Legge - 27/07/2000 - n. 212 art. 1 - Princìpi generali.

Mario Cavallaro
aggiornato da Sara Piancastelli

Princìpi generali.

1. Le disposizioni della presente legge, in attuazione delle norme della Costituzione, dei principi dell'ordinamento dell'Unione europea e della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, costituiscono principi generali dell'ordinamento tributario, criteri di interpretazione della legislazione tributaria e si applicano a tutti i soggetti del rapporto tributario. Le medesime disposizioni possono essere derogate o modificate solo espressamente e mai da leggi speciali1.

2. L'adozione di norme interpretative in materia tributaria può essere disposta soltanto in casi eccezionali e con legge ordinaria, qualificando come tali le disposizioni di interpretazione autentica2.

3. Le regioni e gli enti locali, nell'ambito delle rispettive competenze, regolano le materie disciplinate dalla presente legge nel rispetto del sistema costituzionale e delle garanzie del cittadino nei riguardi dell'azione amministrativa, così come definite dai principi stabiliti dalla presente legge 3

3-bis. Le amministrazioni statali osservano le disposizioni della presente legge concernenti la garanzia del contradditorio e dell'accesso alla documentazione amministrativa tributaria, la tutela dell'affidamento, il divieto del bis in idem, il principio di proporzionalità e l'autotutela. Le medesime disposizioni valgono come principi per le regioni e per gli enti locali che provvedono ad adeguare i rispettivi ordinamenti nel rispetto delle relative autonomie. Le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano adeguano la propria legislazione alle disposizioni della presente legge, secondo i rispettivi statuti e le relative norme di attuazione 4.

3-ter. Le regioni e gli enti locali, nel disciplinare i procedimenti amministrativi di loro competenza, non possono stabilire garanzie inferiori a quelle assicurate dalle disposizioni di cui al comma 3-bis, ma possono prevedere livelli ulteriori di tutela 5.

[4. Gli enti locali provvedono, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, ad adeguare i rispettivi statuti e gli atti normativi da essi emanati ai principi dettati dalla presente legge.]6

[2] Per le deroghe al presente comma, vedi l'articolo 1, comma 265, della legge 24 dicembre 2007, n. 244.

Inquadramento

La distanza, apparentemente non grande, fra la data di approvazione della norma «statutaria» e la sua attuale valutazione da parte della dottrina, dopo una ormai significativa verifica nella prassi giurisprudenziale, ha spento molti degli entusiasmi che ne avevano segnato l'entrata in vigore, salutandola come la nuova «norma fondamentale» del sistema tributario nazionale. In verità, essa nasceva dall'esigenza, assurdamente disattesa anche nell'attualità, di una codificazione tributaria e dalla deriva particolaristica della legislazione in materia, troppo attenta alla minuta enunciazione dei casi particolari e priva di riferimenti generali adeguati (Cfr. Uricchio).

Tuttavia, anche per il lavorio della giurisprudenza di legittimità e delle pronunce della Corte Costituzionale, che hanno circoscritto in buona sostanza e respinto le ipotesi di una particolare superiorità dello statuto rispetto alla legge ordinaria ed escluso ex professo che si potesse trattare di norma di rilievo costituzionale, allo stato, si può convenire con la dottrina contemporanea (Cfr. Mazzocchi, 8, Tesauro, 23 s., ma anche Giovannini, 18 ss.) che assegna allo statuto una posizione di rilievo nel sistema delle fonti normative, più per la sua capacità tuttora di fornire un repertorio o catalogo di principi di derivazione costituzionale, non a caso richiamati nell'epigrafe (desumibili dall'espressa citazione degli articoli 3,23,53 e 97 della Cost.) che per la natura di norma «superiore», che la dottrina ha più volte criticato se interpretata come indebita influenza del legislatore ordinario dell'oggi sul legislatore ordinario del domani. Va anche rilevato che, dopo i segnalati primi entusiasmi ed una sorta di delusione con correlata accentuazione critica in ordine alla scarsa portata della norma statutaria, si registra ora un più continuo interesse della giurisprudenza verso le disposizioni dello statuto, quanto meno come parametro interpretativo, il che ulteriormente rafforza la tesi della necessità attuale ed urgente di una codificazione tributaria.

Pur nella partizione fra disposizioni di diretto interesse per l'esercizio della funzione legislativa (artt. 1 – 4) e disposizioni generali di indirizzo, è chiaro che la norma non ha distinti destinatari, dovendosi rivolgere, del resto secondo la teoria generale delle fonti, tutta e complessivamente sia verso la P.A. e i contribuenti sia verso il legislatore, nei limiti in cui la legge ordinaria «di principi» può essere di indirizzo (anche) per la futura legislazione. Non c'è dubbio che allo statuto siano ascritti i cardini della legislazione costituzionalmente orientata alla trasparenza e chiarezza, alla irretroattività della legge tributaria, alla conoscenza e conoscibilità degli atti, all'obbligo di motivazione, alla tutela dell'integrità patrimoniale del contribuente, al principio di affidamento e di buona fede e a quello sulla scusabilità, in determinate fattispecie, dell'errore sulla norma tributaria.

La Corte costituzionale con Ordinanza 6 luglio 2004, n. 216, basandosi anche su diffusa giurisprudenza di legittimità, ha collocato lo Statuto nel sistema normativo generale tributario, apparentemente in un obiter dictum (la norma oggetto del sindacato di costituzionalità non era ovviamente l'art. 1 dello Statuto o una delle successive disposizioni della medesima legge), ma in realtà proprio concentrandosi sul rapporto fra Statuto ed altre disposizioni ordinarie di legge.

Orbene, proprio nel dichiarare inammissibile la questione di costituzionalità sottopostale la Corte afferma che «le disposizioni della legge n. 212 del 2000, proprio in ragione della loro qualificazione in termini di principi generali dell'ordinamento, rappresentano (non già norme interposte ma) criteri di interpretazione adeguatrice della legislazione tributaria, anche antecedente.

Di qui da un lato la reiezione della domanda di declaratoria di incostituzionalità nel caso di specie sottoposto alla Corte e dall'altro l'affermazione precisa che il Giudice a quo «possa eventualmente fare diretta applicazione della citata legge n. 212 del 2000, valutando la possibilità di una interpretazione adeguatrice della norma censurata, in senso conforme ai principi espressi dagli artt. 6 e 7». In sostanza, lo Statuto è una norma che indica i principi generali dell'ordinamento tributario e che può ben essere utilizzata come parametro per una interpretazione adeguatrice anche di precedenti disposizioni di legge.

L'affermazione del valore dello statuto come norma che legittima un'interpretazione «adeguatrice» è stata ribadita da Cass. n. 26316/2010, che ha altresì ribadito, in linea con molta altra giurisprudenza di legittimità, che le norme statutarie non hanno rango superiore alla legge ordinaria e che le disposizioni che esso contiene non hanno rango proprio costituzionale, ma sono piuttosto immanenti nel diritto tributario e nei suoi principi generali anche prima della l. n. 212/2000.

La legge denominata «Statuto del contribuente» e i principi generali dell'ordinamento tributario

La dottrina si è molto occupata — come era inevitabile — della natura della legge statutaria e per una sintesi del dibattito nato intorno al tema può utilmente consultarsi URICCHIO (cit.), che concorda con la tesi ormai sostanzialmente generalizzata che nega — né diversamente si potrebbe opinare, stante la genesi della legge, che nulla ha a che vedere con il procedimento di revisione costituzionale e la formazione di leggi costituzionali in senso proprio — natura e valore di legge costituzionale alla norma.

Come meglio vedremo in seguito, in quanto sostanzialmente legge ordinaria lo statuto, e specificamente i suoi articoli 1 – 4, non possono essere neppure considerati una sorta di «superlegge» in quanto secondo i principi generali non c'è una supremazia che una legge possa autodichiarare sulle altre, imponendo al legislatore futuro dei vincoli di comportamento. Né, essendone mancato l'iter formale, può considerarsi un «codice sostanziale» o un testo unico. Ma altrettanto certamente la legge, per il suo contenuto, che è di richiamo a principi generali dell'ordinamento giuridico tributario, non può essere disattesa in futuro, se non per il cambiamento dei principi, che è di regola assai difficile a compiersi e che comunque può ipotizzarsi solo nel rispetto dei principi costituzionali, non casualmente richiamati nell'incipit dello Statuto.

Con evidenza la Corte cost. n. 50/2014, riconosce allo statuto la natura di legge «di principi», a cui parametrare anche la costituzionalità delle leggi fiscali. Nella fattispecie, il controllo si riferiva alla norma che violava il principio (art. 10) che alla violazione di sole disposizioni fiscali non può riconnettersi l'effetto di una nullità della volizione contrattuale privata pur essendosi più volte pronunciata per escludere [Corte cost. n. 58/2009] che abbiano rango costituzionale — neppure come norme interposte — le previsioni della legge n. 212 del 2000 (Cfr. Anche ordinanze Corte cost. ord., n. 41/2008, Corte cost. ord., n. 180/2007, Corte cost. ord, n. 428/2006). Fra molta giurisprudenza di merito, si veda ad esempio C.t.p. Emilia-Romagna Reggio Emilia II, 19 gennaio 2017: il principio della tutela del legittimo affidamento del cittadino, espresso dall'art. 10, comma 1, della l. n. 212/ 2000, trovando origine nei principi affermati dagli artt. 3,23,53 e 97 Cost., espressamente richiamati dall'art. 1 della citata legge, è immanente in tutti i rapporti di diritto pubblico e costituisce uno dei fondamenti dello Stato di diritto nelle sue diverse articolazioni, limitandone l'attività legislativa ed amministrativa ed in sede di legittimità v. ad esempio Cass. V, n. 6135/2016, che si occupa dello statuto come norma regolatrice anche della retroattività della legge tributaria, il principio secondo cui l'Amministrazione finanziaria è legittimata a procedere in via induttiva all'accertamento del reddito da plusvalenza patrimoniale sulla base dell'accertamento di valore effettuato in sede di applicazione dell'imposta di registro, con onere a carico del contribuente — al fine di superare la presunzione di corrispondenza del prezzo incassato a quello coincidente con il valore di mercato accertato in via definitiva in sede di applicazione dell'imposta di registro — di dimostrare di avere in concreto venduto ad un prezzo inferiore, deve ritenersi superato alla stregua dello ius superveniens di cui all'art. 5, comma 3, d.lgs. n. 147/2015. In virtù di tale disposizione che, ponendosi espressamente quale norma di interpretazione autentica, ai sensi dell'art. 1, comma 2, della l. n. 212/2000, è applicabile retroattivamente, non è, pertanto, più sostenibile l'anzidetta presunzione di corrispondenza del corrispettivo incassato al valore venale in comune commercio del bene compravenduto, quale accertato ai fini dell'imposta di registro.

Il principio di «fissità»

L'art. 1 comma 1 della disposizione statutaria espressamente pone un divieto alla sua derogabilità o modificabilità, e di qui l'affermazione che si tratta della formale introduzione nell'ordinamento tributario del principio di «fissità» (o immodificabilità) delle diposizioni statutarie se non in alcune precise fattispecie.

In particolare, si ricava dalla norma che la modifica possa essere effettuata solo con legge ordinaria e non con legge speciale. Aggiunge a corollario il comma 2 che l'adozione di norme interpretative in materia tributaria può essere disposta soltanto in casi eccezionali e con legge ordinaria, qualificando come tali le disposizioni di interpretazione autentica. Il legislatore dello statuto, non c'è più dubbio alcuno dopo una verifica ormai ultradecennale, sicuramente ha dimostrato più ottimismo della volontà che realismo istituzionale, giuridico e finanche politico, in quanto essendo lo statuto il frutto di un procedimento legislativo ordinario non può ritenersi — né poteva realisticamente quando esso fu approvato — che esso possa statuire de futuro, sulla condotta del legislatore che verrà (sulle modifiche apportate ai commi in commento dal  d.lgs. n. 219/2023, si veda infra, § 6).

Tuttavia anche se la dottrina ha escluso unanime che possa parlarsi di una legge costituzionale o una legge «rafforzata», in quanto non ve ne sono le caratteristiche procedimentali, ha tuttavia escluso anche che possa parlarsi di una legislazione meramente programmatica o a valenza non omogenea a seconda dei plurimi destinatari a cui essa è diretta.

Dopo anni di esperienze (complessivamente deludenti), come abbiamo già detto, si può certamente convenire sul fatto che, in assenza tuttora di un vero e proprio «Codice Tributario», lo Statuto sia ancora una norma di «principi fondamentali», per ciò stesso intrinsecamente legato alle disposizioni costituzionali che invoca ed attua; è stato fatto il suggestivo paragone con le preleggi rispetto al dettato codicistico civile, ma, indipendentemente da tale richiamo non esattamente in termini, si può ben dire che — pur senza un «rafforzamento» ontologico — lo statuto del contribuente resta una norma alla cui luce debbono essere lette le successive disposizioni, onde verificarne la rispondenza non tanto al dettato normativo in quanto tale, ma ai principi che esso invera e conseguentemente l'interprete è chiamato ad emettere un giudizio che può essere anche di inefficacia di una disposizione successiva, se non ha tenuto conto del principio di fissità, nei limiti sostanziali e procedimentali che la norma indica. Il comma 2 tenta di porre un argine ad un fenomeno di cattiva prassi legislativa con cui strutturalmente la materia tributaria è venuta storicamente a trovarsi proprio per la già indicata mancanza di un sistema codicistico che è presente in altri ordinamenti.

Si è rilevata una produzione normativa sempre più di dettaglio, parentetica e attenta non a fornire al contribuente e all'operatore pratico nitidi elementi generali, ma una casistica sempre più minuziosa, che finisce per allontanare il concreto dettato normativo persino dal precetto sulla generalità ed astrattezza della disposizione avente forza di legge.

In conseguenza di tale malvezzo, il legislatore dello statuto ha individuato nelle diposizioni interpretative un tipico strumento con cui talora si tenta di spezzare il vincolo della generalità ed astrattezza o si cerca di inserire in una fattispecie elementi ad essa completamente spuri.

Di qui il disfavore totale verso provvedimenti legislativi pur dichiaratamente interpretativi, con l'evidente limite che la disposizione si traduce in un fatto esortativo pressoché sfornito di ogni sanzione (come dimostra la deroga puntuale che abbiamo citato nell'epigrafe).

Inquadrato lo statuto come legge ordinaria, è evidente che neppure il principio di fissità che abbiamo qui richiamato è tutelato ex se in quanto contenuto nello statuto, nè può essere oggetto di un rimando indiretto alla Corte costituzionale, ma nulla vieta che, trattandosi di un principio generale dell'ordinamento tributario, eventuali norme successive che non tenessero conto di tale regula iuris siano oggetto di sindacato di costituzionalità. In verità, questo “principio di fissità” non è una novità nell'ordinamento giuridico italiano; già sancito dall'art. 1, comma 2, legge 7 gennaio 1929, n. 4, recante «norme generali per la repressione della violazione delle leggi finanziarie», e caducato con l'entrata in vigore della l. n. 516/1982, disponeva che «le disposizioni della presente legge [...] non possono essere abrogate o modificate da leggi posteriori concernenti i singoli tributi, se non per dichiarazione espressa del legislatore con specifico riferimento alle singole disposizioni abrogate o modificate».

Secondo Lampis il principio di fissità, lungi dal cristallizzare l'ordinamento giuridico tributario o impedirne il razionale sviluppo, costituiva in effetti un richiamo per l'attenzione del legislatore affinché questi valutasse con attenzione l'impatto sul sistema dell'innovazione normativa; il principio di fissità era, quindi, una difesa avanzata contro interventi del legislatore in materia tributaria non adeguatamente ponderati, ritenendo che ad un maggior grado di stabilità e certezza corrispondesse una migliore tutela delle entrate fiscali. Il vecchio testo normativo qui evocato era da inquadrare nel cd. «particolarismo tributario», ovvero in un vero e proprio sottosistema, autonomo rispetto agli altri settori dell'ordinamento, giustificato da primarie esigenze di tutela dell'erario. Di tale straordinaria considerazione non v'è, purtroppo, traccia per la l. n. 212/2000, forse perché adesso il principio di fissità —come procedimento legislativo aggravato- appare ultroneo in un regime che ha già principi costituzionali. Resta, tuttavia, da verificare quali siano le conseguenze sia del principio di fissità sia della qualificazione delle norme dello Statuto come principi generali dell'ordinamento tributario.

La questione si è posta dopo appena 6 mesi relativamente alla motivazione “per relationem” di cui all'art. 7, comma 1, ultimo alinea, l. n. 212/2000, modificato ”non espressamente” dall'art. 42, comma 2, ultimo alinea, d.P.R. n. 600/1973 (come novellato dall'art. 1, comma 1, lett. c), n. 1), del d.lgs. 26 gennaio 2001, n. 32): “se nella motivazione si fa riferimento ad un altro atto non conosciuto né ricevuto dal contribuente, questo deve essere allegato all'atto che lo richiama, salvo che quest'ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale”; inoltre, dopo soli 17 mesi, la medesima questione si è riproposta per la modifica “non espressa” del principio di cui all'ultimo comma dell'art. 7, l. n. 212/2000: “La natura tributaria dell'atto non preclude il ricorso agli organi di giustizia amministrativa, quando ne ricorrano i presupposti” conseguente alla riforma apportata dall'art. 12, comma 2, legge 28 dicembre 2001, n. 448 (Finanziaria 2002), che sostituisce ad un'elencazione analitico-formale di tributi ed atti, un criterio sostanziale: ai fini della qualificazione del tributo non rileva più la formale denominazione attribuita dal legislatore (Corte cost. n. 141/2009; Corte cost. n. 64/2008). L'attuale giurisprudenza di legittimità, indipendentemente dal contenuto della domanda e dalla tipologia dei atti emessi dall'Amministrazione finanziaria, ritiene sussistere la giurisdizione tributaria quando oggetto della controversia è l'esercizio del potere impositivo sussumibile nello schema potestà-soggezione che è proprio del rapporto tributario. Pertanto, attesa la riconosciuta generalità ed esclusività della giurisdizione tributaria, ogni dichiarazione di improponibilità della domanda ha valore assoluto; infatti, “il carattere esclusivo della giurisdizione tributaria non consente che atti non impugnabili in tale sede siano devoluti, in via residuale, ad altri giudici, secondo le ordinarie regole di riparto della giurisdizione” (Cass. S.U., n. 13793/2004). L'art. 2, nella recente formulazione integrata dall'art. 9 comma 1 lett. a), d.lgs. 24 settembre 2015, n. 156, conferma e rafforza l'omnicomprensività della giurisdizione tributaria attribuita alla Cc.Tt., giudice «naturale» di cui all'art. 25 Cost. (Cass. S.U., n. 27074/2016).

Secondo le parole di Uricchio (cit.) “la valenza di principi generali delle disposizioni dello Statuto ne consente, quindi, l'utilizzazione in funzione integrativa delle lacune dell'ordinamento. Allo stesso tempo, tali norme, esprimendo valori fondanti dell'ordinamento tributario, in quanto strettamente collegati a quelli sanciti dalla Costituzione, sono destinate a orientare, oltre che l'attività interpretativa, la produzione normativa, assicurando così l'unità e la coerenza dell'ordinamento.

Anche secondo consolidato orientamento giurisprudenziale (Cfr. Cass. V, Ord., n. 8254/2009) le norme della l. n. 212/2000 (c.d. Statuto del contribuente), emanate in attuazione degli artt. 3,23,53 e 97 Cost. e qualificate espressamente come principi generali dell'ordinamento tributario, sono, in taluni casi, idonee a prescrivere specifici obblighi a carico dell'Amministrazione finanziaria e costituiscono, in quanto espressione di principi già immanenti nell'ordinamento, criteri guida per il giudice nell'interpretazione delle norme tributarie (anche anteriori), ma non hanno rango superiore alla legge ordinaria.

Conseguentemente, non possono fungere da norme parametro di costituzionalità, né consentire la disapplicazione della norma tributaria in asserito contrasto con le stesse.

Rapporti tra Statuto del contribuente e fonti normative delle Regioni e degli enti territoriali.

L'art. 1 al terzo e quarto comma (quest'ultimo abrogato dal d.lgs. n. 219/2023) stabilisce anche che le regioni a statuto ordinario, le regioni a statuto speciale e gli enti locali provvedono, rispettivamente, a regolare le materie disciplinate dalla presente legge e ad adeguare i propri statuti e atti normativi ai principi ivi espressi (sulle modifiche apportate ai commi in commento dal d.lgs. n. 219/2023, si veda infra, § 6).

Va tenuto conto, ai fini di una analisi del quadro di riferimenti e relazioni fra ordinamenti che la norma comporta, del disposto dei nuovi artt. 117 e 119 Cost., come derivanti dalla novella costituzionale, l. cost. n. 3/2001, in realtà successiva allo Statuto.

Sebbene la norma risultante dalla nuova disposizione chiarisca che si tratta di legislazione concorrente, che va dunque esercitata nei limiti e nei rapporti con cui essa si sviluppa anche negli altri campi ordinamentali, non vi è dubbio che il sistema delle disposizioni statutarie si ponga come sintesi (certamente dinamica, altri principi generali si possono aggiungere a quelli enunciati dallo Statuto) dei principi generali dell'ordinamento, nella specie tributario, a cui per il combinato disposto degli artt. 117 e 119 Cost. debbono conformarsi la legislazione regionale e la produzione amministrativa di natura generale (con qualche approssimazione definita impropriamente «normativa» dal medesimo Statuto) degli enti locali titolari di autonomia impositiva.

Ormai consegnate al passato le questioni relative all'attuazione temporale delle disposizioni di adeguamento, resta tuttavia attuale sia la necessità del legislatore regionale di adeguarsi a tali principi generali pur mantenendo ampia autonomia, in quanto né la Costituzione né altre fonti indicano come tale adeguamento debba praticarsi (salvo il controllo diretto di legittimità costituzionale praticabile in tale fattispecie), sia quella degli enti locali di adeguare le proprie disposizioni regolamentari al disposto dello Statuto, in quanto contraddistinte dalla duplice caratteristica di essere state emanate in attuazione degli artt. 3,23,53 e 97 Cost. e di costituire riconosciuti principi generali dell'ordinamento tributario.

È sorto anche il problema dell'eventuale «automatismo» delle disposizioni statutarie; si è ritenuto (Uricchio, cit.) che le disposizioni statutarie non diano origine ad alcuna compressione della potestà legislativa autonoma delle regioni né di quella regolamentare degli enti locali, in quanto non vi è una norma di «automatica trasposizione», dovendosi emanare disposizioni, legislative o regolamentari, di recepimento dei principi statutari.

Corregge tale impostazione, che produrrebbe la formazione di un'area discrezionale di attuazione o meno dello statuto, l'affermato principio che nel caso in cui gli atti di accertamento o riscossione relativi a tributi regionali e locali non tengano conto dei principi statutari potranno essere oggetto di specifica impugnazione e – quanto alle eventuali leggi regionali – di segnalazione incidentale di possibile incostituzionalità.

Secondo la citata dottrina pur in mancanza di una disposizione omologa rispetto a quella introdotta dal d.lgs. n. 267/2000 (T.U.E.L.) le norme dei regolamenti comunali e provinciali che si pongono in contrasto con le disposizioni dello Statuto dovrebbero considerarsi abrogate, sia pure in modo implicito, in quanto viziati da illegittimità sopravvenuta, la quale trascina con sé tutti gli atti normativi consequenziali.

Pur essendo tale opinione suffragata «non soltanto dalla collocazione di Statuto del contribuente e dei regolamenti comunali su piani in dislivello tra loro per gerarchia formale delle fonti rispettive, ma soprattutto dalla «capacità condizionante» dello Statuto conseguente alla qualificazione di principi generali delle disposizioni ivi contenute» essa non pare in linea con il principio generale di ultrattività degli ordinamenti locali in mancanza di espressa caducazione o impugnazione, dovendosi peraltro ritenere che, nel caso siano poi impugnati atti applicativi di disposizioni in persistente contrasto con i principi statutari, si potrà utilmente ricorrere alla figura della declaratoria incidentale di disapplicazione nel caso di specie, rimanendo intatti i rapporti di coloro che non abbiano espressamente censurato la disposizione divenuta illegittima.

Le disposizioni dello Statuto riguardanti l'esercizio della funzione legislativa.

Alcune norme dello Statuto riguardano, come già detto, la funzione legislativa.

L'art. 1 oltre al principio di fissità di cui abbiamo discorso sopra, con i limiti interpretativi che vi sono connaturati, contiene anche, al comma 2, la limitazione all'emanazione di norme interpretative, che ovviamente, specie nella legislazione tributaria, sono sovente lo strumento con cui si tenta di far retroagire a precedenti periodi di imposta una determinata norma.

La disposizione, sicuramente opportuna ancorché come tutte le altre norme di indirizzo legislativo non munita di sanzione in senso proprio, prevede che per poter dar vita ad una disposizione interpretativa vi sia l'eccezionalità del caso regolato, che essa abbia natura di legge ordinaria e non di lex specialis (quindi si esclude una regolazione caso per caso) e che vi sia l'espressa qualificazione della norma come di interpretazione autentica.

In verità tale ultimo punto può essere desunto dall'interprete, ove il tenore letterale della norma sia chiaramente ed indubitabilmente di tale natura; vale anche per l'interpretazione delle norme giuridiche il principio che esse sono lette ed interpretate in primo luogo per la loro struttura letterale e contestualmente per il loro senso effettivo.

Sebbene l'introduzione del principio con rango di legge ordinaria abbia contribuito sicuramente a comprimere il deprecabile fenomeno delle pseudo norme di interpretazione autentica (in realtà norme che, in dispregio di altro principio generale in materia tributaria, la non retroattività, la realizzano surrettiziamente) esso non appare debellato.

La Corte cost. n. 525/2000 non casualmente ha statuito che è costituzionalmente illegittimo, per violazione dell'art. 3 Cost., l'art. 21 comma 1 l. 13 maggio 1999 n. 133, nella parte in cui estende anche al periodo anteriore alla sua entrata in vigore l'efficacia dell'interpretazione autentica, da essa dettata, dell'art. 38 comma 2 d.lgs. 31 dicembre 1992 n. 546 (e cioè, nella parte in cui ha disposto, con efficacia retroattiva, che tale ultima disposizione si interpreti nel senso che le sentenze emesse dalle commissioni tributarie regionali debbano essere notificate ai sensi dell'art. 11 comma 2 r.d. 30 ottobre 1933 n. 1611, presso l'Avvocatura distrettuale dello Stato), in quanto, siccome la disposizione censurata è norma di interpretazione autentica con efficacia retroattiva, l'efficacia retroattiva della legge di interpretazione autentica è soggetta, tra gli altri, al limite del rispetto del principio dell'affidamento dei consociati nella certezza dell'ordinamento giuridico, principio che trova applicazione anche in materia processuale e che nel caso di specie deve ritenersi violato in conseguenza della non prevedibilità della soluzione interpretativa adottata dal legislatore, rispetto a quelle affermatesi nella prassi.

Come si vede, la Corte delle leggi ha raggiunto la declaratoria di incostituzionalità non tanto invocando — che sarebbe stato inibito in un giudizio di costituzionalità – l'art. 1 dello Statuto, ma direttamente i principi generali comparandoli all'art. 3.

Fra gli elementi che giustificano l'adozione di una norma di tal fatta oltre all'obbiettivo caso — purtroppo non infrequente — di oscurità del testo normativo e di incertezze in ordine al significato ed alla portata delle norme oggetto di interpretazione vi è anche quello di contrasti giurisprudenziali particolarmente accentuati che non a caso giustifica anche una forma di interpretazione de futuro giurisprudenziale.

Come esempio di norme ritenute di interpretazione autentica v. Cass. V, n. 8699/2013 che afferma che in tema di accertamento delle violazioni doganali, l'art. 9, comma 3-decies, del d.l. 2 marzo 2012, n. 16, convertito nella l. 26 aprile 2012, n. 44 — secondo cui l'ufficio doganale che effettua le verifiche generali o parziali con accesso presso l'operatore è competente alla revisione delle dichiarazioni doganali oggetto del controllo anche se accertate presso un altro ufficio doganale — non ha carattere retroattivo, sicché non si applica alle fattispecie verificatesi anteriormente alla sua entrata in vigore; né esso costituisce norma di interpretazione autentica dell'art. 11, nono comma, del d.lgs. 8 novembre 1990, n. 374, in quanto, pur prescindendosi dall'art. 1, secondo comma, della l. 27 luglio 2000, n. 212, che limita, in materia tributaria, a casi eccezionali l'emanazione di norme siffatte, la natura interpretativa di una disposizione viene stabilita direttamente dal legislatore, laddove quella in esame, introdotta nel 2012, non risulta espressamente rivolta ad interpretare la normativa pregressa, invece disciplinando, per il futuro, le regole della competenza per l'emissione di un atto amministrativo, la legittimità del quale, peraltro, deve essere valutata alla stregua delle norme vigenti al momento della sua emanazione, Cass. V, n. 5167/2013: «L'art. 1, comma 2, della legge n. 212 del 2000 (Statuto dei diritti del contribuente), limita, nell'ambito della materia tributaria, a casi eccezionali l'emanazione di norme di interpretazione autentica, richiedendo, altresì, che la natura interpretativa della disposizione risulti da un'espressa qualificazione legislativa. Ciò non è configurabile in relazione all'art. 9, comma 3-decies, del d.l. n. 16 del 2012 che, pertanto, è una norma ordinaria diretta a disporre, in relazione alla competenza dell'autorità doganale, esclusivamente per l'avvenire», Cass. V, n. 19225/2012 «Nell'interpretazione della norma in materia tributaria, non è d'ostacolo alla qualificazione quale norma interpretativa retroattiva dell'art. 36, comma 2, del d.l. 4 luglio 2006, n. 223, convertito con modificazioni dalla legge 4 agosto 2006, n. 248 (norma che precisa quando un'area può essere considerata edificabile ai fini tributari) il disposto del comma 2 dell'art. 1 della legge n. 212 del 2000 — secondo cui «L'adozione di norme interpretative in materia tributaria può essere disposta soltanto in casi eccezionali e con legge ordinaria, qualificando come tali le disposizioni di interpretazione autentica» —, in quanto l'art. 36, comma 2, dotato della stessa forza della legge n. 212 del 2000 (che non ha valore superiore a quello della legge ordinaria, come sottolineato dalla Corte cost. ord, n. 180/2007, Corte cost. ord, n. 428/2006 e Corte cost. ord, n. 216/2004), è idoneo ad abrogare implicitamente quest'ultima e, conseguentemente, ad introdurre nell'ordinamento una valida norma di interpretazione autentica, ancorché priva di una espressa autoqualificazione in tal senso», Cass. V, n. 17576/2002: «Dal momento che l'Amministrazione finanziaria deve osservare i principi di collaborazione, buona fede e affidamento (considerati dal lato del contribuente) posti dall'art. 10, commi 1 e 2 (letto alla luce dell'art. 1, comma 1) della l. n. 212 del 2000 in attuazione, degli artt. 53 e 97 della Costituzione, non può procedere alla emissione di un avviso di rettifica annullando nel contempo d'Ufficio l'atto con cui la medesima Amministrazione aveva archiviato un verbale di accertamento a seguito di ricorso da parte del contribuente ad una procedura di sanatoria suggerita dall'Amministrazione stessa.»; C.t.p. Catania II, 4 maggio 2004, n. 238: «L'acquisizione di un documento con violazione di legge non può rifluire a vantaggio del detentore che sia l'autore di tale violazione o ne sia comunque direttamente o indirettamente responsabile, e pertanto sono inutilizzabili le prove acquisite presso la sede del contribuente oltre il termine di 30 giorni lavorativi previsto dall'art.  12, quinto comma, della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto dei diritti del contribuente), che fissa principi generali dell'ordinamento tributario in attuazione degli artt. 3,23,53, e 97 Cost., secondo quanto stabilito dall'art. 1, primo comma, della stessa legge n. 212 del 2000»; Cass. V, n. 17576/2002: «Il dubbio interpretativo o applicativo sul significato e sulla portata di qualsiasi disposizione tributaria che attenga ad ambiti materiali disciplinati dallo statuto del contribuente di cui alla l. 27 luglio 2000, n 212, deve essere risolto dall'interprete nel senso più conforme ai principi statutari»; Cass. V, n. 17576/2002: La maggior parte delle disposizioni della legge 27 luglio 2000, n. 212 (c.d. «Statuto del contribuente») costituisce attuazione di «principi generali dell'ordinamento tributario» come risulta chiaramente dall'autoqualificazione stessa delle disposizioni della legge e dal loro contenuto normativo, dal loro oggetto, dal loro scopo e dalla loro incidenza nei confronti di altre norme della legislazione e dell'ordinamento tributari, nonché dei relativi rapporti. In particolare, alle specifiche “clausole rafforzative” di autoqualificazione delle disposizioni stesse dello Statuto del contribuente come attuative delle norme costituzionali e come «principi generali dell'ordinamento tributario» deve essere attribuito il preciso valore normativo di formulazione sintetica di quattro diversi e specifici significati: in primo luogo, quello di «principi generali del diritto, dell'azione amministrativa e dell'ordinamento particolare tributari» (artt. 3 e 5 — 19, che dettano disposizioni volte sia a disciplinare l'efficacia temporale delle norme tributarie, sia ad assicurare la «trasparenza» dell'attività stessa, sia ad orientare in senso garantistico tutta la prospettiva costituzionale del diritto tributario); in secondo luogo, quello di «principi fondamentali della legislazione tributaria», tesi a vincolare in vario modo l'attività del futuro legislatore tributario, statale e regionale, sia nella scelta della fonte di produzione (artt. 1, comma 2 e 4) e del relativo oggetto (art. 2, comma 2), sia nella tecnica di redazione delle leggi (art. 2, commi 1, 3 e 4); in terzo luogo, quello di «principi fondamentali della materia tributaria», in relazione all'esercizio della relativa «potestà legislativa concorrente» da parte delle Regioni (cfr. combinato disposto degli artt. 1, comma 3, dello Statuto del contribuente, 117, commi 2, lett. e, quarto periodo e 3, e 119, commi 1 e 2 Cost., nei testi sostituiti, rispettivamente, dagli artt. 3 e 5 della legge cost. 18 ottobre 2001, n. 3); ed infine, quello di «norme fondamentali di grande riforma economico sociale», in relazione all'esercizio della potestà legislativa «esclusiva» da parte delle Regioni ad autonomia speciale e delle Province autonome di Trento e di Bolzano (cfr. artt. 1, comma 3, secondo periodo, dello Statuto del contribuente e 116, comma 1, Cost., nel testo sostituito dall'art. 2 della legge costituzionale n. 3 del 2001, nonché art. 10 di quest'ultima legge), naturalmente laddove, in tutte o in alcune disposizioni statutarie, sia possibile individuare, secondo i criteri elaborati dalla Corte Costituzionale, siffatta caratteristica. Di conseguenza, deve ritenersi che le disposizioni statutarie (al di là di ogni eventuale ostacolo «formale» o sistematico) magis valeant nella legislazione tributaria, oltre alla circostanza secondo cui è insita nella categoria dei «principi giuridici» la funzione di orientamento ermeneutica ed applicativo vincolante nell'interpretazione della legge tributaria, pur dovendosi distinguere nell'ambito delle disposizioni dello Statuto del contribuente tra quelle di principi già «immanenti» nel diritto o nell'ordinamento tributario (come quelle in tema di conoscenza, chiarezza e motivazione degli atti) e quelle che — pur dettate in attuazione delle richiamate norme costituzionali — presentano, invece, un contenuto totalmente o parzialmente innovativo rispetto allo stato della legislazione tributaria preesistente (esempi ne sono le disposizioni in materia di interpello del contribuente, dettate dall'art. 11, e, almeno in parte, quelle in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, dettate dall'art. 12); Cass. V, n. 17576/2002: «Dal momento che l'Amministrazione finanziaria deve osservare i principi di collaborazione, buona fede e affidamento (considerati dal lato del contribuente) posti dall'art. 10, commi 1 e 2 (letto alla luce dell'art. 1, comma 1) della l. n. 212 del 2000 in attuazione, degli artt. 53 e 97 della Costituzione, non può procedere alla emissione di un avviso di rettifica annullando nel contempo d'Ufficio l'atto con cui la medesima Amministrazione aveva archiviato un verbale di accertamento a seguito di ricorso da parte del contribuente ad una procedura di sanatoria suggerita dall'Amministrazione stessa.», C.t.r. Lombardia, Milano, IV, 6 giugno 2017, n. 2483: «.......le disposizioni in tema di accertamento sintetico contrastano con i principi dello Statuto dei diritti del contribuente il quale contiene «principi generali dell'ordinamento tributario» (art. 1, comma 1, l. n. 212/2000) che devono ritenersi di valenza «rafforzata» e prevalente rispetto alle norme primarie in campo tributario.».

Come si evidenzia la giurisprudenza in vario modo con forza gradualmente accresciuta ripropone il tema delle disposizioni statutarie e — non dubitando del loro valore di principi generali dell'ordinamento giuridico tributario – le utilizza come canone ermeneutico e parametro di legittimità sia delle altre disposizioni di merito tributarie, sia degli atti che in forza di esse emana l'amministrazione. A distanza di molti anni, si può dire che l'inverarsi dell'utilità dello Statuto trova ora spazi sempre più consistenti.

La riforma fiscale e la revisione dello Statuto dei diritti del contribuente

Il  decreto legislativo 30 dicembre 2023 n. 219, recante Modifiche allo statuto dei diritti del contribuente, ha dato attuazione all'articolo 4 della legge n. 111 del 2023(c.d. legge delega per la riforma fiscale).

Nello specifico, l'articolo 4 cit., prevede che le disposizioni dello Statuto costituiscono princìpi generali dell'ordinamento e criteri di interpretazione adeguatrice della legislazione tributaria e indica i seguenti princìpi e criteri direttivi di delega per la revisione dello Statuto medesimo:

a)        rafforzare l'obbligo di motivazione degli atti impositivi, anche mediante l'indicazione delle prove su cui si fonda la pretesa;

b)       valorizzare il principio del legittimo affidamento del contribuente e il principio di certezza del diritto;

c)        razionalizzare la disciplina dell'interpello, al fine di:

§ ridurre il ricorso all'istituto dell'interpello incrementando l'emanazione di provvedimenti interpretativi di carattere generale, anche indicanti una casistica delle fattispecie di abuso del diritto, elaborati anche a  seguito dell'interlocuzione con gli ordini professionali, con le associazioni di categoria e con gli altri enti esponenziali di interessi collettivi nonché tenendo conto delle proposte pervenute attraverso pubbliche consultazioni;

§ rafforzare il divieto di presentazione di istanze di interpello, riservandone l'ammissibilità alle sole questioni che non trovano soluzione in documenti interpretativi già emanati;

§ subordinare, per le persone fisiche e i contribuenti di minori dimensioni, l'utilizzazione della procedura di interpello alle sole ipotesi in cui non è possibile ottenere risposte scritte mediante servizi di interlocuzione rapida, realizzati anche attraverso l'utilizzo di tecnologie digitali e di intelligenza artificiale;

§ subordinare l'ammissibilità delle istanze di interpello al versamento di un contributo, da graduare in relazione a diversi fattori, quali la tipologia di contribuente o il valore della questione oggetto dell'istanza, finalizzato al finanziamento della specializzazione e della formazione professionale continua del personale delle agenzie fiscali;

d)       disciplinare l'istituto della consulenza giuridica, distinguendolo dall'interpello e prevedendone presupposti, procedure ed effetti, assicurando che non ne derivino nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica;

e)        prevedere una disciplina generale del diritto di accesso agli atti del procedimento tributario;

f)         prevedere una generale applicazione del principio del contraddittorio a pena di nullità;

g)        prevedere una disciplina generale delle cause di invalidità degli atti impositivi e degli atti della riscossione;

h)       potenziare l'esercizio del potere di autotutela estendendone l'applicazione agli errori manifesti nonostante la definitività dell'atto, prevedendo l'impugnabilità del diniego ovvero del silenzio nei medesimi casi nonché, con riguardo alle valutazioni di diritto e di fatto operate, limitando la responsabilità nel giudizio amministrativo-contabile dinanzi alla Corte dei conti alle sole condotte dolose;

i)         prevedere l'istituzione e la definizione dei compiti del Garante nazionale del contribuente, quale organo monocratico con incarico di durata quadriennale, rinnovabile una sola volta, e la contestuale soppressione del Garante del contribuente, operante presso ogni direzione regionale delle entrate e direzione delle entrate delle province autonome, di cui all'articolo 13 della legge 27 luglio 2000, n. 212, e assicurando la complessiva invarianza degli oneri finanziari.

Al fine di attuare in parte qua la norma di delega, il Legislatore è intervenuto seguendo due principali linee di azione.

In primo luogo, ha rafforzato la funzione dello Statuto dei diritti del contribuente quale legge generale tributaria, sostituendo il riferimento all'attuazione dei soli principi artt. 3, 23, 53 e 97 della Costituzione con quello ai principi costituzionali, dell'Unione Europea, della CEDU.

In secondo luogo, ha apportato significative modifiche a numerose disposizioni statutarie, ormai inadeguate (si legge nella Relazione Illustrativa) – vuoi per l'evoluzione della giurisprudenza della Corte costituzionale, della Corte di giustizia dell'Unione Europea e della Corte europea dei diritti dell'Uomo, vuoi per alcune interpretazioni restrittive adottate dalla giurisprudenza nazionale – a garantire la piena attuazione del principio di certezza del diritto e del legittimo affidamento. In tal modo, la novella dimostra specifica considerazione anche per la dimensione internazionale dei diritti fondamentali del contribuente, consentendo a livello interpretativo di dare immediata rilevanza di quanto statuito dagli organi giurisdizionali internazionali, compresa la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo.

Le modifiche apportate all’art. 1 dello Statuto dal D.Lgs. n. 219/2023

L'art. 1, comma 1, lett. a), del decreto legislativo 30 dicembre 2023 n. 219, ha modificato il comma 1 dell'art. in commento, introducendo un riferimento specifico alla rilevanza della c.d. interpretazione adeguatrice. Ciò consente alle disposizioni contenute nello Statuto di svolgere una funzione orientativa per l'interpretazione di tutte le norme tributarie, contribuendo al rafforzamento della certezza del diritto e alla coerenza di tali norme con i principi giuridici dell'ordinamento tributario italiano (cfr. Relazione Illustrativa). L'intervento normativo recepisce la ormai consolidata giurisprudenza di legittimità che, sin dalla sentenza n. 17576 del 2002, più volte citata, ha affermato la “superiorità assiologica dei principi espressi o desumibili dallo Statuto e, quindi, la loro funzione di orientamento ermeneutico, vincolante per l'interprete; in altri termini, il dubbio interpretativo o applicativo sul significato e sulla portata di qualsiasi disposizione tributaria, che attenga ad ambiti materiali disciplinati dalla L. n. 212/2000, deve essere risolto dall'interprete nel senso più conforme ai principi statutari”. L'affermazione che le disposizioni contenute nello Statuto costituiscono criteri di interpretazione adeguatrice è pienamente coerente con la funzione di attuazione dei principi giuridici che quest'ultimo svolge all'interno dell'ordinamento tributario italiano. Recependo l'interpretazione adeguatrice a livello normativo, il legislatore dimostra il proprio intento di far convergere l'ordinamento tributario verso una dimensione coerente con i principi che lo caratterizzano come sistema. In questo modo, il legislatore si propone di migliorare la certezza del diritto e di prevenire inutili controversie interpretative, contribuendo alla riduzione dei tempi di attuazione del diritto alla giustizia tributaria. La delimitazione concreta dell'ambito operativo dell'interpretazione adeguatrice deve tener conto della triplice origine dei principi giuridici dell'ordinamento tributario attuati dallo Statuto dei diritti del contribuente, relativamente a quelli che derivano dalla Costituzione, dal diritto dell'Unione europea e dalla CEDU. Questo significa che la stessa indagine in merito al contenuto e alla portata dei principi giuridici dello Statuto comporta a sua volta la necessità di verificare se la giurisprudenza costituzionale e unionale forniscano elementi utili alla più precisa comprensione del principio affermato nello Statuto stesso. L'estensione della protezione dei diritti contemplati dallo Statuto a tutti i soggetti del rapporto tributario, operata dal nuovo testo dell'articolo 1, rappresenta un importante elemento di rafforzamento delle garanzie dell'attuazione del prelievo tributario in base a quanto stabilito dalla legge e nel rispetto della regola dello Stato di diritto. Per effetto di questa norma, ogni riferimento nello Statuto alla tutela del contribuente deve intendersi come comprensivo di tutti gli altri soggetti passivi e destinatari di obblighi formali collegati all'attuazione del tributo.

Venendo alle singole modifiche, l'articolo 1, comma 1, lettera a), al numero 1 modifical'articolo 1, comma 1 dello Statuto. In particolare  si precisa che  le disposizioni  dello Statuto del Contribuente hanno  portata  generale in  quanto si  applicano a tutti  i soggetti del rapporto tributario e, dunque, anche all'Amministrazione finanziaria. Viene introdotta una norma di carattere generale volta a garantire che tali disposizioni, in luogo di attuare solo alcuni articoli della Costituzione, si conformano:

§  a tutte le norme della Costituzione rilevanti in materia tributaria; rispetto alla formulazione vigente, dunque, esse non costituiscono più la sola attuazione del principio di uguaglianza (articolo 3 Cost.), del principio di legalità in materia tributaria (articolo 23), della capacità contributiva e della progressività del sistema tributario (articolo 53) e ai principi di buon andamento, imparzialità e organizzazione ex lege della pubblica amministrazione (articolo 97);

§  ai principi dell'ordinamento dell'Unione Europea;

§  alla Convenzione europea dei Diritti dell'Uomo.

Il numero 2 sostituisce l'articolo 1, comma 3 dello Statuto del contribuente. A legislazione previgente, si affidava alle sole regioni a statuto ordinario il compito di regolare le materie disciplinate dallo Statuto del contribuente, in attuazione delle disposizioni in essa contenute. Per effetto delle modifiche in esame si chiarisce che non solo le regioni, ma altresì gli enti locali, nell'ambito delle rispettive competenze, regolano le materie disciplinate dallo Statuto, precisando che ciò deve avvenire nel rispetto del sistema costituzionale e delle garanzie del cittadino nei riguardi dell'azione amministrativa, così come definite dai principi stabiliti dalla medesima legge n. 212 del 2000.

Il numero 3 dell'articolo 1, comma 1, lettera a) introduce i nuovi commi 3-bis e 3-ter nell'articolo 1 della legge n. 212 del 2000. In particolare, il comma 3-bis prevede che le amministrazioni, statali e territoriali, osservano le disposizioni dello Statuto del contribuente concernenti la garanzia del contradditorio e dell'accesso alla documentazione amministrativa tributaria, la tutela dell'affidamento, il divieto del bis in idem, il principio di proporzionalità e l'autotutela le disposizioni concernenti la garanzia del contradditorio e dell'accesso alla documentazione amministrativa tributaria. Il previgente comma 4 disponeva che gli enti locali adeguassero i rispettivi statuti e gli atti normativi da essi emanati ai princìpi dettati dalla legge n. 212 del 2000. Il successivo comma 3-ter pone a regioni ed enti locali, nella disciplina dei procedimenti amministrativi di loro competenza, il divieto di stabilire garanzie inferiori a quelle assicurate dai principi richiamati al comma 3-bis, potendo tuttavia prevedere livelli ulteriori di tutela.

Il numero 4 abroga il comma 4 dell'articolo 1 dello Statuto.

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