pendenza di un solo giudizio, preordinato ad esitare in una sola sentenza, per quanto chiamata a decidere su tutte le domande sotto pena del vizio di omessa pronuncia rilevante agli effetti dell'art. 112 c.p.c.: invero, «a seguito della riunione dei procedimenti, si forma un unico procedimento che deve dar luogo ad un unico provvedimento, a meno che il giudice non disponga di nuovo la separazione dei procedimenti stessi. Dalla legislazione in materia (artt. 35 e 36 d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, artt. 132 e 133 c.p.c., art. 119 disp. att. c.p.c.) emerge con chiarezza che il giudice redige un'unica sentenza e che con il deposito di essa si spoglia della potestas decidendi, per cui una eventuale seconda sentenza è affetta da nullità» (Cass. V, n. 21241/2005).

Segue. Motivazione c.d. apparente

La motivazione è un requisito indefettibile della sentenza e deve esistere, primordialmente, nella sua fisicità grafica. Nondimeno l'ipotesi di una mancanza grafica della motivazione è soltanto teorica, giacché nella totalità dei casi il rispetto delle forme è ossequiato con motivazioni tuttavia apparenti, perché standardizzate, astratte, non riferite al thema decidendum e alle specifiche tesi vertite in causa. La motivazione apparente è una “non-motivazione”: pertanto il modulo entro il quale deve essere ascritta è quello della motivazione assente perché inesistente.

Invero, il giudice anche tributario è libero di valutare le risultanze probatorie e di scegliere tra esse quelle che appaiono più persuasive, in quanto renda visibile, illuminandoli con la motivazione, fondamento, passaggi ed esito del sillogismo. La motivazione è ad un tempo fondamento e parametro del corretto esercizio del potere giurisdizionale (Grimaldi, 31).

Fermo restando che il vizio di insufficiente motivazione ricorre allorché dal compendio giustificativo che accompagna la decisione sia evincibile un'obiettiva carenza nell'iter logico-argomentativo che ha condotto il giudice a dirimere la vicenda al suo esame in base alla regola concretamene applicata, qualora il giudice di merito ometta di indicare, nella sentenza, gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero indichi tali elementi senza un'approfondita disamina logica e giuridica, rendendo in tal modo impossibile ogni controllo sull'esattezza e sulla logicità del suo ragionamento, si configura una motivazione tipicamente apparente (Cass. V, ord., n. 17727/2021;Cass. V, ord., n. 2626/2020 Cass. V, n. 24409/2016), e che impedisce di verificare se il giudice abbia effettivamente giudicato iuxta alligata et probata (Cass. VI – 5, ord., n. 22507/2019).

Quanto alla sentenza di appello, deve ritenersi meramente apparente la motivazione della sentenza di secondo grado che manchi di qualsiasi indicazione relativa allo svolgimento del processo di primo grado, alla materia del contendere ed ai motivi di gravame e che, a fronte dei plurimi motivi di appello sollevati, con argomentazioni meramente tautologiche apoditticamente abbia affermato che l'impugnativa doveva giudicarsi infondata (Cass. V, Ord., n. 25811/2023).

Non incorre, invece, in motivazione meramente apparente, la motivazione della sentenza della CTR che non si risolva in un mero rinvio alla decisione di primo grado ma che faccia espresso riferimento agli elementi probatori posti a fondamento della decisione (Cass. VI – 5, ord., n. 27622/2019).

Il dispositivo, la sottoscrizione e la data

II dispositivo è la sintesi delle decisioni adottate sulle richieste delle parti ed assume indefettibile rilevanza ai fini dell'individuazione del contenuto precettivo della sentenza e, quindi, in definitiva, della sua esecuzione.

La precettività del dispositivo va interpretata tenendo conto, non solo delle statuizioni formali in esso enunciate, ma anche delle giustificazioni illustrate nella motivazione, che sorreggono lo stesso e ne ispirano portata e significato, senza, tuttavia, come già visto, che possa farsi assurgere la motivazione ad unico pilastro decisorio della sentenza. Integra dunque il vizio di omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c. la mancata statuizione espressa, nel dispositivo, in ordine ad un una domanda o ad un capo della domanda, non potendo la decisione, cui fa seguito di necessità il giudicato, desumersi soltanto da affermazioni contenute nella motivazione (Campus, 2016, 11, 872; Campus, 2003, 744).

Se si registra un insanabile contrasto tra motivazione e dispositivo, non è consentito individuare il dictum del giudice attraverso una valutazione di prevalenza di una delle contrastanti affermazioni contenute nella sentenza; né è data la possibilità del ricorso all'interpretazione complessiva della decisione, che presuppone una sostanziale coerenza delle diverse proposizioni; neppure può utilizzarsi il procedimento di correzione degli errori materiali, di cui agli artt. 287 e 288 c.p.c., giacché non si versa in ipotesi di mero errore, viepiù soltanto materiale; al contrario, si configura la nullità del provvedimento per la sua inidoneità a consentire l'individuazione del concreto comando giudiziale (Cass. V, n. 26077/2015, conf., più di recente, Cass. VI, ord., n. 16014/2017).

Anche la sottoscrizione è un requisito essenziale della sentenza (Graziano, 2548).

In giurisprudenza, la regola, autorevolmente espressa, è quella per cui la mancanza della sottoscrizione da parte del presidente o dell'estensore è causa di nullità assoluta ed insanabile, senza che sia rilevante la possibilità di distinguere fra omissione intenzionale ed omissione involontaria, provocata da errore o dimenticanza [Cass. S.U., n. 12021/1990, cit., a mente della cui motivazione «le sezioni semplici di questa Corte, dopo qualche iniziale oscillazione, sono fermamente orientate nel senso che l'omessa sottoscrizione della sentenza da parte del giudice o, nel caso di sentenza emessa da un giudice collegiale, da parte di uno dei magistrati tenuti a sottoscriverla ai sensi dell'art. 132 c.p.c. nel testo modificato dell'art. 6 della legge 3 agosto 1977 n. 532, determina, nel caso in cui l'impedimento del magistrato non risulti menzionato ai sensi del terzo comma dell'art. 132, la nullità insanabile della sentenza medesima, restando escluse l'applicabilità del procedimento di correzione degli errori materiali e la possibilità di distinguere tra omissione intenzionale e omissione involontaria, provocata da errore o da dimenticanza. Tale nullità è in ogni caso deducibile, ai sensi del secondo comma dell'art. 161 c.p.c., fuori dei limiti e delle regole dei mezzi d'impugnazione, sì che non è coperta da un giudicato formale, e va rilevata anche d'ufficio, comportando che, anche in esito al giudizio di cassazione, la causa debba essere rimessa allo stesso giudice che ha pronunciato la sentenza carente di sottoscrizione, ai sensi degli artt. 354, 1° comma, 360 n. 4 e 383, ult. comma, c.p.c. ...”].

Nondimeno detta regola è stata interpretata nel senso che la sentenza emessa da una commissione tributaria (nella specie regionale) munita soltanto della sottoscrizione del giudice estensore e non anche del presidente del collegio è affetta da nullità sanabile ai sensi dell'art. 161, comma 1, c.p.c., trattandosi di sottoscrizione insufficiente e non mancante, la cui sola ricorrenza comporta la non riconducibilità dell'atto al giudice, mentre una diversa interpretazione, che accomuni le due ipotesi, con applicazione dell'art. 161, comma 2, c.p.c., deve ritenersi lesiva dei principi del giusto processo e della sua ragionevole durata (Cass. V, n. 9440/2017).

Più in generale, configura ipotesi di omessa sottoscrizione anche la firma apposta esclusivamente su ciascun foglio della sentenza ma non in calce alla stessa, poiché ciò preclude la possibilità di individuare il magistrato autore del provvedimento nella sua globalità (Cass. sez. lav., n. 4564/1995); dopo il deposito in cancelleria, non è consentito procedere ad integrazioni o correzioni della sottoscrizione da parte degli effettivi giudicanti, ma è consentito provvedere all'integrale rinnovazione della sentenza da parte dello stesso collegio o dello stesso giudice monocratico che aveva riservato la decisione, la cui potestà di decidere non è consumata da un atto inesistente, mediante nuova deliberazione e redazione (Cass. I, n. 9661/1993); l'illeggibilità della sottoscrizione non produce effetti invalidanti, ove il nome e cognome del giudice siano ricavabili da altre parti del documento, come tipicamente dall'epigrafe (Cass. I, n. 7634/1994).

Quanto alla data, la posizione della S.C. è improntata ad evitare formalismi, che genererebbero conseguenze processuali privi di giustificazione. Sicché, quantunque la data di deliberazione sia prescritta nello stesso comma 3 dell'art. 36 in commento che prevede la sottoscrizione del presidente e dell'estensore, l'indicazione di detta data non è ritenuta essenziale. Si insegna invero che «la data di deliberazione della sentenza — a differenza della data di pubblicazione (che ne segna il momento di acquisto della rilevanza giuridica) — non è un elemento essenziale dell'atto, sicché tanto la sua mancanza, quanto la sua erronea indicazione, non integrano alcuna ipotesi di nullità, ma costituiscono fattispecie di mero errore materiale, emendabile exartt. 287 e 288 c.p.c. (Cass. V, ord., n. 21806/2017; conf., nel processo civile ordinario, Cass. III, n. 8942/2013, la quale oltretutto specifica che il principio di diritto è valido anche nell'“ipotesi di diversità tra la prima di tali date, riportata in calce alla sentenza, e quella dell'udienza collegiale all'uopo fissata, tanto non essendo, di per sé solo, sufficiente a far ritenere, qualora quest'ultima sia successiva, che detto provvedimento sia stato deliberato prima di tale udienza, cioè a far ritenere superata la presunzione di rituale decisione della causa da parte del collegio»).

Bibliografia

Aiudi, La motivazione della sentenza, in Boll. trib. inf. 2015, 21, 1531; Aliberti, La motivazione della sentenza nel processo tributario, in Boll. trib. inf. 2011, 6, 459; Azzoni, La redazione della sentenza tributaria - Modalità, vincoli e accorgimenti nella lezione-testimonianza di un giudice, in Boll. trib. inf. 2007, 12, 1018; Campus, Limiti della correzione del contrasto tra motivazione e dispositivo nelle sentenze, in Riv. giur. trib., 2016, 11, 872; Campus, É nulla la sentenza il cui dispositivo e in contrasto con la motivazione, ibidem, 2003, 8, 744; Ceniccola, Il controllo della motivazione della sentenza tributaria. Esecuzione ed ottemperanza, in giustizia-tributaria.it; Ficari, La motivazione della sentenza del giudice tributario, in Boll. trib. inf., 2010, 20, 1509; Graziano, L'omessa sottoscrizione comporta la nullità assoluta e insanabile della sentenza, in Corr. trib. 2004, 32, 2548; Grimaldi, Sentenza - Motivazione - Contenuto - Sintesi - Limiti - Carenza di motivazione - Motivazione apparente, in Consul. 2012, 40, 31; Iannaccone, Brevi osservazioni sui vizi di motivazione della sentenza tributaria secondo la giurisprudenza di legittimità, in Boll. trib. inf. 2009, 5, 385; Mandrioli, Le «sezioni unite» limitano l'accesso al ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 Cost., in Corr. giur. 1992, 751.

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