Legge - 27/07/2000 - n. 212 art. 21 - Entrata in vigore.

Andrea Antonio Salemme

Entrata in vigore.

1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale .

Inquadramento

Lo Statuto dei diritti del contribuente, approvato con legge 27 luglio 2000, n. 212, rappresenta, nelle intenzioni del legislatore, un vero e proprio codice di comportamento dell'A.F.: una legge generale che, nel ribadire i principi di logica e certezza giuridica in seno al sistema tributario, disciplina la produzione legislativa in materia fiscale, riduce le aree di discrezionalità dell'Amministrazione stessa e, al tempo stesso, consente al contribuente di orientarsi e di far valere i propri diritti nel procedimento amministrativo di imposizione.

Lo Statuto presenta la particolarità di disciplinare anche il modo di produzione delle leggi in materia tributaria, giacché intende garantire una disciplina tributaria scritta per principi e dunque stabile nel tempo, che agevoli, nell'interpretazione, entrambe le parti del rapporto tributario.

La produzione normativa in materia tributaria pre-Statuto

La necessità di dettare regole che garantiscano la stabilità e la ponderatezza della produzione normativa nasce dal grave pregiudizio recato all'attività dell'A.F. e ai contribuenti dall'ipertrofia legislativa che ha caratterizzato, per tanti decenni, e seguita a caratterizzare, nonostante lo Statuto, il settore tributario: l'eccessivo ricorso alla decretazione d'urgenza, la tendenza a inserire norme tributarie in provvedimenti disciplinanti altre materie, il continuo susseguirsi di norme che modifica le precedenti prima ancora che queste ultime entrino in vigore rende la normazione tributaria, già a livello primario, sempre meno trasparente e conoscibile.

Progressivamente, nel settore fiscale si è assistito a uno svuotamento (Moschetti, 10153) del contenuto di quei principi costituzionali – di riserva di legge; di precisa delimitazione delle deleghe legislative all'esecutivo (BatistoniFerrara; Ambrosi, 415); di straordinarietà della decretazione d'urgenza (Falsitta, 338; Marongiu, 653) – deputati a garantire il contribuente sia sul piano sostanziale che sul piano procedimentale. L'abnormità della legificazione – nonché della regolamentazione, considerato il sempre maggior ruolo demandato alle fonti sub-primarie – ha da tempo svilito, ma con il suo consenso, il ruolo del Parlamento, contribuendo all'alluvione normativa già da tempo denunciata dalla dottrina.

Confusione e farragine sia in termini di precetto che in termini di sanzione (Saja, 578) determinano difficoltà ermeneutiche tali da pregiudicare l'esatta osservanza del precetto e da rendere ingiusta la sanzione. Da qui la necessità di ricreare una stabilità di sistema che lo Statuto avrebbe dovuto contribuire a ricostruire.

Le novità dello Statuto ed il problema della loro sopravvivenza a leggi successive contrastanti

Ai sensi dell'art. 1, comma 1, St., le disposizioni dello Statuto, emanate in attuazione degli artt. 3,23,53 e 97 Cost., «costituiscono principi generali dell'ordinamento tributario e possono essere derogate o modificate solo espressamente e mai da leggi speciali».

In generale, lo Statuto impronta tutto il suo intervento alla tutela dell'affidamento e della buona fede del contribuente, come espressamente affermato all'art. 10, applicabile anche ai rapporti tributari sorti prima della sua entrata in vigore. Infatti, secondo la Corte di Cassazione, «il principio della tutela del legittimo affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica, che trova la sua base costituzionale nel principio di eguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge (art. 3 Cost.), e costituisce un elemento essenziale dello Stato di diritto e ne limita l'attività legislativa e amministrativa, è immanente in tutti i rapporti di diritto pubblico ed anche nell'ambito della materia tributaria, dove è stato reso esplicito dall'art. 10, comma primo, della legge n. 212 del 2000 (cosiddetto Statuto del contribuente). Quest'ultima previsione – a differenza di altre che presentano un contenuto innovativo rispetto alla legislazione pre-esistente – costituisce una delle disposizioni statutarie che, per essere espressive – ai sensi dell'art. 1 della stessa legge n. 212 del 2000 – dei principi generali, anche di rango costituzionale, già immanenti nel diritto e nell'ordinamento tributario, vincolano l'interprete in forza del canone ermeneutico dell'interpretazione adeguatrice a Costituzione, ed è – pertanto – applicabile anche ai rapporti tributari sorti in epoca anteriore alla sua entrata in vigore» (Cass. V, n. 17576/2002, con nota di Stevanato, 795).

Per comunanza di argomento vien fatto di ricordare che oggi la materia dell'efficacia temporale delle leggi tributarie pretenderebbe di essere regolata dallo Statuto, il cui art. 3, al comma 1, stabilisce che — salvo i casi eccezionali in cui è ammessa l'emanazione di norme interpretative — «le disposizioni tributarie non hanno effetti retroattivi». Ma di quali disposizioni si sta ragionando? Certamente non di quelle legislative successive allo Statuto, che avrebbero pari forza normativa e dunque prevarrebbero sullo stesso in forza del criterio della lex posterior. Se ne ricava che, nonostante l'ampollosità dell'art. 1, comma 1, St., la posizione dello Statuto nella gerarchia delle fonti non è sopra-elevata rispetto alla legge ordinaria e dunque la capacità di resistenza dello Statuto in confronto a fonti equi-ordinate successive non è, di per sé, aumentata.

Ma c'è un ma.

L'auto-proclamazione dello Statuto di incarnare principi generali dell'ordinamento tributario in emanazione degli artt. 3,23,53 e 97 Cost. consente, in via interpretativa, di enucleare dal suo tessuto le disposizioni espressione, più che semplicemente di siffatti principi generali, di essi in rapporto ai ridetti articoli della Costituzione: per l'effetto, quelle disposizioni statutarie che si riconosca dotate di una copertura costituzionale sono le uniche a non venir automaticamente travolte da leggi successive contrastanti, non però perché lo Statuto occupi un grado poziore nella gerarchia delle fonti, ma perché, ancorché frammentariamente e non interamente, esso svolge sul piano legislativo ordinario i precetti costituzionali.

Alla luce di tale precisazione, l'art. 3, comma 1, St. è bensì un principio generale agli effetti dell'art. 1, comma 1, St., ma non gode di copertura costituzionale, se è vero, com'è vero, che la Costituzione prevede, bensì, all'art. 25, un espresso divieto di irretroattività, ma solamente per le leggi penali. Ne consegue una proiezione meramente euristica dell'art. 3, comma 1, St., nel senso che, ogni qual volta una normativa fiscale, che non disponga circa la propria efficacia nel tempo, sia suscettibile di una duplice interpretazione, una che ne comporti la retroattività ed una che la escluda, l'interprete dovrà dare preferenza alla seconda.

Considerazioni critiche

Tra le disposizioni dello Statutodel contribuente rispetto alle quali è possibile rinvenire una copertura costituzionale figura certamente l'art. 4 che, recuperando la volontà dei padri costituenti, per anni e da anni mortificata, statuisce che «non si può disporre con d.l. l'istituzione di nuovi tributi né prevedere l'applicazione di tributi esistenti ad altre categorie di soggetti» (Marongiu).

La Corte costituzionale, con le note sentenze – rese al di fuori del diritto tributario – nn. 171 del 23 maggio 2007 e 128 del 30 aprile 2008 [con note rispettivamente di Serranò, 3733, e Chinni, 2670], è infine pervenuta all'annullamento di d.l. (e delle relative leggi di conversione per vizio in procedendo) a causa dell'evidente mancanza dei necessari presupposti ex art. 77 Cost.

Peraltro l'incidenza della decretazione d'urgenza nel diritto tributario è particolarmente dirompente quando, attraverso di essa, vengono introdotte norme interpretative a vocazione naturalmente retroattiva (sulla questione della retroattività delle leggi di interpretazione autentica, ricorda Esposito, 52, che, «secondo la Corte costituzionale, l'ausilio del legislatore con norme di interpretazione autentica può trovare giustificazione allorché sia finalizzato a superare una situazione di oggettiva incertezza, dovuta alla coesistenza di diversi indirizzi ermeneutici, oppure alla impossibilità di un'applicazione logica e certa. Attraverso la norma interpretativa, il legislatore privilegia una tra le possibili opzioni, ovvero indica il significato esatto della norma, senza che tuttavia possa incidere su situazioni definitivamente acquisite»). Nella generalità dei casi, dovrà propendersi per l'illegittimità costituzionale dei Decreti-Legge. Invero, se, come usualmente accade, l'interpretazione sovviene a distanza di tempo dall'entrata in vigore della legge interpretata, non v'è alcuna urgenza; se il governo, vestendo i panni dell'interprete, approva un decreto-legge al fine di rovesciare un diritto vivente in fase di consolidamento, non v'è la straordinarietà, prima ancora che l'urgenza; se la disposizione interpretativa introduce nuove aree di tassazione, non sorrette da un'interpretazione ragionevole del testo pregresso, non v'è neppure materia di interpretazione autentica. Invero, la finalità di indirizzo politico, che compete al governo anche in punto di reperimento delle risorse per le coperture finanziarie finanche passate ove si rivelino insufficienti quelle previste in bilancio, va perseguita attraverso la via ordinaria del disegno di legge di iniziativa governativa (Pugiotto, 2748).

Allargando l'orizzonte, e cercando di tirare le conclusioni di quanto detto sin qui, il problema di una «vocazione costituzionale» dello Statuto può in limine risolversi positivamente con riferimento alla sola tutela dell'affidamento e della buona fede del contribuente ex art. 10, atteso che il relativo principio, come anticipato, attraversa l'intero arco del diritto tributario quale attuazione immanente in esso delle previsioni costituzionali. Così opinando, nondimeno, parrebbe restar fuori da detta vocazione il portato forse più innovativo dello Statuto (e proprio perché tale non permeante la legislazione di settore prima della sua entrata in vigore), rappresentato dalla partecipazione del contribuente al procedimento amministrativo che lo riguarda, giacché nessuna disposizione costituzionale si occupa del procedimento amministrativo e men che meno di quello amministrativo-tributario. Se ne dovrebbe trarre la conclusione che la partecipazione ed il contraddittorio – valori fondanti dello Statuto già a partire dall'art. 6, il quale in tanto prevede che «l'amministrazione finanziaria deve assicurare l'effettiva conoscenza da parte del contribuente degli atti a lui destinati» in quanto il contribuente è provocato ad attivamente informarsi, dedurre, difendersi (talché, prima che il contribuente apprenda degli atti che incidono sulla sua posizione debitoria o creditoria nei confronti del Fisco, gli stessi non possono produrre effetti) – possono essere posti nel nulla da leggi successive senza strascichi.

Forse, però, il pessimismo può essere relegato in secondo piano se ci si cimenta a leggere l'affidamento e la buona fede come modi d'essere di un atteggiarsi del Fisco alla stregua di un vero e proprio rapporto, in seno al quale il «contatto» con il contribuente non può svolgersi altrimenti che attraverso il procedimento, a questo punto da svolgersi in un fattivo contraddittorio. Siffatta considerazione, comunque, non autorizza affatto l'ottimismo: più precisamente, seguitando l'art. 13 l. n. 241 del 1990 ad escludere i procedimenti tributari dall'applicazione delle disposizioni sulla partecipazione, e, in parallelo, seguitando lo Statuto a non dotarsi di alcuna disciplina in materia, con riferimento al contraddittorio, quale momento qualificante del procedimento in funzione di completamento dell'istruttoria e comunque di orientamento della discrezionalità amministrativa (ancorché vincolata come quella dell'A.F.), la Corte costituzionale ha in più occasioni ribadito che gli istituti partecipativi – volgarmente ridenominati diritto alla partecipazione – sono bensì sussumibili in un superiore concetto di giusto procedimento, ma non sono costituzionalizzati, con la conseguenza che al più dispiegano una valenza euristica non tanto per il legislatore quanto per l'interprete (nn. 57, 103, 210 e 383 del 1995).

Bibliografia

Ambrosi, I limiti derivanti dall'art. 76 Costituzione: vecchi e nuovi problemi, in Riv. dir. trib. 2001, 3, 415; Batistoni Ferrara, Delegazione legislativa tra crisi del Parlamento e tentazioni decisionistiche, in La produzione di norme tributarie tra elusioni dei principi costituzionali e tentativi di codificazione, Atti del convegno, Treviso, 6 ottobre 2000; Chinni, Un passo avanti (con salto dell'ostacolo) nel sindacato della Corte costituzionale sui presupposti della decretazione d'urgenza, in Giur. it. 2008, 12, 2670; Esposito, Il sistema amministrativo tributario italiano, Padova, 2017, 52; Falsitta, Primi passi verso il tramonto dell'abusivismo governativo della decretazione d'urgenza, in Riv. trib. 1995, II, 338; Marongiu, Il Parlamento convertito alle conversioni: l'abuso del decreto legge fiscale, in Riv. trim. dir. trib. 2012, 3, 653; Moschetti, Perché oggi il Fisco? E come nella società post-industriale. Per un superamento della specialità del diritto tributario, in Quale democrazia fiscale, Atti della prima sessione del Seminario permanente di etica e democrazia fiscale, Torino, 13 maggio 1994, in il Fisco, 1994, 42, 10153; Pugiotto, Le leggi interpretative a Corte: vademecum per i giudici a quibus, in Giur. cost., 2008, 3, 2748; Saja, La giustizia costituzionale nel 1989, in Giust. cost., 1990, 578; Serranò, Brevi considerazioni sulla decretazione d`urgenza alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 171 del 23 maggio 2007, in il Fisco 2007, 25, 3733; Stevanato, Tutela dell'affidamento e limiti all'accertamento del tributo, in Rass. trib.2003, 795

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