Codice Civile art. 53 - Godimento dei beni.Godimento dei beni. [I]. Gli ascendenti, i discendenti e il coniuge immessi nel possesso temporaneo dei beni ritengono a loro profitto la totalità delle rendite. Gli altri devono riservare all'assente il terzo delle rendite [725 c.p.c.]. InquadramentoCome è stato già osservato, dovendosi tutelare anche la posizione dell’assente, che in ipotesi potrebbe anche ritornare, il codice predispone una serie di garanzie. Godimento dei beniA parte l'obbligo di prestare congrua cauzione, e l'obbligo di redazione dell'inventario, che sono per l'appunto funzionali all'eventuale ritorno dell'assente (in particolar modo la predisposizione dell'inventario dei beni è funzionale alla comparazione della consistenza del patrimonio inizialmente lasciato dall'assente con quello successivamente venutosi a determinare per il periodo della sua assenza), l'art. 53 c.c. prescrive, sempre a tutela dell'assente, la disciplina del godimento delle rendite prodotte dai beni immessi nel temporaneo possesso (trattasi, per Romagnoli , 283, di una sorta di corrispettivo in favore dell'immesso per l'opera di amministrazione e gestione del patrimonio). In particolare, le rendite sono i frutti che possono ritrarsi dai beni dell'assente, analogicamente a quanto previsto dall'art. 55 c.c. (Romagnoli, 282) ovvero le utilizzazioni economiche che dai beni possono direttamente o indirettamente ricavarsi, e quindi sia i frutti naturali che quelli civili (art. 820 c.c.; Dogliotti, 456). Ebbene, se il coniuge, gli ascendenti ed i discendenti possono ritenere la totalità delle rendite percepite nelle more dell'assenza del titolare, evidentemente in ossequio ad un generale principio di favor familiae, in virtù del quale si suppone che coloro che siano legati da un più o meno ristretto vincolo di parentela siano legittimati per ciò solo a godere delle relative rendite, al contrario i soggetti non legati da alcun vincolo di parentela con l'assente devono riservargli, per l'ipotesi del suo ritorno, un terzo delle rendite (art. 53). A tal riguardo, però, tali ultimi soggetti possono definitivamente ritenere la totalità delle redite se, in seguito al ritorno dell'assenza ovvero alla prova dell'inconfutabile esistenza del titolare, venga provato che la situazione di assenza venutasi a creare sia stata effettivamente voluta dal presunto assente, e che tale situazione non possa essere in alcun modo giustificata (art. 56, comma 3, c.c.). Viene dunque fatta salva la tutela dei terzi di buona fede. A parte che l'obbligo, a carico dei soggetti non legati da alcun vicolo di parentela nei confronti dell'assente, di riservare all'assente stesso una quota delle rendite prodottesi sui beni nella loro materiale disponibilità potrebbe far pensare ad una sorta di successione sospensivamente condizionata al mancato ritorno dell'assente (ovvero risolutivamente condizionata al ritorno dell'assente), vi è da dire che secondo alcuni l'ipotesi della riserva di un terzo delle rendite in favore dell'assente determina una sorta di patrimonio separato, distinto dal patrimonio originario dell'assente, legislativamente previsto e perdurante fino a che duri la situazione di incertezza dell'assenza (per Romagnoli , 283, si tratta di un patrimonio vincolato in favore dell'assente, indisponibile ed inespropriabile; Satarcangelo, 85). Si rientrerebbe, cioè, in una di quelle ipotesi eccezionali in cui è ammesso la destinazione di un patrimonio per un interesse meritevole di tutela – destinata a perdurare sino a che perdura lo stato di incertezza – che nel caso di specie si sostanzia nell'interesse alla tutela della posizione dell'assente ormai ritornato che reclami i suoi beni, nel frattempo immessi nel possesso temporaneo, e a cui non può essere colpevolmente imputata la situazione dell'assenza (cfr. l'art. 2645 ter c.c. ). Ne consegue che la relativa quota riservata, destinata appunto, non può essere oggetto di esecuzione forzata da parte dei creditori degli immessi Si ritiene che il godimento delle rendite rappresenti un modo per invogliare i soggetti legittimati a chiedere l'immissione e, al tempo stesso, un corrispettivo per l'amministrazione e gestione dei beni (Romagnoli, 283). Assegno alimentare in favore del coniugeLo stesso principio di favor familiae ispira l'art. 51 c.c., nella parte in cui legittima il coniuge dell'assente a richiedere – sussistendone le condizioni di legge ed in aggiunta ai diritti già riconosciuti per legge sul patrimonio del coniuge assente – un assegno alimentare «da determinarsi secondo le condizioni della famiglia e l'entità del patrimonio dell'assente». Secondo la dottrina (Dogliotti, 452; Romagnoli, 255), la norma in commento effettua un bilanciamento di interessi tra il coniuge dell'assente e i suoi eredi, ove questi fosse morto nel giorno a cui risale l'ultima notizia (Giacobbe, 416, allude ad un'esigenza di sostegno e tutela del coniuge per ovviare alle difficoltà in cui si sarebbe potuto trovare a causa dell'assenza dell'altro coniuge, esigenza tuttavia da ritenersi superata alla luce della riforma del diritto di famiglia, così come enunciato dall'art. 143 c.c. in tema di pari contribuzione dei coniugi in costanza di matrimonio). Alcuni attribuiscono natura alimentare all'assegno de quo, che altri tuttavia negano. Più nello specifico, secondo alcuni (Romagnoli, 256) il coniuge richiedente dovrà dimostrare di trovarsi in stato di bisogno, non disponendo di mezzi sufficienti per soddisfare le essenziali e primarie esigenze di vita, analogamente a quanto previsto dall'art. 438 in tema di alimenti, cui la norma fa implicito rinvio. Secondo altri, invece, lo stato di bisogno di cui alla norma in commento è diverso da quello indicato dall'art. 438 c.c., è un concetto più ampio, dovendo l'assegno essere parametrato all'entità del patrimonio dell'assente ed al tenore di vita del nucleo familiare e verrà posto a carico degli altri successori dell'assente (Bianca, 265; nel senso che lo stato di bisogno del richiedente non può essere ricondotto alla disciplina di cui all'art. 438, dovendo garantire al coniuge richiedente «non solo di provvedere al proprio mantenimento, ma anche di conservare un tenore di vita adeguato a quello di cui godeva durante il matrimonio sino all'epoca della scomparsa dell'altro coniuge», anche Dogliotti, 453). In definitiva, quindi, lo stato di bisogno va inteso su un piano strettamente economico, conseguente alla mancanza di mezzi nonché all'impossibilità da parte dell'alimentando di provvedere al proprio sostentamento, in tutto o in parte (così Giacobbe, 424, con evidente analogia con l'assegno divorzile, sebbene i presupposti dei due istituti siano, in effetti, profondamente differenti). Secondo la dottrina (Romagnoli, 254 ss.) la norma sembra supporre una probabilità di vita dell'assente che, a sua volta, giustificherebbe l'attualità del vincolo matrimoniale. Si ritiene, d'altro canto, che il coniuge che abbia contratto un nuovo matrimonio – non impugnabile finché perdura l'assenza: cfr. l'art. 117 comma 3, c.c. – fa venir meno i presupposti in virtù dei quali gli era stato riconosciuto un assegno sui beni dell'assente. Si può anche ritenere che il congiunge separato con addebito perda il diritto ad una tale provvidenza, mantenendo tuttavia il diritto a percepire un assegno ex art. 548 c.c. da far valere in base al disposto di cui all'art. 50 comma 3 c.c., mentre si può discutere se tale assegno spetti al coniuge richiedente che abbia, tuttavia, omesso di chiedere l'immissione in possesso dei beni appartenenti al coniuge assente per far fronte al proprio stato di bisogno (riferimenti in Romagnoli, 256 ss.). Il procedimento segue il rito contenzioso ordinario e si svolge nel contraddittorio con gli eredi immessi nel possesso temporaneo dei beni. Secondo la giurisprudenza (Cass. lav., n. 3405/1992) in tema di azione (di accertamento) di un coniuge, volta alla dichiarazione di assenza dell'altro coniuge ed al regolamento interinale del patrimonio dello scomparso, l'INPS è passivamente legittimato in ordine alla pretesa dell'attore concernente l'attribuzione, a titolo di assegno alimentare ai sensi dell'art. 51 c.c., di una quota della pensione dell'assente. BibliografiaV. sub art. 50 c.c. |