Codice Civile art. 404 - Amministrazione di sostegno (1).

Roberto Masoni
aggiornato da Francesco Maria Bartolini

Amministrazione di sostegno (1).

[I]. La persona che, per effetto di una infermità ovvero di una menomazione fisica o psichica, si trova nella impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi, può essere assistita da un amministratore di sostegno, nominato dal giudice tutelare del luogo in cui questa ha la residenza o il domicilio.

(1) Articolo inserito dall'art. 3, comma 1, l. 9 gennaio 2004, n. 6, che ha inserito l'intero Capo in testa al titolo XII. Questo articolo, fino all'abrogazione ex art. 77 l. 4 maggio 1983, n. 184 era parte del titolo XI.

Inquadramento

Sotto la rubrica «amministrazione di sostegno», l' art. 404 c.c., la norma di esordio del capo I° del titolo XII del libro I°, indica i presupposti soggettivi ed oggettivi di nomina dell'amministratore di sostegno, disponendo che: «la persona che, per effetto di una infermità ovvero di una menomazione fisica o psichica, si trova nella impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi, può essere assistita da un amministratore di sostegno, nominato dal giudice tutelare del luogo in cui questa ha la residenza o il domicilio».

L'interpretazione letterale pone in evidenza le condizioni essenziali per la nomina dell'a.d.s.

A questo riguardo, vengono, congiuntamente, richiesti presupposti soggettivi ed oggettivi.

Nel primo insieme rientra la condizione di disabilità del beneficiario della misura protettiva, definita persona «inferma», ovvero, «menomata» (fisicamente o psichicamente).

Da un punto di vista oggettivo, per effetto dell'affezione, la persona disabile deve risultare «impossibilitata a provvedere ai propri interessi» (infra); interessi aventi vario contenuto, natura e tipologia, patrimoniale, ovvero, non patrimoniale, personale.

Si individua così un ulteriore presupposto di istituzione dell'amministrazione di sostegno, ravvisato nel necessario nesso eziologico intercorrente tra disabilità ed impossibilità a provvedere alla cura dei propri interessi (su cui infra).

Ciò significa che è escluso un automatismo tra la condizione di disabilità psichica in cui versi la persona e l' attivazione della misura di sostegno, rilevando, piuttosto, l'impossibilità del singolo alla cura e gestione dei propri interessi personali e/o patrimoniali (Cass. n. 2364/2014).

Novità lessicali della nuova legge

Prima di procedere ad esame dei presupposti soggettivi ed oggettivi di istituzione della misura protettiva dell' amministrazione di sostegno, è opportuno premettere qualche considerazione sul lessico adottato dal legislatore del 2004.

A questo riguardo, è stato esattamente osservato che la riforma delle misure di protezione attuata dalla l. n. 6/2014 si ponga in un ' ottica innovativa rispetto al passato, non solo dal punto di vista contenutistico, ma anche da quello linguistico e lessicale .

Il legislatore ha attuato gli auspici di autorevole dottrina che oltre trent'anni or sono caldeggiava una riforma radicale del diritto degli incapaci, non solo da un punto di visto dei contenuti ma anche dei concetti, dei vocaboli e del linguaggio, rilevando che «la discriminazione nominale della persona è anch'essa discriminazione sociale» (Bianca, 665).

In quest'ottica, si proponeva di sopprimere «lo stesso termine di incapacità mentre le denominazioni riduttive ed emarginanti di interdetto e inabilitato vanno sostituite con espressioni giuridiche neutre come quelle di soggetto a tutela e soggetto a curatela». Si concludeva affermando: «già nell'evitare termini che sottolineano uno stato di inferiorità della persona anziché evocarne il bisogno di solidarietà il giurista avrà manifestato un primo segno di rispetto della dignità umana» (Bianca, 666).

Con specifico riguardo alla terminologia adottata dalla legge, non meno autorevolmente, si notava che: «dentro ai nuovi articoli sull'amministrazione di sostegno incontriamo verbi e sostantivi in larga parte estranei al testo primigenio del codice civile. Per certi versi formule bizzarre e termini alquanto sociologizzanti, più o meno avvolgenti ed eretici» (Cendon, 41).

In effetti, dal sistema di protezione dei soggetti disabili in materia di

amministrazione di sostegno (artt. 404-413 c.c.) si colgono espressioni innovative, quali: « interessi ed esigenze di protezione della persona» , « aspirazioni» , « espletamento delle funzioni della vita quotidiana» , « con la minore limitazione possibile» , « interventi di sostegno temporaneo o permanente» , « condizioni di vita personale e sociale» , « interessi morali e patrimoniali del minore o del beneficiario». Di poi, la nuova legge sn. 6 del 2004 omette ogni riferimento all' amministrato di sostegno quale persona incapace, in tal modo evitando ogni forma di discriminazione sociale e giuridica, ovvero, di emarginazione della persona in uno status , come è invece riscontrabile per lo status di persona interdetta.

La persona « priva in tutto o in parte di autonomia nell' espletamento degli atti della vita quotidiana» è il protagonista del titolo XII, capo I, del codice civile novellato.

La nomina di un amministratore di sostegno al disabile, quale suo rappresentante, ovvero assistente, non determina l ' insorgenza dello status di amministrato di sostegno (Napoli , 14).

Il riferimento alla persona bisognosa avviene adottando una terminologia legislativa neutra e, dal punto di vista semantico, innovativa rispetto al tradizionale lessico codicistico.

Il protagonista del capo I, che una volta si sarebbe qualificato « l' incapace», viene evocato dalle disposizioni novellate utilizzando termini per nulla offensivi della sua condizione di disabilità , di diversità , ovvero, discriminanti, senza richiamare la condizione di inferiorità rispetto agli altri, « i normali », i sani, che non necessitano di « sostegno» .

Si evita accuratamente l ' adozione di una terminologia stigmatizzante, in consonanza con la natura mite dell' istituto .

Si evoca, variamente, « l' interessato» (art. 405), la « persona interessata» (art. 405), il « beneficiario » (art. 409, 410), il « soggetto beneficiario» (art. 406), la « persona cui il procedimenti si riferisce» (art. 407), la « persona del beneficiario» (art. 408).

Il linguaggio legislativo utilizza termini asettici, del tutto privi di discriminazione o di stigma personale (Bonilini , 41).

La scelta semantica rappresenta un segno di rispetto per la dignità della persona umana riscontrabile in un testo normativo indubbiamente « antropocentrico». Utilizzando l ' innovativa terminologia, neutrale ed asettica, si fornisce attuazione al precetto costituzionale dettato in tema di eguaglianza formale, a tenore del quale: « tutti i cittadini hanno pari dignit à sociale e sono eguali davanti alla legge senza distinzione di ... condizione personale» (art. 3, comma 1, Cost.).

L'infermità o la menomazione

A tenore delle disposizioni normative ricordate, lo spettro applicativo della nuova forma di protezione appare assai ampio, variegato ed a largo spettro; dato che l ' art. 404 c.c. richiama le nozioni di « infermità» e di « menomazioni» di ordine « fisico o psichico» che affliggono la persona, un ambito applicativo assai maggiore rispetto a quello previsto dall'art. 414, per la pronunzia interdittiva.

Il novellatore del 2004 ha utilizzato una formulazione lessicale che riecheggia la terminologia concernente le persone che « possono» essere interdette, ossia, quanti « si trovano in condizioni di abituale infermità di mente che li renda incapaci di provvedere ai propri interessi» (art. 414 c.c.).

Rispetto a quest'ultimo dato positivo, tutto imperniato sulla nozione di «infermità mentale», il legislatore del 2004, quale presupposto applicativo, ha introdotto innovativamente il riferimento alla «menomazione» («fisica o psichica»), che costituisce una nozione molto più ampia (Rossi, 33; Farolfi, 64-65).

Riferendosi alle persone affette da «infermità» o «menomazione fisica o psichica», l'art. 404 c.c. pare avere richiamato la nozione di «persona con disabilità», oggetto dell'art. 1 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, fatta a New York il 13 dicembre 2006 (ratificata dall'Italia con l. 3 marzo 2009, n. 18), a tenore del quale: «per persone con disabilità si intendono coloro che presentano durature menomazioni fisiche, mentali, intellettive o sensoriali che in interazione con barriere di diversa natura possono ostacolare la loro piena ed effettiva partecipazione nella società su base di eguaglianza con gli altri».

Non molto diversa è la nozione, riscontrabile nella legislazione nazionale antecedente, che si riferisce alla «persona handicappata» (art. 3 della l. 5 febbraio 1992, n. 104).

La nozione posta a fondamento del ricorso per interdizione, ovvero, quella di «infermità mentale», non è stata richiamata quale presupposto unico ed esclusivo necessario di nomina dell'amministratore di sostegno.

È fin troppo noto che, nell'ordinamento giuridico, non sia rinvenibile una nozione di «infermità mentale». Tale constatazione aveva indotto la dottrina a richiamarsi alla concezione di infermità mentale nella sua continua evoluzione scientifica e medica, intesa come malattia mentale, comprendente anche ulteriori forme di alterazione psichica. Per quanto ricorrano situazioni di disagio psichico che non sono clinicamente malattie (Napoli, 25).

La giurisprudenza (formatasi in tema di interdizione) aveva affermato che l'infermità mentale legittimante il provvedimento ablativo non dovesse necessariamente rivestire i caratteri di una patologia clinicamente ben definita e fosse accompagnata da manifestazioni demenziali ( Cass. n.  704/1948 , Foro it , 1948, voce « Inabilitazione e interdizione», n. 6); essendo invece richiesta la presenza di un ' alterazione delle facolt à mentali, tale da rendere il soggetto incapace di provvedere ai propri interessi ( Cass. n. 457/1958 ).

A proposito dell'amministrazione di sostegno si è poi affermato che la procedura di nomina dell'amministratore di sostegno presuppone una condizione attuale d'incapacità, il che esclude la legittimazione a richiedere l'amministrazione di sostegno della persona che si trovi nella piena capacità psico-fisica, ma non esige che la stessa versi in uno stato d'incapacità d'intendere o di volere, essendo sufficiente che sia priva, in tutto o in parte, di autonomia per una qualsiasi "infermità" o "menomazione fisica", anche parziale o temporanea e non necessariamente mentale, che la ponga nell'impossibilità di provvedere ai propri interessi; in tale ipotesi, il giudice è tenuto, in ogni caso, a nominare un amministratore di sostegno, poiché la discrezionalità attribuitagli dall'art. 404 c.c. ha ad oggetto solo la scelta della misura più idonea (amministrazione di sostegno, inabilitazione, interdizione) e non anche la possibilità di non adottare alcuna misura, che comporterebbe la privazione, per il soggetto incapace, di ogni forma di protezione dei suoi interessi, ivi compresa quella meno invasiva. (Cass. I, n. 12998/2019: nella fattispecie, la S.C. ha cassato la decisione di merito che aveva rigettato la richiesta di nomina dell'amministratore di sostegno perché l'interessato, affetto da una gravissima patologia comportante "shock" emorragici con rapida perdita della coscienza e compromissione delle funzioni vitali, nonché difficolta` nell'eloquio tali da consentirgli di esprimersi esclusivamente mediante computer, era tuttavia capace di intendere e di volere).

Presupposto soggettivo per la nomina dell'a.d.s. è quindi ravvisabile nella constatata «infermità» (fisica o psichica), ovvero (secondo una concezione innovativa rispetto all'ordinamento giuridico interno), nella presenza di una constatata «menomazione fisica o mentale».

La nozione di «menomazione» riveste significato maggiormente esteso rispetto a quello di «infermità mentale». L'O.M.S. la definisce in termini di «perdita o anormalità a carico di strutture o disfunzioni psicologiche, fisiologiche o anatomiche».

Da un punto di vista lessicale, poi, la «menomazione» è riferita a persona che «abbia perso parte della propria efficienza fisica».

Ciò significa che la persona è «menomata» quando sia priva di parte delle proprie capacità/risorse fisiche o psichiche; sia «minus» rispetto all'uomo normale, senza necessariamente essere qualificabile affetta da patologia.

Agli effetti dell'art. 404 c.c., ciò significa che presupposto soggettivo di nomina dell'a.d.s. è, non solo l'acclarata patologia, ovvero la diagnosticata malattia (mentale o fisica), presupponente permanenza e persistenza nelle sue manifestazioni; ma pure, più latamente, la sussistenza di una «menomazione», laddove la persona sia priva di efficienza (fisica o psichica), in uno o più aspetti della quotidianità. L'evoluzione di queste nozioni ha condotta la Corte di cassazione ad affermare che l'amministrazione di sostegno, ancorché non esiga che si versi in uno stato di vera e propria incapacità di intendere o di volere, nondimeno presuppone che la persona, per effetto di un'infermità o di una menomazione fisica o psichica, si trovi nell'impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi, mentre è escluso il ricorso all'istituto nei confronti di chi si trovi nella piena capacità di autodeterminarsi, pur in condizioni di menomazione fisica, in funzione di asserite esigenze di gestione patrimoniale (Cass. I, ord. n. 29981/2020, per la quale l'utilizzo dell'amministrazione in tal caso implicherebbe un'ingiustificata limitazione della capacità di agire della persona.-

Ne consegue che, salvo che non sia provocata da una grava patologia psichica, tale da rendere l'interessato inconsapevole del bisogno di assistenza, la sua opposizione alla nomina costituisce espressione di autodeterminazione, che deve essere opportunamente considerata (Cass. I, ord. n. 32542/2022: nella specie, la S.C. ha cassato la decisione del giudice di merito che aveva aperto l'amministrazione di sostegno, nonostante l'opposizione della beneficiaria, in un caso in cui era stata esclusa sia l'infermità che la menomazione ed era stata ravvisata solo una situazione di fragilità, che aveva determinato una difficoltà nella gestione del patrimonio).

Tipologie di infermità e menomazioni psichiche

Possono beneficiare del nuovo istituto di protezione, non solo i malati mentali, gli «psichiatrici» propriamente detti (ovvero, quanto risultano abitualmente in carico al C.S.M.), ma anche le persone che non possano ancora considerarsi tali, pur essendo disturbati psichicamente.

Va così ribadita la notevole estensione dell’ambito applicativo della misura protettiva, che comprende una gamma di patologie/alterazioni psichiatriche che in passato potevano non ritenersi coperte dalla misura dell’interdizione.

In primis, l'amministrazione di sostegno è in primo luogo applicabile ai malati mentali, ossia a quanti risultano affetti da una patologia mentale classica, clinicamente definita, diagnosticata e riconosciuta.

Anzianità

Molteplici sono state le applicazioni giurisprudenziali dell’istituto nei confronti di persone anziane, le quali siano riconosciute dal giudice non autonome nella gestione dei propri interessi, in quanto affette da deficit cognitivi ed incapaci ad espletare taluni o tutti gli atti della vita civile. In tal caso l’amministrazione di sostegno può rappresentare terreno di utile elezione e fertile applicazione (Farolfi, 73). Anzi, può affermarsi, senza tema di smentita, come gli anziani, statisticamente, rappresentino la clientela maggioritaria cui applicare la protezione personalizzata.

In uno dei primi provvedimenti editi in materia è stato affermato che: «può essere designato un amministratore di sostegno ad una persona impossibilitata ad espletare le funzioni della vita quotidiana a causa di un indebolimento delle facoltà intellettive, in particolare della memoria, dovuto all'età molto avanzata» (Trib. Modena, 24 febbraio 2005, in Pers. fam. succ., 2005, 271; in Giur. it., 2005, 1626, con nota di Ciocia, Amministrazione di sostegno: un supporto alle persone anziane).

Il decreto ribadisce il principio secondo cui «l'età avanzata non può essere, di per se stessa, presupposto fondante un provvedimento di amministrazione di sostegno; ciò che, invece, può darsi quando la vecchiaia possa determinare una limitazione apprezzabile della funzioni della vita quotidiana» (Trib. Modena 3 luglio 2014).

Infermità o menomazioni fisiche

Si è domandato se la nuova misura protettiva possa attagliarsi anche agli handicappati fisici, ossia a persone che presentino una qualche menomazione, ovvero infermità, di natura fisica, ostativa alla cura dei propri interessi, come è riscontrabile nei confronti di persone costrette a vivere in pensionati o case di cura perché non deambulanti, ovvero, che si muovono a bordo di carrozzella a causa di traumi o malattie, ovvero per perdita degli arti, o, ancora, ai disabili di tipo motorio, o agli spastici.

Tra le cause legittimanti l'istituzione della nuova misura, il testo normativo affidato dall'art. 404 c.c. espressamente menziona «un'infermità ovvero una menomazione fisica».

La giurisprudenza di merito è orientata all'attivazione della misura protettiva anche in presenza di handicap motori: «ai fini della nomina del cosiddetto amministratore di sostegno, non si richiede che il soggetto sia privo in tutto o in parte della capacità di intendere o volere, perché la legge impone uno scrutinio correlato ad aspetti pratici e concreti, in termini di «incapacità» o difficoltà durevole nell'esercizio dei propri diritti ovvero nel fronteggiare le necessità quotidiane. In tal senso, le patologie che menomano le facoltà di locomozione, la condizione di isolamento per essere privi di familiari conviventi, lo stato di abbandono nella vita quotidiana costituiscono validi presupposti per addivenire alla nomina dell'amministratore di sostegno» (Trib. Bari 15 giugno 2004, in Dir. giust., 2004, 28, 91; in Giur. Merito, 2004, 1942).

In seguito, il concetto è stato ribadito che: «l'amministrazione di sostegno deve essere concessa non solo a favore degli infermi di mente ma anche a favore dei soggetti incapaci a relazionarsi per handicap fisico» (Trib. Modena 17 maggio 2006).

La prima pronuncia della Corte di Cassazione in materia, in motivazione, ha mostrato di condividere l ' orientamento favorevole all ' applicazione della misura in presenza di disabilit à fisica ( Cass. n. 13584/ 2006 ).

In tempi recenti il medesimo principio è stato nuovamente ribadito in termini specifici: «l'amministrazione di sostegno non presuppone necessariamente l'accertamento di una condizione di infermità mentale, ma contempla anche l'ipotesi che sia riscontrata una menomazione fisica o psichica della persona sottoposta ad esame, la quale determini, pur se temporaneamente o parzialmente, una incapacità nella cura dei propri interessi» (Cass. n. 13.917/2012, in Giust. Civ., 2012, I, 2587, con ampia nota redazionale; in Dir. giust., 2012, con nota di Paleari).

Ha così trovato conferma l'impostazione imperniata sull'esigenza di intervento giudiziale per supportare giuridicamente quanti, seppure non infermi di mente e pienamente compos sui, ma gravemente impediti nella locomozione, ovvero, handicappati fisici, per questo solo impedimento fisico, siano impossibilitati alla cura dei propri interessi.

Sordi e ciechi dalla nascita o dalla prima infanzia

Il codice ammette l ' inabilitazione a carico di talune figure di minorati fisici, disponendo, in particolare, che possono essere inabilitati « sordomuti e ciechi dalla nascita o dalla prima infanzia, se non hanno ricevuto un ' educazione sufficiente, salva l ' applicazione dell ' art. 414 quando risulti che essi sono del tutto incapaci di provvedere ai propri interessi» (art. 415, comma 3, c.c.).

Va perciò affermato che, a seguito dell'approvazione della l. n. 6 del 2004, sordomuti e ciechi dalla nascita o dalla prima infanzia possono essere destinatari di protezione personalizzata ex art. 404 c.c.

Prodigalità e gioco d'azzardo patologico

Esiste una specifica causa di inabilitazione costituita dalla prodigalità della persona, laddove la stessa «esponga sé o la famiglia a gravi pregiudizi economici» (art. 415, comma 2, c.c.). Ebbene, l'istituto (inabilitazione per prodigalità) può ormai ritenersi sostituito dall'amministrazione di sostegno.

Va precisato che la prodigalità può essere determinata dalla dedizione del soggetto al gioco d'azzardo patologico, costituito da un impulso irrefrenabile allo sperpero che attanaglia il soggetto quando si trova al tavolo da gioco e non solo innanzi ad esso.

Per quanto lo sperpero patologico e smodato di denaro non si manifesti esclusivamente al tavolo verde, dato che ciò può attuarsi pure con giochi di nicchia praticati da un numero ristretto di giocatori, quali la roulette, lo chemin de fer o le slot machine.

Per il giocatore patologico le tentazioni e le occasioni di gioco si presentano anche nella vita quotidiana, nei bar con il videopoker, nella sale corse con le scommesse sui cavalli, su internet con il casinò virtuale.

In particolare, dal punto di vista psichiatrico, la ludopatia (come la tricotillomania, la cleptomania e la piromania) è considerata una patologia psichiatrica rientrante nell'ambito dei «disturbi del controllo degli impulsi», che tutti sono caratterizzati dalla «incapacità (del paziente) di resistere ad un impulso, ad un desiderio impellente, o alla tentazione di compiere un'azione pericolosa per sé o per gli altri». Il gioco d'azzardo patologico si caratterizza poi per essere «un comportamento maladattivo ricorrente e persistente di gioco d'azzardo che compromette le attività personali, familiari o lavorative» (DSM- IV, 707 e 715 e segg.).

La scienza giuridica, a ragione, si mostra perlopiù favorevole all'applicazione del nuovo istituto laddove la persona sia affetta da «invincibile attitudine al gioco»,

Al riguardo si richiama una pronunzia favorevole alla nomina di un a.d.s. a beneficio di ludopatico che aveva sempre manifestato propensione al gioco (slot machines, gratta e vinci, lotto, carte) e che in tal modo sperperava tutta la pensione (Trib. Monza 15 dicembre 2010, in Dir giust. 2011).

E' stata ribadita l'applicabilità della misura di protezione a favore di persona prodiga, sempre che si tratti di persona affetta da “menomazione psichica accertata”, essendo altrimenti possibile sperperare il proprio patrimonio (Trib. Modena 3 novembre 2017, in Personaedanno con nota di Cendon; in Quot. dir., con nota di Fiorendi; in Quot. giur., con nota di Mancuso).

Abuso abituale di sostanze alcoliche e stupefacenti

Ci si è chiesti se la persona che faccia abuso abituale di alcolici e di sostanze stupefacenti, esponendo sé e la propria famiglia a gravi pregiudizi economici, secondo la formula affidata all'art. 415, comma 2, c.c., che individua un'autonoma causa di inabilitazione, possa essere suscettibile di protezione personalizzata con l'amministrazione di sostegno.

In questa sede non si può che fornire risposta positiva.

Impossibilità di provvedere ai propri interessi: temporanea, permanente, totale o parziale

Per procedere all'attivazione dello strumento di protezione, accanto al presupposto (soggettivo) della constatata condizione di disabilità (fisica o psichica) della persona, come evidenziato nei precedenti §§, l' art. 404 c.c. esige un ulteriore presupposto, di natura oggettiva, non connesso alle condizioni personali del beneficiario.

La norma dispone che può essere assistita da un amministratore di sostegno «la persona che, per effetto di una infermità ovvero di una menomazione fisica o psichica, si trova nella impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi...».

Pure l'art. 1 della l. n. 6 del 2004 richiama questo presupposto di natura oggettiva, nelle diverse accezioni del «sostegno temporaneo o permanente», a beneficio di persone «in tutto o in parte» prive di autonomia nell'espletamento delle funzioni della vita quotidiana.

Per la nomina di un amministratore di sostegno l ' art. 404 c.c. pone una trasparente correlazione intercorrente tra patologia ed incapacità gestionale riscontrata in capo all ' amministrando, « impossibilità di provvedere ai propri interessi» .

A questo riguardo, va ripetuto quanto autorevolmente affermato a proposito del secondo presupposto necessario di pronunzia dell'interdizione, nel vecchio testo normativo affidato all'art. 414 c.c., ossia, che: «non basta che il soggetto sia mentalmente malato, ma occorre anche che l'infermità incida sulla sua attitudine a curare adeguatamente i propri affari patrimoniali e personali» (Napoli, 39).

Il focus della nuova protezione personalizzata va oggi spostato dalla malattia incapacitante alla conseguente impossibilità /difficoltà fattuale di partecipazione al traffico giuridico ed ai rapporti negoziali in condizioni di parità rispetto agli altri consociati, ovvero, sulla tutela della persona e della sua dignità individuale .

Come si è osservato, l' impossibilità cui accenna l 'art. 404 c.c. è ravvisabile nella completa inettitudine della persona alla cura dei propri interessi di vita, personali e/o patrimoniali che siano.

Unicamente « l' impossibilità» gestionale (Bonilini, 60) giustifica l ' attivazione del procedimento di nomina, non anche la presenza di mere difficoltà relazionali o gestionali, problemi questi che sono solubili senza invocare la misura di protezione

Il principio è stato di recente ribadito affermando che la procedura in oggetto suppone una condizione attuale di incapacità del soggetto, non esigendo che lo stesso si trovi in condizione di incapacità di intendere e volere, "essendo sufficiente che il richiedente sia privo, in tutto o in parte, di autonomia per una qualsiasi infermità o menomazione fisica, anche parziale o temporanea, non necessariamente di ordine mentale, che lo ponga nell'impossibilità di provvedere ai propri interessi" (Cass. n. 12998/2020, in Dir. fam. pers., 2019, 3, I, 1105).

La generica, e peraltro del tutto soggettiva, valutazione di incapacità del soggetto di provvedere ai propri interessi, e la sua condizione di analfabetismo , non giustificano l ' adozione di alcuna misura limitatrice della sfera di autonomia della persona, neppure l' amministrazione di sostegno, che ha quali presupposti l' infermità o la menomazione fisica o psichica della persona, oggettivamente verificabili, che determinino l' impossibilità , anche parziale o temporanea, di provvedere alla cura dei propri interessi ( Cass. I, n. 4709/2018 ). L' amministrazione di sostegno può essere disposta anche nel caso in cui sussistano soltanto esigenze di cura della persona, senza necessità di gestire un patrimonio, poiché l' istituto non è finalizzato esclusivamente ad assicurare tutela agli interessi patrimoniali del beneficiario, ma è volto, più in generale, a garantire protezione alle persone fragili in relazione alle effettive esigenze di ciascuna, limitandone nella minor misura possibile la capacità di agire ( Cass. VI, n. 19866/2018 ). Si è anche affermato che la presenza di « difficoltà nelle relazioni sociali», problema peraltro comune ad ampie fasce della popolazione, non giustifica di per s é la nomina di un amministratore di sostegno che limiti la capacità di agire della persona (Trib. Modena 20 marzo 2014 ).

La disposizione di governo precisa che l' impossibilità gestionale può essere anche soltanto « parziale o temporanea» .

L'impossibilità temporanea consiste nell'inettitudine che sia effetto di una malattia o menomazione di cui si possa diagnosticare la guarigione o il superamento e che perciò appaia non avere carattere duraturo (Bonilini,101-102).

Diversamente dalle vecchie risposte protettive (interdizione ed inabilitazione), il nuovo istituto espressamente prevede che l'incarico di amministratore di sostegno possa rivestire «durata» temporale (così, espressamente, l'art. 405, comma 6, c.c.), dato che lo stesso può anche essere «a tempo indeterminato» (art. 405, comma 5, n. 2, c.c.).

La nomina di un amministratore di sostegno presuppone che il giudice accerti la condizione di disabilità in cui versa il soggetto «per effetto» della quale lo stesso non è in grado di curare i propri interessi.

L'uno e l'altro presupposto (soggettivo ed oggettivo) devono essere legati da un indispensabile nesso di interdipendenza o nesso causale, cosicché la disabilità determini l'impossibilità di cura dei propri interessi (Cass. n. 2364/ 2014).

Come si è in precedenza ricordato, laddove il disabile, nonostante la condizione personale di disabilità, fisica o psichica, sia egualmente in grado di attendere ai propri interessi, la richiesta di nomina di un amministratore di sostegno va respinta (Bonilini, 100).

Presenza di una rete protettiva (familiare o istituzionale) a tutela del beneficiario

Strettamente connesso al tema riguardante il presupposto della « impossibilità» (gestionale) della persona di « provvedere a s é» ed ai propri interessi, personali e/o patrimoniali, si inserisce il presupposto (implicito) seguente, che concerne l' eventuale sussistenza di una rete protettiva tutelante (il disabile).

In modo particolare, in presenza di condizione personale astrattamente suscettibile di intervento di protezione (menomazione fisica o psichica della persona ed impossibilità gestionale degli interessi da parte dell' interessato), ci si chiede se vada nominato l' amministratore di sostegno.

Come già anticipato, appare necessario la verifica dell' inferenza causale della patologia sulla quotidianità della persona e sulla capacità di espletamento delle funzioni esistenziali.

In un decreto del Tribunale di Vercelli è stata motivatamente esclusa tale inferenza, a fronte dell'intervento di «ausilio altrui» (Trib. Vercelli 16 ottobre 2015, in Ilfamiliarista.it, 2016, con nota adesiva di Masoni, Amministrazione di sostegno e intervento di terzi: la nomina è sempre necessaria?).

In concreto, l'aiuto esplicato da parte di terzi a beneficio della persona disabile si concretava nell'intervento protettivo nell'ottica di sopperire alle carenze gestionali della persona. In particolare, ad opera dei servizi sociali di assistenza domiciliare quotidiana (c.d. s.a.d.) (di «aiuto della paziente nel disbrigo delle pratiche personali, nella cura della casa, quali lavori domestici»), nell'aiuto delle vicine di casa; nel meritorio interessamento della ricorrente («delegata ad operazioni bancarie e postali»), come pure del suo legale («con la cui assistenza è stata compiuta l'accettazione beneficiata della eredità del marito»).

La beneficiaria si era mostrata incline e ben disposta ad avvalersi dell' altrui ausilio.

La pronunzia ha ritenuto che, in presenza di rete familiare attenta alle esigenze della disabile e priva di conflittualità e di sospetti di approfittamento economico-patrimoniale, l ' intervento di soggetti istituzionali e la piena accettazione di tale intervento ad opera della persona bisognosa, come pure la limitata difficoltà di compimento delle attività di protezione, rendesse « superflua ed inutilmente gravatoria» la protezione istituzionale ex art. 405 c.c.

In conclusione: si è ritenuto che la misura protettiva vada applicata nei limiti della stretta necessità , posto che essa determina, quale effetto giuridico, la limitazione, seppur parziale, della capacità di agire della persona; una limitazione giustificabile unicamente nei casi previsti dalla legge. Cosicché , in presenza di rete protettiva (familiare e/o istituzionale) tutelante, la protezione ex art. 405 c.c. non va attivata ed il ricorso va reietto.

In definitiva, laddove sia in concreto ravvisabile una rete protettiva, familiare e/o istituzionale, in grado di surrogare, aiutare ed assistere e/o sostituire la persona affetta da disabilità nell' espletamento delle funzioni della vita quotidiana, perché attivare la misura di protezione, legittimando l ' intervento tribunalizio d 'autorità ?

Difetterebbe, all' evidenza, il presupposto normativo costituito dall' incapacità gestionale della persona, cosicché la misura non va disposta, con piena ed integrale conservazione della capacità di agire della persona (in tal senso, Trib. Modena 5 febbraio 2016 , in personae danno con nota adesiva di R. Rossi , ADS: no se l' interessato vive con i propri animali e i s.s. lo aiutano , che ha rigettato il ricorso ex art. 404 c.c.; Trib. Modena 25 settembre 2015, in Dir. fam. pers. , 2016, 545).

In ulteriori precedenti, la rete protettiva istituzionale attivata è stata considerata presidio sufficiente per la gestione del disabile, in presenza di constatata scarsissima consistenza patrimoniale da amministrare, costituita unicamente da modesta pensione.

In altre parole, in situazioni consimili, è constatabile l ' intervento delle istituzioni, particolarmente attente ed attive in talune regioni, come pure, talvolta, di parenti, familiari, amici o conoscenti (v. Trib. Modena 4 maggio 2017, in personaedanno.it, con nota adesiva di R. Rossi , Talvolta l ads non serve. Sì, però ), i quali, a motivo di solidarietà sociale o per dovere istituzionale, gestiscono gli « affari altrui» , che, nella specie, sono gli interessi (personali e/o patrimoniali) del disabile (artt. 2028-2031 c.c.).

Quest' ultimo, quindi, non versa in condizioni di abbandono civilistico, n é è incapace a gestirsi, sicché non trova giustificazione l ' intervento dell' amministratore di sostegno e la sua nomina d' autorità .

D'altro canto, l'intervento giurisdizionale a tutela della persona appare doveroso unicamente quale extrema ratio; ossia, laddove difettino ulteriori strumenti di protezione civilistici, meno invasivi e maggiormente performanti, quali l'ausilio e l'intervento delle istituzioni, di terzi o di familiari, come pure il provvidenziale conferimento a terzi di una procura sostanziale ad operare nell'interesse altrui (art. 1392 c.c.) (Rossi, 33).

Il principio espresso dai giudici di merito, con riguardo alla non necessaria nomina vicariante in presenza di rete protettiva tutelante ha trovato autorevole avallo cassazionale, ritenendo in particolare che, in presenza di “rete familiare all'uopo organizzata e funzionale” il ricorso all'istituto non sia giustificato, “in ispecie ove all'attivazione si opponga in modo giustificato la stessa persona del cui interessa si discute” (Cass. n. 29981/2020, in Il familiarista, con nota adesiva di Masoni; in DFP, 2021, 3, I, 1043).

 

Attualità della condizione di infermità

Parte della dottrina ha evidenziato che gli artt. 404 e segg c.c. presupporrebbero un requisito inespresso necessario alla nomina dell'amministratore di sostegno, compendiabile nella «attualità» dell'infermità o della menomazione.

È stata così esclusa la nomina dell'amministratore «ora per allora», ossia in vista «di un'infermità fisica destinata a verificarsi in futuro» e «non ancora in atto al momento dell'istanza».

L’esistenza del presupposto emergerebbe positivamente.

In particolare, dall'impiego dell'indicativo presente nell' art. 404 c.c. laddove si considera destinataria della misura la persona che «si trova» nell'impossibilità di provvedere ai propri interessi e dall' art. 407, comma 2, c.c. che, imponendo al g.t. di sentire «personalmente» la persona cui il procedimento si riferisce, adempie alla funzione di consentire al giudice di constatare l'effettiva condizione di non autonomia e di disabilità del soggetto.

Di contrario avviso si erano espresse le prime pronunzie giurisprudenziali (Trib. Parma, 2 aprile 2004, in Giur. it., 2005, 1839; in Giur. merito, 2005, 2087, s.m.).

Un decreto, su ricorso dell'interessata che stava per sottoporsi ad intervento medico-chirurgico, ha nominato in via d'urgenza la figlia amministratore di sostegno della madre, col compito di esprimere «il consenso ad eventuali trattamenti sanitari o medico-chirurgici ove la interessata non sia in grado di prestarlo, secondo le indicazioni date dalla medesima in relazione ad intervento di espianto e reimpianto di protesi al ginocchio, nel documento «direttive anticipate relative alle cure mediche» sottoscritto dall'interessata in data 30 maggio 2007» (Trib. Siena 18 giugno 2007, in personaedanno.it).

Analoga soluzione è stata adottata a beneficio di persona, settantenne, affetta da S.L.A., ancora in grado di esprimere in modo consapevole il proprio punto di vista, contraria ad eventuali terapie o interventi salvavita.

Nella specie, il g.t. ha nominato un a.d.s. col compito di denegare il consenso ai sanitari a praticare ventilazione forzata e tracheotomia all'atto in cui l'evolversi della malattia imponesse la specifica terapia salvifica (Trib. Modena 13 maggio 2008, in Giur. it, 2008, 1934).

Ulteriori sviluppi

Sempre secondo l'ottica indicata nel precedente §, maggiormente significativo è un decreto del tribunale geminiano, la cui massima recita: «può procedersi a nomina di amministratore di sostegno a beneficio di persona capace di intendere e volere, oltre che sana fisicamente al momento del ricorso, in funzione sostituiva del beneficiario, nell'eventualità in cui in futuro subentri uno stato di incapacità nell'espressione del diniego ad eventuali terapie» (Trib. Modena 5 novembre 2008, in Giur. merito, 2010, 102, con nota di Masoni, Amministrazione di sostegno e direttive anticipate di trattamento medico-sanitario: contrasti, nessi, relazioni).

La vicenda concerneva un dentista cinquantatreenne, in perfetta salute fisica e mentale, il quale, tramite notaio aveva redatto un proprio testamento biologico affinché fossero rispettate le proprie intime volontà in tema di trattamenti sanitari e di fine vita, designando la moglie quale proprio amministratore di sostegno e, in caso di impossibilitò di esercitare la funzione, quale sostituta, la figlia.

Il ricorrente, persona pienamente compos sui, senza patologie apparenti o note, aveva richiesto al giudice tutelare la nomina per sé di un amministratore di sostegno col compito di dare attuazione, oltre che di garantire nei confronti dei medici, la volontà da lui espressa in precedenza innanzi al notaio in materia terapeutica e di cure salvavita per il caso di sopraggiunta propria futura incapacità, con contestuale designazione di un amministratore di sostegno, ai sensi dell'art. 408 c.c.

Il giudice ha accolto il ricorso argomentando proprio dall'apparente situazione di inattualità dell'impossibilità di cura dei propri interessi da parte del beneficiario, fornendo del requisito in parola una lettura inconsueta, non ritenendo preclusa la pronuncia del provvedimento protettivo in quanto fondato su un possibile percorso ermeneutico-ricostruttivo.

Secondo il ragionamento del giudice, sarebbe «la lettera stessa della norma («La persona che ... si trova nell'impossibilità ... di provvedere ai propri interessi, può essere assistita da un amministratore di sostegno, nominato dal giudice tutelare ...») a suggerire all'interprete che il legislatore ha individuato l'attualità dello stato di incapacità del beneficiario come presupposto per la produzione degli effetti dello strumento protettivo, ma non anche come requisito per la sua istituzione».

In definitiva, l’amministrazione di sostegno, secondo il decreto, «è nell’attualità l’istituto appropriato per esprimere quelle disposizioni anticipate sui trattamenti sanitari per l’ipotesi di incapacità che vanno usualmente sotto il nome di testamento biologico».

Per la verità, la giurisprudenza dell’ufficio tutelare di Modena, in seguito ha successivamente rettificato il principio, escludendo la nomina vicariante in ipotesi di piena sanità di corpo e di mente da parte del beneficiario, non affetto da patologie clinico-psichiatrico di sorta (Trib. Modena 10 dicembre 2015, in Dir. fam. pers., 2016, 547; in Quot. giur., 2016, con nota adesiva di Scalera, Amministrazione di sostegno ora per allora: a volte si può).

Intervento nomofilattico e critiche

In senso contrario alla sollecitazione interpretativa proveniente da talune corti di merito, si è posto un dictum nomofilattico:

La Corte Suprema ha ritenuto che il provvedimento giudiziale di nomina dell'amministratore di sostegno non può che essere contestuale al manifestarsi dell'esigenza di protezione del soggetto, dunque della situazione di incapacità o infermità da cui quell'esigenza origina e che rappresenta il presupposto dello stesso istituto e non già dei suoi effetti; non ne sarebbe pertanto ammessa l'adozione “ora per allora”, in vista di una condizione futura (Cass. n. 23707/2012, in Giur. it., 2013, 2249, con nota critica di Thobani, Amministrazione di sostegno e direttive anticipate di trattamento sanitario; la nomina anticipata è necessaria perché l'amministratore possa svolgere un ruolo effettivo?; in Foro it., 2013, I, 2918, con nota di Casaburi).

In senso critico, i commentatori hanno osservato che l'orientamento renderebbe impossibile l ' intervento dell ' amministratore laddove la scelta da compiere sia frutto di un repentino precipitare degli eventi, dato che, in caso d ' urgenza, l' a.d.s. designato, ma non ancora nominato, non potrebbe svolgere alcun ruolo.

In vero, può osservarsi che l’arresto della S.C. del 2012 perviene a risultati di pura logica formale, appagandosi di essi.

Nessuno si sarebbe scandalizzato se la soluzione ermeneutica fosse stata di tenore antitetico, dato che anche quest' ultima poteva essere argomentata, senza essere contraddetta dal generico dettato normativo.

D'altro canto, si dimentica che la lettura estensiva dell'istituto risulta rispettosa della ratio legis che presiede al microsistema dell'a.d.s., volto alla tutela dell'essere umano in condizione di disabilità, laddove tale condizione si manifesti in presenza di eventi traumatici imprevedibili.

In definitiva, la pronunzia nomofilattica, che si appaga della soluzione formalistica, più agevole in diritto e maggiormente conservativa, pare assai poco soddisfacente ed esaustiva delle esigenze di protezione dei disabili, al contempo rischiando di pretermettere e ledere fondamentali garanzie costituzionali (cfr. CASABURI, 2918; THOBANI, 2249).

Una soluzione mediana

Un soluzione mediana, rispetto all'orientamento eccessivamente liberale della prima giurisprudenza ed a quello eccessivamente restrittivo della nomofilachia, potrebbe ravvisarsi in quell'impostazione che garantisce tutela e provvede a nomina dell'amministratore di sostegno tutte le volte in cui l'esigenza protettiva e l'incapacità gestionale del beneficiario, a causa della patologia, assai plausibilmente, potrebbero insorgere nell'immediato futuro.

Il caso di specie cui ci si riferisce riguardava un giovane, ospite di una comunità di recupero per tossicodipendenti, per il quale sussisteva fondato pericolo di sospensione della terapia farmacologica disintossicante in atto. In applicazione del principio di cui in massima, sebbene nella mera attualità contingente il ragazzo fosse apparentemente in grado di gestire la propria vita personale, la madre è stata nominata a.d.s. del figlio, affinché lo guidasse e supervisionasse per il tempo strettamente necessario al completamento del percorso riabilitativo e di disintossicazione (Trib. Modena 24 febbraio 2014, in personaedanno.it, con nota di Scozzafava, Ads ora per allora; in Giur. it., 2014, 1997, con nota adesiva di Attademo, Amministrazione di sostegno ed impossibilità di provvedere ai propri interessi; in Fam dir., 2014, 618, s.m.).

Il medesimo ufficio ha ribadito che: «la nomina di un a.d.s. non deve necessariamente essere contestuale al manifestarsi delle esigenze di protezione del beneficiario, ben potendo essere disposta anche a favore di chi, nell'immediato futuro, assai plausibilmente, verserebbe in manifestazioni patologiche tali da renderlo incapace di provvedere ai propri interessi: tenuto conto che il beneficiario potrebbe, anche all'improvviso, trovarsi a versare nuovamente nell'impossibilità di gestire i propri interessi, in caso di ricaduta, con conseguente alto rischio di carenza di giuridica protezione nel compimento degli atti e per il susseguente periodo, lo stesso va fin d'ora garantito e protetto con la nomina di a.d.s. all'atto dell'insorgenza della condizione personale impeditiva di base (grave patologia psicofisica), dando anche attuazione piena alle volontà da lui palesate in materia medico-sanitaria» (Trib. Modena 1° luglio 2015, in Dir. fam. pers., 2015, 1402; in Quot. giur., 2015, con nota adesiva di Mancuso, L'eventualità di una ricaduta legittima la nomina di un a.d.s.; in personaedanno.it, con nota adesiva di Cendon e Bedeschi, ADS, ora per allora: sì, quando vi siano giustificati timori di incombente accanimento terapeutico).

Il problema del dissenso del beneficiario

E' sorto l'interrogativo seguente. L' attivazione dell' istituto di protezione, oltre che ai presupposti indicati nell' art. 404 c.c., è subordinato alla presenza di un ulteriore requisito (inespresso) compendiabile nel previo consenso, ovvero, nell' assenso da parte dell' interessato, al punto che l' eventuale dissenso, ovvero il rifiuto della misura, sia in grado di precluderne l' istituzione?

Ebbene, nel micro sistema della nuova protezione emerge un principio di fondo che trova preciso fondamento normativo. Ci si riferisce al principio che valorizza la libertà di autodeterminazione del disabile nell' ambito del procedimento di sostegno.

L' esaltazione della capacità di volizione e della volontà del beneficiario (evidentemente, nei limiti in cui la stessa possa in concreto esprimersi, in relazione al tipo di patologia che l ' affligge) emerge da molteplici indici normativi (artt. 406, comma 1, 407, comma 2, 408, comma 1, 409 e 410 c.c.).

L'interessato alla protezione può avanzare direttamente ricorso (e, secondo quanto preferibilmente si opina, senza ausilio di avvocato) per sé; nel corso dell'istruzione del procedimento, il giudice deve sentire la persona e «tenere conto, compatibilmente con gli interessi e le esigenze di protezione della persona, dei bisogni e delle richieste di questa»; ancora, il beneficiario può nominare un proprio amministratore di sostegno «in previsione della propria eventuale futura incapacità»; la persona conserva piena capacità di agire per tutti gli atti per i quali non sia stata disposta in decreto la rappresentanza esclusiva o l'assistenza necessaria; infine, nell'espletamento dell'incarico, l'amministratore di sostegno deve tener conto dei bisogni e delle aspirazioni del beneficiario.

L'interpretazione sistematica dell'intero ordito normativo fa emergere una triplice linea di tendenziale sviluppo dell'istituto.

Da un canto, l'esigenza di una decisa quanto proporzionata (ai bisogni riscontrati in concreto) protezione dei disabili privi di autonomia nell'espletamento delle funzioni della vita quotidiana, oltre che l'esplicito divieto a non abbandonarli al loro destino di disabilità e di fuga e ritiro dal mondo esterno; dall'altro, l'esigenza che questa forma elastica di protezione venga attuata con la minor limitazione possibile della capacità di agire del soggetto, al contempo valorizzando gli spazi volitivi e di autonomia decisionale che ancora residuano all'interessato, sempre più partecipe delle scelte fondamentali concernenti il suo progetto esistenziale e l'utilizzo del suo patrimonio (una protezione che proviene dal basso ed è personalizzata, non certo dall'alto e men che meno standardizzata, come per interdizione ed inabilitazione).

Variegate risposte interpretative

La specifica quaestio iuris, dibattuta soprattutto nell'immediatezza dell'entrata in vigore della l. n. 6/2004, ha ricevuto un variegato ventaglio di risposte (Masoni, 145).

A fronte del dissenso manifestato dal beneficiario, in un'occasione si è pervenuti al rigetto del ricorso dichiarato improcedibile; in un'altra, è stato sollevato questione di legittimità costituzionale cui è seguita la pronuncia costituzionale (di cui infra); in un'altra, viceversa, è stata istituita egualmente la misura, ovvero, si è disposta la sospensione temporanea dell'incarico all'amministratore di sostegno.

Tempo addietro il Tribunale di Pinerolo (Trib. Pinerolo, 8 marzo 2006, in personaedanno.it) risolse il dilemma, concernente la natura ostativa del dissenso alla nomina espresso dal disabile, in modo tranchant, respingendo il ricorso, con remissione degli atti al P.M. per l'instaurazione del giudizio di inabilitazione.

In un altro caso, invece, il dissenso (e, più precisamente, «il categorico rifiuto del beneficiario») era stato espresso, non tanto con riferimento alla nomina dell'amministratore di sostegno, ma in un momento successivo rispetto alla pronuncia del decreto, in fase di attuazione, dato che l'interessato non accettava l'assistenza da parte dell'amministratore di sostegno (che era stato nominato nella persona di un avvocato) nella riscossione della pensione e nella gestione del denaro.

La mancata collaborazione dei due protagonisti dell'istituto, che quindi non poteva funzionare a causa della resistenza del disabile, in tal caso, aveva indotto il giudice alla temporanea sospensione dei poteri di assistenza conferiti all'amministratore di sostegno. La sospensione si spiegava con l'esigenza dell'instaurazione di un rapporto «di familiarità e confidenza», che tra due persone estranee ancora non sussisteva (Trib. Modena, 10 ottobre 2005, in Fam. pers. succ., 2005, 50; in Dir. giust., 2005, con nota di D'Elia, Sostegno o assistenza sociale?).

Questione di legittimità costituzionale

Al variegato nucleo di risposte riassunte nel § precedente è seguita la questione di legittimità costituzionale sollevato dal Tribunale di Venezia (Trib. Venezia, sez. dist. Chioggia, 3 gennaio 2006).

Il Tribunale lagunare ha dubitato della legittimità costituzionale degli artt. 407 e 410 c.c. nella parte in cui non subordinano al consenso dell'interessato l'istituzione della misura o, comunque, laddove non attribuiscono al dissenso efficacia paralizzante in ordine all'attivazione di essa.

Il remittente ha opinato che la nuova misura protettiva sarebbe istituibile unicamente a beneficio di «soggetto (che) conservi un cosciente grado di autonomia psichica nella cura dei propri interessi, tale da consentirgli in ogni caso di percepire l'eventuale pregiudizio che si annidi negli atti compiuti per suo conto»; ossia, a vantaggio di chi potrebbe qualificarsi soggetto «quasi-capace», ovvero, non completamente alienato.

Secondo il ragionare del giudice a quo, la misura non sarebbe applicabile in presenza del dissenso dell'interessato, dato che altrimenti si «conculcherebbe la (sua) libertà e la (sua) autodeterminazione», così ponendo in essere la violazione degli artt. 2 e 3 Cost. che tutelano le libertà fondamentali dell'uomo.

Una plausibile risposta

La finalità della legge n. 6 consiste nella protezione delle persone prive in tutto o in parte di autonomia nell' espletamento delle funzioni della vita quotidiana.

Laddove si attribuisse efficacia paralizzante al dissenso espresso dell' interessato all' attivazione del presidio, la « protezione» personalizzata del disabile non potrebbe entrare in gioco e la provvidenza di salvaguardia cui è preposto l ' istituto si risolverebbe in una burletta, dato che in tal modo sarebbe posto nel nulla il meccanismo protettivo legale, per effetto del semplice « no » manifestato dall' interessato. Dovrebbe dirsi allora che il testo normativo conterrebbe il tarlo dell' autodistruzione e dellautoannullamento .

D' altro canto, si consideri che, se il dissenso potesse dispiegare efficacia paralizzante, la previsione secondo la quale in caso di un' autonomia del soggetto impossibilitato alla cura dei propri interessi è istituita l ' amministrazione di sostegno – un istituto concepito con la finalità di garantire interessi pubblicistici di tutela dei disabili – risulterebbe rivolto alla protezione di un interesse personale del solo beneficiario, non invece dell' ordinamento giuridico nella sua interezza. E' indubbio che l ' amministrazione di sostegno adempie all' intento di perseguire interessi pubblicistici che trascendono quelli del singolo. La constatazione è agevolmente verificabile grazie alla partecipazione obbligatoria al procedimento del P.M., il quale lo può promuovere.

Se è vero che la direttiva fondamentale della legge si colloca nella direzione della « minor limitazione possibile della capacità di agire», la capacità potrà essere talvolta ridotta, ovvero, in altri casi, eliminata in relazione alle effettive esigenze di protezione in concreto emerse. Del resto, è trasparente che nessuna persona minimamente compos sui possa esprimersi favorevolmente rispetto alla privazione di un diritto fondamentale di civiltà , qual 'è « l' attitudine all' attività giuridica concernente la sfera giuridica propria», per quanto tale limitazione della capacità di agire sia funzionale alla protezione giuridica e materiale del disabile .

È noto che il verbo « potere» contenuto nella disposizione dell' art. 404 c.c. (« può») vada inteso nel senso della sussistenza di un potere-dovere. Se così è , sussistendo i presupposti normativi, il giudice non può sottrarsi alla nomina a beneficio del soggetto bisognoso, seguendo percorsi alternativi rispetto all' attivazione della misura.

La determinazione della compatibilità delle esigenze espresse dal beneficiario in sede di audizione, rispetto all' interesse superiore alla protezione del bisognoso, resta rimessa alla valutazione del magistrato, il quale esercita questo potere in correlazione con la « finalità della legge»; individuabile nell' esigenza di porre termine « alle situazioni di abbandono civilistico/patrimoniale (o di possibile sfruttamento della persona disabile, attuata in via di fatto da parenti o estranei) (Cendon , 118).

Non c'è quindi dubbio che il magistrato, a fronte del dissenso/opposizione dell' interessato, sia tenuto a verificare con particolare scrupolo ed attenzione le ragioni di dissenso, lo stesso acquisendo rilevanza ai fini della decisione.

Senza dire che la nomina di un amministratore di sostegno non gradito potrebbe creare tensione emotiva ed evidente frizione con il beneficiario, come ha evidenziato una pronunzia del Tribunale di Modena in precedenza richiamata.

Se è vero che la normativa sulla protezione personalizzata di nuovo conio garantisce l ' autodeterminazione del disabile nella massima espressione possibile, al contempo, però, subordina il rispetto della volontà dell' interessato al perseguimento della finalità principale della legge consistente nel fornire adeguata protezione alla persona bisognosa di aiuto. In tal caso, l ' interesse privatistico viene posposto rispetto all' interesse dell' ordinamento, di protezione dei disabili o dei soggetti incapaci. Consegue che, dal novero dei presupposti essenziali per l' attivazione dell' amministrazione di sostegno va escluso il consenso dell' interessato.

Su questa linea si è collocata la Corte Costituzionale che, nel respingere la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di Venezia, l'ha ritenuta manifestamente infondata (Corte cost. n. 4/2007, in Dir. fam. pers., 2008, 5, con nota di Sapio, A proposito di tre ordinanze della Corte Costituzionale e dei rapporti tra amministrazione di sostegno, interdizione e inabilitazione; in Dir. fam. pers., 2009, 11, con nota adesiva di Masoni, Consenso e dissenso del beneficiario dell'amministrazione di sostegno; in Fam. dir., 2007, 10, con nota di Figone, Amministrazione di sostegno e dissenso del beneficiario; in Giur. cost., 2007, 2377, con nota di Sacco, Il consenso del beneficiario dell'amministrazione di sostegno e il conflitto tra dignità e libertà).

Ha precisato la Corte: «l'art. 407 c.c. espressamente prevede che il giudice tutelare deve sentire personalmente la persona cui il procedimento si riferisce e deve tenere conto «compatibilmente con gli interessi e le esigenze di protezione della persona, dei bisogni e delle richieste di questa», sicché il giudice può anche non procedere alla nomina dell'amministratore di sostegno in presenza del dissenso dell'interessato, ove ritenga detto dissenso — nel contesto della fattispecie sottoposta al suo giudizio — giustificato e prevalente su ogni altra diversa considerazione». Il giudice dovrebbe in ogni caso fornire specifica ed adeguata motivazione in ordine all'esercizio di tale potere discrezionale.

Anche la Corte di Cassazione è pervenuta al medesimo risultato interpretativo, ritenendo che il dissenso del beneficiario non costituisca presupposto di attivazione della procedura. (Cass. n. 29981/2020, in Il familiarista, con nota adesiva di MASONI).

In ogni caso si precisa che il g.t. “deve tenere conto della contraria volontà del beneficiario all’attivazione della misura, ove provenga da persona di ridotta autonomia ma pienamente lucida in quanto affetta da menomazione soltanto fisica, in quanto costituisce l’esplicazione di una volontà libera, consapevole e non coercibile” (Cass. n. 32542/22; Cass. 10483/2022, con riguardo alla possibilità per il giudice di ricorrere a “possibili strumenti alternativi dal beneficiario proposti, ove prospettati con sufficiente specificità e concretezza”).

 

 

 

Gli interessi presidiati

Ci si è chiesti se la sfera degli interessi protetti giustificanti, in ipotesi di impossibilità di cura, l'intervento vicariante, riguardi unicamente quella di indole economico-patrimoniale, ovvero, anche quella di natura personale.

Dottrina e giurisprudenza hanno concordemente optato per la tesi ampliativa, ritenendo ricompresi nella protezione tanto gli uni quanto gli altri interessi (Napoli, 40), in piena continuità con quanto insegnato dalla nomofilachia (Cass. n. 5652/1989; Cass. n. 19866/2018, in Il familiarIsta, con nota di ACETO).

Richiamandosi a questo autorevole precedente, la dottrina univocamente tende a seguire tale impostazione ( Bonilini , 101).

D'altro canto, la soluzione è ermeneuticamente certa alla stregua del tenore lessicale dell'art. 405, comma 4, c.c.: «quando ne sussista le necessità, il g.t. adotta anche d'ufficio i provvedimenti urgenti per la cura della persona interessata e per la conservazione del suo patrimonio...».

L'impossibilità per il disabile di curare i propri interessi, giustificante la nomina di un amministratore di sostegno, investe quindi la platea non solo degli interessi economici, ma pure di quelli d'indole personale del beneficiario.

In altri termini, la misura è applicabile, quando «il soggetto non ce la fa»; in ogni caso per presidiare l'incapacità gestionale riguardante gli interessi della vita civile e personale della persona disabile nel loro complesso, garantendo così una protezione a 360°. 

Questo principio, pacifico, è stato, peraltro, di recente contraddetto da un non condivisibile arresto della Cassazione penale, la cui massima recita: «ritenuto che l'amministratore di sostegno assiste il beneficiario, di regola, nella gestione dei suoi interessi patrimoniali, senza attendere, in linea di principio, alla «cura» della persona e della sua «incolumità», non può egli commettere il reato di cui all'art. 591 c.p., reato dalla concorde dottrina definito «proprio»: l'art. 357 c.c., che attiene ai compiti ed alle attività del tutore, non è compreso tra le norme di cui all'art. 411 c.c. all'amministratore di sostegno applicabili» (Cass. pen. n. 7974/15, in Dir. Fam. Pers., con nota assai critica di Masoni, La cura personae nell'amministrazione di sostegno secondo la Cassazione penale).

Bibliografia

Bianca, La protezione giuridica del sofferente psichico, in Rass. dir. civ. 1985, I, 25 e ss., ed oggi in Realtà sociale ed effettività della norma, a cura di Patti, Milano, 2002, II, 665; Bonilini, in Bonilini, Tommaseo, Dell'amministrazione di sostegno, in Il codice civile commentario, a cura di Busnelli, Milano, 2008, 41; Cendon, Un altro diritto per i soggetti deboli: l'amministrazione di sostegno e la vita di tutti i giorni, in L'amministrazione di sostegno, a cura di Ferrando, Milano, 2005; Farolfi, Amministrazione di sostegno, Milano, 2014; Masoni, L'amministrazione di sostegno, a cura di Masoni, Rimini, 2009; Masoni, Amministrazione di sostegno, consenso dell’interessato e rete protettiva tutelante, ilfamiliarista, 18-24/2/2021; Napoli, L'infermità di mente l'interdizione l'inabilitazione, Milano, 1995; Rossi, voce Amministrazione di sostegno, b) disciplina normativa, in Enc. dir., Annali, Milano, 2014, VII; MASONI, Il giudice tutelare, Milano 2018.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario