Legge - 27/07/2000 - n. 212 art. 16 - Coordinamento normativo.Coordinamento normativo. 1. Il Governo è delegato ad emanare, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, previo parere delle competenti Commissioni parlamentari, uno o più decreti legislativi recanti le disposizioni correttive delle leggi tributarie vigenti strettamente necessarie a garantirne la coerenza con i principi desumibili dalle disposizioni della presente legge1. 2. Entro il termine di cui al comma 1 il Governo provvede ad abrogare le norme regolamentari incompatibili con la presente legge. [1] Vedi d.lgs. 26 gennaio 2001, n. 32. InquadramentoLa legge 27 luglio 2000, n. 212, recante la disciplina dello Statuto dei diritti del contribuente, ha previsto il riconoscimento di alcuni diritti fondamentali dei cittadini nei confronti del Fisco. Per adeguare il sistema tributario alle generali previsione dello Statuto, con il d.lgs. del 26 gennaio 2001, n. 32, sono state emanate, ai sensi dell'articolo 16, comma 1, in commento, disposizioni correttive delle leggi tributarie vigenti al fine di garantirne la coerenza con i principi contenuti nello Statuto. In particolare, sono state apportate modifiche ed integrazioni in materia di liquidazione delle imposte, motivazione degli atti dell'amministrazione finanziaria, sanzioni per violazioni tributarie di natura formale, riscossione dei tributi e mancato o irregolare funzionamento degli uffici. Disposizioni correttive delle leggi tributarie vigentiLo Statuto contiene disposizioni di vario genere, tutte accomunate dalla qualifica di «principi generali dell'ordinamento tributario», in specie, riconducibili a: principi in materia di legificazione tributaria (artt. da 1 a 4); principi in materia di procedimento accertativo e di tutela dei diritti del contribuente (artt. da 5 a 12, e da 14 a 16); norme sul c.d. Garante del contribuente (art. 13). Le dirompenti novità che si attendevano dall'entrata in vigore dello Statuto necessitavano, nella mente del legislatore, di una rivisitazione complessiva dell'ordinamento tributario onde renderlo conforme alla nuova era. Ciò illumina sulla ragion d'essere dell'art. 16 in commento, che, al comma 1, aveva in animo di risolvere le antinomie attraverso l'emanazione di uno o più decreti legislativi definibili di armonizzazione. Il limitato ambito di intervento dei decreti è tradito da una formula letterale piuttosto severa, secondo cui essi avrebbero dovuto recare semplici «disposizioni correttive delle leggi tributarie vigenti», per di più «strettamente necessarie a garantirne la coerenza con i principi desumibili dalle disposizioni dell[o Statuto]». È chiaro che il punto di vista del legislatore statutario delegante era ottimistico, siccome presupponente che il mare magnum della produzione primaria in materia di diritto tributario necessitasse di una semplice rinfrescata correttiva. Ma, in disparte un'amara constatazione di irrealismo, il dato giuridicamente rilevante è che la delega che ne occupa non abilitava il legislatore delegato ad alcuna rivisitazione per così dire radicale della legislazione, sciogliendo le contraddizioni in funzione della prevalenza dello Statuto in guisa da riconoscere allo stesso un forza abrogatrice espressamente negletta. Anzi, la prospettiva della delega appare ex post tanto più angusta, non tanto perché uno solo, e modesto, è stato il decreto legislativo adottato, quanto piuttosto perché esso comunque avrebbe dovuto mantenersi entro i binari della «stretta necessità» funzionale alla coerenza, neppure con le disposizioni statutarie, ma con la loro superfetazione sistemica, rappresentata da evanescenti «principi desumibili dalle disposizioni dell[o Statuto]». Talché par di potersi concludere che le previsioni pregresse pur contrastanti con le disposizioni statutarie e finanche con i principi che si ritenga, o, meglio, si sia ritenuto di ricavarne, seguitano a vigere: opinare diversamente significherebbe forzare lo strumento della delega sino al punto di farle dire quel che essa non dice, viepiù in difetto di alcun criterio direttivo: d'altronde, a tagliare la testa al toro, soccorre la considerazione che, non essendo lo Statuto dotato di una forza attiva super-primaria vincente nel confronto con altre fonti primarie, il mancato esercizio della delega per ripulire l'ordinamento tributario dalle deviazioni in contrasto con lo Statuto impedisce a priori di apprezzare l'occasio dell'esercizio di un potere legislativo delegato pur illegittimamente volto a svecchiare veramente il paese. Fermo quanto precede, del tutto inutile è la previsione di delega di cui al comma 2 dell'art. 16 in commento, atteso che la normativa secondaria soccombe per definizione dinanzi alla normativa primaria contrastante pur successiva. Analizzando la questione della forza dello Statuto, vale a dire se esso sia da considerarsi una Legge di rango costituzionale o paracostituzionale o una legge ordinaria, occorre evidenziare che la legge 212 del 2000 è stata approvata dal Parlamento secondo il procedimento ordinario per la formazione delle Leggi: ne consegue che essa, nonostante il richiamo ad alcune disposizioni costituzionali e il tenore dei principi che contiene, non assurge al rango costituzionale o paracostituzionale (sul punto: Marongiu, 2069; D'Avala Valva, 1045; Serranò, 170). Esclusa la natura di legge costituzionale dello Statuto, va anche negata quella di egge «rinforzata» (tale soluzione è invece auspicata da Antonini, 639; e Leo, 13); è noto, infatti, che, secondo l'insegnamento costante della dottrina, una legge può definirsi «rinforzata» quando trae maggiore forza, oltre che dal contenuto delle disposizioni che reca, da un quid pluris, rappresentato dalla peculiarità del procedimento di approvazione all'interno del quale si inseriscono ulteriori fasi rispetto a quello ordinario (cfr., per tutti: Crisafulli, 201; in senso critico nei confronti della categoria delle leggi rinforzate, Modugno, 40). Sebbene le norme dello Statuto del contribuente siano state emanate in attuazione degli artt. 3,23,53 e 97 Cost. e qualificate espressamente come principi generali dell'ordinamento tributario e sebbene, in alcuni casi, esse siano idonee a prescrivere specifici obblighi a carico dell'Amministrazione finanziaria e costituiscano, in quanto espressione di principi già immanenti nell'ordinamento, criteri guida per il giudice nell'interpretazione delle norme tributarie (anche anteriori), esse non hanno rango superiore alla legge ordinaria (di questo avviso: Malagù, 2; Falcone, 11038). Ne consegue che la normativa secondaria non adeguata ai principi generali posti dallo Statuto, è da ritenersi automaticamente abrogata. Tale conclusione non discende, soltanto, dalla collocazione dello Statuto del contribuente e della normativa secondaria su piani in dislivello tra loro per gerarchia formale delle fonti rispettive, ma soprattutto dalla «capacità condizionante» dello Statuto conseguente alla qualificazione di principi generali delle disposizioni ivi contenute (su una disamina circa le norme dello Statuto, quali sintesi dei valori su cui si fonda l'ordinamento tributario che operano anche in funzione di orientamento nella produzione normativa, si veda: Bartole, 500). L'intervento del Governo nel 2001 Con il d.lgs. n. 32/2001, recante «Disposizioni correttive di leggi tributarie vigenti, a norma dell'articolo 16 della l. 27 luglio 2000, n. 212, concernente lo statuto dei diritti del contribuente», il Governo è – eterogeneamente, ossia, tanto per cambiare, asistemicamente – intervenuto in materia di: imposta sul valore aggiunto; accertamento delle imposte sui redditi; riscossione delle imposte sul reddito; imposta di registro; imposta sulle successioni e donazioni; istituti doganali e revisione delle procedure di accertamento; disposizioni sul processo tributario; ordinamento e funzioni del Consiglio di Stato o della Corte dei conti; unificazione ai fini fiscali e contributivi delle procedure di liquidazione, riscossione e accertamento; sanzioni amministrative per le violazioni di norme tributarie. Liquidazione delle imposte: le novità dello StatutoIn tema di conoscenza degli atti e di semplificazione delle procedure, l'art. 6, comma 5, St., prevede che l'amministrazione finanziaria, prima di procedere alle iscrizioni a ruolo derivanti dalla liquidazione di tributi risultanti da dichiarazioni, qualora sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione, deve invitare il contribuente a fornire i chiarimenti necessari o a produrre i documenti mancanti entro un termine congruo e comunque non inferiore a trenta giorni dalla ricezione della richiesta. In effetti, l'incombenza per l'amministrazione finanziaria di comunicare agli interessati, prima dell'iscrizione a ruolo, l'esito della liquidazione effettuata a seguito dei controlli automatici delle dichiarazioni era già prevista dall'articolo 36-bis, comma 3, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, nel settore delle imposte dirette, e dall'articolo 54-bis, comma 3, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, in materia di IVA. Ugualmente dicasi circa la comunicazione dell'esito della liquidazione eseguita a seguito del controllo formale, in materia di imposte dirette, già prevista dall'articolo 36-ter, comma 4, del citato d.P.R. n. 600 del 1973 (cfr. Circ. Ag. Entrate, 3 agosto 2001 n. 77). Peraltro, dall'esame dell'art. 6, comma 5, cit., sono desumibili i seguenti elementi di novità: l'ulteriore incombenza per l'amministrazione finanziaria, qualora emergano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione, di invitare il contribuente ad un contraddittorio effettivo; la specificazione delle modalità, comunque non tassative, con le quali deve avvenire la comunicazione (a mezzo del servizio postale o con mezzi telematici), fermo restando che la comunicazione non è dovuta se l'iscrizione a ruolo riguarda tributi per i quali il contribuente non è tenuto ad effettuare il versamento diretto (così, per esempio, non occorre, a parte l'ovvio caso di iscrizione a ruolo conseguente alla notifica di atti impositivi, anche nel caso previsto dall'art. 32 del d.lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, di riscossione spontanea a mezzo ruolo); l'espressa previsione della nullità dell'iscrizione a ruolo eseguita senza il rispetto delle anzidette nuove regole. Le regole procedimentali introdotte consentono al contribuente, attraverso un'ulteriore attività propositiva, prima dell'iscrizione a ruolo, di eliminare dubbi e perplessità derivanti dalle dichiarazioni presentate. Modifiche al decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600 In svolgimento dell'art. 6, comma 5, St., con l'art. 1, comma 1, lettere a) e b), d.lgs. n. 32/2001, sono stati modificati gli articoli 36-bis e 36-ter d.P.R. n. 600 del 1973, i quali peraltro già stabilivano, nella loro versione originaria, che, qualora dai controlli a seguito di procedure automatizzate effettuati dagli Uffici emergesse un risultato diverso da quello indicato nella dichiarazione, l'esito della liquidazione e del controllo doveva essere comunicato al contribuente o al sostituto d'imposta: ma di semplice comunicazione – a valenza informativa – si trattava. Con le integrazioni apportate viene ora espressamente previsto che i chiarimenti necessari e i documenti mancanti, oltre che su specifico invito contenuto nella comunicazione relativa agli esiti della liquidazione, possono essere forniti anche per autonoma iniziativa del contribuente. La ricorrenza dell'uno o dell'altra ipotesi assume rilevanza agli effetti del beneficio della riduzione ad un terzo delle sanzioni dovute. Da notare che il termine congruo entro cui fornire chiarimenti o documenti è stabilito in trenta giorni. In linea con il principio (contenuto nel comma 4, dell'art. 6, St.), secondo il quale al contribuente non possono essere richiesti documenti ed informazioni già in possesso dell'amministrazione finanziaria o di altre amministrazioni pubbliche indicate dal contribuente, il d.l. 30 aprile 2019, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla l. 28 giugno 2019, n. 58, recante “Misure urgenti di crescita economica e per la risoluzione di specifiche situazioni di crisi”,emanato, appunto, per fronteggiare la crisi economica in atto ed introdurre misure straordinarie di crescita, ha inserito all'art. 36-ter il “nuovo” comma 3-bis. Questo, vieta alle amministrazioni, impegnate al controllo formale delle dichiarazioni di chiedere ai contribuenti documenti relativi a informazioni disponibili nell'anagrafe tributaria o a dati trasmessi da parte di soggetti terzi in ottemperanza a obblighi dichiarativi, certificativi o comunicativi, salvo che la richiesta riguardi la verifica della sussistenza di requisiti soggettivi che non emergono dalle informazioni presenti nella stessa anagrafe ovvero elementi di informazione in possesso dell'amministrazione finanziaria non conformi a quelli dichiarati dal contribuente. Eventuali richieste di documenti effettuate dall'amministrazione per dati già in suo possesso sono considerate inefficaci. Modifiche al decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 Analoghe modifiche sono state apportate all'art. 54-bis del d.P.R. n. 633 del 1972, concernente la liquidazione dell'imposta sul valore aggiunto dovuta in base alle dichiarazioni, prevedendosi che, in sede di liquidazione, il contribuente possa fornire i chiarimenti e le osservazioni richiesti dall'amministrazione finanziaria entro i trenta giorni successivi al ricevimento della comunicazione dell'esito della liquidazione stessa. Modifiche al Decreto Legislativo 18 dicembre 1997, n. 462 Il nuovo testo dell'articolo 2, comma 2, del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 462 (concernente l'unificazione delle procedure di liquidazione, riscossione ed accertamento delle imposte dirette e dell'IVA), modificato dall'art. 3 d.lgs. n. 32/2001, introduce una disposizione di favore per il contribuente e per il sostituto d'imposta. Infatti il termine di trenta giorni per eseguire il pagamento della maggiore imposta liquidata e beneficiare così della riduzione ad un terzo delle sanzioni dovute, oltre che dalla data di ricevimento della comunicazione prevista dal comma 3 di entrambi gli artt. 36-bis d.P.R. n. 600 del 1973 e 54-bisd.P.R. n. 633 del 1972, decorrere ora altresì dalla data della comunicazione definitiva contenente la rideterminazione in sede di autotutela delle somme dovute a seguito dei chiarimenti forniti dal contribuente o dal sostituto d'imposta. Per chiarire l'effettiva portata della novità, occorre distinguere due ipotesi. Se la comunicazione contiene l'espresso e specifico invito, da parte dell'ufficio, alla presentazione di documenti o chiarimenti, il contribuente, aderendo tempestivamente alla richiesta, acquisisce il diritto a ricevere la comunicazione definitiva e, effettuando poi il pagamento entro trenta giorni, usufruisce della riduzione a un terzo della sanzione, sia che l'imposta dovuta sia stata rideterminata in sede di autotutela, sia che la stessa sia stata semplicemente confermata; in altre parole, se l'iniziativa è dell'ufficio, il contribuente viene in ogni caso riammesso nei termini ai fini della riduzione di cui trattasi. Se, invece, l'iniziativa in ordine alla presentazione di documenti o chiarimenti sia assunta autonomamente dal contribuente, la possibilità per lo stesso di pagare entro trenta giorni dalla comunicazione definitiva, mantenendo però al contempo il diritto alla riduzione della sanzione, sussiste solo se l'imposta viene rideterminata in sede di autotutela; non si verifica quindi la riammissione nei termini se le deduzioni di parte vengono disattese dall'ufficio e l'imposta liquidata viene confermata; resta inteso che nella comunicazione definitiva (anche in tal caso necessaria) vanno indicati i motivi che hanno indotto l'ufficio a respingere le deduzioni del contribuente (Cfr. Circ. Ag. Entrate, n. 77/2001, cit.). Motivazione degli atti dell'amministrazione finanziariaL'art. 7 St. enuncia il principio di chiarezza e motivazione degli atti dell'amministrazione finanziaria (sul punto si vedano: Patrizi-Marini, 12134; Glendi-Bruzzone, 547). Detti atti devono essere motivati con l'indicazione dei presupposti di fatto e delle ragioni di diritto che hanno determinato l'adozione del provvedimento e, qualora nella motivazione si faccia riferimento ad altro atto, quest'ultimo deve essere allegato all'atto che lo richiama. A dire il vero, non si tratta di una novità assoluta, attesa la desumibilità del principio in parola già dalla legge 7 agosto 1990, n. 241, c.d. legge Nigro, recante più in generale norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi: in base all'art l. n. 241 del 1990, infatti, ogni provvedimento amministrativo deve essere congruamente motivato e, nei casi di motivazione per relationem, ossia quando la motivazione non risulta dal corpo del provvedimento finale, ma da atti acquisiti nel o comunque appartenenti al procedimento, l'atto stesso deve essere indicato e reso disponibile (Muleo, 535). Al fine di stabilire una continuità logico-sistematica con la legge Nigro e con lo Statuto, il d.lgs. n. 32 del 2001 ha effettuato una serie di interventi sul patrimonio normativo esistente cui ci si accinge ad accennare. L'art. 1, lett. c), n. 1, ha provveduto ad integrare l'art. 42 d.P.R. n. 600 del 1973, in materia di accertamento delle imposte sui redditi. Secondo la nuova formulazione, la motivazione deve evidenziare, oltre l'imponibile accertato, le aliquote applicate e le imposte liquidate, le ritenute d'acconto ed i crediti d'imposta, nonché i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato l'emissione dell' avviso di accertamento. Viene inoltre stabilito che, se la motivazione fa riferimento ad altri atti non conosciuti o ricevuti dal contribuente, l'amministrazione deve, a pena di nullità, allegare l'atto richiamato o, in alternativa, riprodurne il contenuto essenziale. Di conseguenza, le direttive impartite con la circ. MEF n. 150/E del 1 agosto 2000 (in Finanza e fisco, 2000, 30, 3940) devono intendersi superate nella parte in cui venivano invitati «gli uffici ... ad allegare agli atti di accertamento e di irrogazione di sanzioni copia degli atti richiamati nelle motivazioni ancorché gli stessi siano già stati notificati o comunicati al contribuente...»: qualora, infatti, i processi verbali di constatazione o gli altri atti procedimentali richiamati nella motivazione siano stati preventivamente notificati o comunicati al contribuente, ovvero ancora gli siano comunque noti, gli uffici non hanno alcun obbligo di allegare gli stessi agli avvisi di accertamento; qualora invece detti atti non siano (stati messi) a conoscenza del contribuente, gli uffici potranno scegliere se allegarli in copia o riprodurne nella motivazione non già il contenuto tout court ma soltanto il contenuto essenziale. Per contenuto essenziale deve intendersi l'indicazione degli elementi che assumono rilevanza ai fini dell' accertamento e non gli elementi imprescindibili, agli effetti di forma o sostanza, degli atti stessi: sarà eventualmente onere del contribuente verificare la legittimità degli atti richiamati e, oltre, contestualizzare i contenuti essenzialmente riprodotti in avviso, onde dimostrare che il riferimento per relationem da questo operato è viziato per derivazione ovvero integra un travisamento di fatto. Anche per l'IVA, giusta la modifica dell'art. 56 d.P.R. n. 633 del 1972, valgono le considerazioni esposte per le II.DD., con l'esplicita comminatoria di nullità degli atti di accertamento inosservanti delle prescrizioni dettate in materia di obbligo di motivazione. Dalla ventata di novità non restano escluse neppure l'imposta di registro e quella sulle successioni e donazioni (in conseguenza delle interpolazioni rispettivamente degli artt. 52 del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, e degli artt. 34 e 35 del decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346). L'ultima area di intervento riguarda le sanzioni. Infatti, il novello art. 16 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, sul procedimento di irrogazione delle sanzioni, al solito, stabilisce che, nel caso in cui la motivazione dell'atto di contestazione delle sanzioni faccia riferimento ad un altro atto del quale il trasgressore non ha avuto conoscenza, questo deve essere allegato o, in alternativa, deve esserne riprodotto il contenuto essenziale. La stessa regola vale, mutatis mutandis, nelle ipotesi di irrogazione delle sanzioni senza previa contestazione ai sensi dell'art. 17, comma 1, del d.lgs. n. 472 del 1997, che consente l'irrogazione di sanzioni con atto contestuale all' avviso di accertamento o di rettifica: in tale evenienza la motivazione sul presupposto delle sanzioni coincide almeno in parte con la motivazione della violazione accertata, talché in parte qua è la motivazione dell'avviso in sé che deve reggere, diversamente la caducazione dell'avviso travolgendo anche l'autonomo momento di irrogazione delle sanzioni; un'autonomia motivazione relativa al profilo sanzionatorio può comunque residuare in punto di determinazione e quantificazione delle stesse. Sanzioni amministrative per violazioni di norme tributarieIn tema di tutela dell'affidamento e della buona fede del contribuente, l'art. 10, comma 3, St. prevede che le sanzioni non devono essere irrogate quando le corrispondenti violazioni dipendono da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull'ambito di applicazione della norma o quando si traducono in mere violazioni formali, senza alcun debito di imposta (in generale sul principio dell'affidamento e di buona fede del contribuente: Serranò, 297; Lovisolo, 163; Muccari, 3666). Detta disposizione ricalca in parte l'art. 6, comma 2, d.lgs. n. 472 del 1997, ai sensi del quale le sanzioni non sono irrogabili se la violazione è determinata da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull'ambito di applicazione delle disposizioni alle quali si riferiscono o da indeterminatezza delle richieste di informazioni ovvero dei modelli per la dichiarazione e per il pagamento. L'ulteriore ipotesi di non punibilità prevista dallo Statuto, concernente le violazioni di natura formale (sulle violazioni formali si veda: Glendi-Bruzzone, 545), ha, quindi, reso necessaria una serie di interventi correttivi sul regime sanzionatorio, operati dall'art. 7 d.lgs. n. 32 del 2001 sul tessuto del d.lgs. n. 472 del 1997. L'intervento principale consiste nell'aggiunta del comma 5-bis all'art. 6, in guisa da introdurre l'ulteriore causa di non punibilità della mera valenza formale delle violazioni. Parallelamente è stato abrogato il comma 4 dell'art. 13, riguardante la possibilità per il contribuente di ravvedersi, in taluni casi, senza il pagamento di sanzioni. Nozione di «mera» violazione formale In attuazione dell'art. 10, comma 3. St., il comma 5-bis dell'art. 6 d.lgs. n. 472 del 1997 rende non punibili le violazioni che, oltre a non incidere sulla determinazione della base imponibile o dell'imposta e sul versamento del tributo, non pregiudicano l'attività di controllo dell'amministrazione finanziaria. Resta, invece, punibile ogni altra violazione che sia di ostacolo all'attività di controllo. Ai fini della non punibilità di violazioni che pur tuttavia sussistono in punto di fatto, le condizioni negative poste dal comma 5-bis devono intendersi alternative e non concorrenti, con la conseguenza che non può configurarsi una violazione meramente formale ove manchi in concreto anche una sola delle stesse. La natura meramente formale è più spesso ravvisabile nelle violazioni di norme tributarie punibili con sanzioni amministrative stabilite in misura fissa, non legata cioè all'ammontare del tributo: tale modo d'essere delle sanzioni costituisce la spia che il giudizio di riprovevolezza non attinge il merito del rapporto d'imposta, ma si ferma, per così dire, alla superficie dello stesso, cioè ad indici formali volti a consentire o agevolare i controlli. In relazione a tali violazioni, s'è posto il problema dell'individuazione del momento in cui occorre stabilire se esse siano state o meno di ostacolo all'esercizio del potere di accertamento: la qual cosa equivale a chiedersi se il giudizio sulla natura meramente formale della violazione debba essere compiuto in astratto (i.e. a priori sulla sola base delle caratteristiche proprie di un fatto illecito) ovvero in concreto (i.e. a posteriori in relazione all'effettiva incidenza dell'illecito sulla determinazione del tributo o sull'attività di controllo). La prassi pare propensa per la seconda alternativa, finendosi diversamente per colpire una condotta deviante dal paradigma normativa per il solo fatto della devianza, a prescindere dal alcun apprezzamento in punto di sua offensività. La questione viene in linea di conto specialmente a proposito delle irregolarità formali relative al contenuto delle dichiarazioni di cui all'art. 8, comma 1, d.lgs. n. 471 del 1997, tendenzialmente non punibili ogniqualvolta consti che in concreto, specialmente per effetto di eventuale regolarizzazione, non abbiano impedito o intralciato l'azione dell'ufficio. La causa di non punibilità in esame non è invece normalmente invocabile con riferimento a quelle violazioni, pur sempre formali, aventi ad oggetto la presentazione, entro termini predeterminati normativamente, di atti che, per definizione, sono soggetti a controllo. Tra esse, che continuano ad essere sanzionabili, si possono annoverare quelle connesse all'obbligo di presentazione di dichiarazioni entro determinate scadenze (l'omessa presentazione della dichiarazione dei redditi, anche nel caso in cui non sono dovute imposte, seguita ad essere sanzionata ai sensi dall'art. 1, comma 1, secondo periodo, d.lgs. n. 471 del 1997; l'omessa presentazione della dichiarazione dei sostituti d'imposta, anche se le ritenute relative a compensi, interessi ed altre somme sono state interamente versate, seguita ad essere sanzionata ai sensi dell'art. 2, comma 3, d.lgs. n. 471 del 1997; l'omessa presentazione della dichiarazione annuale dell'IVA, ovvero l'omessa presentazione della dichiarazione periodica dell'IVA o quella prescritta dall'art. 50, comma 4, del d.l. 30 agosto 1993, n. 331, conv. con modif. nella legge 427 del 1993 anche qualora il soggetto effettui esclusivamente operazioni per le quali non è dovuta l'imposta, seguitano ad essere sanzionate ai sensi dell'art. 5, comma 3, d.lgs. n. 471 del 1997). Sono, inoltre, sanzionabili tutte le violazioni per le quali l'esistenza del pregiudizio all'attività di controllo è palese per essere quest'ultima già iniziata. Ciò vale, a titolo esemplificativo, per le violazioni consistenti nella mancata o tardiva restituzione di un questionario inviato al contribuente o nell'inottemperanza all'invito a comparire in ufficio, pur essendo indiscutibile la loro natura formale (in quanto non incidenti direttamente sull'imponibile, sull'imposta o sul versamento della stessa): esse seguitano ad essere sanzionate ai sensi dell'art. 11, comma 1, d.lgs. n. 471 del 1997. Parimenti sono punibile l'omessa tenuta delle scritture contabili prescritte dalle leggi in materia di imposte dirette o IVA ed il rifiuto da parte del contribuente della documentazione richiesta in sede di accessi (cfr. Circ. Ag. Entrate, 3 agosto 2001, n. 77, cit.). Ravvedimento L'art. 7 d.lgs. n. 32 del 2001 ha espressamente abrogato, come già detto, l'art. 13, comma 4, d.lgs. n. 472 del 1997, che contemplava la facoltà per il contribuente, «nei casi di omissione o di errore che non ostacolano un'attività di accertamento in corso e che non incidono sulla determinazione o sul pagamento del tributo», di ravvedersi entro tre mesi dall'omissione o dall'errore senza applicazione di sanzioni. Ovviamente l'eliminazione di tale disposizione discende dall'espressa non punibilità delle violazioni meramente formali. Si osserva, comunque, che l'abrogazione della disposizione in questione non esclude l'opportunità che il contribuente, in virtù del principio di buona fede e correttezza nei rapporti con il fisco, uniformi i propri comportamenti al dettato delle norme tributarie, per quanto l'evenienza sia per certo più rara in quanto non più incentivata. Comunque, i contribuenti che si accorgono di aver commesso errori ed omissioni, anche se ininfluenti ai fini della proficuità dell'azione di controllo, possono regolarizzare la propria posizione. La regolarizzazione potrà essere effettuata mediante dichiarazione integrativa o comunicazione da trasmettere al competente ufficio con le modalità già previste per il ravvedimento. Per le violazioni formali che siano di ostacolo all'attività di accertamento dell'ufficio la regolarizzazione comporta ancora oggi il pagamento della sanzione, nondimeno ridotta nella misura prevista dall'art. 13, comma 1, d.lgs. n. 472 del 1997. Modifiche in materia di riscossione dei tributiIn virtù dell'art. 6, comma 5, St., che dispone in materia di conoscenza degli atti e semplificazione, il legislatore delegato, in coerenza con le modifiche introdotte agli artt. 36-bis e 36-ter d.P.R. n. 600 del 1973 sopra illustrate, ha provveduto ad integrare la normativa concernente la formazione e il contenuto dei ruoli. Con la modifica apportata all'art. 12 d.P.R. 602 del 1973, i crediti dell'amministrazione non possono ora essere iscritti nei ruoli ove negli stessi non sia indicata la data di esecutività e non siano indicati gli estremi dell'eventuale atto di accertamento oppure, in mancanza, la motivazione, seppure sintetica, della pretesa tributaria. L'aggiunta – inserendosi nel quadro esistente dell'art. 12 cit., che già prevede il divieto di iscrizione a ruolo in assenza dell'indicazione del codice fiscale del contribuente – assume una chiara valenza di garanzia del contribuente, il quale deve essere posto in condizione di riscontrare direttamente, attraverso la data di esecutività del ruolo, il rispetto dei termini decadenziali. Analoga modifica inerisce all'art. 25 d.P.R. n. 602 del 1973, a termini del quale anche la cartella di pagamento deve recare la data in cui il ruolo è divenuto esecutivo. Mancato o irregolare funzionamento degli uffici finanziariL'art. 10 d.lgs. n. 32 del 2001 è infine intervenuto sul decreto-legge 21 giugno 1961, n. 498, conv. con modif., nella legge 28 luglio 1961, n. 770, recante norme sul mancato o irregolare funzionamento degli uffici finanziari. In conformità alla logica che permea lo stato di diritto, in cui la legge reclama sempre osservanza, i termini di decadenza e di prescrizione e quelli stabiliti per l'adempimento di obbligazioni tributarie possono essere (non posti nel nulla, ma semplicemente) prorogati (viepiù) soltanto nei casi in cui il mancato o irregolare funzionamento degli uffici finanziari sia dovuto ad eventi eccezionali, con conseguente esclusione, quindi, di quelli imputabili a disfunzioni organizzative interne alla struttura dell'amministrazione finanziaria. Va da sé peraltro che nell'esperienza quotidiana il rigore nell'applicazione della disciplina deve fare i conti con i conti con una realtà che non di rado fa dell'eccezione la regola. Il provvedimento di accertamento del mancato o irregolare funzionamento degli uffici finanziari deve essere adottato dai direttori dei competenti uffici di vertice dell'Agenzia (di norma i direttori regionali), previa acquisizione del parere del Garante del contribuente territorialmente competente. Par chiaro che l'intervento delle figure apicali e del Garante del contribuente dovrebbe garantire che il provvedimento risponda ad esigenze obiettive e non a favoritismi in specie locali. Tuttavia non sfugge che la certificazione di legalità promanante da siffatte figure non costituisce per certo il mezzo migliore per verificare eventuali colpe d'organizzazione proprio degli apicali in sede disciplinare. BibliografiaAntonini, Intorno alle «metanorme» dello Statuto dei diritti del contribuente, rimpiangendo Vanoni, in Riv. Dir. Trib., 2001, I, 639; Bartole, voce Principi generali del diritto (diritto costituzionale), in Enc.dir., vol. 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