Legge - 27/07/2000 - n. 212 art. 6 - Conoscenza degli atti e semplificazione.Conoscenza degli atti e semplificazione. 1. L'amministrazione finanziaria deve assicurare l'effettiva conoscenza da parte del contribuente degli atti a lui destinati. A tale fine essa provvede comunque a comunicarli nel luogo di effettivo domicilio del contribuente, quale desumibile dalle informazioni in possesso della stessa amministrazione o di altre amministrazioni pubbliche indicate dal contribuente, ovvero nel luogo ove il contribuente ha eletto domicilio speciale ai fini dello specifico procedimento cui si riferiscono gli atti da comunicare. Gli atti sono in ogni caso comunicati con modalità idonee a garantire che il loro contenuto non sia conosciuto da soggetti diversi dal loro destinatario. Restano ferme le disposizioni in materia di notifica degli atti tributari. 2. L'amministrazione deve informare il contribuente di ogni fatto o circostanza a sua conoscenza dai quali possa derivare il mancato riconoscimento di un credito ovvero l'irrogazione di una sanzione, richiedendogli di integrare o correggere gli atti prodotti che impediscono il riconoscimento, seppure parziale, di un credito. 3. L'amministrazione finanziaria assume iniziative volte a garantire che i modelli di dichiarazione, le relative istruzioni, i servizi telematici, la modulistica e i documenti di prassi amministrativa siano messi a disposizione del contribuente, con idonee modalita' di comunicazione e di pubblicita', almeno sessanta giorni prima del termine assegnato al contribuente per l'adempimento al quale si riferiscono1. 3-bis. I modelli e le relative istruzioni devono essere comprensibili anche ai contribuenti sforniti di conoscenze in materia tributaria. L'amministrazione finanziaria assicura che il contribuente possa ottemperare agli obblighi tributari con il minor numero di adempimenti e nelle forme meno costose e piu' agevoli2. 3-ter. Le amministrazioni interessate provvedono alle attivita' relative all'attuazione dei commi 3 e 3-bis nell'ambito delle risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica3. 4. Al contribuente non possono, in ogni caso, essere richiesti documenti ed informazioni già in possesso dell'amministrazione finanziaria o di altre amministrazioni pubbliche indicate dal contribuente. Tali documenti ed informazioni sono acquisiti ai sensi dell'art. 18, commi 2 e 3, della legge 7 agosto 1990, n. 241, relativi ai casi di accertamento d'ufficio di fatti, stati e qualità del soggetto interessato dalla azione amministrativa. 5. Prima di procedere alle iscrizioni a ruolo derivanti dalla liquidazione di tributi risultanti da dichiarazioni, qualora sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione, l'amministrazione finanziaria deve invitare il contribuente, a mezzo del servizio postale o con mezzi telematici, a fornire i chiarimenti necessari o a produrre i documenti mancanti entro un termine congruo e comunque non inferiore a trenta giorni dalla ricezione della richiesta. La disposizione si applica anche qualora, a seguito della liquidazione, emerga la spettanza di un minore rimborso di imposta rispetto a quello richiesto. La disposizione non si applica nell'ipotesi di iscrizione a ruolo di tributi per i quali il contribuente non è tenuto ad effettuare il versamento diretto. Sono annullabili i provvedimenti emessi in violazione delle disposizioni di cui al presente comma45. 5-bis. In caso di esercizio di attività istruttorie di controllo nei confronti del contribuente del cui avvio lo stesso sia stato informato, l'amministrazione finanziaria comunica al contribuente, in forma semplificata, entro il termine di sessanta giorni dalla conclusione della procedura di controllo, l'esito negativo di quest'ultima. L'amministrazione finanziaria, con proprio provvedimento, individua le modalità semplificate di comunicazione, anche mediante l'utilizzo di messaggistica di testo indirizzata all'utenza telefonica mobile del destinatario, della posta elettronica, anche non certificata, o dell'applicazione 'IO'. Con il medesimo provvedimento sono definite le modalità con le quali il contribuente fornisce all'amministrazione finanziaria i propri dati al fine di consentire la suddetta comunicazione in forma semplificata. La comunicazione dell'esito negativo della procedura di controllo non pregiudica l'esercizio successivo dei poteri di controllo dell'amministrazione finanziaria, ai sensi delle vigenti disposizioni. Le disposizioni del presente comma non si applicano alle liquidazioni di cui agli articoli 36-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e 54-bis del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 6336. [1] Comma sostituito dall'articolo 4-septies, comma 4, lettera a), del D.L. 30 aprile 2019, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla Legge 28 giugno 2019, n. 58. [2] Comma inserito dall'articolo 4-septies, comma 4, lettera b), del D.L. 30 aprile 2019, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla Legge 28 giugno 2019, n. 58. [3] Comma inserito dall'articolo 4-septies, comma 4, lettera b), del D.L. 30 aprile 2019, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla Legge 28 giugno 2019, n. 58. [4] Vedi articolo 2-bis, comma 1 del D.L. 30 settembre 2005, n. 203, nel testo modificato dall'articolo 1, comma 62 della legge 27 dicembre 2006, n. 296. [5] Comma modificato dall'articolo 1, comma 1, lettera d), del D.Lgs. 30 dicembre 2023, n. 219. [6] Comma inserito dall'articolo 6-bis, comma 1, del D.L. 21 giugno 2022, n. 73, convertito, con modificazioni, dalla Legge 4 agosto 2022, n. 122. InquadramentoSi tratta di una delle disposizioni centrali dello Statuto del contribuente, tanto innovativa che perdura tuttora, ed anzi si amplia, il suo successo applicativo nella giurisprudenza anche di legittimità. L'epigrafe della norma è persino riduttiva rispetto al suo contenuto, in quanto non si tratta solo della regolazione del principio di effettività della comunicazione degli atti ai fini della loro piena conoscenza da parte del contribuente, o del principio di c.d. semplificazione, che impone la concisione e chiarezza degli atti impositivi, ma dell'introduzione nell'ordinamento tributario del principio di cooperazione attiva fra contribuente ed amministrazione quando è necessario da un lato (comma 2) che l'amministrazione informi il contribuente di tutto quel che può essere a suo vantaggio e dall'altro (comma 5) che siano richiesti, nei casi in cui non vi sia un automatismo, come la giurisprudenza – come vedremo in appresso – ha meglio chiarito. Prima dell'entrata in vigore della c.d. Riforma fiscale, era prevista la sanzione molto severa della nullità dell'atto emesso in dispregio dei principi indicati dalla norma. L'art. 1, comma 1, lett. d), d.lgs. 30 dicembre 2023, n. 219, modificando il comma 5, è intervenuto sul regime di validità degli atti emessi in violazione dei predetti obblighi dell'amministrazione in materia di contraddittorio: in luogo di essere nulli, la norma in esame dispone che i provvedimenti emessi in violazione delle disposizioni di cui al comma 5 siano annullabili. Anche in riferimento all'art. 6, la Corte cost ord., n. 112/2013, (ud. 24 aprile 2013), Corte cost. ord., n. 185/2009 (ud. 22 aprile 2009), Corte cost. ord., n. 216/2004 ha ritenuto che si tratti di norma che non è suscettibile di essere utilizzata come parametro di costituzionalità di altre disposizioni tributarie, in quanto si tratta di disposizioni ordinarie. Il diritto del contribuente alla piena conoscenza degli atti ed al riserboIl comma 1 dell'art. 6 dello Statuto dei diritti del contribuente impone all'amministrazione finanziaria l'obbligo di assicurare l'effettiva conoscenza da parte del contribuente degli atti a lui destinati. A tale fine essa deve provvedere a comunicarli nel luogo di effettivo domicilio del contribuente desumibile dalle informazioni in possesso della stessa o di altre pubbliche amministrazioni indicate dal contribuente medesimo. Va subito tenuto conto che la regola generale della comunicazione o notificazione degli atti tributari in modo che sia effettiva e completa è stata oggetto anche di pronunce della Corte costituzionale, che ad esempio, in tema di notificazioni della cartella di pagamento, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del terzo comma (corrispondente all'attualmente vigente quarto comma) dell'art. 26 del d.P.R. n. 602 del 1973 nella parte in cui dispone che «Nei casi previsti dall'art. 140 del codice di procedura civile, la notificazione della cartella di pagamento si esegue con le modalità stabilite dall'art. 60 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600», invece che: «Quando nel comune nel quale deve eseguirsi la notificazione non vi è abitazione, ufficio o azienda del contribuente, la notificazione della cartella di pagamento si esegue con le modalità stabilite dall'art. 60, primo comma, alinea e lettera e), del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600». Per effetto di tale pronuncia, — ha aggiunto la Corte — nei casi di irreperibilità «relativa» (cioè nei casi di cui all'art. 140 c.p.c., che ricordiamo regola le notificazioni in caso di irreperibilità o rifiuto di ricevere la copia dell'atto), sarà applicabile, con riguardo alla notificazione delle cartelle di pagamento, il disposto dell'ultimo comma dello stesso art. 26 del d.P.R. n. 602 del 1973, in forza del quale — come visto — «Per quanto non è regolato dal presente articolo, si applicano le disposizioni dell'art. 60 del predetto decreto» n. 600 del 1973 e, quindi, in base all'interpretazione data a tale normativa dal diritto vivente, quelle dell'art. 140 c.p.c., cui anche rinvia l'alinea del primo comma dell'art. 60 del d.P.R. n. 600 del 1973. La norma andrà ora coordinata, anche in sede interpretativa, con le disposizioni in materia di notificazioni a mezzo pec, in particolare delle cartelle esattoriali, dichiarata illegittima in numerose pronunce di merito (cfr. C.t.p. Milano, I, sentenza 3 febbraio 2017 n. 1023) se non effettuata mediante comunicazione telematica di atto firmato digitalmente (di cui pertanto si possa riconoscere ex lege l'autenticità e la provenienza, derivanti da presunzioni legali). Né possono valere osservazioni sulla necessità o meno dell'uso di particolari tecnologie ed adeguati hardware e software, atteso che con una recente interessante sentenza, in verità resa all'interno del sistema processuale, ma a nostro avviso almeno in parte applicabile ad ogni fattispecie in cui è da valutare la legittimità dell'adozione di strumenti comunicativi peculiari, la Suprema Corte di Cassazione – pronuncia n. 22320 del 25 settembre 2017 – ha ritenuto la piena legittimità della notificazione (trattiamo di processo civile telematico, già obbligatorio, e non di quello telematico tributario ancora facoltativo al momento, novembre 2017, in cui scriviamo) via PEC ex lege n. 53/1994 e sottoscritti digitalmente in formato CADES-BES e pertanto riportanti estensione .P7M. Il ricorrente lamentava l'impossibilità di prendere piena visione dei precetti poiché non dotato di sistemi idonei ad aprire e leggere documenti recanti tale estensione, ed eccepiva anche la violazione degli articoli 3 e 24 della Costituzione per la differenza con le notifiche cartacee. La Corte ha ritenuto che «il corpus di norme, anche tecniche e di rango secondario, su cui si basa il c.d. processo telematico ha reso possibile e pertanto legittimo, ma anzi via via talvolta perfino indispensabile in quanto necessario perché unico strumento valido per la formazione dell'atto o lo sviluppo della fase processuale, l'impiego di particolari strumenti informatici – di hardware e di software (vale a dire, secondo una definizione non tecnica, ma linguistica, di quei componenti rispettivamente strutturali o fissi e modificabili di un sistema o di un apparecchio e, più specificamente in informatica, l'insieme delle macchine che sostengono e dei programmi che possono essere impiegati su un sistema di elaborazione dei dati) tanto per la formazione che per la notificazione dell'atto...» aggiungendo poi che «...ad oggi (ma con disposizioni di contenuto sostanzialmente analogo a quelle previgenti ed applicabili ai precetti resi oggetto delle opposizioni per cui è causa), il formato dell'atto del processo in forma di documento informatico è regolato, in via di sostanziale delegificazione, dall'art. 12 del Provvedimento 28 dicembre 2015 del Direttore Generale per i sistemi informativi automatizzati (DGSIA) del Ministero della Giustizia in forza dell'art. 11 del decreto del Ministro della Giustizia del 21/02/2011, n. 44». Quindi non vale dedurre una propria inidoneità «organizzativa» a ricevere comunicazioni e notificazioni in forme evolute sotto il profilo telematico; una sentenza che sicuramente avrà ulteriori conseguenze in campo applicativo anche nel rito e nel diritto sostanziale tributario. La norma in commento presume anche una reciproca condotta di lealtà fra contribuente ed amministrazione per cui (cfr. Cass., sez. trib., n. 5499/2013) a sua volta il contribuente deve comunicare all'amministrazione se e perché intende ricevere le notifiche e comunicazioni in un domicilio speciale, con l'ulteriore conseguenza che a differenza dell'obbligo sancito al comma 4, il quale richiede che al contribuente non possano essere richiesti documenti e informazioni anche già in possesso di altre pubbliche amministrazioni, quello di cui al comma 1, non opera ogni qual volta la predetta comunicazione non vi sia stata. Il successivo comma 2 prevede, poi, che l'Amministrazione finanziaria debba informare il contribuente di ogni fatto o circostanza conosciuta da cui possa derivare il mancato riconoscimento di un credito ovvero l'irrogazione di una sanzione, chiedendogli di integrare o correggere gli atti prodotti che impediscano il riconoscimento, seppure parziale, del credito stesso. Ulteriore importante regola (su cui Cass. V, ord. n. 12304/2017 (ud. 27 aprile 2017) espressione del generale principio di collaborazione e buona fede che deve improntare i rapporti tra ente impositore e contribuente (art. 10, comma 1, l. n. 212 del 2000) è quella secondo la quale al contribuente non può essere richiesta la prova dei fatti documentalmente noti all'ente impositore (art. 6, comma 4, l. n. 212 del 2000,); nella specie, la Corte ha infatti ritenuto che nessun altro onere probatorio gravasse nella fattispecie sul contribuente (v. anche Cass. n. 23531/2008), con la conseguenza che andava comunque riconosciuta la riduzione dell'imposta dovuta. Il comma 4, legato allo status di contribuente costituisce espressione di un principio generale applicabile anche al processo tributario. Anch'esso, tuttavia, presuppone che la documentazione sia già sicuramente in possesso dell'Amministrazione finanziaria o che comunque il contribuente ne dichiari e provi l'avvenuta trasmissione all'Amministrazione stessa (Cass. sez. trib., n. 958/2015). Così Cass. sez. trib., n. 21586/2015,: «in materia di agevolazioni tributarie, l'omissione della comunicazione al contribuente, prevista dall'art. 8 del d.m. n. 311 del 1998, dell'avvio del procedimento volto ad addivenire alla revoca del credito d'imposta ex art. 4 l. 27 dicembre 1997, n. 449, determina, ove non ricorrano le condizioni per l'adozione di misure cautelari, l'invalidità del provvedimento adottato, alla luce dell'art. 6, comma 2, l. 27 luglio 2000, n. 212, integrando una violazione del contradditorio procedimentale, che costituisce primaria espressione dei principi di derivazione costituzionale di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente ed è diretto al migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva» Al di là di queste ipotesi, conseguentemente si ritiene che l'obbligo di comunicazione di cui al comma 1 non operi con riferimento al recupero di versamenti omessi o carenti, proprio perché in tal caso difettano i profili di incertezza su aspetti rilevanti della dichiarazione. Ciò, appunto, si desume dalla costante giurisprudenza della Suprema Corte (Cass. sez. trib., ord. n. 22035/2010; Cass. sez. trib., n. 795/2011; Cass. sez. trib., n. 8342/2012; Cass. sez. trib., ord., n. 19867/2012). Quest'obbligo non ha effetto retroattivo, Cass. sez. trib., n. 13332/2013: «le norme di natura procedimentale della l. 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto dei diritti del contribuente), che rendono obbligatorio l'interpello del contribuente in caso di liquidazione di tributi in base alla dichiarazione e in caso di incertezze (art. 6, quinto comma) e la sua informazione solo in caso di irrogazione di sanzioni (art. 6, comma 2), non hanno efficacia retroattiva, pertanto, non possono trovare applicazione con riferimento all'attività accertativa dell'Amministrazione finanziaria relativa a precedenti anni d'imposta». Nel caso di contestazioni da parte del contribuente incombe sull'amministrazione finanziaria l'onere di dimostrare l'invio della comunicazione al pari del suo ricevimento da parte del destinatario. (cfr. Cass. VI, n. 28358/2013). Quanto al regime di validità degli atti emessi in violazione degli obblighi dell'amministrazione in materia di contraddittorio, si è già fatto cenno alla recentissima riforma fiscale (d.lgs. n. 219/2023, in attuazione della delega conferita con l. 111/2023): in luogo della nullità, è previsto oggi che i provvedimenti emessi in violazione delle disposizioni di cui al comma 5 siano annullabili (per un approfondimento sul tema, si veda il commento sub art. 7-bis). Gli obblighi dell'amministrazione finanziaria; la disciplina del contraddittorio endoprocedimentale specialeRecente ed accurata dottrina (Zagà, 10845, cit.), che in parte anticipava l'ormai univoca giurisprudenza di legittimità che sta contrassegnando la materia, ha chiarito che «alla “speciale” regola del contraddittorio endoprocedimentale ex art. 6, comma 5, l. n. 212 del 2000, deve essere riconosciuto un ambito applicativo circoscritto ai soli procedimenti di liquidazione di tributi risultanti da dichiarazioni ex art. 36-bis, d.P.R. n. 600 del 1973, rispetto ai quali sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione, rimanendone invece esclusi, in ogni caso, i (diversi) procedimenti di controllo formale delle dichiarazioni, per i quali l'obbligo di attivazione del contraddittorio endoprocedimentale costituisce un elemento già di per sé tipizzante l'«ordinaria» disciplina procedimentale stabilita dall'art. 36-ter, d.P.R. n. 600 del 1973, come tale applicabile sempre ed in ogni caso, e la cui violazione è destinata a trovare una propria sanzione invalidante ricavabile (in via interpretativa) da una lettura sistematica del medesimo art. 36-ter, d.P.R. n. 600 del 1973.” Secondo l'Autore, «il quadro normativo di riferimento appare, dunque, alquanto chiaro: a fronte di una disciplina dei procedimenti di controllo formale delle dichiarazioni (ex art. 36-ter, d.P.R. n. 600 del 1973) già di per sé connotata dalla generale previsione della garanzia del contraddittorio endoprocedimentale (disciplina che, pertanto, non necessita di alcuna eterointegrazione normativa sul punto), nonché a fronte di una disciplina dei procedimenti di liquidazione dei tributi dovuti in base alle dichiarazioni (ex art. 36-bis, d.P.R. n. 600 del 1973) caratterizzata, invece, dalla generale previsione di una forma molto più blanda di partecipazione del contribuente nel procedimento, inidonea a generare un vincolo procedimentale in termini di obbligatoria attivazione del contraddittorio endoprocedimentale, il legislatore ha ritenuto opportuno «(etero)integrare» soltanto tale ultima disciplina (ossia quella dei procedimenti di liquidazione di tributi risultanti da dichiarazioni ex art. 36-bis, d.P.R. n. 600 del 1973), stabilendo che soltanto per tale tipologia di controllo cartolare delle dichiarazioni ed esclusivamente nel caso in cui sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione, la più blanda forma di partecipazione del contribuente al procedimento, assicurata in via generale dall'art. 36-bis, d.p.r. n. 600 del 1973, debba essere sostituita dalla «speciale» regola del contraddittorio endoprocedimentale stabilita (a pena di invalidità dei conseguenti provvedimenti di iscrizione a ruolo) dall'art. 6, comma 5, l. n. 212 del 2000. La giurisprudenza già via via formatasi in tal senso (Cfr. Cass., sez. trib., n. 14144/2013; Cass., sez. trib., n. 25639/2015 «l'Amministrazione finanziaria non è tenuta a comunicare al contribuente sempre e comunque l'esito dell'attività di liquidazione della dichiarazione, essendovi onerata quando dai controlli automatici eseguiti emerga un risultato diverso rispetto a quello indicato nella dichiarazione medesima, senza che emergano cause di nullità. L'art. 6 dello Statuto del contribuente trova applicazione solo quando sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione e non per il recupero di omessi o carenti versamenti»), ha sempre più inquadrato nel senso indicato l'istituto affermando che l'esito del controllo automatico della dichiarazione dev'essere seguito da una richiesta di chiarimenti solo quando esso riveli l'esistenza di errori nella dichiarazione, perché l'art. 6 non pone un principio generale di contraddittorio in ordine alla formazione della pretesa fiscale (Cass., sez. trib., n. 12997/2011), il che non avviene quando il Fisco si limiti alla riscossione di imposte dichiarate e non versate (Cass. VI, n. 5329/2012). Molte le pronunce di merito a suffragio del principio che costituisce violazione dell'art. 6, comma 5, l 27 luglio 2000, n. 212 l'iscrizione a ruolo da parte dell'Amministrazione finanziaria e le relative emissione e notifica della cartella di pagamento senza la preventiva richiesta di chiarimenti al contribuente laddove vi siano incertezze su aspetti rilevanti attinenti alla dichiarazione. (C.t.p. Milano, XVI, 6 giugno 2008, n. 145; C.t.p. Milano, XLVI, 24 novembre 2008, n. 276; C.t.p. Ancona, 12 gennaio 2011, n. 7; C.t.p. Cosenza, I, 13 febbraio 2009; C.t.p. Roma, XIV, 20 aprile 2011, n. 296). Il principio viene ritenuto espressione dei principi costituzionali di imparzialità, trasparenza, buon andamento che informano l'attività dell'Amministrazione finanziaria; ovviamente l'obbligo della richiesta di chiarimenti opera quando vi sia una incertezza obbiettiva che lo giustifichi o quando sia la stessa legge a prevederlo, come nel caso dell'art. 1, comma 412, l. 30 dicembre 2004, n. 311, che obbliga l'Agenzia delle Entrate, in esecuzione di quanto sancito dall'art. 6, comma 5, l. 27 luglio 2000, n. 212, a comunicare al contribuente l'esito dell'attività di liquidazione, effettuata ai sensi dell'art. 36-bis d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, relativamente ai redditi soggetti a tassazione separata, sicché l'omissione di tale comunicazione determina la nullità del provvedimento di iscrizione a ruolo, indipendentemente dalla ricorrenza o meno di incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione. Si veda la Cass. VI — 5, ord. n. 21020/2017 (ud. 17 maggio 2017): «La giurisprudenza di questa Corte è costante nell'affermare il principio secondo cui l'art. 6, comma 5, l. n. 212 del 2000, non impone l'obbligo del contraddittorio preventivo in tutti i casi in cui si debba procedere ad iscrizione a ruolo di somme derivanti dalla liquidazione di tributi risultanti da dichiarazioni, ma solo «qualora sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione» (cfr., tra le molte Cass. V, n. 795/2011; Cass. V, n. 8342/2012; Cass. V, n. 5394/2016; Cass. VI, ord., n. 19033/2016), essendosi rilevato che se il legislatore avesse voluto imporre il contraddittorio preventivo in tutti i casi di iscrizione a ruolo derivante dalla liquidazione dei tributi risultanti dalla dichiarazione, non avrebbe posto la condizione di cui al citato inciso. Nella fattispecie, in cui non è controverso in fatto che l'esito del controllo scaturisca dallo stesso contenuto di quanto oggetto di dichiarazione da parte della contribuente, è pertanto da escludere la sussistenza delle condizioni che avrebbero imposto la notifica del previo avviso di cui alla citata norma. Di minore portata è, peraltro, la previsione della comunicazione d'irregolarità (quale prevista dal d.P.R. n. 600 del 1973, art. 36, comma 3 e d.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 bis), per l'ipotesi che emerga dal controllo di cui alle citate norme «un risultato diverso rispetto a quello indicato nella dichiarazione», finalizzata ad evitare la reiterazione di errori e consentire la regolarizzazione degli aspetti formali, la cui omissione non è sanzionata a pena di nullità. Si deve quindi concludere, in continuità alla succitata giurisprudenza, nel senso che la sanzione d'invalidità dell'atto impositivo si attagli, in caso di omissione del c.d. avviso bonario, alle sole ipotesi di «rilevante incertezza» sui dati esposti nella dichiarazione». (cfr. anche Cass. V, n. 8154/2015, Cass. VI , ord., n. 12954/2017 (ud. 4 aprile 2017), Cass. V, n. 9463/2017 (ud. 25 gennaio 2017), Cass. V, n. 5154/2017 (ud. 7 dicembre 2016). Anche Cass. V, n. 26044/2016: «In caso di compensazione di un credito di imposta che non risulti dalla dichiarazione annuale, la natura meramente cartolare del controllo e la sua riferibilità ai dati espressi dichiarati dallo stesso contribuente escludono il presupposto al quale l'art. 6, comma 5, l. n. 212/2000 àncora l'obbligo d'invio della comunicazione d'irregolarità.», ma anche Cass. V, n. 2104/2017 (ud. 11 gennaio 2017): «La CTR, pertanto, non ha fatto altro che applicare il principio di diritto, reiteratamente affermato da questa Corte, secondo cui, sia il d.P.R. n. 600 del 1973, art. 36-bis, comma 3, in materia di tributi diretti, sia il d.P.R. n. 633 del 1972, art. 54-bis, comma 3, in materia di IVA, dispongono che debba essere data comunicazione al contribuente del risultato dei controlli automatici, solo quando tale risultato (di calcolo dell'imposta, come si evince dai due commi precedenti) è «diverso rispetto a quello indicato nella dichiarazione»: ipotesi di dichiarazione errata, distinta da quella, cui si riferisce il d.P.R. n. 633 del 1972, art. 60, comma 6, d'imposta regolarmente risultante dalla dichiarazione annuale, ma non versata, ragion per cui il richiamo a questo articolo, contenuto nel precedente art. 54-bis, è fatto «ai sensi e per gli effetti», che vengono parificati (obbligo di comunicazione) quando la dichiarazione risulta erronea in sede di controllo automatico. Fuori dal caso di risultato erroneo rivelato dal controllo automatico, infatti, nessun obbligo di comunicazione è previsto dalla legge per la liquidazione, eseguita con tale metodo, d'imposte, contributi, premi e rimborsi: ciò per l'evidente ragione che i dati contabili risultanti dalla liquidazione automatica «si considerano, a tutti gli effetti, come dichiarati dal contribuente» od anche, in materia di tributi diretti, dal sostituto d'imposta (comma 4), cosicchè sarebbe perfettamente inutile comunicare al dichiarante i risultati del controllo automatico e interloquire con lui, se questi coincidono col dichiarato, ossia se non emerga alcun errore o, con riferimento all'art. 6, comma 5, l. n. 212 del 2000, se non «sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione» (Cass. n. 20431/2014; Cass. n. 8137/2012; Cass. n. 17369/2010; Cass. n. 26361/2010). Un quadro che ormai emerge unitario e che offre all'interprete la sopra enunciata regola generale, che da un lato restringe e dall'altro chiarisce il principio generale che il legislatore ha voluto introdurre nell'ordinamento in riferimento a specifiche fattispecie di «controllo non automatico» e nel quale sussistano incertezze (oggettive, diciamo noi) su aspetti rilevanti della dichiarazione. BibliografiaAiello, Lo statuto dei diritti del contribuente. La l. 27 luglio 2000, n. 212, in Boll. trib. 2000, 1128; Albertini, Procedimento tributario – il contraddittorio endoprocedimentale è riconosciuto principio fondamentale dell'ordinamento tributario, in Giur. 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