Decreto legislativo - 31/12/1992 - n. 546 art. 41 - Provvedimenti sulla sospensione e sull'interruzione del processo 1 2 .

Annamaria Fasano
aggiornato da Stefano Didoni

Provvedimenti sulla sospensione e sull'interruzione del processo12.

1. La sospensione è disposta e l'interruzione è dichiarata dal presidente della sezione con decreto o dalla commissione con ordinanza.

2. Avverso il decreto del presidente è ammesso reclamo a sensi dell'art. 28.

[1] Per l'abrogazione del presente articolo, a decorrere dal 1° gennaio 2026, vedi l'articolo 130, comma 1, lettera d), del D.Lgs. 14 novembre 2024, n. 175. Vedi, anche, l'articolo 130, comma 3, del D.Lgs. 175/2024 medesimo.

[2] Per le nuove disposizioni legislative in materia di giustizia tributaria, di cui al presente articolo, a decorrere dal 1° gennaio 2026, vedi l'articolo 90 del D.Lgs. 14 novembre 2024, n. 175.

Inquadramento.

La norma in esame introduce, per via legislativa, la distinzione tra il disporre la sospensione e il dichiarare l'interruzioneMentre la sospensione deve essere disposta dal soggetto a ciò competente, l'interruzione del processo si produce automaticamente, al momento del verificarsi dell'evento o al momento in cui l'evento interruttivo viene rappresentato dal difensore della parte e il giudice si limita a dichiarare l'evento.

Pertanto, una volta accertata l'esistenza di una causa di sospensione, la corte di giustizia tributaria tributaria, senza che vi sia iniziativa delle parti, la dispone con decreto del presidente di sezione, se la causa si rileva prima della fissazione dell'udienza di trattazione ovvero con ordinanza, da parte del Collegio negli altri casi.

L'interruzione del processo, invece, non richiede alcuna attività di accertamento e, pertanto, è dichiarata dal presidente con decreto o dal Collegio con ordinanza, a seconda della fase del processo in cui si è verificato l'evento interruttivo.

Avverso il decreto presidenziale di sospensione e di interruzione è ammesso reclamo ai sensi dell'art. 28 del d.lgs. n. 546/1992, mentre, qualora vi provvedesse direttamente l'organo collegiale, si porrà unicamente un problema di impugnazione della sentenza intervenuta (La Rocca, 1230).

I provvedimenti di sospensione e interruzione.

L'art. 41 d.lgs. n. 546/1992 stabilisce che la sospensione è disposta e l'interruzione è dichiarata dal presidente della sezione con decreto o dalla corte di giustizia tributaria con ordinanza. Al contrario, nel codice processuale civile manca una norma che specifichi espressamente il tipo di provvedimento da pronunciare all'uopo e si discute se il giudice debba provvedere con sentenza o con ordinanza (Mandrioli, Diritto processuale civile, II, Torino, 2009, 345 ss.).

Va, anzitutto apprezzata la precisione terminologica del legislatore che, quanto ai provvedimenti giurisdizionali relativi a sospensione ed interruzione, distingue tra la prima, che viene «disposta» con un provvedimento costitutivo dell'effetto giuridico, e la seconda, che viene «dichiarata», con un provvedimento che si limita ad accertare che l'effetto interruttivo si è prodotto direttamente per effetto della legge. Detto altrimenti, nel caso della sospensione è la pronuncia del giudice a determinare la paralisi dell'attività processuale; l'interruzione, invece, opera automaticamente ed il provvedimento del giudice ha natura dichiarativa, limitandosi a prendere atto degli effetti impeditivi sulla continuazione del processo prodotti dal fatto sfavorevole che colpisce la parte privata.

La competenza ad emettere i provvedimenti è attribuita al presidente di sezione, ovvero alla corte di giustizia tributaria e la forma è rispettivamente, quella del decreto (monocratico) o della ordinanza (collegiale).

Più in particolare, la competenza all'adozione del provvedimento si determina in funzione della fase in cui si trova il giudizio: compete al presidente disporre la sospensione o dichiarare l'interruzione fino a quando il processo non è pervenuto al collegio con fissazione della trattazione in camera di consiglio o in pubblica udienza; se, invece, le condizioni per la sospensione o l'interruzione si verificano quando il processo trovasi davanti alla corte di giustizia tributaria, essendo già stata fissata la trattazione, è questa che adotta i relativi provvedimenti (Gilardi, 234).

La disposizione in commento non contempla l'ipotesi di evento verificatosi prima dell'assegnazione a una sezione, ossia in un momento compreso tra il deposito del ricorso e la sua assegnazione ad una sezione.

In casi di tal fatta, l'alternativa è tra ritenere che tale provvedimento possa essere adottato dal Presidente della corte di giustizia tributaria(con analogia rispetto alla adozione dei provvedimenti cautelari), ovvero, ritenendo tassativa la disposizione in commento e valorizzando il fatto che essa non prevede altri che il presidente di sezione, ritenere necessaria la tempestiva assegnazione del ricorso alla sezione, affinché il suo presidente adotti i provvedimenti necessari. Ove il presidente pronunci il decreto quando sia già stata fissata l'udienza di trattazione ricorre una irregolarità, deducibile mediante lo strumento del reclamo alla corte di giustizia tributaria.

Il provvedimento che dispone la sospensione o dichiara l'interruzione va comunicato alle parti costituite (Russo, 221), affinché queste ultime siano messe a conoscenza del temporaneo arresto che subisce l'attività processuale.

In particolare, la comunicazione del provvedimento di interruzione va fatta alla parte colpita dall'evento o ai suoi successori personalmente: ove essa sia defunta o estinta la comunicazione può farsi, entro un anno dall'evento, collettivamente e impersonalmente ai successori nel domicilio eletto o residenza dichiarata per il giudizio (Finocchiaro A., Finocchiaro M., 616).

Ordinanza

L'ordinanza è un provvedimento a carattere decisorio con cui si statuisce l'interruzione o la sospensione del processo tributario, che, pertanto, deve essere motivata e può essere impugnata soltanto nei casi in cui la legge lo consente o quando assume contenuto di sentenza.

A norma dell'art. 134 c.p.c., «l'ordinanza è succintamente motivata. Se pronunciata in udienza, è inserita nel processo verbale; se è pronunciata fuori dall'udienza, è scritta in calce al processo verbale oppure in foglio separato, munito della data e della sottoscrizione del Presidente. Il cancelliere comunica alle parti l'ordinanza, salvo che la legge ne prescriva la notificazione».

Il comma 1 della norma in esame enuncia i requisiti che concorrono a costituire quel minimo di contenuto che la legge ritiene necessario affinché l'atto possa raggiungere il suo scopo.

L'ordinanza, a garanzia del diritto di difesa delle parti, deve essere succintamente motivata, al fine di consentire il controllo dell'iter logico seguito dal giudice per pervenire alla sua pronuncia (Di Paola, Il processo tributario nel c.p.c., Santarcangelo di Romagna, 2014, 142).

Il difetto assoluto di motivazione determina la nullità dell'ordinanza (Andrioli, voce Ordinanza, in Enc. dir., XXX, 1980, 957; contra Satta, Commentario al c.p.c., I, Milano, 1959, 565, per il quale una questione di nullità vera e propria non si pone mai per le ordinanze, data la loro intrinseca revocabilità ed assorbimento nel giudizio collegiale).

L'ordinanza, inoltre, deve avere forma scritta e deve essere firmata dal giudice, sia che venga pronunciata in udienza, sia che il giudice si riservi di provvedere in un momento successivo. Invero, il difetto di sottoscrizione determina l'inesistenza dell'atto (Andrioli, 957).

Secondo alcuni autori (Zanzucchi, 465) l'ordinanza deve infine contenere con sufficiente precisione anche l'indicazione del giudice e delle parti, in quanto elementi indispensabili al raggiungimento dello scopo.

Inoltre, giova ricordare che il comma secondo dell'art. 134 c.p.c. prevede che le ordinanze pronunciate fuori dall'udienza debbono essere comunicate alle parti secondo le modalità previste agli artt. 136 e 45 disp. att. c.p.c.

Costituendo un requisito fondamentale indispensabile perché il provvedimento stesso raggiunga il suo scopo, la mancanza della comunicazione determina la nullità di tutti gli atti successivamente compiuti in assenza di una delle parti, nullità peraltro ritenuta sanabile dalla spontanea comparizione della parte all'udienza di discussione.

Il difetto assoluto di motivazione determina la nullità dell'ordinanza di sospensione del processo.

Costituendo un requisito formale indispensabile perché il provvedimento stesso raggiunga il suo scopo, la mancanza della comunicazione determina la nullità di tutti gli atti successivamente compiuti in assenza di una delle parti (Cass. n. 11149/1993; Cass. n. 1690/1992; Cass. n. 6162/1984).

Sugli effetti della mancata comunicazione dell'ordinanza pronunciata fuori udienza, la Suprema Corte ha osservato che la comunicazione alle parti, a cura del cancelliere, dell'ordinanza pronunciata fuori udienza è diretta a rendere edotte le stesse del contenuto del provvedimento del giudice nonché della nuova udienza in cui il giudizio deve proseguire, e costituisce un requisito formale indispensabile perché il provvedimento stesso raggiunga il suo scopo; la mancanza di tale comunicazione, pertanto, comporta la nullità, exartt. 134 e 156 c.p.c., del provvedimento e la consequenziale nullità, ex art. 159 dello stesso codice, degli atti successivi, e quindi anche della sentenza eventualmente emessa, rispetto ai quali il provvedimento e la sua comunicazione costituiscono antecedenti incondizionatamente necessari (Cass. n. 11149/1993, cit.; Cass. n. 1690/1992 cit.).

In linea con la citata massima giurisprudenziale, Cass. n. 6162/1984, sopra citata, ha affermato che la comunicazione dell'ordinanza pronunciata fuori udienza ha lo scopo di portare a conoscenza delle parti il contenuto del provvedimento, sicché la sua omissione determina nullità di questo provvedimento per difetto di requisiti formali indispensabili al conseguimento di detto scopo nonché nullità degli atti successivi e della sentenza; tale nullità si converte in motivo di gravame, ai sensi dell'art. 161 c.p.c. e, non rientrando fra i casi, tassativamente indicati dall'art. 354 c.p.c., di rimessione della causa al giudice di primo grado, il suo rilievo comporta che il giudice dell'appello per giudicare del merito della causa possa disporre non solo la rinnovazione degli atti eventualmente compiuti in assenza delle parti cui si riferisce il difetto di comunicazione, ma anche che sia a queste consentito l'esercizio di tutti quei diritti o poteri processuali che nella pregressa fase del giudizio era stato reso impossibile da tale difetto.

La dichiarazione di estinzione del processo per inattività delle parti, successivamente al provvedimento di interruzione per morte di una di esse, emesso in udienza a seguito della dichiarazione del difensore del soggetto colpito dall'evento, è validamente pronunciata d'ufficio, ai sensi dell'art. 45 comma 3 del d.lgs. n. 546 del 1992 anche se gli eredi non abbiano ricevuto comunicazione né del provvedimento di interruzione, né della successiva data di trattazione della controversia, atteso, quanto al primo profilo, che il precisato atto del giudice, per la sede in cui è stato adottato, è legalmente noto, e, quanto al secondo, che l'estinzione costituisce la reazione dell'ordinamento al protrarsi del comportamento inerte delle parti, mirando allo scopo di attuare il principio della ragionevole durata del processo. Ne consegue che eventuali censure in ordine a detta declaratoria sono proponibili davanti al giudice del reclamo o dell'impugnazione, così restando assicurato il diritto di difesa (Cass. n. 2118/2011). In caso di estinzione del processo tributario, l'iscrizione a ruolo dell'imposta presuppone la definitività dell'accertamento, sicchè deve essere preceduta dalla regolare comunicazione dell'ordinanza di estinzione al contribuente per consentirgli l'eventuale proposizione del reclamo (Cass. n. 569/2016).

Il decreto

Il decreto è un provvedimento ordinatorio, che non richiede motivazione, volto al regolare svolgimento del processo, che può essere accettato dalle parti o sostituito con un provvedimento collegiale in seguito al reclamo (Cristiani, 136).

Ai sensi dell'art. 135 c.p.c., il decreto è pronunciato d'ufficio o su istanza anche verbale della parte. Quando l'istanza è proposta verbalmente, se ne redige processo verbale ed il decreto è inserito nello stesso. Il decreto non è motivato, salvo che la motivazione sia prescritta espressamente dalla legge; è datato ed è sottoscritto dal giudice, o, quando questo è collegiale, dal presidente (Galluzzi, 437).

Per questo tipo di provvedimento, a differenza di quanto avviene per le sentenze e le ordinanze, non sono di regola prescritti precisi requisiti di forma (Di Paola, 955).

In assenza di una disposizione specifica si ritiene applicabile l'art. 135 c.p.c. anche al processo tributario.

Come già visto per il processo civile, i decreti attengono generalmente allo svolgimento del processo e, nella maggior parte dei casi, sono emessi dal presidente della sezione o della corte di giustizia tributaria, inaudita altera parte, e sono motivati solo quando la legge lo stabilisce espressamente.

In particolare il presidente della corte di giustizia tributaria con decreto assegna il ricorso alla singola sezione, determina la sezione davanti alla quale deve proseguire il processo a seguito di riunione del ricorso; mentre il presidente della sezione dispone con decreto in merito all'ammissibilità del ricorso, alla sospensione, interruzione o estinzione del processo, alla riunione dei ricorsi assegnati alla sezione da lui presieduta, al differimento della data di trattazione finalizzato a consentire la proposizione di motivi aggiunti (Di Paola, 143).

Considerato, peraltro, che il decreto è suscettibile di reclamo sembrerebbe quanto meno auspicabile una succinta motivazione del provvedimento; pena, in caso contrario, la sostanziale vanificazione del diritto di difesa del reclamante (Galluzzi, 437).

La tesi sembrerebbe confermata dall'art. 111, comma 1, Cost., a norma del quale tutti i provvedimenti dell'autorità giurisdizionale debbono essere motivati.

Anche nel nuovo processo tributario, essendo l'istituto della interruzione del processo regolato secondo le linee del codice di rito civile, è applicabile il principio formatosi sulla disciplina corrispondente per il processo civile ordinario, secondo cui le norme che disciplinano l'interruzione del processo sono preordinate a tutela della parte colpita dal relativo evento, con la conseguenza che difetta di interesse l'altra parte a dolersi dell'irrituale continuazione del processo (Cass. n. 7216/2001).

Impugnabilità e revocabilità dei provvedimenti sulla sospensione e sull'interruzione

Avverso il decreto con il quale il presidente abbia dichiarato la sospensione o l'interruzione del processo, è ammesso reclamo ai sensi dell'art. 28 d.lgs. n. 546/1992 (Tesauro, 2014, 187). Il rinvio effettuato a quest'ultima norma, senza specificazioni, dall'art. 41, secondo comma d.lgs. n. 546/1992, induce a ritenere che si renda integralmente applicabile il procedimento ivi contemplato.   Affinché le parti siano poste nella condizione di poter effettivamente proporre il reclamo, è necessario che il decreto sia comunicato dalla segreteria alla parte colpita dall'evento o ai suoi successori personalmente ovvero, entro un anno dalla morte di una delle parti, nel domicilio eletto o, in mancanza, nella residenza dichiarata dal defunto risultante dagli atti del processo, operando anche in tal caso l'art. 43, terzo comma, d.lgs. n. 546/1992 (GOBBI, 509).

La corte di giustizia tributaria, pertanto, pronuncerà con sentenza se dichiari l'inammissibilità per tardiva proposizione o per tardivo deposito del reclamo notificato (mediante consegna o spedizione), e con ordinanza, non impugnabile, sia nel caso in cui confermi il decreto presidenziale di sospensione o di interruzione (nel qual caso l'ordinanza avrà efficacia puramente reiettiva del reclamo, restando nell'esclusiva iniziativa delle parti di presentare istanza di trattazione ex art. 43, primo e secondo comma, d.lgs. n. 546/1992), sia quando accolga il reclamo e, quindi, dichiari che non sussiste la causa di sospensione o di interruzione.

La corte di giustizia tributaria, quindi, decide sul reclamo con ordinanza, dal momento che essa, con il suo provvedimento, non risolve, neppure parzialmente, la lite e si limita a dare disposizioni sullo svolgimento del processo, stabilendo se questo debba proseguire o debba arrestarsi temporaneamente.

Ciò, tuttavia, apre una diversità di trattamento rispetto all'ipotesi in cui sia la stessa Commissione a dichiarare la sospensione o l'interruzione ai sensi dell'art. 41. Sebbene, infatti, la legge non dica espressamente che l'ordinanza, in tal caso, è insuscettibile di impugnazione, il fatto stesso che non sia previsto alcun rimedio porta ad escludere che nei suoi confronti sia ammissibile il rimedio del riesame (Gilardi, 235).

Né appare esperibile il regolamento di competenza introdotto per il processo civile dall'art. 6 della legge n. 353/1990. Invero, secondo l'orientamento prevalente, nel processo tributario non può trovare applicazione l'art. 42 c.p.c., ai sensi del quale il rimedio del regolamento necessario di competenza è esperibile anche avverso i provvedimenti che dichiarano la sospensione del processo.

Tale convincimento si fonda sull'art. 5, comma 4, del d.lgs. n. 546/1992 secondo cui, in materia di incompetenza delle corte di giustizia tributaria tributarie, «non si applicano le disposizioni del codice di procedura civile sui regolamenti di competenza».

Ne consegue che la sospensione dichiarata dal presidente, in caso di pronuncia di inammissibilità del reclamo ex artt. 41 e 28 d.lgs. n. 546/1992, è suscettibile di revisione attraverso l'impugnazione della sentenza emessa dalla Commissione, mentre l'ordinanza pronunciata da quest'ultima in base all'art. 41 è priva di rimedi diversi da quello della revocabilità ad opera della stessa corte di giustizia tributaria ai sensi dell'art. 177 c.p.c. (sicuramente applicabile anche al processo tributario: cfr. sul punto Glendi, Commentario delle leggi sul contenzioso tributario, Torino, 1990, 918). Gli eventuali vizi dell'ordinanza collegiale che, in prima istanza o in forza di reclamo, si pronuncia sulla sospensione o sull'interruzione possono essere fatti valere in sede di contestazione della sentenza che conclude il giudizio, come vizi che si riflettono sulla validità di tale sentenza (Della Valle, 613).

Tuttavia, parte della dottrina è solita distinguere tra ordinanze che dispongono la sospensione del processo ed ordinanze che ne neghino i presupposti, ammettendo con riferimento alle prime l'esperibilità del regolamento di competenza di cui all'art. 42 c.p.c. Detto altrimenti, l'ordinanza collegiale, se pronunciata in prima istanza, è autonomamente impugnabile con regolamento di competenza quando dispone la sospensione del processo (su tale istituto: Moreno, 82 ss.; Levoni, 481 ss.). Al contrario, nel caso di ordinanze che negano i presupposti per la sospensione del processo torna applicabile la regola della impugnabilità insieme alla sentenza terminativa del grado processuale. Al riguardo, si ritiene che questa impossibilità di contestare immediatamente i vizi dell'ordinanza collegiale non vulneri i diritti difensivi delle parti, non essendo né definitivo né irrimediabile il pregiudizio derivante in ipotesi dalla mancata sospensione del processo (Finocchiaro A., Finocchiaro M., 618).

Quanto all'ordinanza che dichiara l'interruzione, sebbene la stessa non pronunzi sulla pretesa sostanziale fatta valere in giudizio, né definisca il processo, sì da assumere un preciso carattere ordinatorio e preparatorio, ciò non di meno, la mancata previsione di alcuna forma di controllo e di impugnazione consente di sollevare fondati dubbi di legittimità della norma, tanto più che accanto al previsto reclamo avverso il decreto presidenziale nulla viene disposto circa l'ordinanza (Gobbi, 509).

Gli artt. 42 e ss. c.p.c. disciplinano il regolamento di competenza necessario e facoltativo e, apparentemente, sembrerebbero non applicabili al processo tributario alla luce del tenore dell'art. 5, comma 4, del d.lgs. 546/1992 secondo cui «non si applicano le disposizioni del codice di procedura civile sui regolamenti di competenza».

Tuttavia, la giurisprudenza nel tempo ha attenuato il superiore divieto normativo ritenendo talvolta applicabile anche al rito tributario la disciplina sul regolamento di competenza prevista dagli artt. 42 ss. c.p.c.

La Suprema Corte (Cass. n. 11140/2005) si è successivamente discostata in maniera «rivoluzionaria» da tale tradizionale orientamento, affermando che l'ordinanza di sospensione del processo tributario può essere impugnata con istanza di regolamento di competenza, ai sensi dell'art. 42 c.p.c. E' stato, infatti, concordemente ritenuto che è ammissibile il regolamento necessario di competenza nei confronti del provvedimento che abbia respinto l'istanza di riassunzione del processo sospeso, proposta ai sensi dell'art. 297 c.p.c., in quanto l'art. 42 c.p.c., pur essendo norma speciale, è suscettibile di interpretazione estensiva a tale ipotesi, parimenti connotata dal vincolo di necessità della tempestiva riassunzione al fine di reagire contro un'abnorme quiescenza (a limite, sine die) del processo, non più giustificata dall'esigenza di un accertamento pregiudiziale, e che si porrebbe in contrasto con il principio della ragionevole durata del processo di cui all'art. 111 Cost. (Cass. S.U., n. 21763/2021).

I giudici di legittimità, infatti, hanno evidenziato che l'esclusione della esperibilità del regolamento di competenza, previsto dal comma 4 dell'art. 5 citato, concerne soltanto questioni di competenza — incompetenza vere e proprie, che non ricorrono nel caso di sospensione del processo.

Anzi, secondo la Suprema Corte, considerando la natura e l'importanza dei diritti, di rilevanza anche costituzionale, oggetto delle vertenze tributarie (diritto dei contribuenti a non essere assoggettati a prelievi patrimoniali indebiti; art. 23 Cost.; diritto dell'amministrazione finanziaria al conseguimento dei mezzi economici indispensabili al funzionamento delle strutture statuali e pubbliche in genere) un'interpretazione del citato comma 4, che portasse ad intendere tale norma come preclusiva dell'esperibilità del rimedio del regolamento di competenza avverso i provvedimenti delle Commissioni tributarie sanzionanti la sospensione del processo, esporrebbe la norma in questione a non manifestamente infondati sospetti di incostituzionalità, per la lesione del diritto di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi, di cui all'art. 24, comma 1, della Costituzione, e per il diritto alla ragionevole durata del processo, di cui all'art. 111, comma 2, della Costituzione. Dunque, il necessario richiamo ai valori costituzionali impone, nella logica della Cassazione, l'impugnabilità dell'ordinanza di sospensione.

Tali considerazioni sono state da ultimo confermate dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 18100/2013) secondo la quale in tema di contenzioso tributario, l'art. 5, quarto comma, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, secondo cui non si applicano le disposizioni del codice di procedura civile sui regolamenti di competenza, è inserito in un complesso normativo, integrante microsistema, contenuto negli artt. 4 e 5 del d.lgs. cit., che riguarda la disciplina della competenza, essenzialmente per territorio, delle commissioni tributarie, e si riferisce soltanto alle questioni che queste possono essere chiamate a rendere in ordine a tale competenza. Pertanto, in conformità all'esigenza di tutelare i diritti fondamentali garantiti dagli artt. 24, primo comma, 111, secondo comma della Costituzione e 6, primo comma, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, deve ritenersi che la norma sopra citata non esclude la proposizione del regolamento di competenza avverso i provvedimenti di sospensione del processo ex art. 295 c.p.c., impugnazione senz'altro ammissibile alla stregua del combinato disposto degli artt. 1, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992 e 42 c.p.c. (In senso conforme cfr. Cass. n. 999/2016; Cass. n. 114411/2016).

Sempre secondo questo indirizzo (Cass. n. 2108/2007), quando si rapporti il dettato dell'art. 5, comma 4, d.lgs. n. 546/1992 al complesso della disciplina della competenza in cui esso si inserisce, risulta evidente che l'esclusione della esperibilità del regolamento di competenza, da tale norma prevista, non può che riguardare le sole decisioni rese dalle commissioni tributarie specificamente sulla propria competenza a decidere, e non è riferibile, in alcun modo, ai rimedi esperibili contro i provvedimenti di sospensione del processo che alle predette decisioni non sono certamente assimilabili, avendo connotati del tutto peculiari.

Il regime dell'ordinanza di sospensione del processo adottata dal giudice tributario deve essere rinvenuto negli artt. 42,177 e 178 c.p.c. in quanto non può ravvisarsi un rapporto di specialità con riferimento alla disposizione di cui all'art. 41 d.lgs. n. 546 del 1992 che prevede la reclamabilità del solo decreto presidenziale di sospensione. L'ordinanza di sospensione, emessa nei casi disciplinati dall'art. 39 d.lgs. n. 546 del 1992 o dall'art. 295 c.p.c. è dunque soggetta alla speciale impugnazione prevista dall'art. 42 c.p.c.; ciò comporta che, stante lo speciale mezzo di reclamo normativamente previsto, il provvedimento non può essere revocato d'ufficio dalla corte di giustizia tributaria tributaria [n.d.r.], alla luce di quanto disposto dall'art. 177, comma 3, n. 3 c.p.c. (Cass. n. 4790/2016). In tema di sospensione del giudizio per pregiudizialità necessaria, salvi i casi in cui essa sia imposta da una disposizione specifica che richieda di attendere la pronuncia con efficacia di giudicato sulla causa pregiudicante, quando fra due giudizi esista un rapporto di pregiudizialità tecnica e quello pregiudicante sia stato definito con sentenza non passata in giudicato, la sospensione del giudizio pregiudicato non può ritenersi obbligatoria ai sensi dell'art. 295 c.p.c. ( e, se disposta, può essere proposta subito istanza di prosecuzione ex art. 297 c.p.c.) ma può essere adottata, in via facoltativa, ai sensi dell'art. 337 , secondo comma, c.p.c., applicandosi, nel caso di sopravvenuto verificarsi di un conflitto tra giudicati, il disposto dell'art. 336, secondo comma c.p.c. (Cass. S.U. n. 21763/2021).

Si è fatto notare che l'impugnazione, a norma dell'articolo in esame, così come nel processo civile la proposizione del regolamento di competenza a norma dell'art. 42 c.p.c., è ammissibile in ordine al provvedimento che dispone la sospensione necessaria, ma non anche in ordine a quello che la nega, il quale resta censurabile soltanto mediante l'impugnazione della sentenza che ha definito il processo sul presupposto della ritenuta insussistenza delle condizioni per la sospensione (Cass. S.U.,n. 37/2001; Cass. n. 9261/2001; Cass. n. 1916/1997; Cass. n. 1010/1997; Cass. n. 22784/2015). Si ritiene, infatti, che l'ordinanza che rigetta l'istanza di sospensione del processo non è, stante la sua natura ordinatoria, censurabile con il rimedio del ricorso straordinario ex art. 111 Cost., ma solo attraverso l'impugnazione della sentenza che definito il processo (Cass. n. 9261/2001).

L'erronea valutazione del collegio può peraltro, in tale ultimo caso, essere denunciata come vizio procedurale che inficia la validità della sentenza emanata al termine del processo (Cass. n. 9261/2001).

Inoltre, giova sottolineare che contro l'ordinanza collegiale non è esperibile il ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 Cost. Invero, l'inammissibilità di questo mezzo di gravame trova evidente ragione nella natura dell'ordinanza impugnata, assolutamente priva dei caratteri della decisorietà e definitività. Detto provvedimento invero è emesso nell'esercizio del potere meramente ordinatorio del giudice di regolare il rapporto processuale (Cass. n. 9261/2001 cit.).

Quanto alla revocabilità, secondo l'orientamento giurisprudenziale maggioritario, il provvedimento del presidente o della corte di giustizia tributaria [n.d.r.], una volta adottato, indipendentemente dal suo contenuto positivo o negativo, non è suscettibile di essere revocato, al pari di quanto stabilisce la giurisprudenza per i corrispondenti provvedimenti del giudice civile (Cass. n. 21738/2004; Cass. n. 10887/2003; contra, tuttavia: Cass. n. 9261/2001).

Bibliografia

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