Esclusione per illecito antitrust (non definitivamente accertato) e (ir)rilevanza del self-cleaning nell'ambito del Codice 2006
05 Marzo 2018
Il caso. La controversia concerne una serie di provvedimenti di esclusione disposti, in diverse procedure di gara, da Consip S.p.A. a carico di due operatori, ai sensi dell'art. 38, c. 1, lett. f) d.lgs. 163 del 2006, in ragione di una sanzione precedentemente disposta a carico degli stessi dalla medesima Stazione Appaltante in occasione di una differente procedura di gara, nella quale gli stessi concorrenti erano risultati aggiudicatari. In quell'occasione l'AGCM aveva sanzionato i predetti operatori per l'avvenuta partecipazione ad una pratica concordata anticoncorrenziale e, a seguito di ciò, Consip S.p.A. aveva disposto la risoluzione delle convenzioni relative ai lotti aggiudicati. Sulla legittimità del suddetto provvedimento antitrust, confermata con sentenza del TAR e del Consiglio di Stato, non si era formato il giudicato in quanto la sentenza del Consiglio di Stato era stata impugnata dinanzi alla Corte di Cassazione.
Il campo di applicazione dell'art. 38, comma 1, lett. f). La citata disposizione consente alla P.A. di valutare in modo globale l'affidabilità di un'impresa concorrente, al fine di presidiare l'elemento fiduciario destinato a connotare, fin dal momento genetico, i rapporti contrattualide quo. Ai fini dell'operatività della norma rileva ogni comportamento scorretto che incida sulla credibilità professionale dell'operatore economico (cfr., ex multis, TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, 15ottobre 2015, n. 2175; CGUE,Sez. X, 18 dicembre 2014, n. 470), ivi incluso l'illecito antitrust. In particolare, la richiamata disposizione contempla l'ipotesi della “grave negligenza o malafede”, correlata espressamentesolo alla fase di esecuzione della prestazione contrattuale, e l'ipotesi del “grave errore professionale”, che, al contrario, “rappresenta una formula di chiusura di più ampio spettro applicativo, per la quale può assumere rilevanza anche la violazione della cornice legale in cui gli operatori sono chiamati ad operare”. Effettuata tale precisazione, il Collegio ha richiamato l'indirizzo giurisprudenziale secondo cui la suddetta disposizione “impedisce di assimilare le ipotesi di grave negligenza e malafede di cui al primo periodo a quelle di errore grave di cui al periodo seguente” sia perché “in parte sovrapponibili, sicché non avrebbe avuto senso ripetere lo stesso concetto se non in riferimento ad altra situazione fattuale”; sia perché “soltanto per le prime è previsto il limite della “esecuzione delle prestazioni affidate dalla stazione appaltante che gestisce la gara” a fronte della più ampia previsione che considera rilevante l'errore grave nell'esercizio della “attività professionale” dell'impresa senza alcuna limitazione (cfr. Cons. St., Sez. V, 11 dicembre 2017, n. 5818).
L'irrilevanza di un accertamento definitivo. Il difetto di un accertamento di carattere definitivo dell'illecito antitrust (nella specie in ragione dell'impugnazione della sentenza del Consiglio di Stato confermativa della legittimità del provvedimento dell'AGCM dinanzi alla Corte di Cassazione), non osta alla valorizzazione di una data circostanza ai fini dell'applicazione della misura espulsiva contestata, a tal fine rilevando solo che un determinato fatto, quantunque avente qualificazione penale, possa essere forma di manifestazione di un grave errore professionale. Il Collegio ha in particolare evidenziato la differenza che intercorre tra le fattispecie escludenti previste alle lettere c) ed f) del medesimo articolo 38 proprio sul piano dall'accertamento, postulando, la prima, un accertamento di carattere definitivo (una sentenza di condanna passata in giudicato o un decreto penale di condanna irrevocabile, ad esempio) e, la seconda, il mero apprezzamento compiuto dalla Stazione appaltante in ordine alla sussistenza dell'errore professionale, dimostrato con qualsiasi mezzo di prova, essendo al contrario irrilevante che esso sia accertato e riconosciuto con una pronuncia giudiziale passata in giudicato (Parere ANAC del 30 marzo 2017).
Le misure di self-cleaning nell'ambito dell'art. 38, comma 1, lett. f). Il Collegio precisa che le misure “riparatorie” non hanno la funzione di sanare l'illiceità delle condotte pregresse, ma costituiscono possibili indici di dissociazione rilevanti soltanto ai fini dell'art. 38, comma 1, lett. c), ma non per la diversa fattispecie di cui alla lettera f) della medesima disposizione. Dette misure, evidenzia il TAR, hanno peraltro una rilevanza solo pro futuro, relativamente alle gare indette successivamente alla loro adozione (o comunque non oltre il termine fissato per la presentazione delle offerte, secondo quanto chiarito dalle Linee Guida ANAC n. 6 relativamente al nuovo Codice , pena la violazione della par condicio dei concorrenti (TAR Lazio, Roma, Sez. II, n. 1092 del 2018).
In conclusione è stata ritenuta corretta la valutazione circa l'inidoneità del sistema di self - cleaning adottato al fine di evitare l'esclusione, posto che le misure sono state adottate dopo la presentazione dell'offerta e, cioè, in un momento in cui l'operatore ancora si avvaleva di quell'assetto organizzativo che l'AGCM aveva ritenuto necessario modificare per evitare il riproporsi, proprio nella medesima fase, di condotte collusive analoghe a quelle accertate nella predente gara.
In senso conforme: Cons. St., Sez. V, 11 dicembre 2017, n. 5818; TAR Lazio, Roma, Sez. I, 31 gennaio 2018, n. 1119 in ordine alla disposizione di cui all'art. 80, comma 5, lett. c) del Codice. Si veda in tema anche il Parere dell'AGCM in data 13 febbraio 2018 sull'aggiornamento delle Linee guida ANAC n. 6 . In senso contrario: Cons. St., Sez. V, 5 febbraio 2018, n. 722; Sez. V, 4 dicembre 2017, n. 5704; id., 17 aprile 2017, n. 3505.
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