Legge - 27/07/2000 - n. 212 art. 8 - Tutela dell'integrità patrimoniale.Tutela dell'integrità patrimoniale. 1. L'obbligazione tributaria può essere estinta anche per compensazione1. 2. È ammesso l'accollo del debito d'imposta altrui senza liberazione del contribuente originario. 3. Le disposizioni tributarie non possono stabilire nè prorogare termini di prescrizione oltre il limite ordinario stabilito dal codice civile. 4. L'amministrazione finanziaria è tenuta a rimborsare il costo delle fideiussioni che il contribuente ha dovuto richiedere per ottenere la sospensione del pagamento o la rateizzazione o il rimborso dei tributi. Il rimborso va effettuato quando sia stato definitivamente accertato che l'imposta non era dovuta o era dovuta in misura minore rispetto a quella accertata. 5. L'obbligo di conservazione di atti e documenti, incluse le scritture contabili, stabilito a soli effetti tributari, non può eccedere il termine di dieci anni dalla loro emanazione o dalla loro formazione o utilizzazione.Il decorso del termine preclude definitivamente la possibilità per l'amministrazione finanziaria di fondare pretese su tale documentazione 2. 6. Con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, adottato ai sensi dell'art. 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400[, relativo ai poteri regolamentari dei Ministri nelle materie di loro competenza,] sono emanate le disposizioni di attuazione del presente articolo3. 7. La pubblicazione e ogni informazione relative ai redditi tassati, anche previste dall'art. 15 della legge 5 luglio 1982, n. 441, sia nelle forme previste dalla stessa legge sia da parte di altri soggetti, deve sempre comprendere l'indicazione dei redditi anche al netto delle relative imposte. 8. Ferme restando, in via transitoria, le disposizioni vigenti in materia di compensazione, con regolamenti emanati ai sensi dell'art. 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, è disciplinata l'estinzione dell'obbligazione tributaria mediante compensazione, estendendo, a decorrere dall'anno d'imposta 2002, l'applicazione di tale istituto anche a tributi per i quali attualmente non è previsto. [1] Per una deroga alle disposizioni di cui al presente comma, vedi l'articolo 37, comma 49-quinquies, del D.L. 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla Legge 4 agosto 2006, n. 248, come modificato dall'articolo 1, comma 94, lettera b), della Legge 30 dicembre 2023, n. 213 e dall'articolo 4, comma 2, del D.L. 29 marzo 2024, n. 39, convertito, con modificazioni, dalla Legge 23 maggio 2024, n. 67, con applicazione a decorrere dal 1° luglio 2024. [2] Comma modificato dall'articolo 1, comma 1, lettera h), numero 1), del D.Lgs. 30 dicembre 2023, n. 219. [3] Comma modificato dall'articolo 1, comma 1, lettera h), numero 2), del D.Lgs. 30 dicembre 2023, n. 219. InquadramentoSeppur in assenza di un'espressa disciplina, nell'ordinamento tributario vige la possibilità di estinguere il debito d'imposta accollato tramite compensazione con un proprio credito d'imposta. Si verificherebbe così la condizione prevista dall'art. 17 del d.lgs. n. 241/1997, e quindi la coincidenza tra il titolare del debito e del credito d'imposta, nel caso in cui si stipuli un atto di accollo tra un soggetto titolare di un credito d'imposta (soggetto accollante) e un soggetto titolare di un debito d'imposta (soggetto accollato). L'ordinamento tributario sancisce inoltre il dovere di rimborso del costo delle fideiussioni che il contribuente ha dovuto prestare per ottenere la sospensione del pagamento o la rateizzazione o il rimborso dei tributi; al comma 4 dell'articolo in commento viene sancito che gli Uffici finanziari, una volta verificati i presupposti, sono obbligati a provvedere al rimborso del costo delle garanzie prestate dal contribuente. Sull'obbligo di conservazione della documentazione contabile per 10 anni, la Cass. n. 9834/2016 ha suffragato tale principio di diritto. Accollo e compensazioneIn ambito civilistico, l'istituto dell'accollo è regolato dall'art. 1273 c.c. secondo cui: «1. Se il debitore e un terzo convengono che questi assuma il debito dell'altro, il creditore può aderire alla convenzione, rendendo irrevocabile la stipulazione a suo favore. 2. L'adesione del creditore importa liberazione del debitore originario solo se ciò costituisce condizione espressa della stipulazione o se il creditore dichiara espressamente di liberarlo. 3. Se non vi è liberazione del debitore, questi rimane obbligato in solido col terzo. 4. In ogni caso il terzo è obbligato verso il creditore che ha aderito alla stipulazione nei limiti in cui ha assunto il debito, e può opporre al creditore le eccezioni fondate sul contratto in base al quale l'assunzione è avvenuta.» La normativa civilistica inquadra l'accollo come un accordo bilaterale tra un debitore (accollato) e un terzo soggetto (accollante), efficace a prescindere dall'adesione del creditore, in virtù del quale l'accollante assume il debito che l'accollato ha verso un soggetto terzo; tuttavia se il creditore aderisce alla convenzione, l'accordo diviene irrevocabile nei suoi confronti. Per effetto dell'accordo, l'accollante si obbliga verso l'accollato a tenerlo indenne dal debito contratto. Si può quindi configurare il c.d. accollo «liberatorio» nel caso in cui il debitore originario è «liberato» da qualsiasi impegno nei confronti del creditore, mentre si configura l'accollo «cumulativo» nel caso in cui debitore accollante e debitore accollato sono entrambi responsabili in solido nei confronti del creditore. Nell'ordinamento giuridico si ravvisano sia l'accollo «esterno» sia quello «interno». Nel primo l'accordo tra accollante e accollato attribuisce al creditore il diritto di pretendere dall'accollante l'adempimento della prestazione, mentre nel secondo l'accordo non attribuisce alcun diritto a favore del creditore. Nell'ordinamento tributario l'istituto introdotto dalla norma in commento subisce delle modifiche rilevanti rispetto allo schema civilistico tradizionale. Difatti in tale ambito viene esclusa l'ipotesi della liberazione del contribuente (debitore) originario, e quindi, il debitore accollato continuerà a rispondere in solido con il soggetto accollante del debito d'imposta nei confronti dell'Amministrazione finanziaria, non potendosi verificare in nessun caso la liberazione convenzionale del debitore originario. La ragione dell'aggiunta di un ulteriore coobbligato al debitore originario e non la liberazione di quest'ultimo va ravvisata nel fatto che si tratta di «accollo del debito d'imposta altrui» (non di accollo del tributo). In pratica, a differenza dell'accollo in ambito civilistico, l'Amministrazione finanziaria non ha alcun potere di accertamento o riscossione nei confronti dell'accollante, potere che rileva solo previa instaurazione di un giudizio mirato a far valere il titolo negoziale. Relativamente alla previa escussione dell'accollante, non si rinviene una norma specifica in tal senso, anche se si ritiene estesa per analogia la disposizione prevista dall'art. 1268 c.c. sulla delegazione di pagamento. Ciò premesso, alla luce delle vigenti disposizioni normative (ed al di fuori delle ipotesi evasive e dei casi di abuso del diritto), in linea di principio si può affermare che l'ordinamento tributario riconosce al soggetto accollante la facoltà di estinguere il debito d'imposta accollato tramite compensazione con propri crediti d'imposta, osservando la specifica disciplina dettata dal legislatore tributario in tema di compravendita dei crediti d'imposta. A seguito della stipulazione dell'atto di accollo, infatti, sul piano formale il titolare del debito e del credito d'imposta (oggetto della compensazione) verrebbero a coincidere, integrando così la condizione richiesta dall'art. 17 del d.lgs. n. 241/1997. In materia di compensazioni, dunque, la norma a cui occorre fare riferimento è l'art. 17 del d.lgs. n. 241/1997 il quale prevede che i contribuenti che devono eseguire versamenti unificati di imposte, di contributi previdenziali e assistenziali, di premi INAIL e di altre somme a favore dello Stato, delle Regioni, delle Province, dei Comuni e di altri enti (es. Camere di commercio, determinate Casse previdenziali professionali), possono utilizzare in compensazione i crediti risultanti dalle dichiarazioni fiscali (redditi, IRAP, IVA e 770) o dalle denunce periodiche contributive (es. UNIEMENS). I debiti e i crediti per i quali il contribuente si avvale della facoltà di compensazione ai sensi dell'art. 17 del d.lgs. n. 241/1997 devono essere indicati negli appositi modelli F24. Il contribuente può compensare i crediti fiscali e contributivi di propria spettanza con debiti inerenti a tributi, contributi o premi indicati nello stesso modello F24, tenendo presente che deve essere indicato, quale importo massimo di crediti compensati, l'importo necessario all'azzeramento del totale dei debiti indicati nelle varie sezioni (c.d. «F24 a zero»), in quanto il saldo finale del modello F24 non può mai essere negativo. Al fine di evitare abusi nell'utilizzo della compensazione nel modello F24 sono state introdotte alcune limitazioni. Si tratta, in particolare: - dei limiti alla compensazione nel modello F24 dei crediti IVA (annuali o infrannuali), ai sensi dell'art. 10 del d.l. n. 78/2009, conv. l. n. 102/2009, e successive modifiche; - dei limiti alla compensazione nel modello F24 dei crediti relativi alle imposte sui redditi (IRPEF e IRES) e relative addizionali, all'IRAP, alle ritenute alla fonte e alle imposte sostitutive delle imposte sui redditi, ai sensi dell'art. 1 comma 574 della l. n. 147/2013, e successive modifiche; - del divieto per le c.d. «società di comodo» di compensare nel modello F24 il credito IVA emergente dalla dichiarazione annuale, ai sensi dell'art. 30 comma 4 della l. n. 724/1994; - del divieto di compensazione dei crediti relativi alle imposte erariali, in presenza di debiti iscritti a ruolo o derivanti da accertamenti esecutivi, ai sensi dell'art. 31 del d.l. n. 78/2010 conv. l. n. 122/2010. La compensazione ai sensi dell'art. 17 del d.lgs. n. 241/1997 si applica anche per l'utilizzo di crediti d'imposta derivanti da norme di agevolazione fiscale, anche se si sono previsti dei limiti all'utilizzo dei crediti in compensazioni (art. 1 comma 53 della l. n. 244/2007 e Risoluz. Min. Economia e Finanze 3 aprile 2008 n. 9/DF). È sempre ammessa la compensazione dei debiti di imposte e contributi rientranti nella disciplina dei versamenti unificati, nonché dei relativi interessi e sanzioni. Specifiche disposizioni possono stabilire che, in deroga a quanto previsto dall'art. 17 del d.lgs. n. 241/1997, determinati importi che devono essere versati con il modello F24 non possano essere compensati con eventuali crediti disponibili. Tali deroghe riguardano di regola importi dovuti per condoni o sanatorie o somme dovute a titolo di sanzione, oppure gli importi da versare utilizzando la sezione «Accise/Monopoli ed altri versamenti non ammessi in compensazione» del modello F24 Accise. L'art. 9 comma 2 del d.l. n. 35/2013, conv. l. n. 64/2013 prevede limiti temporali alla compensazione e limiti oggettivi in presenza di altri debiti. Ai sensi dell'art. 31 comma 1 del d.l. n. 78/2010, conv. l. n. 122/2010, è vietata la compensazione nel modello F24, (art. 17 del d.lgs. n. 241/1997) di crediti di imposte erariali, in presenza di debiti: - iscritti a ruolo per imposte erariali e relativi accessori; - di ammontare superiore a 1.500 euro; - per i quali sia scaduto il termine di pagamento. A seguito dell'introduzione dell'accertamento “impoesattivo” (art. 29 del d.l. n. 78/2010) il divieto di compensazione riguarda anche i debiti scaduti risultanti dagli atti esecutivi emessi dall'1 ottobre 2011 ai fini delle imposte sui redditi, IRAP e IVA, poiché la legge dispone l'estensione a tali accertamenti di quanto previsto per ruoli e cartelle di pagamento. La norma permette inoltre la compensazione di crediti commerciali e professionali qualora vantino crediti nei confronti di Pubbliche amministrazioni (di cui all'art. 1 comma 2 del d.lgs. n. 165/2001). Si possono così compensare somme dovute a seguito di cartelle di pagamento o atti esecutivi, notificati entro il 30 settembre 2013, con crediti relativi a somministrazioni, forniture e appalti, non prescritti, certi, liquidi ed esigibili, che sono stati oggetto di apposita certificazione da parte della Pubblica amministrazione debitrice, presentando all'Agente della Riscossione competente la certificazione del credito (art. 28-quater del d.P.R. n. 602/1973, d.m. 25 giugno 2012 e d.m. 19 ottobre 2012), oppure somme dovute in base agli istituti definitori della pretesa tributaria e deflativi del contenzioso tributario, con crediti relativi a somministrazioni, forniture, appalti e prestazioni professionali, non prescritti, certi, liquidi ed esigibili, che sono stati oggetto di apposita certificazione da parte della Pubblica amministrazione debitrice, mediante l'apposito modello «F24 Crediti PP.AA.» (art. 28-quinquies del d.P.R. n. 602/1973, d.m. 14 gennaio 2014, Provv. Agenzia delle Entrate 31 gennaio 2014 n. 13917 e Risoluz. Ag. Entrate 4 febbraio 2014 n. 16). Di recente è stata riconosciuta agli avvocati ammessi al patrocinio a spese dello stato l'opportunità di utilizzare i crediti vantati per spese, diritti e onorari in compensazione dei propri debiti fiscali e dei contributi previdenziali dovuti per i dipendenti, utilizzando il modello F24 (art. 1 comma 778 della l. n. 208/2015, d.m. 15 luglio 2016 e Risoluz. Agenzia delle Entrate 7 dicembre 2016 n. 113). L'aspetto delle compensazioni indebite è disciplinato dall'art. 13 del d.lgs. n. 471/1997, (Ritardati od omessi versamenti diretti e altre violazioni in materia di compensazione). L'utilizzo di un'eccedenza o di un credito d'imposta «in misura superiore a quella spettante o in violazione delle modalità di utilizzo previste dalle leggi vigenti» è sanzionato nella misura del 30% del credito utilizzato, salva l'applicazione di leggi speciali. La sanzione del 30% è ormai indiscussa per lo «splafonamento» (in precedenza, Circ. Ag. Entrate 13 marzo 2009 n. 8, § 7.1), la mancata apposizione del visto di conformità (vedasi le Circ. Agenzia delle Entrate 15 gennaio 2010 n. 1, § 1 e Circ. Agenzia delle Entrate 25 settembre 2014 n. 28, § 7) e, in special modo, per le irregolarità circa l'utilizzo dei crediti derivanti dalla legislazione speciale, da indicare nel quadro RU del modello REDDITI, come il mancato rispetto di limiti temporali e/o quantitativi. In queste situazioni l'Agenzia delle Entrate ha applicato la sanzione ex art. 27 comma 18 del d.l. n. 185/2008 sui crediti inesistenti, nel dissenso di molta giurisprudenza di merito (cfr., ad esempio, C.t.p. Modena 18 luglio 2014 n. 461/2/14 e C.t.r. Bari 13 gennaio 2014 n. 37/8/14). Le violazioni relative all'indebita compensazione possono essere oggetto di ravvedimento operoso e, trattandosi di tributi amministrati dall'Agenzia delle Entrate, esso può avvenire sino alla notifica dell'atto impositivo o dell'avviso bonario. Dopo l'entrata in vigore del d.lgs. n. 158/2015 le sanzioni sull'indebita compensazione sono disciplinate dal richiamato art. 13 d.lgs. n. 471/1997 in via autonoma rispetto a quelle sul ritardato versamento. I rapporti tributari e l'onere del rimborso del costo delle fideiussioni rilasciate dal contribuenteÈ consentita al contribuente in alcune fattispecie, qualora richieda il rimborso dell'imposta o non ottemperi immediatamente all'obbligazione tributaria e intenda quindi dilazionare la stessa o sospendere provvisoriamente la riscossione, la prestazione di una garanzia fideiussoria. L'art. 8 comma 4 della l. n. 212/2000 dispone che l'Amministrazione finanziaria è tenuta a rimborsare il costo delle fideiussioni che il contribuente ha dovuto richiedere per ottenere la sospensione del pagamento o la rateizzazione o il rimborso dei tributi. Si tratta spesso della garanzia fideiussoria che il contribuente ha prestato ai sensi dell'art. 38-bis del d.P.R. n. 633/1972 per ottenere il rimborso IVA. In ogni caso, si deve trattare di fattispecie in cui «sia stato definitivamente accertato che l'imposta non era dovuta o era dovuta in misura minore rispetto a quella accertata». Deve perciò essere stato instaurato un contenzioso contro un atto impositivo o un diniego di rimborso, anche tacito e il giudice lo deve avere accolto, (eventualmente anche in parte) o devono essere decorsi i termini di decadenza dall'accertamento senza che sia intervenuta alcuna contestazione. Il diritto al rimborso sorge anche in caso di accoglimento parziale del ricorso, in riferimento alla pretesa che sia stata riconosciuta legittima. Stante il riferimento ai «tributi», si può trattare di qualsiasi entrata fiscale, non necessariamente gestita dall'Agenzia delle Entrate. Come noto, la forma di garanzia più conosciuta e diffusa è quella concessa in caso di rimborso dell'IVA, ma è permessa anche per i tributi di competenza dell'Agenzia delle Dogane, prevista dall'art. 38-bis del d.P.R. n. 633/1972. Le ipotesi di prestazione di garanzie a favore del Fisco si sono ampliate a seguito di plurimi interventi normativi. Citiamo le garanzie fideiussorie in presenza di sospensione dell'atto impugnato di cui agli artt. 47 e 47-bis del d.lgs. n. 546/1992, la sospensione dell'esecutività delle sentenze prevista dagli artt. 52 e 62-bis, d.lgs. n. 546/1992, l'estrazione dei beni introdotti in deposito IVA art. 50-bis, comma 4, lett. b), d.l. n. 331/1993 e le sanzioni di cui all'art. 19, comma 3, del d.lgs. n. 472/1997 e art. 22 del d.lgs. n. 472/1997. Inoltre, la riformulazione dell'art. 69 del d.lgs. n. 546/1992 sull'esecutività delle sentenze di condanna dell'Amministrazione finanziaria al pagamento di somme in favore del contribuente e di quelle emesse su ricorso avverso gli atti relativi alle operazioni catastali ha previsto che «il pagamento di somme dell'importo superiore a diecimila euro, diverse dalle spese di lite, può essere subordinato dal giudice, anche tenuto conto delle condizioni di solvibilità dell'istante, alla prestazione di idonea garanzia». La norma non pone particolari problematiche applicative, se non quelle interpretative in merito alla possibilità di non estendere il rimborso del costo della fideiussione in casi differenti da quelli in cui l'Amministrazione finanziaria abbia definitivamente accertato che l'imposta «non era dovuta o era dovuta in misura inferiore a quella accertata». Nel caso ci si limitasse alla lettura del solo dato letterale, senza procedere ad una interpretazione logica della normativa, si verificherebbe un effetto distorsivo dell'articolo in commento, così da subordinare la possibilità di ristoro del contribuente solamente al caso di contestazione da parte sua e definitivo accertamento da parte dell'Ufficio. Il contribuente dunque, sarebbe onerato al costo della garanzia nel caso non volesse subire l'ipoteca o il sequestro conservativo art. 22 del d.lgs. n. 472/1997, oppure nei casi di esecuzione delle sanzioni amministrative per le violazioni di norme tributarie. Tale ipotesi deve essere esclusa in quanto in tal maniera si vanificherebbe la ratio della norma, limitando a singole fattispecie la possibilità di ristoro da parte del contribuente. In materia si segnala C.t.r. Milano X, 28 settembre 2017: «A seguito delle modifiche apportate dal d.lgs. n. 156/2015, le sentenze di condanna in favore del contribuente depositate a far data dal 1° giugno 2016 sono immediatamente esecutive, anche prima della emanazione del d.m. MEF 6 febbraio 2017, n. 22, entrato in vigore il 28 marzo 2017, che vale solo a ridisciplinare il contenuto della garanzia eventualmente necessaria per l'esecuzione della sentenza. Postergare l'applicazione della nuova disciplina sulla esecuzione delle sentenze (ex novellato art. 69, d.lgs. n. 546/1992) al 28 marzo 2017 — data di entrata in vigore del d.m. MEF n. 22/2017 — presenterebbe una congerie di insuperabili aporie logiche quale quella di una esecuzione sempre (persino nei casi di importo non superiore ad euro 10.000) subordinata all'emanazione di un Decreto volto a disciplinare il contenuto della garanzia — presupposto ai soli casi necessitati di prestazione cauzionale — anche quando — nei casi di importo superiore ad euro 10.000 — il giudice non disponga alcuna garanzia». Un ulteriore profilo d'interesse è sicuramente l'individuazione della giurisdizione competente in assenza di una spontanea restituzione da parte dell'Ufficio dell'importo sostenuto per la fideiussione. La norma non dispone alcunché in merito nell'eventualità di rifiuto espresso o tacito al rimborso o in caso di contestazione dell'importo, ma sul punto soccorre Cass.S.U., n. 14332/2005 (che integra e completa anche Cass. Sezioni Unite sentenza Cass.S.U., n. 10725/2002) affermando il giusto principio che la questione è devoluta alla giurisdizione civile solo se l'ente titolare del tributo ha riconosciuto (e non solo implicitamente) la non debenza del medesimo, mentre in ogni altro caso va ritenuta la giurisdizione delle commissioni tributarie, in quanto solo ad esse è deferito in via esclusiva l'accertamento dell'esistenza di un diritto al rimborso che deriva da una disamina della debeneza del tributo e non dall'ordinario schema del riconoscimento del debito civilistico. Gli obblighi di conservazione della documentazione fiscale.La normativa sulla conservazione documentale in materia fiscale e contabile non brilla certamente per chiarezza ed organicità, e ciò con evidenti criticità nei rapporti fisco-contribuente nel momento in cui il fisco pretende l'esibizione di documenti a supporto delle proprie pretese. La materia è regolamentata dal d.P.R. n. 600/1973 e la norma su cui è regolamentato l'obbligo di conservazione della documentazione tributaria è contenuta nell'art. 43 sui «termini per l'accertamento», il quale, per effetto delle modifiche apportate dall'art. 1, comma 131, della l. 28 dicembre 2015, n. 208 e tenuto conto della decorrenza di queste ultime statuisce: - fino al periodo d'imposta in corso al 31 dicembre 2015 e precedenti, gli avvisi di accertamento devono essere notificati a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione; - dal periodo d'imposta 2016 e successivi, gli avvisi di accertamento devono essere notificati entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione. Il termine finale per la contestazione della pretesta tributaria è fondamentale nella relazione fisco-contribuente, in quanto quest'ultimo non sarà esposto ad eventuali riprese a tassazione. Tuttavia, il legislatore negli anni ha disposto delle modifiche che hanno differito tale termine finale, modificando semplicemente l'art. 43, oltre agli allungamenti del termine di accertamento in caso di omessa dichiarazione e al noto «raddoppio» in presenza di fattispecie penaltributarie di cui all'art. 2, comma 1, del d.lgs. n. 128/2015, modifiche alle quali si sono aggiunti anche i pronunciamenti delle Commissioni tributarie (C.t.p. Pesaro, II, n. 777/2017 sugli effetti abrogatori della l. n. 208/2015). Quindi la norma sui termini di accertamento non è dirimente per considerare cessati gli obblighi di conservazione della relativa documentazione. A tal proposito si debbono distinguere varie figure di contribuenti. Relativamente alle persone fisiche non titolari di reddito d'impresa e non esercenti arti e professioni, l'art. 3, comma 3, del d.P.R. n. 600/1973 stabilisce che i contribuenti devono conservare, per il periodo previsto dall'art. 43, le certificazioni dei sostituti d'imposta, i documenti probatori dei crediti d'imposta, dei versamenti eseguiti e degli oneri deducibili o detraibili. In questo caso i termini di conservazione coincidono con quelli dell'accertamento. Nel caso di imprese e società commerciali, occorre allinearsi alla norma civilistica ed evidenziare che l'art. 2200 c.c. stabilisce il termine decennale di conservazione delle scritture contabili obbligatorie a decorrere dalla data dell'ultima registrazione. Entro lo stesso termine (e a decorrere dalla medesima data) devono essere conservate le lettere commerciali e le fatture ricevute ed emesse. Tale norma si applica però, solamente alle imprese «maggiori» in quanto l'art. 2214, comma 3, esclude dall'applicazione di tutte le disposizioni del paragrafo 2 intitolato «Scritture contabili», e dunque, anche dalle norme sulla conservazione, il c.d. piccolo imprenditore definito dall'art. 2083 c.c. Sono quindi esclusi da tale obbligo coltivatori diretti del fondo, artigiani, piccoli commercianti, coloro che esercitano un'attività professionale organizzata prevalentemente con il lavoro proprio e della famiglia. L'art. 22 del d.P.R. n. 600/1973 stabilisce che le scritture contabili obbligatorie ai sensi della normativa tributaria e della normativa civilistica devono essere conservate fino a quando non siano definiti gli accertamenti relativi al corrispondente periodo d'imposta, anche oltre il termine stabilito dall'art. 2200 c.c. Abbiamo così un doppio binario: - un termine fisso di derivazione civilistica, dato il richiamo al disposto dell'art. 2200 c.c.; - un termine mobile più propriamente fiscale fiscale, legato alla definizione degli accertamenti relativi al periodo d'imposta corrispondente. Riguardo alle imprese «minori» e agli altri soggetti fiscalmente obbligati alla tenuta delle scritture contabili, a norma dell'art. 13, figurano, oltre alle «imprese» in senso lato, anche: - persone fisiche esercenti arti e professioni; - società o associazioni fra professionisti; - enti pubblici e privati diversi dalle società, soggetti all'IRES, nonché i trust. Per i soggetti sopra indicati, non essendo tenuti agli obblighi previsti dall'art. 2214, vale il termine «mobile» previsto dall'art. 22 e quindi i libri, registri e documentazione, devono essere conservati fino a quando non siano definiti gli accertamenti, ovvero fino allo spirare dei termini dell'art. 43, d.P.R. n. 600/1973, comprensivi di eccezioni, proroghe e raddoppi di cui abbiamo detto sopra. A prescindere dal termine dell'obbligo di conservazione della documentazione fiscale, può accadere, soprattutto nel caso di persona fisica non titolare di redditi professionali o d'impresa, che la documentazione che potrebbe essere cestinata esplichi i suoi effetti nei periodi d'imposta successivi rispetto a quello in cui sono venuti ad esistenza, per fare un esempio nel caso di detrazioni per interventi di recupero del patrimonio edilizio o delle spese per risparmio energetico. Il termine previsto all'art. 22 del d.P.R. n. 600/1973 può dilatarsi a causa della mobilità, che ne lega l'estinzione alla definizione degli accertamenti iniziati sul periodo d'imposta; in tal caso l'obbligo può estendersi anche oltre il decennio civilistico (ultrattività ultradecennale); può anche subire modifiche conseguenti all'omissione o nullità della dichiarazione, che comportano l'allungamento di un anno dei termini di accertamento, secondo la nuova formulazione dell'art. 43 d.P.R. n. 600/1973; infine anche in presenza di denuncia penale oppure nell'ipotesi di accertamenti basati su investimenti finanziari detenuti in Stati o territori a regime fiscale privilegiato. In entrambi i casi, il legislatore dispone il raddoppio dei termini ordinari di accertamento, con la conseguenza che analogo prolungamento si riverbera anche sul termine di conservazione della documentazione. Inoltre occorre anche ricordare la Legge 28 luglio 1961, n. 770, in merito alla proroga dei termini in presenza di mancato o irregolare funzionamento degli Uffici. Il comma 5 qui in commento pone un limite temporale a garanzia del contribuente, al fine di limitare la conservazione sine die della documentazione fiscale. Troviamo quindi, una similitudine con la normativa civilistica per i documenti «ai soli effetti tributari». La norma cerca di debellare il rischio di uno spostamento indefinito del termine di conservazione dei documenti fiscali da parte dell'Amministrazione finanziaria e quindi anche in presenza di accertamenti non definiti il termine non differibile è quello dei 10 anni. Quindi in presenza di un conflitto tra norme, da un lato l'art. 22 del d.P.R. n. 600/1973 (qualora dall'applicazione scaturisse un obbligo di conservazione documenti ultradecennale) e dall'altro la disposizione dell'art. 8 dello Statuto, dovrebbe essere quest'ultima a prevalere. La vexata quaestio ha suscitato l'affermazione della non prevalenza di una norma speciale, qual è l'art. 22, su quella generale che è lo Statuto (C.t.p. I° di Trento, 13 gennaio 2011, n. 7/2/11). Altra giurisprudenza ha sostenuto, al contrario, che i principi dello statuto debbano essere vincolanti per l'interprete (Cass. pen. III, n. 35173/2017). Anche la sentenza della Corte di Cassazione: Cass. n. 9834/2016, ripercorrendo le tematiche sopra esposte, ha confermato la poziore valenza dello Statuto del Contribuente, quale sbarramento ad eventuali pretese temporalmente illimitate da parte del Fisco. Il citato comma 5 è stato modificato dall'art. 1, comma 1, lett. h), n. 1), d.lgs. 30 dicembre 2023, n. 219, recante attuazione della legge delega per la riforma fiscale (l. n. 111/2023). Con detto intervento, viene precisato che l'obbligo decennale di conservazione di atti e documenti ai fini tributari comprende anche le scritture contabili, chiarendo che l'obbligo riguarda non solo la conservazione, ma altresì l'utilizzazione degli stessi atti. Inoltre, al fine di rafforzare la certezza del diritto e la stabilizzazione dei rapporti tra Amministrazione e contribuenti, evitando di lasciare i contribuenti esposti a contestazioni per tempi eccessivamente lunghi, è inserita la previsione espressa secondo cui il decorso del termine preclude definitivamente la possibilità per l'amministrazione finanziaria di far valere pretese fondate sugli atti o sulla documentazione predetti, impregiudicata la loro utilizzabilità in caso di accertamenti in corso. La disposizione in esame sembra sancire un principio di segno opposto rispetto a quello individuato dalla Corte di Cassazione nell'ordinanza n. 16752 del 2020 che ha chiarito che le società devono conservare le scritture contabili obbligatorie anche oltre dieci anni. In particolare, ai fini dell'accertamento, secondo la Cassazione l'amministrazione finanziaria può esigere un periodo superiore, soprattutto ai fini della documentabilità dei costi sostenuti. Al riguardo la Corte ha sancito che, secondo l'articolo 22, comma 2, del predetto D.P.R. n. 600 del 1973, le scritture contabili obbligatorie devono essere conservate fino a quando non siano definiti gli accertamenti relativi al corrispondente periodo di imposta, anche oltre il termine decennale stabilito dall'articolo 2220 del codice civile o da altre leggi tributarie. Secondo la Corte si tratta di una disposizione speciale che, ai fini tributari, detta una regola diversa in materia di obbligo di conservazione delle scritture contabili, prevalente sul termine decennale indicato invece dall'articolo 2220 del codice civile. Sono state apportate, inoltre, al comma 6, modifiche di drafting e raccordo normativo. Il n. 2dall'art. 1, comma 1, lett. h), D.Lgs. 30 dicembre 2023, n. 219, ha modificato il comma 6 dell'articolo 8,che affida a un decreto ministeriale il compito di emanare le disposizioni attuative dell'intero articolo; le modifiche in esame aggiornano il testo della norma con l'attuale denominazione dei ministeri (introducendo il riferimento al Ministro dell'economia e delle finanze). BibliografiaNadya, I principi e la tutela del contribuente nell'Abgabenordnung e le esperienze pratiche, in iusexplorer.it, Salvatori e Cimato, Accollo e compensazione tra debiti e crediti d'imposta, in ilFisco 2017, 37, 3555; Cissello A. - Negro M, in ilquotidianogiuridico.it; Pennella, Azione giudiziaria e preclusioni fiscali, in Dir. e Prat. Trib. 2010, 6, 11067. |