Decreto legislativo - 31/12/1992 - n. 546 art. 51 - Termini d'impugnazione 1 2 .

Francesca Picardi

Termini d'impugnazione12.

1. Se la legge non dispone diversamente il termine per impugnare la sentenza della corte di giustizia tributaria di primo e secondo grado è di sessanta giorni, decorrente dalla sua notificazione ad istanza di parte, salvo quanto disposto dall'art. 38, comma 3.

2. Nel caso di revocazione per i motivi di cui ai numeri 1, 2, 3 e 6 dell'art. 395 del codice di procedura civile il termine di sessanta giorni decorre dal giorno in cui è stato scoperto il dolo o sono state dichiarate false le prove o è stato recuperato il documento o è passata in giudicato la sentenza che accerta il dolo del giudice 3.

 

[1] Per l'abrogazione del presente articolo, a decorrere dal 1° gennaio 2026, vedi l'articolo 130, comma 1, lettera d), del D.Lgs. 14 novembre 2024, n. 175. Vedi, anche, l'articolo 130, comma 3, del D.Lgs. 175/2024 medesimo.

[2] Per le nuove disposizioni legislative in materia di giustizia tributaria, di cui al presente articolo, a decorrere dal 1° gennaio 2026, vedi l'articolo 105 del D.Lgs. 14 novembre 2024, n. 175.

[3] Così rettificato con Comunicato 27 marzo 1993 (in Gazz. Uff. 27 marzo, n. 72)

Inquadramento.

L'impugnazione delle sentenze delle commissioni tributarie deve essere effettuata entro il termine breve di sessanta giorni decorrente dalla notificazione o, in caso di omessa notificazione, entro il termine lungo di cui all'art. 327, comma 1, c.p.c., decorrente dalla pubblicazione. Tale termine lungo è stato ridotto da un anno a sei mesi dall'art. 46, comma 17, della l. n. 69 del 2009, applicabile ai giudizi instaurati dopo la sua entrata in vigore in data 4 luglio 2009 (Di Fiore, 6776, il quale evidenzia che la riduzione del termine lungo comporta che non troverà applicazione la doppia sospensione feriale e che per le sentenze depositate nell'arco temporale dal 16 settembre al 31 gennaio non troverà affatto applicazione la sospensione feriale dei termini). La disposizione in esame deve, essere coordinata con l'art. 38, commi 2 e 3, del d.lgs. n. 546 del 1992, che prevede, da un lato, l'onere delle parti di provvedere direttamente alla notificazione della sentenza alle altre parti e, dall'altro lato, in caso di mancata notifica, l'applicabilità dell'art. 327, comma 1, c.p.c., facendosi eccezione solo nei confronti della parte non costituita, la quale dimostri di non avere avuto conoscenza del processo per nullità della notificazione del ricorso e della comunicazione dell'avviso di fissazione d'udienza. Il termine breve è assorbito da quello lungo se scade prima di quest'ultimo; altrimenti, la scadenza del termine lungo comporta il passaggio in giudicato della sentenza, a prescindere dal mancato integrale decorso del termine breve: in altre parole, la notificazione della sentenza non consente di prorogare il termine lungo di impugnazione (Turchi, 2016, 738).

L'art. 325, comma 1, c.p.c. prevede per l'appello e la revocazione cd. ordinaria il più breve termine di trenta giorni, ma non opera nel processo tributario stante la puntuale disciplina dei termini di impugnazione delle sentenze tributarie dettata dall'art. 51 del d.lgs. n. 546 del 1992 (Pistolesi, 2712). In definitiva, a differenza di quanto accade nel processo civile, dunque, dove sono previsti due diversi termini brevi di impugnazione (trenta giorni per appello, revocazione, regolamento di competenza e opposizione di terzo; sessanta giorni per ricorso per cassazione, revocazione e opposizione di terzo avverso le sentenze della Corte di cassazione che abbiano deciso la causa nel merito), il processo tributario prevede, con una evidente semplificazione, il solo termine breve di sessanta giorni (Turchi, 739). Il termine per la revocazione straordinaria è sempre breve e decorre dall'evento che legittima l'impugnazione.

I termini di impugnazione, da calcolarsi in base alle regole di cui all'art. 155 c.p.c., sono perentori, ma soggetti alla sospensione feriale, che, in virtù dell'art. 16, comma 1, del d.l. n. 132 del 2014 (conv., con modif., dalla l. n. 162 del 2014), intervenuto sull'art. 1 della l. n. 742 del 1969, è stata ridotta da 46 giorni a 31 giorni (dal 1° al 31 agosto di ciascun anno), a partire dal periodo feriale dell'anno solare 2015. In base al combinato disposto dell'art. 83, comma 2, del d.l. n. 18 del 2020, convertito, con modificazioni, in l. n. 27 del 2020, e dell'art. 36, comma 1, del d.l. n. 23 del 2020, i termini di impugnazione sono stati altresì sospesi dal 9 marzo 2020 all'11 maggio 2020 per contrastare l'emergenza epidemiologica da COVID-19. In proposito occorre sottolineare che tutta la disciplina del citato art. 83 si applica, in quanto compatibile, ai procedimenti relativi alle commissioni tributarie, come precisato dal comma 21, e che in ordine alla sospensione dei termini di impugnazioni non sussiste alcuna incompatibilità. A tale conclusione è già pervenuta Cass. VI-V, n. 30397/2021 con riferimento al diverso strumento di impugnazione del ricorso per cassazione, in relazione alle controversie rientranti nella definizione agevolata di cui al d.l. n. 119 del 2018, conv. in l. n. 136 del 2018, precisando che, ove per effetto della sospensione legale prevista dall'art. 6, comma 11, del decreto cit., il termine per impugnare scada nel periodo di sospensione dei termini processuali per l'emergenza epidemiologica da Covid-19, previsto dal d.l. n. 18 del 2020, conv. in l. 27 del 2020 e dal d.l. n. 23 del 2020, conv. in l. n. 40 del 2020, esso resta prorogato in conseguenza della successione nel tempo degli effetti di tali sospensioni legali. Sez. V, n. 33069/2022 ha, invece, chiarito che, in tema di definizione agevolata delle liti fiscali, la sospensione del termine per impugnare, prevista dall'art. 6, comma 11, del d.l. n. 119 del 2018, conv. dalla l. n. 136 del 2018, opera automaticamente, a prescindere dal concreto intento della parte privata di avvalersene, e si cumula con quella dei termini processuali per l'emergenza epidemiologica da Covid-19, ma non con la sospensione feriale, che resta interamente assorbita dalla sospensione prevista nell'ambito dei procedimenti di definizione agevolata, in ragione della natura eccezionale di quest'ultima.  

Il termine breve si computa a giorni in base al criterio ex numeratione dierum, che dà rilievo al numero dei giorni effettivamente intercorrenti fra la data di notifica della sentenza e quella di proposizione del gravame, ed, in virtù del principio dies a quo non computatur stabilito dall'art. 2963 c.c., non si considera il giorno in cui la parte riceve la notifica della sentenza. Il termine lungo si computa a mesi, secondo il criterio ex nominatione dierum, sicché la scadenza coincide con lo spirare del giorno corrispondente a quello di decorrenza del termine, considerando non l'effettivo numero dei giorni intercorrenti, ma solo il numero di mesi calcolati con riferimento al calendario comune

Il decorso dei termini rende inammissibile l'impugnazione, ed è rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del processo e, quindi, anche dal presidente di sezione della  commissione tributaria (ora Corte di giustizia) regionale in sede di esame preliminare dell'appello (Pistolesi, 679).

Originariamente per le modalità di notificazione il citato art. 38 rinviava all'art. 137 c.p.c. ss.; con l'art. 3, comma 1, lett. a), del d.l. 25 marzo 2010, n. 40, conv. in l. 22 maggio 2010, n. 73, il rinvio al c.p.c. è stato sostituito con quello all'art. 16 del d.lgs. n. 546 del 1992.

La previsione dei termini de quibus è necessaria per circoscrivere nel tempo l'esercizio del potere di impugnazione e garantire stabilità all'accertamento contenuto nella sentenza, assicurando — in relazione ai mezzi di impugnazione ordinaria — la formazione della regiudicata.

Va ricordato che l'art. 21, comma 1, della l. 13 maggio 1999, n. 133 ha disposto che l'art. 38, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992 si interpreta nel senso che le sentenze pronunciate dalle commissioni tributarie regionali e dalle commissioni tributarie di secondo grado delle province autonome di Trento e di Bolzano, ai fini del decorso del termine di cui all'art. 325, comma 2, del c.p.c., vanno notificate all'Amministrazione finanziaria presso l'ufficio dell'Avvocatura dello Stato competente ai sensi dell'articolo 11, comma 2, del testo unico approvato con r.d. n. 1611/1933, e successive modificazioni, ma che la Corte cost. n. 525/2000, ha dichiarato l'illegittimità di tale disposizione per contrasto con l'art. 3 Cost. nella parte in cui estende anche al periodo anteriore alla sua entrata in vigore l'efficacia dell'interpretazione autentica, da essa dettata, dell'art. 38, comma 2, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, atteso che l'efficacia retroattiva della legge di interpretazione autentica è soggetta al limite del rispetto del principio dell'affidamento dei consociati nella certezza dell'ordinamento giuridico, principio violato in considerazione della non prevedibilità della soluzione interpretativa adottata rispetto a quelle affermatesi nella prassi.

Occorre, infine, segnalare che l'art. 12, comma 1, lett. i, del d.l. 8 agosto 1996, n. 437, conv. in l. 24 ottobre 1996, n. 556, ha eliminato dall'art. 72 del d.lgs. n. 546 del 1992, contenente la disciplina transitoria per le controversie pendenti davanti alle commissioni tributarie di primo e di secondo grado, l'inciso che sanciva, per i termini d'impugnazione delle decisioni delle commissioni tributarie di primo e di secondo grado, l'inapplicabilità dell'art. 327, comma 1, c.p.c.

Come affermato da Cass. V, n. 12642/2017, l'art. 38 del d.lgs. n. 546 del 1992 non ha istituito un regime speciale per il processo tributario in ordine all'applicazione del termine lungo di impugnazione, impermeabile alle disposizioni transitorie di cui all'art. 58 della l. n. 69 del 2009: tale principio si desume dall'art. 62 del medesimo decreto, che fa espresso riferimento, per la disciplina del giudizio di cassazione in materia tributaria, alle norme del codice di procedura civile, così attribuendo prevalenza alle norme processuali ordinarie ed escludendo l'esistenza di un giudizio «tributario di legittimità».

In tema di contenzioso tributario, l'art. 21 della l. 13 maggio 1999, n. 133, laddove dispone — con norma che, attesa la sua natura interpretativa, è applicabile retroattivamente — che l'art. 38, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992, si interpreta nel senso che le sentenze pronunciate dalle commissioni tributarie regionali e dalle commissioni tributarie di secondo grado delle province autonome di Trento e di Bolzano, ai fini del decorso del c.d. termine breve per il ricorso in cassazione, di cui all'art. 325, comma 2, c.p.c., vanno notificate all'Amministrazione finanziaria presso l'ufficio dell'Avvocatura dello Stato competente ai sensi dell'art. 11, comma 2, del t.u. approvato con il r.d. 30 ottobre 1933, n. 1611, e successive modificazioni, esclude che la notifica della sentenza, qualora sia fatta direttamente all'ufficio dell'Amministrazione finanziaria costituito in giudizio, sia idonea a far decorrere il suddetto termine e, pertanto, l'impugnazione resta soggetta al decorso del c.d termine lungo annuale (Cass. I, n. 1429/2000, Cass. I, n. 1689/2000 e Cass. I, n. 14674/1999).

Cass. V, n. 19249/2005, Cass. V, n. 22762/2004, Cass. V, n. 11803/2002 hanno precisato che, in virtù dell'art. 12, comma 1, lettera i), del d.l. 8 agosto 1996, n. 437, conv. in legge 24 ottobre 1996, n. 556, che ha sostituito le disposizioni transitorie contenute nell'art. 72, comma 2, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, sopprimendo così il riferimento all'inapplicabilità dell'art. 327, comma 1, c.p.c., qualora alla data di insediamento delle nuove commissioni tributarie (1° aprile 1996) pendano termini per impugnare decisioni delle commissioni tributarie di primo grado, dette impugnazioni vanno proposte, con decorrenza da tale data, secondo le modalità e i termini previsti dal d.lgs. n. 546 del 1992 e pertanto, ai sensi degli artt. 49 e 38, comma 3, anche entro il termine lungo stabilito dall'art. 327 del codice di rito (ad esempio, Cass. V, n. 11803/2002 ha ritenuto tempestivo l'appello, notificato l'11 aprile 1997, il cui termine, originariamente decorrente dal 4 marzo 1996, data della comunicazione del dispositivo della decisione, aveva ricominciato a decorrere, secondo la disciplina del d.lgs. n. 546 del 1992, dal 1° aprile 1996). Cass. V, n. 6191/2007 ha aggiunto che, con riguardo al regime transitorio dettato in relazione al nuovo processo tributario di cui al d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, l'art. 12, comma 1-ter, del d.l. 8 agosto 1996, n. 437 (convertito, con modificazioni, nella legge 24 ottobre 1996, n. 556) prevede che, se in epoca anteriore al 1° aprile 1996, data di insediamento delle commissioni tributarie provinciali e regionali, sia stata adottata, ai sensi dell'art. 20 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, la decisione dalla commissione tributaria di primo o di secondo grado, il deposito della decisione medesima debba essere effettuato entro il 30 maggio 1996, termine fissato per consentire alle «vecchie» commissioni la stesura e la pubblicazione delle decisioni per le quali si fosse chiusa la fase deliberativa. In tali casi, l'omissione della comunicazione da parte della segreteria, ovvero della notificazione a cura della controparte, del dispositivo della sentenza non costituisce impedimento all'applicabilità del termine lungo di cui all'art. 327 c.p.c., per effetto del richiamo alle norme del codice di rito contenuto nell'art. 49 del d.lgs. n. 546 del 1992. Ne consegue che la sentenza della commissione tributaria di primo grado depositata (nella specie) il 16 maggio 1996 è passata in giudicato dopo un anno e quarantasei giorni da tale data.

Nelle controversie tributarie, il termine per proporre ricorso, che è «a decorrenza successiva» e va, pertanto, computato escludendo il giorno iniziale e conteggiando quello finale, è soggetto all'art. 155, comma 5, c.p.c., sicché, ove il  dies ad quem  cada di sabato, è prorogato di diritto al primo giorno seguente non festivo, essendo irrilevante l'apertura degli uffici postali o la disponibilità ad accettare gli atti in scadenza l'ultimo giorno (Cass. VI-V, n. 11269/2016). Nello stesso senso si sono pronunciate Cass. VI-V, n. 23375/2016, secondo cui la disciplina del computo dei termini di cui all'art. 155, commi 4 e 5, c.p.c., che proroga di diritto, al primo giorno seguente non festivo, il termine che scade in un giorno festivo o di sabato, si applica, per il suo carattere generale, a tutti i termini, anche perentori, contemplati dal codice di rito, compreso il termine breve per la proposizione del ricorso per cassazione, e Cass. V, n. 6728/2012, secondo cui il termine per proporre appello deve essere qualificato come termine a decorrenza successiva, con la conseguenza che, ove il dies ad quem del medesimo vada a scadere nella giornata di sabato, esso è prorogato al primo giorno seguente non festivo, ai sensi dell'art. 155, comma 4, c.p.c., nella nuova formulazione introdotta dall'art. 2, lett. f), legge 28 dicembre 2005, n. 263, applicabile ai procedimenti instaurati successivamente alla data del 1° marzo 2005.

In tema d'impugnazioni delle decisioni tributarie di appello, al termine lungo annuale per la proposizione del ricorso per cassazione, di cui agli artt. 62 del d.lgs. n. 546 del 1992 e 327 c.p.c., quest'ultimo nella versione vigente ratione temporis, va aggiunto il periodo di sospensione feriale che, a decorrere dall'1 gennaio 2015, è stato ridotto di quindici giorni dall'art. 16, comma 1, del d.l. n. 132 del 2014, conv., con modif., dalla l. n. 162 del 2014, che l'ha fissato dal 1° al 31 agosto — in applicazione di tale principio, la Cass. VI, n. 24867/2016 ha dichiarato inammissibile un ricorso notificato oltre il 12 ottobre 2015 avverso sentenza depositata in data 10 settembre 2014. Al riguardo Cass. VI, n. 11758/2017 ha precisato che, ai fini della determinazione della sospensione dei termini processuali nel periodo feriale, nella specie, per il computo del termine di impugnazione cd. lungo, ex art. 327, comma 1, c.p.c. la modifica di cui all'art. 16, comma 1, del d.l. n. 132 del 2014 (conv., con modif., dalla l. n. 162 del 2014), che, sostituendo l'art. 1 della l. n. 742 del 1969, ha ridotto il periodo di sospensione da 46 giorni a 30 giorni (dal 1° al 31 agosto di ciascun anno), trova applicazione, in mancanza di una disciplina transitoria, a partire dalla sospensione dei termini relativa al periodo feriale dell'anno solare 2015, non rilevando, a tal fine, la data dell'impugnazione o quella di pubblicazione della sentenza. In passato, tra le tante, può rinviarsi a Cass. V, n. 4310/2015, secondo cui, ai fini del riscontro della tempestività dell'appello, al termine di un anno previsto dall'art. 327 c.p.c. (nel testo applicabile ratione temporis), richiamato in relazione al processo tributario, dall'art. 38, comma 3, del d.lgs. n. 546 del 1992 che va calcolato prescindendo dal numero dei giorni dai quali è composto ogni singolo mese o anno, devono aggiungersi quarantasei giorni, ai sensi del combinato disposto degli artt. 155, comma 1, c.p.c. e 1, comma 1, della l. 7 ottobre 1969, n. 742, non dovendosi tenere conto dei giorni tra il primo agosto ed il quindici settembre di ogni anno, per effetto della sospensione dei termini processuali durante il periodo feriale.

Anche per il rispetto del termine d'impugnazione vale il generale principio, secondo cui, in caso di notifica di atti processuali non andata a buon fine per ragioni non imputabili al notificante, questi, appreso dell'esito negativo, per conservare gli effetti collegati alla richiesta originaria deve riattivare il processo notificatorio con immediatezza e svolgere con tempestività gli atti necessari al suo completamento, ossia senza superare il limite di tempo pari alla metà dei termini indicati dall'art. 325 c.p.c., salvo circostanze eccezionali di cui sia data prova rigorosa (Cass.  S.U., n. 14594/2016; v. anche Cass. V, n. 5974/2017, secondo cui, in tema di giudizio di legittimità, il ricorrente, appreso l'esito negativo della notifica del ricorso per causa a lui non imputabile, ha l'onere e non la mera facoltà, in ossequio al principio di ragionevole durata del processo, di richiedere la ripresa del procedimento notificatorio in un tempo pari alla metà dei termini di cui all'art. 325 c.p.c., senza attendere un provvedimento giudiziale che autorizzi la rinnovazione, salvo circostanze eccezionali di cui va data prova rigorosa, sicché, nel caso di mancata riattivazione, il ricorso va dichiarato inammissibile per omessa notifica).

In tema di ricorso per cassazione, la Corte di cassazione, qualora nel ricorso non sia allegata la notificazione della sentenza impugnata, deve ritenere che il ricorrente abbia esercitato il diritto d'impugnazione nel cd. termine lungo, procedendo all'accertamento della sua osservanza, mentre, se, per eccezione del controricorrente o per quanto emerge dalla produzione delle parti o del fascicolo d'ufficio, risulti la notificazione della sentenza, deve accertare se il ricorrente abbia ottemperato, nel termine prescritto dall'art. 369 c.p.c., all'onere del deposito della copia dell'atto impugnato con la relata di notifica, in mancanza della quale va dichiarata l'improcedibilità del ricorso, il cui riscontro precede quello dell'eventuale inammissibilità (da ultimo, Cass. III, n. 20883/2015 e Cass. IV, n. 3564/2016).

Ai sensi dell'art. 16, comma 6, secondo periodo, della l. n. 289 del 2002, nel computo del termine lungo per proporre impugnazione avverso le sentenze relative a controversie tributarie suscettibili di essere definite ai sensi dell'articolo citato, il periodo di sospensione feriale dell'anno 2003 (1 agosto — 15 settembre) ricadente nella più ampia fase di sospensione stabilita in via eccezionale dalla norma in esame (1° gennaio 2003-1° giugno 2004), resta in essa assorbito e non deve, quindi, ulteriormente computarsi — in applicazione del principio, Cass. V, n. 5924/2010 ha dichiarato inammissibile il ricorso per cassazione, notificato il 30 aprile 2005, avverso una sentenza della commissione tributaria regionale pubblicata il 16 luglio 2002 e non notificata, considerando spirato il termine il 17 marzo 2005, in quanto dovevano computarsi, oltre al periodo di sospensione ex legge n. 289 del 2002, solo quelli di sospensione feriale del 2002 e del 2004 e non anche quello del 2003. Occorre, inoltre, tenere presente che, in tema di condono fiscale, ai sensi dell'art. 39, comma 12, del d.l. n. 98 del 2011, conv. in l. n. 111 del 2011, la sospensione dei termini d'impugnazione è automaticamente prevista fino al 30 giugno 2012 «per le liti fiscali che possono essere definite», per cui il presupposto applicativo dell'istituto non è condizionato dalla presentazione di un'istanza di definizione, ma solo dall'astratta definibilità della lite pendente (Cass. VI, n. 11531/2016).

Dies a quo del termine breve

Nella disciplina previgente, in base agli artt. 22 e 25, comma 1, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 (ai sensi dei quali l'appello ed il ricorso alla commissione centrale potevano esseri proposti nel termine di sessanta giorni decorrenti dalla notificazione o dalla comunicazione, prevista dall'art. 38, comma 3, del medesimo d.P.R. del dispositivo), il termine breve per l'impugnazione decorreva anche dalla comunicazione del dispositivo della decisione ad opera della segreteria della commissione di primo o di secondo grado. Nonostante tale adempimento continui ad essere prescritto dall'art. 37 del d.lgs. n. 546 del 1992, al fine di rendere noto alle parti costituite l'avvenuto deposito della sentenza, il dies a quo del termine breve d'impugnazione è oggi costituito esclusivamente dalla notifica della sentenza, per cui non sussiste più tale discrasia, fonte di disorientamento, tra giudizio civile e tributario (Burana, 714).

Le modalità di notifica della sentenza sono stabilite dall'art. 38 del d.lgs. n. 546 del 1992, al cui commento si rinvia, sottolineando che, dopo la modifica apportata dall'art. 3, comma 10, del d.l. 23 marzo 2010, n. 40, conv. in l. 22 maggio 2010, n. 73, oggi non si fa più riferimento al c.p.c., ma al d.lgs. n. 546 del 1992, per cui, analogamente a quanto avviene per la notifica del ricorso introduttivo, la sentenza può essere notificata non solo tramite ufficiale giudiziario, ma anche mediante consegna diretta o spedizione postale (Cancedda, 1991). La novella non ha, però, portata retroattiva: ne deriva che per le notifiche eseguite prima della sua entrata in vigore resta fermo il principio secondo cui la notifica della sentenza eseguita dalla parte a mezzo posta non è idonea a far decorrere il termine breve per la sua impugnazione (Turchi, 739).

Della Bartola, 1527, ha sostenuto che non sussistono ostacoli circa la possibilità, ai fini del decorso del termine breve d'impugnazione, di notificare via p.e.c. le sentenze pronunciate dalle commissioni tributarie provinciali e regionali, attesa, da un lato, l'autosufficienza dell'art. 3-bis della l. 21 gennaio 1994, n. 53 rispetto alla normativa regolamentare concernente i vari «processi telematici» in via di implementazione nel nostro ordinamento e, dall'altro lato, l'introduzione della normativa regolamentare concernente «la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici» con il d.m. 23 dicembre 2013, n. 163. Secondo l'autore, si dovrebbe procedere al successivo deposito presso la segreteria della commissione tributaria della copia della sentenza notificata e dei relativi documenti attestanti l'avvenuta notificazione, ai sensi dell'art. 9, comma 1-bis, della l. n. 53 del 1994, che ha ovviato al caso in cui il processo nel corso del quale la prova della notifica debba essere depositata non sia «telematico» bensì ancora «analogico», confermando l'autonomia di disciplina tra le notifiche a mezzo p.e.c. e i singoli processi telematici e la possibilità di procedere alle prime anche nei casi in cui i secondi non siano «a regime». La tesi non ha, tuttavia, trovato riscontro in giurisprudenza, anche in considerazione del d.m. 4 agosto 2015, contenente le specifiche tecniche per l'uso di strumenti informatici e telematici nel processo tributario in attuazione delle disposizioni contenute nell'articolo 39, comma 8, del d.l. 6 luglio 2011, n. 98, conv., con modificazioni, in l. 15 luglio 2011, n.111, il cui ambito applicativo è limitato dall'art. 16 agli atti processuali relativi ai ricorsi notificati a partire dal primo giorno del mese successivo al decorso del termine di novanta giorni dalla data di pubblicazione del presente decreto, da depositare presso le Commissioni tributarie provinciali e regionali dell'Umbria e della Toscana. Il citato art. 3 bis della l. n. 53 del 1994 subordina, del resto, la notificazione con modalità telematica al rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici (Cancedda, 3776).

Si ritiene che la notifica della sentenza abbia efficacia bilaterale e che il termine breve decorra anche nei confronti della parte notificante legittimata, in quanto parzialmente soccombente in giudizio, alla proposizione dell'impugnazione (Tesauro, 231). A tale conclusione si perviene in considerazione del tenore letterale dell'art. 326, comma 1, c.p.c., che non distingue tra il notificante ed il destinatario della notifica, della volontà della parte che effettua la notifica di concludere il processo favorendo il passaggio in giudicato della sentenza attraverso termini ex lege più brevi per la sua impugnazione e della presunzione di conoscenza che deve avere della sentenza chi provvede alla sua notifica (Russo, 1069).

In via preliminare occorre ricordare che la notificazione alla parte della sentenza di primo grado, dotata di formula esecutiva ma priva di attestazione di autenticità proveniente dal cancelliere, è ugualmente idonea a far decorrere il termine breve per l'impugnazione, qualora non si contesti che la medesima sia del tutto conforme all'originale, comprensiva di tutte le pagine e leggibile in ogni sua parte (Cass. sez. lav., n. 12996/2004). Parimenti la mancanza del sigillo della cancelleria sull'attestazione di conformità della copia all'originale della sentenza notificata non incide sulla validità della notificazione e non impedisce il decorso del termine breve di impugnazione, trattandosi di mera irregolarità (Cass. I, n. 4553/2012). Al contrario, la notificazione di copia incompleta della sentenza, siccome priva di una o più pagine, è nulla e preclude il decorso del termine cd. breve di impugnazione ove il destinatario deduca e dimostri che detta incompletezza abbia compromesso il suo diritto di difesa, impedendogli di conoscere compiutamente il contenuto dell'atto; a tal fine, peraltro, non occorre la proposizione di querela di falso avverso l'attestazione di conformità all'originale, apposta dal cancelliere del giudice a quo sulla copia della sentenza rilasciata alla parte per uso notifica, giacché tale attestazione non concerne anche la verifica della corrispondenza della copia autentica con quella che, successivamente, viene materialmente notificata alla controparte (Cass. III, n. 2321/2017).

Relativamente al processo tributario, la giurisprudenza di legittimità ha individuato una serie di ipotesi in cui la notifica della sentenza, per le erronee modalità con cui è effettuata, è inidonea a far decorrere il termine breve di impugnazione, con conseguente applicazione di quello lungo. In particolare:

La notifica della sentenza d'appello effettuata presso il domicilio indicato come variato nella memoria di costituzione di appello, senza che, tuttavia, si sia provveduto ad adempiere a quanto prescritto dall'art. 17, comma 1, del d.lgs. n. 546 del 1992, ai sensi del quale il cambiamento del domicilio eletto, della residenza o della sede sono efficaci dal decimo giorno successivo a quello in cui sia stata notificata la denuncia di variazione alla segreteria della commissione ed alle controparti costituite, è nulla ed inidonea a far decorrere il termine breve d'impugnazione, con conseguente ritualità della proposizione del ricorso per cassazione nel termine lungo (Cass. V, n. 24920/2016,);

La notifica della sentenza effettuata a mezzo PEC dal difensore del contribuente, munito dell'autorizzazione del Consiglio dell'Ordine di appartenenza, all'Amministrazione finanziaria, in data 5 dicembre 2014, è inesistente e insuscettibile di sanatoria, per cui non è idonea a far decorrere il termine breve per l'impugnazione, atteso che, ai sensi dell'art. 16-bis, comma 3, del d.lgs. n. 546 del 1992, che richiama il d.m. 23 dicembre 2013, n. 163, le notifiche tramite PEC degli atti del processo tributario sono previste in via sperimentale solo a decorrere dal 1° dicembre 2015 ed esclusivamente dinanzi alle Commissioni tributarie della Toscana e dell'Umbria, come precisato dall'art. 16 del d.m. 4 agosto 2015 (Cass. VI, n. 17941/2016);

La notifica della sentenza di appello presso la sede centrale o presso l'ufficio periferico dell'Agenzia delle entrate è inidonea a far decorrere il termine breve d'impugnazione di cui all'art. 325 c.p.c., ove la parte pubblica abbia partecipato al giudizio con il patrocinio dell'Avvocatura dello Stato, dovendo, quella notifica, essere effettuata, in tale ipotesi, presso l'Avvocatura proprio in ragione del configurabile rapporto di rappresentanza e difesa (Cass. V, n. 23985/2016).

In passato si è ritenuto inidonea la notifica della sentenza di appello presso la sede centrale o presso l'ufficio periferico dell'Agenzia delle entrate a far decorrere il termine breve d'impugnazione di cui all'art. 325 c.p.c., ove la parte pubblica abbia partecipato al giudizio con il patrocinio dell'Avvocatura dello Stato, dovendo, quella notifica, essere effettuata, in tale ipotesi, presso l'Avvocatura proprio in ragione del configurabile rapporto di rappresentanza e difesa (Cass. V, n. 23985/2016). Tuttavia, recentemente tale orientamento sembra superato da Cass. V, n. 26416/2023, secondo cui, nel processo tributario, la notificazione della sentenza di primo grado, nei confronti dell'Agenzia delle Entrate Riscossione, effettuata dall'ufficiale giudiziario presso la sede a mani dell'impiegato addetto, è idonea ai fini della decorrenza del termine breve per appellare, di cui all'art. 51, comma 1, del d.lgs. n. 546 del 1992, pur in presenza di elezione di domicilio presso il procuratore del libero foro, in quanto l'art. 17 del medesimo decreto fa comunque salva, anche in caso di elezione di domicilio, la validità della consegna a mani proprie. In questa recente decisione si è evidenziato che il rinvio contenuto nell'art. 38 del d.lgs. n. 546 del 1992 implica necessariamente un rinvio anche al precedente art. 17, relativo ai luoghi della notificazione, che è a sua volta espressamente richiamato dall'art. 16, sicché, in assenza di alcuna indicazione normativa di segno contrario, tale rinvio deve ritenersi comprensivo della clausola di salvezza della consegna a mani proprie.

Si è, invece, precisato che, ai fini della decorrenza del termine breve d'impugnazione, la notifica della sentenza può essere eseguita nei confronti della parte pubblica individuata dall'art. 10 del d.lgs. n. 546 del 1992 e, quindi, presso la sede centrale dell'Agenzia o presso l'ufficio periferico che ha emanato (o non ha emanato) l'atto, a prescindere dalla scelta meramente organizzativa circa la modalità di costituzione nel precedente grado di giudizio (che può avvenire, ai sensi dell'art. 11 del d.lgs. n. 546 del 1992, mediante il Direttore generale, mediante l'ufficio periferico che ha emanato l'atto o mediante l'ufficio del contenzioso della Direzione regionale delle entrate), atteso che l'alternativa, prevista dall'art. 17, comma 1, del d.lgs. n. 546 del 1992, tra la notifica a mani proprie o presso il domicilio eletto opera in via generale nei confronti di tutte le parti — in applicazione di tale principio, Cass. n. 18936/2015 ha fatto decorrere il termine breve di cui all'art. 325 c.p.c. dalla notifica della sentenza effettuata presso l'ufficio periferico che aveva emanato l'atto opposto, pur avendo partecipato al giudizio di appello la Direzione regionale delle entrate (v.da ultimo, Cass. V, n. 1954/2020, In tema di processo tributario, a seguito dell'istituzione dell'Agenzia delle entrate, per i giudizi di cassazione, nei quali la legittimazione era riconosciuta esclusivamente al Ministero delle finanze ai sensi dell'art. 11 del r.d. n. 1611 del 1933, la nuova realtà ordinamentale, caratterizzata dal conferimento della capacità di stare in giudizio agli uffici periferici dell'Agenzia, in via concorrente e alternativa rispetto al direttore, consente di ritenere che la notifica della sentenza di merito, ai fini della decorrenza del termine breve per l'impugnazione, e quella del ricorso per cassazione possano essere effettuate, alternativamente, presso la sede centrale dell'Agenzia o presso i suoi uffici periferici, in tal senso orientando l'interpretazione sia il principio di effettività della tutela giurisdizionale, che impone di ridurre al massimo le ipotesi d'inammissibilità, sia il carattere impugnatorio del processo tributario, che attribuisce la qualità di parte necessaria all'organo che ha emesso l'atto o il provvedimento impugnato).

A tale orientamento si ricollega la recente pronuncia delle Sezioni Unite, secondo cui In tema di notifica diretta all'ente territoriale, la notifica della sentenza di primo grado, effettuata dal contribuente direttamente all'ente locale tramite il servizio postale, ai sensi dell'art. 16, comma 3, del d.lgs. n. 546 del 1992, non presso la sede principale indicata negli atti difensivi, ma presso altro ufficio comunale diversamente ubicato, che abbia emesso (o non abbia adottato) l'atto oggetto del contenzioso, è valida e, quindi, idonea a far decorrere il termine di sessanta giorni per impugnare, ai sensi del combinato disposto degli artt. 38, comma 2, e 51, comma 2, del medesimo d.lgs. n. 546 del 1992 (Cass. S. U, n. 21884 del 2022).

Parimenti, in tema di contenzioso tributario, ai fini del decorso del termine «breve» per impugnare le sentenze, fissato dall'art. 51 del d.lgs. n. 546 del 1992, assume rilievo la consegna del provvedimento direttamente all'ufficio finanziario o all'ente locale, ovvero la spedizione dello stesso mediante il servizio postale, in plico raccomandato, senza busta e con avviso di ricevimento, atteso che, a seguito della modifica dell'art. 38 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, per effetto dell'art. 3, comma primo, lett. a, del d.l. 25 marzo 2010, n. 40, che ha sostituito il rinvio agli artt. 137 ss. c.p.c. con il rinvio all'art. 16 d.lgs. n. 546 del 1992, è possibile notificare con tali modalità le sentenze dei giudici tributari (da ultimo, in questo senso, Cass. V, n. 16554/2018, secondo cui, nel processo tributario, è idonea a far decorrere il termine cd. breve per impugnare, ai sensi dell'art. 38, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992, come novellato dall'art. 3 del d.l. n. 40 del 2010, conv. in l. n. 73 del 2010, la consegna della sentenza direttamente alla parte pubblica individuata dall'art. 10 del detto decreto ovvero la spedizione di essa, a cura della parte o del suo procuratore, effettuata mediante il servizio postale, nei luoghi di cui all'art. 17 del d.lgs. n. 546 del 1992 ed in plico raccomandato, senza busta e con avviso di ricevimento).

Né l'applicazione di tali disposizioni alle decisioni delle Commissioni tributarie regionali, in forza del generale richiamo fatto per il processo tributario di secondo grado alle norme dettate per il primo grado, trova ostacolo nella disciplina del ricorso per cassazione, interamente regolato dal codice di procedura civile, poiché la notifica delle sentenze di appello resta fuori del giudizio di legittimità, mirando solo alla più celere formazione del giudicato formale (Cass. V, n. 5871/2012). In senso analogo, secondo Cass. V, n. 3566/2017, e Cass. VI, n. 3740/2014, la notificazione della sentenza eseguita dalla parte direttamente a mezzo del servizio postale, anziché per il tramite dell'ufficiale giudiziario, è inidonea, nella vigenza dell'art. 38 del d.lgs. n. 546 del 1992, nel testo anteriore alla modifica apportata dall'art. 3, comma 1, lett. a), del d.l. n. 40 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 73 del 2010, a farne decorrere il termine breve per l'impugnazione. Difatti, ai fini del decorso del termine «breve» per impugnare le sentenze, fissato dall'art. 51 del d.lgs. n. 546 del 1992, la modifica dell'art. 38 dello stesso d.lgs. — per effetto dell'art. 3, comma 1, lett. a), del d.l. n. 40 del 2010, conv., con modif., dalla l. n. 73 del 2010 — opera solo a partire dall'entrata in vigore della disposizione novellatrice, sicchè, per l'epoca precedente, la notifica della sentenza deve effettuarsi ai sensi degli artt. 137 e ss. c.p.c. e non già ex art. 16 del d.lgs. n. 546 del 1992 (Cass. VI, n. 9108/2017).

Anche la notifica della sentenza ai sensi della l. n. 53 del 1994 è idonea a far decorrere il termine cd. breve per impugnare di cui all'art. 51 del d.lgs. n. 546 del 1992, in quanto affidata a formalità di maggior rigore rispetto all'ordinaria notifica diretta a mezzo del servizio postale tramite raccomandata con avviso di ricevimento ed avente pertanto effetti equipollenti rispetto alla stessa (Cass.VI-5, n. 24909/2018).

Va segnalata l'incertezza dell'orientamento giurisprudenziale circa l'idoneità della notifica della sentenza a mani proprie della parte anzichè al procuratore costituito ex art. 330 c.p.c. a far decorrere il termine breve d'impugnazione. In senso favorevole risulta orientata Cass. V, n. 5504/2007, secondo cui, in tema di contenzioso tributario, ai sensi dell'art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992, le disposizioni processuali tributarie prevalgono, per il principio di specialità, sulle norme processuali civili, sicché la notificazione della sentenza della commissione tributaria provinciale è soggetta alla disciplina dettata dagli artt. 16, comma 2, e 17 del citato d.lgs n. 546 del 1992, disposizione quest'ultima che al comma 1 innanzitutto fa salva la consegna in mani proprie, a cui si può sempre ricorrere: ne consegue che la notificazione della sentenza della commissione tributaria provinciale a mani proprie della parte — nella specie il rappresentante legale della società ricorrente — quand'anche nel giudizio a quo si sia costituita a mezzo di un difensore, è valida ed idonea a fare decorrere il termine breve di impugnazione previsto dall'art. 51, comma 1, del citato decreto legislativo (v. anche Cass. V, n. 7059/2014, secondo cui la notificazione della sentenza della commissione tributaria provinciale effettuata a mani proprie della parte, sebbene la stessa fosse costituita a mezzo di un difensore nel giudizio a quo, è valida ed idonea a far decorrere il termine breve di impugnazione previsto dall'art. 51, comma 1, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, in quanto l'art. 17, comma 1, del medesimo d.lgs. fa comunque salva la consegna in mani proprie, a cui, dunque, resta sempre possibile ricorrere attesa la prevalenza delle disposizioni processuali tributarie su quelle processuali civili ex art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992, operando il richiamo di cui all'art. 49 del d.lgs. n. 546 del 1992 cit. solo ad alcune del codice di rito in tema di impugnazioni in generale — in applicazione dell'anzidetto principio, però, ha escluso l'idoneità a far decorrere il termine breve per l'impugnazione alla notifica di una sentenza eseguita, nei confronti di una società, mediante consegna non al suo legale rappresentante della società, ma al portiere presso la sede della stessa). In senso contrario si è, però, espressa Cass. V, n. 25376/2008, ad avviso della quale, nel contenzioso tributario, secondo la previsione degli artt. 285 e 170 c.p.c. (applicabili al processo tributario per carenza di specifica diversa disposizione nel d.lgs. n. 546/1992), la notificazione della sentenza effettuata alla controparte personalmente, anziché al procuratore costituito, non è idonea a far decorrere il termine breve per l'impugnazione. Il problema dovrebbe, però ritenersi superato in virtù della modifica dell'art. 38 del d.lgs. n. 546 del 1992 e dell'attuale rinvio per le modalità di notifica delle sentenze delle commissioni tributarie non più al c.p.c., ma allo stesso d.lgs. n. 546 del 1992.

Tale incertezza sembra, tuttavia, superata, alla luce delle modifiche legislative, con le più recenti pronunce, secondo cui, nel processo tributario, la notifica della sentenza effettuata a mani della parte soccombente, ai sensi dell'art 38 del d.lgs. n. 546 del 1992, nella formulazione successiva alle modifiche apportate dall'art. 3 del d.l. n. 40 del 2010, conv., con modif., dalla l. n. 73 del 2000, è idonea a far decorrere il termine cd. "breve" per impugnare, in quanto è stata riconosciuta alle parti private la facoltà di notificare la sentenza mediante consegna diretta ex art. 16, comma 3, dello stesso d.lgs. n. 546 del 1992 (da ultimo, Cass. V, n. 4616/2018).

In questo senso anche la recente Cass. V, n. 26416/2023, secondo cui la notificazione della sentenza di primo grado alla controparte ai fini della decorrenza del termine breve per appellare, di cui all'art. 51, comma 1, del d.lgs. n. 546 del 1992, deve essere effettuata, anche in presenza di procuratore costituito, ai sensi degli artt. 16 e 17 del citato decreto, richiamati dall'art. 38 dello stesso.

Occorre ricordare che la notificazione di un'impugnazione equivale (sia per la parte notificante, che per la parte destinataria) alla notificazione della sentenza stessa ai fini della decorrenza del termine breve per proporre altro tipo di impugnazione, la cui tempestività va accertata non soltanto con riguardo al termine di un anno dal deposito della pronuncia impugnata, ma anche con riferimento a quello di cui all'art. 325 c.p.c., salva l'ipotesi di sospensione del termine di impugnazione, ove prevista dalla legge (Cass. V, n. 17309/2017). Il principio opera anche in caso di notificazione di un'impugnazione inammissibile (cfr., ad esempio, Cass. II, n. 12898/2010, secondo cui nel caso in cui una sentenza sia stata impugnata con due successivi ricorsi per cassazione, il primo dei quali non sia stato depositato o lo sia stato tardivamente dal ricorrente, è ammissibile la proposizione del secondo, anche qualora contenga nuovi e diversi motivi di censura, purché la notificazione dello stesso abbia avuto luogo nel rispetto del termine breve decorrente dalla notificazione del primo, e l'improcedibilità di quest'ultimo non sia stata ancora dichiarata, dal momento che la mera notificazione del primo ricorso non comporta la consumazione del potere d'impugnazione).

Nei processi con pluralità di parti, quando si verta in ipotesi di litisconsorzio necessario, ovvero (come nella specie) processuale (c.d. «litisconsorzio unitario o quasi necessario»), è applicabile la regola, propria delle cause inscindibili, dell'unitarietà  del termine per proporre impugnazione, con la conseguenza che la notifica della sentenza eseguita ad istanza di una sola delle parti segna, nei confronti della stessa e della parte destinataria della notificazione, l'inizio del termine breve per la proposizione dell'impugnazione contro tutte le altre parti, sicchè, ove a causa della scadenza del termine, sia intervenuta la decadenza dall'impugnazione, questa esplica i suoi effetti non solo nei confronti della parte che abbia assunto l'iniziativa di notificare la sentenza, ma anche nei confronti di tutte le altre parti (Cass. III, n. 19869/2011).

Il mutamento, con atto amministrativo di organizzazione, della ripartizione di competenza territoriale degli uffici di un'Agenzia fiscale è un atto interno privo di rilevanza giuridica esterna processuale, in ragione del principio della buona fede oggettiva del contribuente, regolativo del processo tributario. Pertanto, nel caso in cui detto mutamento sia intervenuto in pendenza del termine per l'impugnazione di una sentenza, la notificazione dell'atto di appello eseguita nei confronti dell'ufficio tributario, parte nel giudizio di primo grado, divenuto incompetente, non è inefficace, e non consente all'ufficio divenuto competente, che non abbia partecipato a quel giudizio, di proporre impugnazione una volta scaduto il termine breve previsto dall'art. 325 c.p.c.., poiché altrimenti, in contrasto con il principio della tutela del legittimo affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica, si darebbe vita ad un processo ingiusto, che, in quanto conseguente ad un atto unilaterale di una delle parti, sarebbe frutto di un abuso del diritto di difesa per esercizio dell'azione in forme eccedenti, o devianti, rispetto alla tutela dell'interesse sostanziale, che segna il limite, oltre che la ragione, dell'attribuzione al suo titolare della potestas agendi (Cass. V, n. 20085/2009).

L'art. 292 c.p.c., secondo il quale, in caso di contumacia, le sentenze sono notificate alla parte personalmente, si applica anche al rito tributario in forza del generale rinvio operato dall'art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992 alle norme processuali civili in quanto compatibili, attesa l'assenza nel processo tributario, da un lato, di alcuna disciplina della notifica delle sentenze alla parte contumace e, dall'altro, di principi tali da escludere l'applicazione dell'istituto della contumacia, la cui funzione, nell'ordinamento processuale, è quella di ridurre il pregiudizio che possa derivare ad una parte in ragione della mancata partecipazione attiva al processo; né osta a tale soluzione il disposto di cui all'art. 17, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992 cit., che si limita a sancire l'efficacia ultrattiva dell'elezione di domicilio avvenuta nel primo grado di giudizio, per cui, in caso di contumacia limitata al giudizio di secondo grado, la sentenza d'appello può, nel rito tributario, essere utilmente notificata anche presso il domicilio eletto. Ne deriva che la valida notificazione della sentenza al contumace, pur intervenuta dopo la scadenza del termine lungo dalla pubblicazione, è idonea a far decorrere il termine breve per l'impugnazione ove sussista la nullità degli atti di cui all'art. 327, comma 2, c.p.c., e la conseguente mancata conoscenza del processo medesimo (Cass.VI-V, n. 28352/2013).

In tema di contenzioso tributario, colui che agisce in revocazione ha l'onere di indicare, a pena di inammissibilità della domanda, le prove rilevanti ai fini dell'accertamento del dies a quo di decorrenza dei termini perentori relativi alle diverse ipotesi previste dall'art. 395 c.p.c. (espressamente richiamato nel comma 1 dell'art. 64 del d.lgs. n. 546/1992), nonchè di richiedere l'espletamento delle predette prove sulle circostanze indicate nell'atto introduttivo, al fine di far risultare in concreto la tempestività dell'impugnazione nei termini perentori di cui all'art. 51 d.lgs. n. 546 del 1992 cit., articolo quest'ultimo corrispondente all'art. 326 c.p.c. (Cass. V, n. 11451/2011). In tema di contenzioso tributario e con particolare riferimento alla revocazione fondata sulla sopravvenuta conoscenza della dichiarazione della falsità della prova sulla base della quale è stata pronunciata la sentenza revocanda, la parte istante non può limitarsi ad affermare di essere venuta a conoscenza del fatto dedotto a motivo di revocazione per una determinata circostanza e in un determinato momento, ma ha l'onere di dedurre anche la prova del fatto che la relativa circostanza escluda, secondo un ragionamento realistico, sul piano fattuale e logico, l'eventualità di una sua conoscenza anteriore, tanto più quando il fatto rivelatore sia anticipatamente ipotizzabile e prevedibile e la presa di conoscenza di esso dipenda da una minima attivazione dell'interessato. In particolare, ai fini dell'individuazione del termine di decorrenza per la proposizione del ricorso per revocazione, la prova della data dell'avvenuta dichiarazione o del riconoscimento della falsità della prova concerne la conoscenza effettiva e non la conoscenza «legale» di tali fatti e deve essere tale da escludere che, secondo criteri di ragionevolezza, considerata la peculiarità del caso concreto, l'interessato fosse venuto ancor prima a conoscenza della dedotta declaratoria di falsità (Cass. V, n. 11451/2011). In tema di contenzioso tributario, il precetto — sancito, a pena di inammissibilità, nel secondo comma dell'art 398 c.p.c. (applicabile al processo tributario in virtù del rinvio di carattere generale contenuto nell'art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992) — di indicare, fin dall'istanza di revocazione, le prove del giorno della scoperta o dell'accertamento del dolo o della falsità, o del recupero dei documenti, impone che la data in questione debba costituire un preciso thema probandum e risultare ab initio, perchè, dandosi ingresso al giudizio rescindente, è necessario conoscere, ai fini della decorrenza del termine perentorio, se almeno, secondo l'assunto di chi agisce, questo non appaia scaduto. Non vale ad escludere la sanzione di inammissibilità, la integrazione di tali indicazioni negli atti difensivi successivi a quello introduttivo, nè la eventuale indagine giudiziaria compiuta dal giudice, intesa a precisare il giorno della scoperta, che verrebbe a risolversi in una non consentita relevatio ab onere probandi della parte (Cass. V, n. 11451/2011). In tema di contenzioso tributario, il ricorso per revocazione per l'ipotesi prevista dal n. 2 dell'art. 395 c.p.c. (utilizzo di prove false) deve essere presentato entro 60 giorni dal momento della scoperta della falsità della prova e non dal momento della pronuncia dichiarativa della falsità, in quanto il disposto del comma 2 dell'art. 51 del d.lgs. n. 546 del 1992 (nella parte in cui prevede che «il termine di sessanta giorni decorre dal giorno in cui... sono state dichiarate false le prove») deve essere letto ed interpretato sia sistematicamente, alla luce di quanto previsto dall'omologa disposizione del codice di procedura civile (l'art. 326, comma 1, secondo cui «il termine decorre dal giorno in cui è stata scoperta .. la falsità»), sia in modo da evitare sospetti di incostituzionalità della disposizione (per possibile contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost.), laddove, ancorando il termine dell'impugnazione alla data della scoperta della pronuncia della falsità della prova, finirebbe per limitare la tutela giurisdizionale della parte rimasta ignara dell'intervenuto accertamento della falsità medesima (Cass. V, n. 11451/2011).

Dies a quo del termine lungo

L'operatività del termine lungo di impugnazione era discusso nel previgente sistema, prevedendo il d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 che il termine lungo di impugnazione decorresse dalla comunicazione del dispositivo delle decisioni delle commissioni tributarie. La dottrina riteneva che il sistema, non ingenerando il rischio di una pendenza indefinita del processo e non presentando alcuna lacuna, precludesse l'applicabilità dell'art. 327 c.p.c.; di contrario avviso, si era, invece, mostrata la giurisprudenza, attesa l'esigenza di assicurare, a prescindere da ogni adempimento, la formazione del giudicato, che garantisce la certezza e stabilità dei rapporti giuridici sui quali le pronunce incidono. L'art. 38, comma 3, del d.lgs. n. 546 del 1992, nel richiamare espressamente l'art. 327 c.p.c., ne sancisce per la prima volta in modo espresso l'operatività nel processo tributario. Il termine lungo di impugnazione, oggi ridotto da un anno a sei mesi, inizia, dunque, a decorrere dal deposito della sentenza presso la segreteria della commissione tributaria, attestato dalla firma e dalla data apposti sulla sentenza dal segretario ex art. 37 del d.lgs. n. 546 del 1992, di contenuto analogo all'art. 133 c.p.c., essendo irrilevante oggi la comunicazione del dispositivo alle parti costituite (Turchi, 744).

Come già ricordato, il termine lungo d'impugnazione è stato ridotto da un anno a sei mesi dall'art. 46, comma 17, della l. n. 69 del 2009, applicabile ai giudizi instaurati dopo la sua entrata in vigore in data 4 luglio 2009 (Di Fiore, 6776, il quale evidenzia che la riduzione del termine lungo comporta che non troverà applicazione la doppia sospensione feriale e che per le sentenze depositate nell'arco temporale dal 16 settembre al 31 gennaio non troverà affatto applicazione la sospensione feriale dei termini —a sua volta ridotta da 46 a 31 giorni a decorrere dal periodo feriale del 2015 in virtù dell'art. 16, comma 1, del d.l. n. 132/2014, conv., con modif., dalla l. n. 162/2014, intervenuto sull'art. 1 della l. n. 742/1969).

La Corte costituzionale, con la sentenza n. 297 del 25 luglio 2008, ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 327 c.p.c., in riferimento all'art. 24 Cost., nella parte in cui prevede la decorrenza del termine lungo di impugnazione dalla pubblicazione della sentenza anziché dalla sua comunicazione a cura della cancelleria. Secondo il giudice rimettente, la norma non garantirebbe il godimento per intero del termine e, pertanto, non assicurerebbe alle parti il diritto di difesa costituzionalmente tutelato. Ad avviso della Consulta, tuttavia, da un lato, l'art. 327 c.p.c. «opera un non irragionevole bilanciamento tra l'indispensabile esigenza di tutela della certezza delle situazioni giuridiche e il diritto di difesa», e, dall'altro, l'ampiezza del termine di impugnazione «consente al soccombente di informarsi tempestivamente della decisione che lo riguarda, facendo uso della diligenza dovuta in rebus suis»: in definitiva, la decorrenza fissata con riferimento alla pubblicazione della sentenza «è un corollario del principio secondo cui, dopo un certo lasso di tempo, la cosa giudicata si forma indipendentemente dalla notificazione della sentenza ad istanza di parte: sicché lo spostamento del dies a qua dalla data di pubblicazione a quella di comunicazione non solo sarebbe contraddittorio con la logica del processo, ma restringerebbe irrazionalmente il campo di applicazione del termine lungo di impugnazione alle parti costituite in giudizio, alle quali soltanto la sentenza è comunicata». Resta, però, da verificare se il principio affermato con riferimento al previgente termine annuale di impugnazione valga anche con riferimento all'attuale termine semestrale.

Più recentemente, con la sentenza n. 3 del 22 gennaio 2015, é stata dichiarata infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 133, commi 1 e 2, e 327, comma 1, c.p.c., nel testo anteriore alla modifica apportata dall'art. 46, comma 17, della legge n. 69 del 2009, impugnati, in riferimento agli artt. 3, comma 2, e 24, commi 1 e 2, Cost., in quanto, nell'interpretazione fornita dalla Corte di cassazione, farebbero decorrere il termine lungo per l'impugnazione dalla data del deposito della sentenza, ove diversa e anteriore rispetto alla data di effettiva pubblicazione. Si è, difatti, ritenuto che alla luce di un'interpretazione costituzionalmente orientata del censurato diritto vivente, per costituire dies a quo del termine per l'impugnazione, la data apposta in calce alla sentenza dal cancelliere deve essere qualificata dalla contestuale adozione delle misure volte a garantirne la conoscibilità e solo da questo concorso di elementi consegue tale effetto, che, in presenza di una seconda data, deve ritenersi di regola realizzato esclusivamente in corrispondenza di quest'ultima, per cui il ritardato adempimento, attestato dalla diversa data di pubblicazione, rende inoperante la dichiarazione dell'intervenuto deposito, pur se formalmente rispondente alla prescrizione normativa, potendo soccorrere, qualora ciò accada, l'istituto della rimessione in termini per causa non imputabile, quale doveroso rimedio ad uno stato di fatto contra legem che, in quanto addebitabile alla sola amministrazione giudiziaria, non può in alcun modo incidere sul fondamentale diritto all'impugnazione.

Il deposito e la pubblicazione della sentenza coincidono e si realizzano nel momento in cui il deposito ufficiale in cancelleria determina l'inserimento della sentenza nell'elenco cronologico, con attribuzione del numero identificativo e conseguente conoscibilità per gli interessati, dovendosi identificare tale momento con quello di venuta ad esistenza della sentenza a tutti gli effetti, inclusa la decorrenza del termine lungo per la sua impugnazione. Qualora, peraltro, tali momenti risultino impropriamente scissi mediante apposizione in calce alla sentenza di due diverse date, ai fini della verifica della tempestività dell'impugnazione, il giudice deve accertare — attraverso istruttoria documentale, ovvero ricorrendo a presunzioni semplici o, infine, alla regola di cui all'art. 2697 c.c., alla stregua della quale spetta all'impugnante provare la tempestività della propria impugnazione — quando la sentenza sia divenuta conoscibile attraverso il deposito ufficiale in cancelleria ed il suo inserimento nell'elenco cronologico con attribuzione del relativo numero identificativo (Cass.S.U., n. 18569/2016 e Cass. I, n. 6384/2017).

Ai sensi dell'art. 327 c.p.c., la decadenza dall'impugnazione per decorso del termine lungo (oggi semestrale) dalla pubblicazione della sentenza, si verifica «indipendentemente dalla notificazione», e pertanto anche nel caso in cui — effettuata la notificazione della sentenza — il termine breve di impugnazione ex art. 325 c.p.c. venga a scadere in un momento successivo alla scadenza del termine lungo (Cass. VI, n. 6187/2016).

In tema di impugnazione delle sentenze delle commissioni tributarie, per le quali ai sensi dell'art. 37 del d.lgs. n. 546/1992 «il dispositivo della sentenza è comunicato alle parti costituite entro dieci giorni dal deposito», trova applicazione il termine annuale di impugnazione delle sentenze, previsto in generale dall'art. 327 c.p.c., il quale decorre dalla pubblicazione della sentenza e quindi dal deposito di essa in segreteria, e non già dalla predetta comunicazione, rimanendo tale ultima attività estranea al procedimento di pubblicazione; va al riguardo escluso ogni profilo di contrasto con gli articoli 24 e 3 Cost., poichè — anche alla luce delle indicazioni della sentenza Corte cost. n. 584/1980 — una diversa disciplina del termine in argomento altererebbe il sistema delle impugnazioni, nel quale la decorrenza fissata con riferimento alla pubblicazione è un corollario del principio secondo cui, dopo un certo lasso di tempo, la cosa giudicata si forma indipendentemente dalla notificazione della sentenza ad istanza di parte, sicché lo spostamento del dies a quo dalla data di pubblicazione a quella di comunicazione non solo sarebbe contraddittorio con la logica del processo ma restringerebbe irrazionalmente il campo di applicazione del termine lungo di impugnazione alle parti costituite in giudizio, alle quali soltanto la sentenza è comunicata ex officio; quanto al possibile contrasto con l'art. 3 Cost. deve, poi, escludersi che rispetto al termine particolarmente ampio di cui al citato art. 327 possano operare come tertium comparationis termini particolarmente brevi (quali ad es. quelli propri della materia fallimentare: artt. 26,98 comma primo, e 100, comma primo, l.fall.) il cui decorso, a seguito di declaratoria di incostituzionalità, è legato alla comunicazione, attesa la diversità del provvedimento impugnato e la differente durata dei termini prescritti (Cass. n. 21164/2009 e Cass. V, n. 24913/2008). Risulta, però, orientata in senso difforme, Cass. VI, n. 6048/2013, secondo cui, in tema di processo tributario, nelle controversie in cui non risulti applicabile l'istituto della rimessione in termini dell'art. 153, comma 2, c.p.c. (introdotto dalle l. n. 69/2009), il termine lungo per l'impugnazione delle sentenze di cui al primo comma dell'art. 327 c.p.c. decorre, per la parte cui non siano stati debitamente comunicati né l'avviso di trattazione dell'udienza (ex art. 22 del d.lgs. n. 546/1992), né il dispositivo della sentenza (ex art. 37 del d.lgs. cit.), dalla data in cui essa ha avuto conoscenza di tali sentenze.

In tema di contenzioso tributario, il termine per l'impugnazione della sentenza, nel caso in cui nessuna delle parti abbia provveduto alla sua notificazione, decorre dalla sua pubblicazione, che ha luogo mediante deposito in segreteria, attestato dalla data e dalla firma apposte dal segretario; tali attestazioni, provenendo da un pubblico ufficiale, costituiscono atto pubblico la cui efficacia probatoria può essere inficiata soltanto attraverso la proposizione della querela di falso, e prevalgono sulla comunicazione di detto deposito alle parti, cui pure il segretario è tenuto. Pertanto, ai fini della decorrenza del termine per l'impugnazione, non può assumere alcun rilievo una dichiarazione rilasciata dal segretario, in cui si attesti l'avvenuto deposito della sentenza in data diversa da quella riportata sul provvedimento, in base alla mera interrogazione del terminale, anziché al riscontro con il registro cronologico o con quello di trasmissione all'Ufficio del Registro, e senza neppure prospettare un errore materiale nella data apposta sulla sentenza (Cass. n. 25356/2007).

L'art. 288, comma 4, c.p.c., nel prevedere che le sentenze assoggettate al procedimento di correzione possono essere impugnate, per le parti corrette, nel termine ordinario decorrente dal giorno in cui è stata notificata l'ordinanza di correzione, si riferisce alla sola ipotesi in cui l'errore corretto sia tale da determinare un qualche obbiettivo dubbio sull'effettivo contenuto della decisione e non già quando l'errore stesso, consistendo in una discordanza chiaramente percepibile tra il giudizio e la sua espressione, possa essere agevolmente eliminato in sede di interpretazione del testo della sentenza, poiché, in tale ultima ipotesi, un'eventuale correzione dell'errore non sarebbe idonea a riaprire i termini dell'impugnazione (da ultimo, Cass. I, n. 22185/2014).

Il superamento del termine lungo.

Nel contenzioso tributario la facoltà di impugnazione tardiva appare, alla luce del tenore letterale dell'art. 38, comma 3, del d.lgs. n. 546 del 1992, una prerogativa esclusiva della parte non costituita (così come avviene nel processo civile per il convenuto contumace), limitatamente all'ipotesi in cui versi nell'assoluta ignoranza del processo per nullità della notificazione del ricorso e della comunicazione dell'avviso di fissazione d'udienza — situazione che si presume iuris tantum se la notificazione del ricorso introduttivo è inesistente, mentre va, invece, dimostrata mediante presunzioni ove la notificazione sia semplicemente nulla (Buscema, 7799; in questo senso anche Borgni, 210, secondo cui «fatta salva ogni ulteriore valutazione in ordine ai profili di responsabilità professionale e deontologica del difensore del contribuente, di responsabilità erariale dei funzionari incaricati della rappresentanza della parte pubblica, nonché di responsabilità disciplinare del segretario della Commissione tributaria che abbia omesso l'invio della comunicazione, le parti processuali, in quanto soggetti latori di interessi nella lite, sono gravate da un obbligo di diligenza, che impone loro di assumere presso la segreteria della Commissione le informazioni relative allo svolgimento della controversia ed, a fortiori, all'avvenuto deposito della pronuncia»).

Parte della dottrina sostiene, però, l'applicabilità della rimessione in termini ex art. 153, comma 2, c.p.c., nei confronti della parte costituita decaduta dal potere di impugnazione in conseguenza della mancata comunicazione del dispositivo della sentenza, sottolineando la portata generale di tale istituto, non più limitato, come il precedente art. 184 bis c.p.c., alle facoltà processuali interne al processo: le modifiche del c.p.c. dovrebbero, dunque, determinare un adeguamento interpretativo dell'art. 38 del d.lgs. n. 546 del 1992 (Randazzo, 2987). Si è, perciò, commentata positivamente la soluzione proposta dalla più recente giurisprudenza di legittimità, secondo cui, in caso di omessa comunicazione alla parte costituita sia dell'avviso di trattazione sia del dispositivo della sentenza, sarebbe applicabile l'art. 153, comma 2, c.p.c. nelle controversie instaurate dopo la sua entrata in vigore e, comunque, la decorrenza del termine lungo per l'impugnazione della sentenza andrebbe ancorata alla data in cui la parte ne abbia avuto conoscenza nelle controversie avviate precedentemente (così Graziano, 281, che evidenzia la conformità di tale orientamento ai principi contenuti nella Costituzione e nella Carta Europea dei Diritti dell'Uomo, i quali impediscono che il diritto alla difesa e all'attiva partecipazione al processo possa essere vanificato da una omissione del personale addetto alle segreterie delle commissioni tributarie; invece, Randazzo, 1092, dissente dall'assunto secondo cui se almeno uno dei detti avvisi — in particolare quello della data della trattazione — è stato correttamente immesso nella sfera cognitiva della parte, non sarebbe possibile affermare la non imputabilità della decadenza dal diritto di impugnare la sentenza). Si è, peraltro, osservato che, in passato, l'ampiezza del termine lungo di impugnazione (di un anno, oltre i consueti quarantasei giorni della «sospensione feriale») poteva effettivamente considerarsi idonea a garantire il diritto di difesa dell'interessato, chiamato ad adempiere un onere non eccessivamente gravoso di vigilanza sulle vicende del processo, l'attuale diminuzione di detto lasso temporale (tra l'altro, soggetto soltanto in via eventuale al beneficio della «sospensione feriale») priva l'approdo ermeneutico tradizionale di una delle ragioni fondamentali che ne sorreggevano le conclusioni, imponendo un'ulteriore riflessione che possa armonizzare le esigenze di certezza dei rapporti giuridici con il fondamentale diritto alla tutela giurisdizionale (Cancedda, 1449).

Anche per il rispetto del termine d'impugnazione vale il generale principio, secondo cui, in caso di notifica di atti processuali non andata a buon fine per ragioni non imputabili al notificante, questi, appreso dell'esito negativo, per conservare gli effetti collegati alla richiesta originaria deve riattivare il processo notificatorio con immediatezza e svolgere con tempestività gli atti necessari al suo completamento, ossia senza superare il limite di tempo pari alla metà dei termini indicati dall'art. 325 c.p.c., salvo circostanze eccezionali di cui sia data prova rigorosa (Cass. S.U., n. 14594/2016; v. anche Cass. V, n. 5974/2017, secondo cui, in tema di giudizio di legittimità, il ricorrente, appreso l'esito negativo della notifica del ricorso per causa a lui non imputabile, ha l'onere e non la mera facoltà, in ossequio al principio di ragionevole durata del processo, di richiedere la ripresa del procedimento notificatorio in un tempo pari alla metà dei termini di cui all'art. 325 c.p.c., senza attendere un provvedimento giudiziale che autorizzi la rinnovazione, salvo circostanze eccezionali di cui va data prova rigorosa, sicché, nel caso di mancata riattivazione, il ricorso va dichiarato inammissibile per omessa notifica).

Nel processo tributario, l'ammissibilità dell'impugnazione tardiva, oltre il termine «lungo» dalla pubblicazione della sentenza, previsto dall'art. 38, comma 3, del d.lgs. n. 546 del 1992, presuppone che la parte dimostri l'«ignoranza del processo», ossia di non averne avuto alcuna conoscenza per nullità della notificazione del ricorso e della comunicazione dell'avviso di fissazione dell'udienza, situazione che non si ravvisa in capo al ricorrente costituito in giudizio, cui non può dirsi ignota la proposizione dell'azione, dovendosi ritenere tale interpretazione conforme ai principi costituzionali ed all'ordinamento comunitario, in quanto diretta a realizzare un equilibrato bilanciamento tra le esigenze del diritto di difesa ed il principio di certezza delle situazioni giuridicheCass. V, n. 5366/2023 ha precisato che, in tema di impugnazione tardiva nel processo tributario, in caso di notifica inesistente si presume "iuris tantum" la mancata conoscenza della pendenza della lite da parte del destinatario ed è onere dell'altra parte dimostrare che lo stesso ha avuto comunque contezza del processo, mentre nell'ipotesi di notificazione nulla si presume la conoscenza della pendenza del giudizio da parte dell'impugnante, il quale è tenuto a fornire, anche mediante presunzioni, la prova di circostanze di fatto positive da cui si possa desumere il difetto di anteriore conoscenza o l'avvenuta conoscenza solo in una certa data.   Non assume rilievo, invece,  l'omessa comunicazione della data di trattazione, che è deducibile quale motivo di impugnazione ai sensi dell'art. 161, comma 1, c.p.c., in mancanza della quale la decisione assume valore definitivo in conseguenza del principio del giudicato (Cass. VI, n. 14746/2017, Cass. VI, n. 9330/2017 e Cass. V, n. 23323/2013; v. anche Cass. V, n. 12761/2011, secondo cui l'art. 38, comma 3, del d.lgs. n. 546 del 1992, il quale esclude la decadenza dall'impugnazione per il decorso del termine all'epoca annuale «se la parte non costituita dimostri di non avere avuto conoscenza del processo per nullità della notificazione del ricorso e della comunicazione dell'avviso di fissazione d'udienza», presuppone che sussista la situazione di «ignoranza del processo», ovvero che la parte dimostri di non averne avuto alcuna conoscenza; tale situazione non si ravvisa in capo al ricorrente costituito in giudizio, cui non può dirsi ignota la proposizione del ricorso, né è necessario, per ravvisare quella conoscenza, che gli sia stata anche comunicata la data dell'udienza di discussione, come previsto dall'art. 19, comma 4, del d.P.R. n. 636 del 1972 ed ora dall'art. 22 del d.lgs. n. 546 del 1992, benché questa omissione comporti la nullità della sentenza del primo giudice, la quale si converte, ai sensi dell'art. 161 c.p.c., in motivo d'impugnazione esperibile nei termini di legge, la cui inosservanza determina il passaggio in giudicato della sentenza stessa).

Tuttavia, ad avviso di Cass. VI, n. 6048/2013, in tema di processo tributario, nelle controversie in cui non risulti applicabile l'istituto della rimessione in termini dell'art. 153, comma 2, c.p.c. (introdotto dalle legge 18 giugno 2009, n. 69), il termine lungo per l'impugnazione delle sentenze di cui al primo comma dell'art. 327 c.p.c. decorre, per la parte cui non siano stati debitamente comunicati né l'avviso di trattazione dell'udienza (ex art. 22 del d.lgs. n. 546/1992), né il dispositivo della sentenza (ex art. 37 del d.lgs. cit.), dalla data in cui essa ha avuto conoscenza di tali sentenze.

La decadenza da un termine processuale, ivi compreso quello per impugnare, non può ritenersi incolpevole e giustificare, quindi, la rimessione in termini, ove sia avvenuta per errore di diritto, ravvisabile laddove la parte si dolga dell'omessa comunicazione della data di trattazione dell'udienza e/o della sentenza stessa, atteso che il termine di cui all'art. 327 c.p.c. decorre dalla pubblicazione della sentenza mediante deposito in cancelleria, a prescindere dal rispetto, da parte della cancelleria medesima, degli obblighi di comunicazione alle parti, e che, inoltre, rientra nei compiti del difensore attivarsi per verificare se siano state compiute attività processuali a sua insaputa (Cass. V, n. 5946/2017). Parimenti, ad avviso di Cass. V, n. 8151/2015, l'errore sulla norma processuale che disciplina le forme di notifica della sentenza tributaria in appello è escluso dall'ambito di applicazione dell'istituto della rimessione in termini dell'impugnazione tardivamente proposta — già previsto, anche per il processo tributario, dall'art. 184 bis c.p.c. (applicabile ratione temporis e sostituito dalla norma generale di cui all'art. 153, comma 2, c.p.c.) — in quanto viene a risolversi in un errore di diritto inescusabile e non integra un fatto impeditivo, estraneo alla volontà della parte, della tempestiva proposizione dell'impugnazione — nella specie, la S.C. ha escluso la rimessione in termini per l'Amministrazione finanziaria, la cui tardiva impugnazione era asseritamente imputabile ad un errore indotto dall'«equivoca» modalità di notifica della sentenza di appello effettuata dal contribuente, avvenuta diverso tempo dopo la pubblicazione e priva di «avvertimenti» sulla volontà di voler far decorrere il termine breve di impugnazione, sì da far ritenere che l'atto fosse stato solo «comunicato».

Nel caso di ricorso proposto a mezzo del servizio postale oltre il termine di un anno previsto dall'art. 327 c.p.c. (applicabile ratione temporis) non è applicabile l'art. 153, comma 2, c.p.c. se l'errore in cui il ricorrente assume di essere incorso non può ritenersi non imputabile (nella specie Cass. V, n. 13305/2017 ha dichiarato inammissibile l'istanza di rimessione in termini proposta sulla base dell'erroneità della data di pubbluicazione della sentenza ricavata dalla copia informale rilasciata dalla segreteria della Commissione tributaria regionale, inidonea per definizione a fondare un legittimo affidamento sulla conformità all'originale dei dati in essa riportati).

Bibliografia

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