Legge - 27/07/2000 - n. 212 art. 4 - Utilizzo del decreto-legge in materia tributaria.

Mario Cavallaro

Utilizzo del decreto-legge in materia tributaria.

1. Non si può disporre con decreto-legge l'istituzione di nuovi tributi nè prevedere l'applicazione di tributi esistenti ad altre categorie di soggetti. 

Inquadramento

La disposizione in commento – ricompresa fra quelle (artt. 1 – 4) generali dello statuto — può dirsi addirittura generalissima, tanto che ne è stata segnalata la scarsa o meglio nulla frequentazione giurisprudenziale, trattandosi di una disciplina generale della legislazione in materia tributaria che alla luce della portata complessiva dello statuto (su cui rimandiamo soprattutto al commento dell'art. 1) pur essendo significativa non ha avuto un impatto cogente sulla legislazione successiva. In particolare, la norma vieta di utilizzare la decretazione d'urgenza per istituire nuovi tributi o per estendere a categorie di nuovi soggetti un tributo esistente. Ancorché si tratti di norme, anche nel caso dell'art. 4, generali ed astratte e a destinatari plurimi, è chiaro che il divieto di utilizzazione di uno strumento legislativo si rivolge direttamente al legislatore, facendo sorgere la duplice problematica che, trattandosi di norma ordinaria, da un lato non immuta né interpola i criteri di cui all'art. 77 Cost. in tema di decretazione d'urgenza e quelli altrettanto generali per cui in materia tributaria è pacifica la c.d. riserva di legge e dall'altro in quale eventuale sanzione incorra la violazione di tale divieto.

Marongiu, in dottrina fra i più strenui difensori della portata dello statuto ha ricordato (op. cit. 28 s.) che «il sindacato sull'esistenza e sull'adeguatezza dei presupposti della necessità e dell'urgenza che legittimano il Governo ad emanare decreti-legge, può essere esercitato – a prescindere dai problemi relativi all'identificazione dei suoi limiti – solo in caso di “evidente mancanza” dei requisiti stessi» (così, all'interno di una giurisprudenza non sempre univoca, Corte cost. n. 29/1995 e Corte cost. n. 16/2002). Evidenti sono allora le conseguenze in ordine alla possibile deroga dell'art. 4 dello Statuto. Se ex art. 77 Cost. particolare deve essere la necessità, se straordinario deve essere il caso, se impellente deve essere l'esigenza, con specifico riguardo alla materia tributaria il decreto legge non potrà mai essere utilizzato, in linea di principio, per istituire un tributo destinato a durare, un tributo che connoti, per usare il linguaggio della tradizione, la fiscalità ordinaria. Ciò non significa, essendo lo Statuto derogabile, che il legislatore, nello specifico, non possa ricorrere anche al decreto-legge, ma a condizione che esso sia reso necessario dalla riscontrata e comprovata ricorrenza di una situazione eccezionale che consenta di derogare al principio generale contenuto nell'art. 4 dello Statuto. In altre parole, un qualsiasi decreto-legge può essere dichiarato incostituzionale nel caso di «evidente mancanza» dei requisiti costituzionali che lo legittimano; un decreto-legge istitutivo di un tributo va dichiarato incostituzionale ove la Corte non accerti l'esistenza di una specifica, eccezionale ragione che, nel concreto, lo giustifichi.» La lunga citazione ci consente di affermare che anche la dottrina più profondamente convinta della centralità dello Statuto nel sistema legislativo tributario non può che ripetere principi generali che si applicano a tutta la decretazione d'urgenza, il cui presupposto costituzionale è l'eccezionalità della regolazione normativa da parte dell'esecutivo e l'urgenza di provvedere. E il sindacato di legittimità costituzionale non è dunque digradato a livello di legge ordinaria da parte della norma dello statuto, né esercitabile in forma diffusa da soggetti diversi o dalle stesse Camere, se non nell'ambito dei poteri-doveri che esercitano nel corso del procedimento di formazione delle leggi o dalla Corte Costituzionale nel giudizio ordinario, che è sempre incidentale ed indiretto.

L'utilizzo della decretazione d'urgenza nella materia tributaria

Nella tradizionale partizione dei poteri legislativi del governo (quello di proposizione alle camere di disegni di legge, che poi seguono l'iter parlamentare, quello della legislazione per delega e quello della decretazione d'urgenza) si riteneva che quello decretale fosse sostanzialmente eccezionale e residuale. La prassi sempre più accentuata di legificazione per decreto ha trasformato radicalmente non solo, ma anche sotto il profilo quantitativo il riparto fra fonti normative. Infatti secondo dati desumibili dalle ultime due legislature parlamentari, la media dei decreti legge è superiore al venti per cento dell'intera produzione normativa, ma essa è nel merito molto più significativa rispetto alla percentuale quantitativa, in quanto molta parte della residua legislazione ordinaria non solo ha tempi di approvazione lunghissimi, ma si occupa spesso di materia poco significative.

A questo si aggiunga che in generale la tradizionale partizione fra poteri, che assegna al governo il potere esecutivo e al parlamento quello legislativo, è ormai in stabile crisi, sia per il legame inscindibile che sempre più lega la «legislazione di programma» al governo sia per le difficoltà oggettive che tutti i parlamenti e massimamente quello italiano, afflitto non solo dal bicameralismo perfetto, ma da regolamenti parlamentari barocchi e molto protettivi delle minoranze, hanno nel condurre con la rapidità che i tempi socio economici contemporanei richiederebbero la funzione legislativa.

Tutte queste esigenze e queste problematiche critiche non si limitano ovviamente alla sola materia tributaria, ma certamente il richiamo dell'art. 4 non sarebbe inutile, specie perché non è generalizzato a tutta la materia tributaria, dove anzi la decretazione d'urgenza è ampiamente utilizzata (da ultimissimo sta aggiungendosi alla sterminata famiglia dei provvedimenti simili il decreto legge fiscale n. 148 del 16 ottobre 2017, al momento in cui scriviamo ancora in corso di conversione mediante voto di fiducia), ma esclusivamente alla istituzione di nuovi tributi e all'ampliamento di tributi esistenti a nuove categorie di contribuenti (che è una sorta di sottocategoria di quella principale).

La ratio di tale disposizione è chiara ed impone (imporrebbe?) al legislatore ordinario e al governo di non utilizzare uno strumento nato per ragioni emergenziali per istituire tributi che sono di regola oggetto di una necessaria programmazione generale (ma in realtà l'argomento ha una sua fragilità, essendo possibile e sicuramente non scorretta sotto il profilo costituzionale l'istituzione di un tributo per sovvenire a urgenti e straordinarie necessità).

La stessa Corte costituzionale è più volte intervenuta sul tema, anche se il principio generale è che la legge di conversione è una sorta di «novazione legislativa» che ricompone e scioglie in se molte delle criticità del procedimento decretale originario, stante la piena ratifica che del decreto fa il parlamento, magari con cospicue modificazioni da quando è stata introdotta (e a sua volta limitata ratione materiae) la tecnica del c.d. maxiemendamento, su cui poi si pone la questione di fiducia, e stante il fatto che se il parlamento per più ragioni non ravvisa l'esigenza originaria dell'uso del decreto può ben farlo decadere con la sola necessità di regolare gli effetti medio tempore verificatisi.

L'art. 4 può sicuramente considerarsi un opportuno richiamo al futuro legislatore, immanente nell'ordinamento come principio avente forza di legge, e nel solco sia della dottrina sia di numerose pronunce della Corte costituzionale: Corte cost. n. 360/1996 che, dinanzi al fenomeno dell'abuso dei decreti legge, aveva già richiamato il legislatore all'osservanza delle condizioni poste dall'art. 77 Cost., la notissima Corte cost. n. 171/2007, la prima sentenza di declaratoria di incostituzionalità di un decreto legge per violazione dei principi di cui all'art. 77 Cost., fino alle recenti ulteriori pronunce Corte cost. n. 22/2012 e Corte cost. n. 220/2013.

Resta il fatto che nulla avendo potuto esprimere in materia la giurisprudenza, siamo in presenza di un campo in cui deve emergere una intrinseca «moralità costituzionale» della prassi legislativa, non potendosi ritenere [(come rammenta la nota Corte cost. n. 50/2014, ma anche Corte cost. n. 58/2009, nonché Corte cost. ord., n. 41/2008, Corte cost. ord. n. 180/2007 e Corte cost. ord. n. 428/2006)] che abbiano rango costituzionale — neppure come norme interposte — le previsioni della l. n. 212/2000

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