Decreto legislativo - 19/06/1997 - n. 218 art. 17 - Abrogazioni e delegificazione.Abrogazioni e delegificazione. 1. Sono abrogati: a) i commi 2 e 3 dell'articolo 5 del decreto-legge 27 aprile 1990, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 giugno 1990, n. 165, riguardanti la definizione delle pendenze tributarie; b) gli articoli 2-bis e 2-ter del decreto-legge 30 settembre 1994, n. 564, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 novembre 1994, n. 656, riguardanti l'accertamento con adesione; c) il quarto comma dell'articolo 54 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, riguardante l'applicazione in misura ridotta delle sanzioni in caso di rinuncia all'impugnazione dell'accertamento. 2. Con effetto dalla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo sono abrogate tutte le altre disposizioni con esso incompatibili. 3. Le disposizioni dei capi II e III del titolo I possono essere integrate o modificate con regolamento da emanare ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400.
InquadramentoAll'esito della notifica dell'avviso di accertamento il contribuente può attivare, per quanto rileva ai presenti fini, tre diversi istituti per una definizione agevolata degli obblighi derivanti dallo stesso, tra loro alternativi (Cass. V, n. 12006/2015). Sono tutti fondati su distinte condizioni ed operanti all'esito di tre distinti procedimenti, aventi in comune il presupposto temporale costituito dall'attivazione entro il termine per la proposizione dell'impugnazione del provvedimento innanzi alla Commissione tributaria. Trattasi della c.d. «acquiescenza», con il pagamento delle sanzioni nella misura ridotta ex art. 15 del d.lgs. 19 giugno 1997, n. 218 (di seguito: «d.lgs. n. 218»), della definizione agevolata delle sole sanzioni, ridotte ex art. 17, comma 2, del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, e della definizione, mediante accertamento con adesione, tanto delle imposte quanto delle sanzioni, anche esse in misura ridotta ex art. 2 del d.lgs. n. 218 (o art. 3 del medesimo decreto, con riferimento alle altre imposte indirette diverse dall'IVA). Il primo dei detti istituti è disciplinato dall'art. 15 del d.gs. n. 218 il quale prevede la riduzione ad un terzo delle sanzioni, nel caso in cui il contribuente rinunci ad impugnare l'avviso di accertamento o di liquidazione ed a formulare istanza di accertamento con adesione, provvedendo a pagare, entro il termine per la proposizione del ricorso, le somme complessivamente dovute (già considerata la riduzione di cui innanzi). Emerge quindi la ratiodeflativa che consente, da un lato, all'Erario, di incassare in breve termine gli importi dovuti, evitando contenzioso o riscossione dei detti importi tramite ruolo, e, dall'altro, al contribuente, che ritiene non sussistano valide ragioni per contrastare l'accertamento notificatogli, di versare solo in parte le sanzioni irrogategli. In ragione delle finalità di cui innanzi la Suprema Corte affronta le questioni giuridiche inerenti la rilevanza di un comportamento concludente nel senso della rinuncia ad impugnare ed a proporre istanza di definizione mediante accertamento con adesione. Essa considera altresì le conseguenze delle differenze tra acquiescenza, accertamento con adesione e definizione agevolata del rapporto sanzionatorio. In merito invece alla rilevanza delle abrogazioni di cui all'art. 17 del d.lgs. n. 218, con particolare riferimento all'irrilevanza delle cause ostative (di esclusione e di inammissibilità) all'accertamento con adesione, previste della pregressa disciplina, Cass.S.U., n. 14697/2005 conferma la caduta della preclusione penale (sulla disciplina dell'acquiescenza e delle altre disposizioni finali del d.lgs. n. 218 si veda, per tutti: Versiglioni, 112). Omessa impugnazione ratio, sanzioni applicabili e rilevanza del «comportamento concludente»L'art. 15 del d.lgs. n. 218 disciplina il c.d. istituto dell'«acquiescenza», prevedendo la riduzione ad un terzo delle sanzioni per le violazioni indicate nel precedente art. 2, comma 5 (quindi in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto), oltre che negli artt. 71 e 72 del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (in materia di imposta di registro), nonché 50 e 51 del d.P.R. 31 ottobre 1990, n. 346 (in materia di imposta sulle successioni e sulle donazioni). Ciò nel caso in cui il contribuente rinunci ad impugnare l'avviso di accertamento o di liquidazione ed a formulare istanza di accertamento con adesione, provvedendo a pagare, entro il termine per la proposizione del ricorso, le somme complessivamente dovute (già considerata la riduzione di cui innanzi). Nel caso di più violazioni la riduzione effetto dell'«acquiescenza», in ogni caso, non può essere inferiore ad un terzo dei minimi edittali previsti per le violazioni più gravi, relative a ciascun tributo. L'istituto si applica altresì al caso in cui il contribuente rinunci ad impugnare l'avviso di liquidazione emesso a seguito della decadenza dalle agevolazioni specificamente previste, con la tecnica del rinvio, nel comma 3 del medesimo art. 15. Per esplicita disposizione del comma 2 del detto art. 15, all'“acquiescenza” si applicano le disposizioni di cui agli artt. 2, commi 3, 4, e 5, ultimo periodo, ed 8, commi 2, 3 e 4, del medesimo d.lgs. n. 218/1997, ai cui commenti, quindi, in questa sede si fa rinvio. Con la disposizione di cui innanzi viene quindi riconosciuta al contribuente la possibilità di prestare completa acquiescenza agli addebiti riportati nell'atto impositivo ricevuto, conseguentemente rinunciando espressamente alla facoltà di proporre ricorso dinanzi alla competente Commissione tributaria e di avvalersi della procedura di accertamento con adesione, ottenendo, in tal modo, l'evidenziata riduzione della sanzione. Emerge quindi la ratio deflativa dell'istituto, che consente, da un lato, all'Erario, di incassare in breve termine gli importi dovuti, evitando contenzioso o riscossione dei detti importi tramite ruolo, e, dall'altro, al contribuente, che ritiene non sussistano valide ragioni per contrastare l'accertamento notificatogli, di versare solo in parte le sanzioni irrogategli. Proprio dalla detta ratio la Suprema Corte muove per ritenere operante l’istituto in esame anche in relazione ad addebiti dotati di autonoma rilevanza, ancorché, ricompresi in un unico avviso di accertamento. La scelta discrezionale dell’Amministrazione finanziaria circa la pluralità di addebiti in unico atto di accertamento non può difatti precludere al contribuente la possibilità di agire dinanzi al giudice tributario per contestarne alcuni ed al tempo stesso di accedere, per altri, all’istituto di carattere premiale di cui al citato art. 15 (Cass. V, n. 11497/2018). La giurisprudenza ha dovuto risolvere la questione dell'equiparazione del pagamento dell'imposta maggiorata delle sanzioni, determinate in applicazione del citato art. 15, alla rinunzia all'impugnazione ed alla formulazione dell'istanza di accertamento con adesione. Alla questione di cui innanzi la Suprema Corte fornisce risposta affermativa, ritenendo che il pagamento dell'imposta e della relativa sanzione, ridotta ex art. 15 cit., effettuato nei termini per impugnare l'atto impositivo, sia preclusivo della successiva impugnazione con la quale si contesti, nel merito, la sussistenza del presupposto impositivo. Tale condotta difatti integrerebbe un comportamento concludente circa l'adesione alla misura agevolativa in esame. Ne conseguirebbe la preclusione della successiva impugnazione oltre che dell'istanza di definizione mediante accertamento con adesione (Cass. VI, n. 23477/2017, in senso conforme si veda altresì la precedente Cass. V, n. 18900/2016, che, in merito, fa un parallelismo con quanto già statuito dalla giurisprudenza di legittimità in materia di definizione agevolata e di versamento di sanzioni in misura ridotta a titolo di ravvedimento operoso ex art. 13 del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472). Differenze e rapporti tra c.d. «acquiescenza» e definizione agevolata del rapporto sanzionatorioAll'esito della notifica dell'avviso di accertamento il contribuente può attivare, per quanto rileva ai presenti fini, tre diversi istituti per una definizione agevolata degli obblighi derivanti dallo stesso. Trattasi di strumenti fondati su distinte condizioni ed operanti all'esito di tre distinti procedimenti, aventi in comune il presupposto temporale costituito dall'attivazione entro il termine per la proposizione dell'impugnazione del provvedimento innanzi alla commissione tributaria. Essi sono: la c.d. «acquiescenza», con il pagamento delle sanzioni nella misura ridotta ex art. 15 del d.lgs. n. 218; la definizione agevolata delle sole sanzioni, ridotte ex art. 17, comma 2, del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 del 1997, e la definizione, mediante accertamento con adesione, tanto delle imposte quanto delle sanzioni, anche esse in misura ridotta ex art. 2 del d.lgs. n. 218 (o art. 3 del medesimo decreto, con riferimento alle altre imposte indirette diverse dall'IVA). La prassi amministrativa coordina gli istituti dell'accertamento con adesione e della definizione agevolata delle sole sanzioni, di cui al citato l'art. 17, nell'ottica di assicurare la più ampia possibilità di deflazione del contenzioso Essa ritiene difatti che l'istanza di accertamento con adesione sospenda il termine per l'impugnazione, spostando in avanti anche il termine per la definizione agevolata delle sole sanzioni. Sicché, nel caso in cui il primo procedimento non si concluda con un accertamento con adesione il contribuente potrebbe comunque definire le sole sanzioni con il pagamento in misura ridotta (ex art. 17, comma 2, cit.), sempre che sia ancora definibile in quanto non decorso il termine per impugnare. In tal senso si veda Circ. Ag. Ent., 19 giugno 2012, n. 25/E, per la quale l'art. 17, comma 2, del d.lgs. n. 472 del 1997 non prevede quale causa di preclusione alla definizione agevolata delle sole sanzioni la formulazione dell'istanza di adesione, differentemente da quanto previsto dall'art. 15 del d.lgs. n. 218 con riferimento all'omessa impugnazione (cioè alla c.d. acquiescenza). Tale impostazione permea anche la giurisprudenza di merito, invece non condivisa in sede di legittimità. Le Commissini tributarie per lo più interpretano il combinato disposto degli artt. 6, comma 3, del d.lgs. n. 218 e 17, comma 2 del d.lgs. n. 472 del 1997 nel senso per il quale, sospeso il termine per l'impugnazione (ex art. 6), in caso di esito negativo della proceduta di accertamento con adesione sarebbe possibile procedere per la definizione agevolata delle sole sanzioni (ex art. 17), sempre che non sia decorso il termine di impugnazione (come dispone il secondo comma del citato art. 17). Tale interpretazione sarebbe altresì coerente, oltre che con la lettera della legge (art. 17, comma 2, cit.), con la complessiva ratio perseguita dal legislatore, cioè con l'intento di concedere benefici ai contribuenti virtuosi che rinuncino all'impugnazione degli atti di accertamento (ex plurimis, Comm. trib. reg. Torino 25 luglio 2008, n. 49; circa i rapporti, invero, potremo dire, sotto tale aspetto, «pacifici», tra accertamento con adesione e «acquiescenza», si veda Comm. trib. reg. Roma 1 febbraio 2013, n. 101, per la quale il contribuente che non rinuncia ad impugnare l'avviso di accertamento e a formulare istanza di accertamento con adesione non può usufruire della riduzione delle sanzioni ex art. 15 del d.lgs. n. 218). Contra, come detto, la Suprema Corte, per la quale le due procedure in esame, accertamento con adesione e definizione agevolata delle sole sanzioni, sono istituti alternativi non cumulabili tra loro. Sicché, il termine per beneficiare della riduzione delle sanzioni (17, comma 2) deve essere calcolato senza tenere conto della eventuale sospensione prevista dalla disciplina dell'accertamento con adesione (art. 6, comma 3, del d.lgs. n. 218 ed anche il successivo art. 12). In particolare, Cass. V, n. 12006/2015, argomenta delle rationes degli istituti di cui innanzi per disciplinarne i relativi rapporti, ritenendo che, per finalità deflattive, il legislatore, consenta al contribuente, che abbia ricevuto un avviso di accertamento, di ottenere un più favorevole trattamento sanzionatorio e/o evitare il contenzioso attraverso tre istituti, tutti da attivare al massimo entro il termine per proporre ricorso avverso l'atto impositivo, alternativi tra loro. Trattasi della cd. acquiescenza, di cui all'art. 15 del d.lgs. n. 218, dell''accertamento con adesione, di cui al d.lgs. n. 218 (del quale gli artt. 6 e 12 disciplinano le istanze del contribuente) e la cd. definizione agevolata (o in via breve) delle sanzioni, di cui all''art. 17, comma 2, del d.lgs. n. 472 del 1997. Con il primo citato istituto, precisa la Suprema Corte, viene consentita al contribuente la possibilità di prestare completa acquiescenza agli addebiti riportati nell'atto impositivo ricevuto, conseguentemente rinunciando espressamente alla facoltà di proporre ricorso dinanzi alla competente Commissione tributaria e di avvalersi della procedura di accertamento con adesione, ottenendo in tal modo la riduzione della sanzione. Emerge quindi la ratiodeflativa dell'istituto che consente, da un lato, all'Erario, di incassare in breve termine gli importi dovuti, evitando contenzioso o riscossione dei detti importi tramite ruolo, e, dall'altro, al contribuente, che ritiene non sussistano valide ragioni per contrastare l'accertamento notificatogli, di versare solo in parte le sanzioni irrogategli. Con l'accertamento con adesione (cd. «concordato») viene consentito al contribuente, che ritiene possibile addivenire in contraddittorio con l'Agenzia ad un componimento bonario rispetto alla pretesa impositiva, «patteggiare l'imponibile accertato dall'Ufficio» ed ottenere uno sconto sulle sanzioni irrogate. Ai sensi dell'art. 2, comma 3, (e 3, comma 4) del d.lgs. n. 218, successivamente alla definizione dell'accertamento, quest'ultimo, non è più impugnabile dal contribuente né modificabile o integrabile dall'Ufficio (di regola e salvo le eccezioni di cui al comma quarto del citato art. 2). L'attivazione della procedura comporta, ai sensi dell'art. 6, comma 3, (e 12, comma 2) del citato decreto, l'automatica sospensione del termine per impugnare l'atto di accertamento, per un periodo di novanta giorni a decorrere dalla data di presentazione o spedizione dell'istanza. In tal modo garantendosi al contribuente, che non riesca ad accordarsi con l'Ufficio, la possibilità di proporre ricorso alla competente Commissione provinciale. Con l'istanza di accertamento con adesione il contribuente difatti non presta affatto acquiescenza rispetto alla pretesa fiscale, sicché gli viene consentito, in caso di mancato accordo con l'Ufficio, di contestarla successivamente, perdendo ovviamente il beneficio della riduzione delle sanzioni. La disposizione in esame consente al contribuente di chiedere all'Ufficio la formulazione della proposta di accertamento, ai fini dell'eventuale definizione con le forme dell'adesione, ma la scelta di invitarlo ad aderire alla «definizione transattiva» e di fissarne il contenuto è riservata all'Amministrazione finanziaria, con la conseguenza che, qualora la stessa ritenga di non addivenire all'accordo, non spetta la riduzione delle sanzioni. La ratiodeflattiva dell'istituto, anche in questo caso è evidente, consentendo, da un lato, all'erario di trovare un accordo su questioni non pacifiche inerenti la pretesa fiscale, evitando in tal modo il contenzioso ed incassando in breve tempo gli importi dovuti, e, dall'altro, al contribuente di pagare in misura ridotta le sanzioni (Cass. V, n. 12006/2015; per la tesi per la quale nel caso di mancata integrazione del contraddittorio endoporcedimentale da parte dell'Ufficio, all'esito dell'istanza di definizione da parte del contribuente, non spetta la riduzione delle sanzioni si veda anche Cass. V, n. 1839/2010). Con l'istituto della cd. definizione agevolata delle sanzioni («definizione in via breve»), disciplinato dall'art. 17, comma 2, del d.lgs. n. 472 del 1997, viene invece consentito al contribuente di estinguere l'obbligazione sanzionatoria nascente dalla violazione commessa, pagando, entro un determinato termine, una somma a titolo di sanzione amministrativa di ammontare ridotto rispetto alle sanzioni irrogate. Tale definizione agevolata è riferita solo alle sanzioni (come chiarito anche da Circ. Min. Fin., 10 luglio 1998, n. 180/E) e comporta quindi l'estinzione dell'eventuale controversia solo limitatamente ai profili sanzionatoli derivanti dalla violazione delle norme tributarie. Ferma restando la contestabilità, in sede giudiziale, degli aspetti legati al pagamento dell'imposta da cui scaturisce la sanzione. Laratiodell'istituto, chiarisce ancora una volta la Suprema Corte, è dunque quella di consentire all'Erario di incassare, in tempi rapidi seppur in misura ridotta, le sanzioni irrogate ed al contribuente, che ritiene di essere nel giusto senza tuttavia averne la certezza, di bloccare le sanzioni ridotte versando il corrispondente ammontare, e, nello stesso termine di legge, proporre eventuale ricorso alla Commissione tributaria. Sicché, nel caso di istanza di accertamento con adesione non andata a buon fine, il contribuente perde, attesa appunto la presentazione dell'istanza e l'esito negativo della stessa, sia la possibilità di ottenere la riduzione delle sanzioni, prevista dall'art. 2, comma 5, del d.lgs. n. 218 solo a seguito di definizione positiva, sia la possibilità di far ricorso all'acquiescenza di cui all'art. 15 del d.lgs. n 218, espressamente condizionata proprio alla rinuncia a formulare istanza di accertamento con adesione. La presentazione dell'istanza di accertamento con adesione non consente, infine, al contribuente di beneficiare della definizione agevolata delle sanzioni, di cui all'art. 17, comma 2 del d.lgs. n. 472 del 1997, concernente le sanzioni in generale, atteso che, in ordine alle «sanzioni per le violazioni concernenti i tributi oggetto dell'adesione commesse nel periodo di imposta», vi è la specifica previsione di cui al d.lgs. n 218, artt. 2, comma 5, e 15, comma 1» (Cass. V, n. 12006/2015). La dottrina che affronta lo specifico quesito di diritto di cui innanzi mostra di aderire all'evidenziato orientamento di merito (in linea con la citata prassi avvalorata anche Circ. Ag. Ent., 19 giugno 2012, n. 25/E). Essa prende invece le distanze dell'approdo della giurisprudenza di legittimità (in particolare Cass. V, n. 12006/2015), ritenendolo contrastante con la lettera dell'art. 17, comma 2, del d.lgs. n. 472 del 1997, il quale espressamente ammette la definizione agevolata delle sole sanzioni entro il termine previsto per la proposizione del ricorso, e con la relativa ratio. Quest'ultima difatti porrebbe l'istituto della cd. definizione agevolata delle sanzioni come soluzione della secca alternativa tra contenzioso e definizione agevolata delle sole sanzioni. Tale alternativa per il contribuente, nel caso di avvio dell'accertamento con adesione, si porrebbe solo alla nuova scadenza del termine per l'impugnazione dell'avviso (ex artt. 6, comma 3, o 12, comma 2, del d.lgs. n. 218). La tesi opposta (criticata) colloca invece l'istituto nell'alternativa tra definizione delle sole sanzioni e adesione, estranea alla ratio del citato art. 17, comma 2 (Bodrito, 783 e 787). La dottrina in esame, dopo aver evidenziato che la contrapposta tesi della Suprema Corte, sostanzialmente, conclude nel senso per il quale l'istanza di definizione mediante accertamento con adesione impedisce la definizione della sola sanzione ex art. 17 del d.lgs. n. 472 del 1997, si pone il problema, inverso. Si interroga in particolare in ordine al se si possa chiedere la definizione mediante accertamento con adesione nel caso di definizione delle sole sanzioniex art. 17 cit. Seguendo il ragionamento del Giudice di legittimità, sempre per la tesi in argomento, dovrebbe escludersi che, entro il termine per l'impugnazione dell'avviso, il contribuente possa prima definire le sanzioni (ex art. 17, comma 2, cit.) e poi attivare l'accertamento con adesione. Tale inammissibilità confermerebbe che l'arresto di legittimità muove da una interpretazione («salva la lite») che pone la definizione agevolata delle sanzioni in alternativa all'accertamento con adesione e non in alternativa secca con la sola lite che, invece, sarebbe inutile, con riferimento al comune obiettivo di deflazionare il contenzioso. L'accertamento con adesione potrebbe difatti risolvere «la disputa e tutta la disputa, laddove la definizione agevolata delle sole sanzioni comporterebbe solo un alleggerimento della disputa a fronte delle insistite ragioni dell'agenzia» (Bodrito, 783 e 787, il quale fa esplicito riferimento alla tesi di Basilavecchia, 583, che, nel propone una razionalizzazione degli istituti deflattivi del contenzioso, annovera la categoria delle «definizioni agevolate nelle quali il contribuente si arrende», provvedendo subito a pagare il dovuto; premesso ciò, Bodrito, 788, ritiene di collocare la definizione agevolata delle sole sanzioni in tale ultima categoria, sostenendo che il carattere di «resa del contribuente» non venga meno neppure ove la definizione avvenga al termine dell'infruttuoso procedimento dell'accertamento con adesione, in quanto l'Agenzia insiste nella pretesa ed «il contribuente si «arrende» per le sanzioni e alleggerisce il contenzioso»). Si evidenzia altresì che i due istituti di cui innanzi non sarebbero alternativi neanche sotto il profilo dell'ammontare dovuto per ottenere la risoluzione della disputa sulle sanzioni. Le sanzioni dovute ex art. 17, comma 2, del d.lgs. n. 472 del 1997, godono della sola riduzione premiale rispetto all'irrogato. Le sanzioni dovute in base all'accertamento con adesione invece beneficiano, rispetto all'irrogato, della prima riduzione frutto dell'accordo sull'imponibile, e quindi dell'ulteriore riduzione premiale. Sicché, in sintesi, l'avversata interpretazione della giurisprudenza di legittimità finirebbe con l'eliminare un altro strumento deflattivo in invece che eliminare in contenzioso. Da ciò, secondo la dottrina in esame, potrebbero derivare gravissime ripercussioni sui rapporti aperti in quanto chi, seguendo la pressi amministrativa, al termine dell'infruttuoso accertamento con adesione, ha pagato le sanzioni ridotte, ex art. 17, comma 2, cit., e poi persola lite sull'imposta, si trova oggi esposto alla pretesa per la misura piena delle sanzioni. Con la conseguente necessità di una nuova lite per opporre la violazione dell'affidamento generato dall'Agenzia delle entrate (di cui all' art. 10 della l. 27 luglio 2000, n. 212, c.d. «statuto del contribuente»), avendo essa accettato la definizione della pretesa in applicazione della propria prassi, in alcuni casi confermata anche dalla mancata pretesa delle sanzioni dopo un primo grado ad essa favorevole. Sicché, il coordinamento dei detti istituti necessiterebbe di una attenta lettura delle norme dal punto di vista dei soggetti del rapporto tributario. In questa ottica, per la tesi in argomento, è indubbio che il contribuente, sapendo di poter ancora definire le sanzioni in misura ridotta, valuterà con minore interesse la definizione mediante adesione già in fieri (per quanto concerne la riduzione delle sanzioni) rispetto all'ipotesi in cui sappia che l'esito negativo della procedura lascerà al rischio del contenzioso l'aspetto sanzionatorio. Tale evidenza però non esclude che l'opposta tesi sostenuta dalla Suprema Corte, che pone una scelta tragica tra l'adesione all'accertamento o il pagamento delle sole sanzioni in misura ridotta e lite sulle spese, sia troppo sproporzionata oltre che tale addirittura da rafforzare il contenzioso (Bodrito, 783 e 789, per il quale, la definizione delle sanzioni, dal punto di vista del contribuente, si sostanzia nella «resa» alle ragioni dell'Erario ma essa sarà, da parte del contribuente, «comparativamente più accettabile dopo il contraddittorio sull'adesione, rispetto ad una resa che non sia in nessun caso preceduta da un contraddittorio amministrativo»; lo stesso autore di cui innanzi, per la dottrina che sottolinea la necessità di un'attenta riflessione per riesaminare il coordinamento degli istituti deflattivi dal punto di vista dei soggetti del rapporto tributario, indica Basilavecchia, 583). Le abrogazioni e l'irrilevanza delle cause ostative (di esclusione e di inammissibilità) della pregressa disciplinaL'art. 17 del d.lgs. n. 218 è dedicato alle abrogazioni, oltre che alla delegificazione. In merito alla loro portata un iniziale contrasto in seno alla giurisprudenza di legittimità è composto dall'intervento nomofilattico delle Sezioni Unite del 2005, al quale mostra di aderire la successiva giurisprudenza. Circa i termini della questione occorre premettere che con l'accertamento con adesione regolato dall'art. 2-bis del d.l. n. 564 del 1994 non era ammesso nel caso di conoscenza, da parte dell'Ufficio, di elementi, dati e notizie relativi agli illeciti tributari penali di cui agli artt. da 1 a 4 del d.l. 10 luglio 1982, n. 429 (conv. dalla l. 7 agosto 1982, n. 516). Il d.lgs. n. 218, che revisiona l'istituto (come introdotto del 1994), estendendone peraltro l'applicabilità a tutti i contribuenti ed a tutte le categorie reddituali, non prevede cause di inammissibilità o di esclusione dal beneficio, abrogando peraltro (con l'art. 17) il citato art. 2-bis, che le prevedeva, nonché disponendo, ex art. 2, comma 6, che la nuova disciplina sia applicabile anche alle dichiarazioni presentate entro il 30 settembre 1994. Sicché si è posto il problema dell'operatività, con riferimento all'applicazione del «revisionato» istituto, delle dette cause di esclusione e di inammissibilità, che l'art. 3 del d.l. n. 564 del 1994 richiamava attraverso l'art. 2-bis (ora abrogato) dello stesso d.l. n. Un primo orientamento ritiene non più operative le cause di esclusione e di ammissibilità che l'art. 3 del d.l. n. 564 del 1994 richiamava attraverso l'art. 2-bis (poi abrogato nel 1997) del citato d.l. (ex plurimis: Cass. V, n. 7161/2002; Cass. V, n. 8864/2002). Per converso, secondo altra impostazione, ai fini della sussistenza e dell'individuazione dei presupposti per l'applicazione dell'istituto, occorre aver riguardo alla normativa al momento in vigore. Sicché, gli effetti così prodotti e consolidatisi non sono modificabili, in mancanza di espressa previsione contraria, dalla nuova disciplina dell'accertamento con adesione, introdotta dal d.lgs. n. 218, che ha eliminato le limitazioni e le condizioni invece previste dalla previgente disciplina del 1994 (ex plurimis: Cass. V, n. 7666/2003 e Cass. V, n. 10102/2002; si vedano altresì Cass. V, n. 10091/2003 e Cass. V, n. 3932/2002). Il primo dei due orientamenti è infine avallato da Cass.S.U., n. 14697/2005 per le quali, in estrema sintesi, nell'ipotesi di sopravvenuta conoscenza da parte dell'Ufficio di una causa ostativa, ex art. 2-bis del d.l. n. 564 del 1994 (richiamato anche dal successivo art. 3) non è possibile la revoca della precedente definizione. Ciò in quanto si applica la disciplina dell'art. 2, comma 2, del d.lgs. n. 218, che ha introdotto una causa di esclusione della punibilità per gli stessi reati che, vigente la precedente normativa, costituivano causa ostativa alla definizione. Per l'iter logico-giuridico seguito dai due contrapposti orientamenti e dalle citate Sezioni Unite del 2005, oltre che circa il relativo dibattito dottrinale, anche in ordine all'ammissibilità dell'autoannullamento, si veda il paragrafo relativo all'irrilevanza delle cause ostative, di cui al commento dei precedenti artt. 1, 2 e 3 del d.lgs. n. 218, al quale si rinvia. BibliografiaBasilavecchia, La determinazione concordata della ricchezza, in Riv. Trim. dir. trib., 2015, 3; Bodrito, Irap per i lavoratori subordinati e definizione agevolata delle sanzioni, in Corr. trib., 2016, 10; Versiglioni, Accertamento con adesione, Padova, 2011; si rinvia altresì integralmente alla bibliografia indicata in sede di commento a tutti i precedenti articoli del d.lgs. n. 218 del 1997. |